Un ricordo nell’ottantesimo anniversario del suo assassinio.
Ettore Muti nasce a Ravenna il 22 maggio 1902 da Cesare Muti, dirigente del personale del comune, e da Celestina Gherardi, casalinga. Ha due sorelle: Linda e Maria.
A 13 anni inizia le Scuole Tecniche e malmena un professore che aveva schiaffeggiato un compagno invalido. L’Italia entra nella Prima Guerra Mondiale e un aereo austriaco, sorvolando Ravenna, lascia cadere alcune bombe, una delle quali centra un tram, uccidendo il tranviere. Avendo assistito al fatto, Ettore, che ha 14 anni, decide di andare a combattere e fugge da casa per raggiungere il fronte ed arruolarsi, ma a Cormons, una settimana dopo, viene intercettato dai carabinieri, che lo rispediscono a casa. L’anno seguente ci riprova e, falsificando il nome e l’età, riesce prima ad arruolarsi e poi ad entrare negli Arditi (20° Reparto d’Assalto del 6° Reggimento di fanteria).
Al fronte si distingue per le imprese temerarie e per la sua audacia. Diventa famoso il 18 giugno 1918, quando il contingente di 800 uomini al quale appartiene viene inviato a creare una testa di ponte sulla sponda orientale del Piave. Il suo reparto riesce nell’impresa, ma quando alla fine arriveranno i rinforzi degli 800 partiti ne rimangono solo 23, tra i quali Muti stesso. Viene proposto per la Medaglia d’Argento al Valor Militare, ma lui rifiuta poiché è sotto falso nome in quanto minorenne. I superiori, insospettiti da tale rifiuto, svolgono indagini e lo rimandano a casa, senza medaglia, dopo averne appurato la vera identità.
Nel 1919, a Milano, incontra Mussolini e ne rimane affascinato; il 12 settembre si iscrive ai Fasci Italiani di Combattimento e diventa squadrista. Partecipa a numerosissime battaglie contro i rossi in tutta la Romagna e a San Marino; celebre è l’impresa del marzo ’20 quando, saputo che a S. Arcangelo di Romagna era in corso una riunione di tutte le sezioni socialiste della zona, Muti, con tre amici in moto e sidecar, si reca sul posto, entra nel circolo, spegne con un colpo di pistola il lume a carburo, stacca la bandiera rossa dalla parete e, fra lo sbigottimento dei numerosi avversari presenti, dopo aver sparato un altro colpo in aria, balza sulla moto e ritorna a Ravenna col trofeo strappato ai rossi.
E’ quindi legionario fiumano nell’impresa di D’Annunzio. Il Vate rimane fortemente colpito dalla personalità di Muti, lo soprannomina “Gim dagli occhi verdi” e dirà di lui: «Voi siete l’espressione del valore sovrumano, un impeto senza peso, un’offerta senza misura, un pugno d’incenso sulla brace, l’aroma di un’anima pura». Si distingue particolarmente nell’attività corsara per fornire sussistenza ai Legionari fiumani. Famosi sono l’inseguimento per tutta la Penisola e la cattura nel porto di Catania, assieme ad altri sei camerati, del mercantile “Cogne”, carico di merci preziose per il Sudamerica, che viene dirottato su Fiume.
Nel 1920 muore improvvisamente suo padre, Cesare Muti.
Partecipa alla Marcia su Roma e, al comando delle Squadre d’azione, il 29 ottobre 1922 occupa la Prefettura di Ravenna e destituisce il prefetto. L’anno dopo entra a far parte della neocostituita Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale; nel 1924 raggiunge il grado di Console e comanda la LXXXI Legione “Alberico da Barbiano”.
Il 3 dicembre 1925, nonostante l’opposizione del padre di lei, sposa Fernanda Mazzotti, figlia del presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna, dalla quale ha una figlia: Diana, nata nel 1929. Il matrimonio avrà una durata breve e burrascosa.
Appassionato della velocità, ama correre sia in moto che in auto, divenendo protagonista di numerosi incidenti stradali: a Bagnacavallo, a Bologna, ai Fiumi Uniti, a Rimini ed.uno, particolarmente spettacolare, a Savio di Ravenna.
Il 13 settembre 1927, anniversario della marcia di Ronchi, è in piazza Vittorio Emanuele a Ravenna e, mentre sta parlando con un amico per organizzare una cerimonia a Fiume, arriva l’anarchico Leopoldo Massaroli di Mezzano, che gli spara due colpi, colpendolo al braccio destro e al fegato. Interviene il Federale di Ravenna Renzo Morigi – futuro campione olimpico di tiro con la pistola a Los Angeles e poi Vice Segretario del Partito Nazionale Fascista – il quale, sparando da una distanza di circa 100 metri, con un colpo solo uccide l’attentatore. Muti è trasportato, gravemente ferito, all’ospedale, dove rimane degente per tre mesi: operato al fegato con poche speranze, riuscirà a sopravvivere e a ristabilirsi; gli resterà una cicatrice sotto lo stomaco di oltre 20 centimetri.
Nel 1929 conosce a Roma Araceli Ansaldo Cabrera, allora diciannovenne, nata a Monzon (Spagna) il 17 marzo 1910, figlia di Francesco Ansaldo Conte di Lerin, Grande di Spagna, e di Aurora Cabrera, nonché cugina del giornalista Giovanni Ansaldo, suo amico; da lei – che gli giura amore eterno e manterrà il giuramento per tutta la sua lunga vita – avrà un figlio, nato a Madrid l’11 dicembre 1931, al quale viene imposto il nome di Carlo Ettore. Poco più tardi finisce di fatto il matrimonio con Fernanda Mazzotti, che lascia Roma per tornare a Ravenna con la figlia Diana.
L’anno dopo è al comando della CXX Legione di Roma, poi a quello della XI Legione a Casale Monferrato. Il 3 maggio 1932 passa a comandare la Terza Legione Portuaria a Trieste, dove diventa amico del Duca d’Aosta, il futuro eroe dell’Amba Alagi, che lo convince ad entrare in Aeronautica.
Sul campo d’aviazione di Gorizia ottiene prima il brevetto di pilota civile e poi quello di pilota militare.
Il 24 ottobre 1935 parte per l’Etiopia col grado di Tenente d’aviazione. Opera in Eritrea, con la 15a squadriglia da bombardamento di Macallè, volando sulla Dancalia in appoggio alla colonna Litta che marcia verso il Sultanato dell’Aussa. Bombarda Dessiè, partecipa alle battaglie del Tembien, dell’Endertà e del lago Ascianghi contro la Guardia imperiale etiopica, compie audaci ricognizioni su Addis Abeba e spesso ama atterrare, in segno di sfida, oltre le linee nemiche.
In Africa frequenta Galeazzo Ciano e la sua cerchia, tra cui Mario Badoglio (il figlio del Maresciallo) e il Duca d’Aosta. Compie spettacolari voli sull’Amba Aradam, partecipa alla battaglia di Mai Ceu. Gli ascari, ammirati, lo chiamano “Muti Kristos rioplano” e i compagni d’arme “il matto volante”. Entra a far parte della famosa 83a squadriglia da bombardamento “La Disperata”, di cui, oltre a Ciano, fanno parte anche Roberto Farinacci e Alessandro Pavolini.
Il 30 aprile 1936, quando le avanguardie italiane sono ancora a 100 chilometri di distanza, al torrente Gadula, ed il Negus è ancora nella sua capitale, Ettore Muti, da solo, tocca il suolo ad Addis Abeba sfidando i mitraglieri scioani. Farà ben 45 atterraggi in territorio nemico. Alla fine del conflitto etiopico ha raggiunto il grado di Capitano e il suo medagliere si è arricchito di due Medaglie d’Argento e una di Bronzo.
Subito dopo l’Africa parte per la Spagna. Si arruola volontario nel “Tercio” (la Legione Straniera fondata da Millan Astray) e partecipa alle operazioni belliche dell’Aviazione Legionaria col nome di “Capitano Gim Valeri”. Vola sui cieli della Catalogna, delle Sierre e del Mediterraneo: gli spagnoli lo chiameranno “Cid aereo”, nonché “Il Gaucho” e “Il Corsaro”. Il 27 agosto 1936, al largo di Malaga, centra con 4 bombe, da 300 metri d’altezza, l’incrociatore repubblicano “Cervantes”, danneggiandolo gravemente (sarà poi affondato il 31 maggio 1937 mentre era ai lavori nel bacino di Cartagena, dalla squadriglia del capitano Fortunato Federigi).
Attaccato in dialetto romagnolo da Radio Barcellona («venite qua, se avete coraggio») entra per primo nella grande città catalana. Bombarda 10 volte Oviedo, liberando la città dall’assedio, combatte (con un bombardiere) nel cielo di Alcañiz contro 18 caccia avversari abbattendone 2 e mettendone in fuga gli altri, distrugge gli aeroporti di Guajon e Alcalà di Henares, compie con spavalderia quattrocento azioni di guerra, battendosi in duello contro i Rata e i Curtiss. Vola con la squadriglia della “Cucaracha” e con quella dell’ “Asso di Bastoni”, riceve dal Re l’Ordine Coloniale della Stella d’Italia.
Il 15 marzo 1937 è promosso Maggiore per merito di guerra ed è anche nominato Console Generale della Milizia. Vola ripetutamente su Madrid. I marocchini del “Tercio” lo adorano. Un giorno il generale Berti vuol organizzare una festa da ballo, ma gli manca il grammofono: Muti va a prenderlo oltre le linee, nel bar di un paese occupato dai rossi. Vola sulle Baleari. Memorabile l’avventura di Talavera, quando una bomba, sganciatasi durante il bombardamento, era rimasta impigliata nel cestello del suo aereo e lui non poteva atterrare. Ci riuscirà, alla fine, con grande perizia e ardimento. Un giorno rientrerà all’aeroporto, dopo uno scontro con 15 caccia Rata, con l’apparecchio sforacchiato da oltre 100 colpi. In un anno compie complessivamente 400 voli di guerra e 160 azioni belliche.
Per problemi alla vista causati dai vapori della benzina finisce la guerra al comando di un reparto corazzato del Tercio – col quale entra tra i primi a Madrid – e con una Medaglia d’Oro al Valor Militare e 5 nuove Medaglie d’Argento, nonché una Medaglia d’Oro spagnola, concessagli dal generalissimo Franco (Cavalierato Imperiale dell’Ordine del Giogo e delle Frecce).
Nell’aprile del 1939 è in Albania, questa volta come carrista, e, con Umberto Simini e Giovanni Raina, arriva per primo a Durazzo, come per primo arriva successivamente a Tirana, dove occupa l’aeroporto ed ottiene un’altra Medaglia d’Argento. Su un mezzo corazzato, poi, conquista la Reggia di Re Zogu, fra lo sbalordimento delle Guardie Reali incapaci di reazione, e s’impadronisce della bandiera del Re fuggiasco, che donerà più tardi alla Federazione di Ravenna.
Il 28 ottobre di quello stesso anno Mussolini lo nomina Segretario del Partito Nazionale Fascista in sostituzione di Achille Starace – che teneva l’incarico dal 2 dicembre 1931 – e il 5 dicembre diventa membro del Gran Consiglio del Fascismo.
Il nuovo incarico, però, a lui – uomo d’azione – non piace. Con l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, chiede ed ottiene di essere assegnato ad un reparto combattente e il 6 luglio 1940 raggiunge l’aeroporto di Gadurrà, a Rodi, dove assume il comando del 41° Gruppo del 12° Stormo da Bombardamento dell’Egeo. Il 10 luglio il Gruppo bombarda i depositi di petrolio di Haifa e ripete l’azione il 10 agosto, incendiando 50 depositi e l’oleodotto. Il 18 ottobre 1940, con quattro S.M.81, partecipa al bombardamento dei pozzi petroliferi di Al Manamah, nelle isole del Bahrein (Golfo Persico), effettuando un volo di 4.500 chilometri da Rodi e stabilendo un primato mondiale tuttora imbattuto. Ben 132 bombe distruggono le più importanti installazioni petrolifere del Golfo Persico.
Alla fine dello stesso mese si dimette dalla carica di Segretario del Partito Nazionale Fascista, ponendo fine all’amicizia con Galeazzo Ciano che l’aveva proposto a tale carica illudendosi di poterlo facilmente manovrare a suo piacimento.
Combatte in Francia e prende parte alla Battaglia d’Inghilterra. Partecipa alla Campagna di Grecia, bombardando le linee nemiche. Nel marzo 1942 è promosso Tenente Colonnello e nel Mar Egeo, ai comandi di un aerosilurante S.M.79, affonda un incrociatore inglese: sceso a pelo d’acqua sotto il fuoco della contraerea, gli lancia un siluro che colpisce la fiancata della nave, spezzandola in due.
Trasferitosi con l’intero Stormo in Sicilia, prende parte alla Battaglia aeronavale di Pantelleria, ma poi, nuovamente a causa dell’indebolimento della vista (particolarmente dall’occhio sinistro) dovuta ad una prolungata esposizione ai vapori del carburante aereo, nell’estate del 1943 viene dichiarato inidoneo al volo: lascia lo Stormo e sceglie di essere assegnato al Servizio Informazioni dell’Aeronautica.
Complessivamente, nel corso della Seconda Guerra Mondiale venne insignito di quattro Medaglie d’Argento al valor militare, oltre alla Croce di Ferro tedesca di I e II classe.
In veste di agente del SIA, nell’estate del ’43 si reca in Spagna per cercare di carpire i segreti di un congegno elettronico che si trovava a bordo di un aereo americano atterrato sul suolo iberico e là internato. In Spagna contatta le autorità diplomatiche italiane per avviare la procedura di regolarizzazione del suo rapporto con Araceli e il riconoscimento del figlio Carlo Ettore, ma gli avvenimenti successivi gli impediranno di portarla a termine. Venuto a conoscenza della convocazione per il 25 luglio del Gran Consiglio del Fascismo, cerca di rientrare in Italia per prendervi parte, ma non ci riesce, perché bloccato al confine italo-francese dagli eventi bellici in corso e può tornare a Roma solo dopo il colpo di Stato.
In quei giorni Badoglio, il traditore per antonomasia, che era anche un grande vigliacco, aveva un folle terrore fisico sia di Muti che dei tedeschi: ai suoi confidenti andava continuamente ripetendo che prima o poi gli avrebbero tagliato la gola. Non potendosi liberare dei secondi, progettò di liberarsi almeno del primo, tanto più che un altro infame, il generale Giacomo Carboni, gli andava continuamente sussurrando che Muti aveva intenzione di organizzare forze fasciste per rovesciare il governo golpista da lui presieduto e liberare Mussolini in accordo con i tedeschi (cosa probabile, ma di cui non è mai emersa prova concreta). Pertanto, dopo un viscido tentativo di ingraziarselo effettuato il 18 agosto 1943 e miseramente fallito, ne decise l’assassinio.
Nella notte tra il 23 e il 24 agosto Ettore Muti è nella villetta che detiene in affitto a Fregene ed è in compagnia dell’attrice-ballerina cecoslovacca Edith Ficherova, in arte Dana Harlova; nella casa sono presenti anche l’attendente-autista Giovanni Marracco, la governante Concettina Verità e l’amico Roberto Rivalta, che poco tempo dopo verrà ucciso in un vicolo a Ravenna da ignoti sicari e sul cui omicidio nessuno mai indagherà.
Su ciò che avvenne quella notte furono fatte circolare varie versioni, soprattutto per mascherare l’omicidio, per eseguire il quale era stata programmata una accurata, quanto ingenua, farsa di Stato; ma alla fine la verità emerse in tutti i particolari, soprattutto grazie alle dichiarazioni di un testimone oculare: Antonio Contiero, allora carabiniere in servizio presso la Stazione di Maccarese; dichiarazioni di cui segue un estratto:
“Ero carabiniere in servizio alla Stazione di Maccarese (Roma) dal 10 aprile 1943 al 6 settembre dello stesso anno.
Alle ore 0,30 del 24 agosto si presentò alla caserma dei carabinieri di Maccarese un signore in borghese che si qualificò per il tenente Taddei dei carabinieri. Egli era accompagnato da un maresciallo della squadra speciale presidiaria di Roma, anche egli in borghese, e da un altro uomo che indossava una tuta color kaki. I tre erano armati di fucile mitragliatore.
Subito dopo venni incaricato, unitamente al carabiniere Frau Salvatore della mia stessa Stazione, di accompagnare il tenente Taddei al posto fisso di Fregene, che il Taddei non sapeva dove fosse. In località Cancello attendevano una quindicina di carabinieri che si unirono a noi. Al posto fisso il tenente Taddei disse al comandante di esso, brigadiere Barolat, che doveva arrestare Muti: lo accompagnasse quindi alla sua villa e prendesse con sé due uomini.
Giunti alla villa di Muti, il tenente ordinò di circondarla e di aprire il fuoco senza preavviso se si fosse aperta qualche finestra e qualcuno avesse tentato di scavalcarla per scappare. Circondata la villa, si avvicinarono alla porta d’ingresso il tenente, il brigadiere Barolat, il maresciallo della squadra speciale e l’individuo in tuta.
Dopo aver bussato diverse volte fu aperta la porta da un giovanotto il quale si qualificò per l’autista. Egli rispondeva che l’Eccellenza era a letto; io, che ero appena fuori della porta dopo il tenente e il brigadiere, udii perfettamente una voce dall’interno che domandava chi era che chiedeva di lui. Il brigadiere Barolat, allora facendosi un po’ avanti, rispose: ‘Sono io, Eccellenza, il brigadiere della Stazione’. Eccellenza Muti, allora, venne fuori in pigiama e notando la presenza del tenente Taddei, in abito civile col mitra, seguito da altri due pure un abito civile e col mitra, domandò chi fossero. Il tenente si presentò esibendo contemporaneamente la tessera di riconoscimento e quindi gli comunicò che era costretto a portarlo con lui.
Eccellenza Muti allora, dopo aver fatto un gesto d’impazienza, si ritirò nella sua stanza per vestirsi, ma il tenente Taddei lo seguì in compagnia del brigadiere Barolat, mentre il maresciallo della squadra speciale, il famoso individuo in tuta ed alcuni carabinieri, tra i quali anch’io, rimanemmo nella stanza d’entrata.
In camera, mentre Muti si vestiva, potei udire il tenente che lo pregava di indossare l’abito civile, perché, diceva, dovendo tradurlo in stato d’arresto, non gli sembrava opportuno che indossasse la divisa. Siccome Muti insistette e volle indossare la divisa, il tenente soggiunse: ‘Sarebbe meglio l’abito civile, perché tanto le vostre medaglie non contano’.
Udii perfettamente Ettore Muti dire: ‘Tenente, ricordatevi che sono un Colonnello’.
Dopo qualche minuto uscirono dalla stanza e andammo tutti fuori. Il tenente quindi dette l’ordine di partenza e ricordo perfettamente l’ordine di marcia: avanti Ettore Muti, con al suo fianco destro il maresciallo della squadra speciale, a sinistra il carabiniere Frau Salvatore della Stazione di Maccarese, e alle spalle il famoso individuo in tuta kaki. Più indietro, alla distanza di dieci o quindici passi, seguiva il gruppo dei carabinieri, dei quali facevo parte anch’io, con al centro il tenente Taddei e il brigadiere Barolat.
Dopo circa cinque minuti di cammino il tenente Taddei emise un fischio, al quale rispose un altro fischio che partiva dal gruppo dove era l’Eccellenza. Dopo qualche istante sentimmo improvvisamente una raffica di pochi colpi di mitra, seguita immediatamente da altre scariche. Alla prima raffica, siccome eravamo stati avvertiti dal tenente Taddei che per la strada saremmo stati attaccati, ci siamo tutti buttati a terra.
Non vidi le fiamme della prima scarica perché ci colse all’improvviso (e dopo mi resi conto del motivo per cui non le vedemmo), ma vidi perfettamente le scariche successive, le cui fiamme, partendo dal gruppo di testa, erano rivolte verso destra e in aria. Mentre eravamo tutti a terra il tenente lanciò due o tre bombe, almeno ritengo sia stato il tenente, in direzione del gruppo di testa, ma un poco sulla sinistra. Per un momento fui convinto che fossimo stati attaccati, e feci tra me delle condiderazioni sul fatto che il gruppo di testa sparava verso destra mentre l’attacco, a mio parere, proveniva da sinistra. Dopo qualche istante, però, compresi perfettamente quello che era successo per il fatto che il tenente, cessata la sparatoria, domandò ad alta voce: ‘Che cosa c’è?’; al che il maresciallo della squadra speciale rispose con le testuali parole: ‘Finestre chiuse, è andato a casa’.
Dopo questa risposta, il tenente si alzò e dette ordine di adunata.
Alla adunata erano presenti il maresciallo della squadra speciale e il famoso individuo in tuta kaki. Senza che nessuno avesse profferito parola ci avviammo tutti nella stessa direzione di marcia, e dopo una ventina di passi trovammo a terra, disteso bocconi, Ettore Muti. A questo punto il maresciallo gridò perché lo sentissero tutti: ‘Siamo stati attaccati dalla destra ed è rimasto colpito l’Eccellenza Muti’.
Segui un breve dialogo tra il tenente ed il maresciallo per stabilire da quale parte fossero stati attaccati. In quel momento il famoso individuo in tuta kaki, che aveva la sigaretta accesa, fece l’atto di dare un calcio alla salma al cui indirizzo pronunciò parole oltraggiose e, quindi, scavalcò il cadavere fermandosi a 4 o 5 passi di distanza, continuando a fumare la sua sigaretta. Il tenente Taddei non fiatò a questo gesto”.
Muti fu ucciso da un proiettile alla nuca sparato alle sue spalle, come dimostrato dal berretto che indossava e dall’autopsia successivamente disposta, il cui referto recita: “Decesso per colpo d’arma da fuoco alla nuca, nessuna altra ferita”.
Schematizzando in base ai loro ruoli, gli assassini di Ettore Muti furono dunque:
- Pietro Badoglio, capo del governo golpista, mandante;
- Giacomo Carboni, Generale di Corpo d’Armata e capo del SIM, istigatore;
- Angelo Cerica, Generale comandante dell’Arma dei Carabinieri, complice;
- Carmine Senise, capo della polizia, che ordinò di eseguire la farsa;
- Carmelo Marzano, capo dell’Autoparco del Ministero degli Interni, che fornì gli automezzi per l’operazione;
- Ezio Taddei, Tenente dei carabinieri, sicario;
- Alarico Ricci, maresciallo della squadra speciale, sicario;
- Salvatore Abate, l’uomo in tuta kaki, agente di polizia, sicario e materiale autore dell’omicidio.
Poco tempo dopo Badoglio promosse il Taddei al grado di Capitano per “meriti speciali” e l’Abate al grado di vicebrigadiere.
La salma di Muti fu raccolta verso l’alba e infilata in un sacco; in fretta venne trasportata a Roma, all’ospedale militare del Celio; infine fu tumulata in un loculo al cimitero del Verano a Roma. Fra le persone accorse, c’ era la moglie dell’Eroe la quale, a ricordo del marito, chiese solamente il berretto che egli indossava al momento della morte e sul quale sono ben visibili il foro d’entrata sul retro e quello d’uscita sul davanti del colpo sparatogli alle spalle da Salvatore Abate.
Gli episodi bellici che lo videro protagonista resero Ettore Muti meritevole di una Medaglia d’Oro al V.M. a vivente, dieci Medaglie d’Argento al V.M. (di cui tre sul campo), cinque Medaglie di Bronzo al V.M., l’Ordine Militare di Savoia, cinque Croci al Merito, due “Medalla Militar Española”, due Croci di Ferro germaniche (1° e 2° classe) e ben 16 riconoscimenti onorifici tra italiani e stranieri. Si tratta di un medagliere che fa di Muti, a tutt’oggi, il più decorato soldato d’Italia. Detiene inoltre, tuttora, il primato mondiale di ore di volo in guerra.
Il medagliere di Ettore Muti
Costituitasi la Repubblica Sociale Italiana, il 24 settembre 1943 a Roma, nella chiesa di San Marcello, presenti il Segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini scortato da trenta squadristi, gli furono rese le onoranze solenni nel trigesimo della morte e nel gennaio del 1944 il Duce dispose che le spoglie dell’Eroe fossero traslate alla Basilica di San Francesco di Ravenna, sua città natale. Ciò avvenne il 19 febbraio 1944 con una solenne cerimonia, alla quale presero parte, oltre ai parenti, il Segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini, il Delegato Regionale del Partito Fascista Repubblicano Franz Pagliani, il Capo Provincia Franco Bogazzi, il Colonnello della Guardia Nazionale Repubblicana Filiberto Nannini, il Comandante della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” Franco Colombo e le autorità militari germaniche con relativo picchetto, che rese gli onori.
Nel corso della cerimonia Alessandro Pavolini pronunciò una mirabile orazione funebre, di cui segue il passo più rilevante:
“Sei mesi sono passati dall’agosto infame. E non è mistero che allora i più fedeli, spersi nella marea montante della vergogna regia, anelanti alla liberazione del Duce come all’unico principio possibile della riscossa, avevano in Muti il loro punto di riferimento.
Ma ciò potrebbe spiegare un arresto, una prigione. Non l’assassinio, non lo sparo alla nuca per ordine governativo. Perché, dunque?
Ormai la storia successiva risponde ampiamente all’interrogativo.
Perché non si poteva perfezionare la diffamazione del Fascismo, senza sopprimere fisicamente quelle che erano le incarnazioni di un Fascismo altissimo e valoroso.
Perché non si potevano insozzare con la calunnia gli squadristi e le gerarchie, che avevano dato migliaia di morti alla guerra, senza togliere dal mondo dei vivi colui che era stato squadrista e gerarca e che portava innumerevoli sull’ampio torace i segni della morte sfidata in combattimento.
Perché non si poteva stringere la mostruosa alleanza col comunismo, senza sigillarla col sangue di chi era stato alfiere della lotta antibolscevica in Italia e in Europa, dall’Emilia alla Catalogna.
Perché non si osava perpetrare il tradimento all’alleato, il tradimento ai combattenti e ai Caduti, senza prima levar di mezzo un esponente così tipico, generoso e popolare della nostra guerra.
Per questo, dopo aver inseguita nei rischi più temerari la morte del soldato prode, egli ebbe invece la corona del martirio”.
All’Eroe vennero intitolate:
- la Squadriglia da Bombardamento “Ettore Muti”, reparto dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana, che effettuò solo una limitata attività addestrativa;
- la XXIX Brigata Nera “Ettore Muti” di Ravenna;
- la Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti” di Milano.
Cronologia finale:
1943 – Araceli Ansaldo apprende dal giornale, a Madrid, la notizia della morte di Muti mentre è al quinto mese di gravidanza del secondo figlio di Ettore: Jolanda Aurora, che nascerà il 25 dicembre.
1946 – Nel clima di odio e di epurazione fascista, a Fernanda Mazzotti viene revocata la pensione privilegiata, perché attribuitale dal “governo di Salò” e il 19 aprile la salma di Ettore Muti, collocata nella Basilica di San Francesco di Ravenna, viene fatta trasferire nel cimitero cittadino, presso una tomba di famiglia. È qui che fino all’estate 2016 si sono svolte le cerimonie commemorative dell’ “Eroe della Rivoluzione Nazionale”, organizzate dai Reparti di Ravenna e Bologna dell’Associazione Nazionale Arditi d’Italia.
1950 – Pietro Badoglio viene denunciato quale mandante dell’omicidio di Ettore Muti dal direttore del settimanale politico satirico “Asso di Bastoni”, Pietro Caporilli; Celestina Muti, madre dell’Eroe, vedendo casualmente in una edicola di Milano la copia del predetto giornale che annunciava la denuncia contro Badoglio, scopre che il figlio non è morto nel corso di un combattimento aereo sul Mediterraneo, come le era stato detto.
1951 – Dopo un anno di udienze al processo penale per l’assassinio di Ettore Muti viene emessa sentenza di archiviazione per sopraggiunte amnistie ai reati commessi.
1953 – In aprile Carlo Ettore viene in Italia, ospite della nonna Celestina Muti e delle zie paterne Linda e Maria.
1959 – Il 23 giugno, all’età di 28 anni, Carlo Ettore perde la vita in un tragico incidente aereo avvenuto in Perù. Viene sepolto a Madrid. Araceli Ansaldo è invitata a Sanremo dalle sorelle di Ettore, Maria – coniugata con Valdemaro Venturoli – e Linda – coniugata con Mario Cossovic.
1963 – Il 19 ottobre Jolanda, figlia di Araceli e di Ettore, sposa a Madrid Guglielmo Gauthier.
1964 – Maria, sorella di Ettore, è madrina al battesimo del primo figlio di Jolanda, Kevin Carlos, nato a Madrid il 31 luglio, per confermare il legame di sangue con il nonno Ettore.
1967 – L’8 febbraio Celestina Muti, madre di Ettore, muore a Padova all’età di 88 anni.
1994 – Il 5 luglio Araceli Ansaldo e la figlia Jolanda giungono a Roma con tutto il bagaglio dei ricordi che compongono lo splendido volume “Gim dagli occhi verdi”, di cui sono autrici.
1995 – Il 24 agosto Araceli e Jolanda donano al Museo dell’Aeronautica “Gianni Caproni” di Trento numeroso materiale a ricordo perenne dell’Eroe.
2005 – Il 24 Agosto, Araceli (95 anni compiuti) e Jolanda presenziano a Ravenna alla solenne commemorazione della morte del rispettivo marito e padre.
2017 – In giugno accade un fatto sconcertante. Nel cimitero di Ravenna la piccola lapide marmorea con la foto e il nome di Ettore Muti, che era presente sul sepolcro, scompare. Inizialmente si pensa ad un’azione vandalica, ma poi viene diffusa, da parte dei legali di Diana Muti (deceduta l’anno successivo), la versione ufficiale della famiglia che vuole la salma trasferita in altro imprecisato luogo per impedire ogni tipo di manifestazione in onore dell’ex-Segretario del Partito Nazionale Fascista. A tutt’oggi si ignora ove sia collocata la salma e, nonostante gli ostacoli e i veti posti dall’amministrazione comunale, le annuali cerimonie organizzate in suo onore dall’Associazione Nazionale Arditi d’Italia si sono svolte, fino al 2022, fuori del cimitero di Ravenna, presso il Monumento al Marinaio, ove è stata posizionata per l’occasione una lapide marmorea in ricordo di Ettore Muti.
2023 – In seguito alle continue denunce da parte della feccia rossa e alle relative vicende giudiziarie i cui costi non è più in grado di sostenere, l’Associazione Nazionale Arditi d’Italia rinuncia ad organizzare la suddetta cerimonia annuale in forma e luogo pubblici e decide di effettuarla in forma e luogo privati. Ciò non modifica in alcun modo la Storia e la natura dei personaggi: Ettore Muti è stato e rimarrà sempre il più grande degli Eroi d’Italia, la feccia rossa è stata e rimarrà sempre soltanto immondizia.
Giuliano Scarpellini