La Giornata della Memoria
Il 27 gennaio scorso nel mondo si è celebrato in pompa magna il 70° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Certo, detto così, il fatto mi è sempre suonato un po’ strano, un po’ perché, a quanto ne so, quella è stata la prima ed ultima volta che l’Armata Rossa ha liberato qualcosa o qualcuno ed anche perché i tedeschi avevano abbandonato quel campo circa 10 giorni prima. Comunque, data la risonanza universale dell’evento, mi sono sentito in dovere di partecipare idealmente alla celebrazione, con l’unico rammarico di non possedere una “kippah”, che altrimenti quel giorno avrei anch’io indossato orgogliosamente; proprio come i nostri statisti e politici vari quando vanno a rapporto in Israele.
E già, perché quel giorno si celebra non tanto la liberazione del suddetto campo, quanto invece il ricordo perenne del martirio del popolo ebreo, sterminato a milioni nei campi di concentramento nazisti, preferibilmente col l’uso di gas (il famoso zyklon B prodotto per eliminare i pidocchi), forni, ma anche elettricità (avete presente le piastre che si usano per far fuori le zanzare?), o mediante bollitura (è infatti universalmente noto che i biechi nazisti amavano lavarsi con sapone di ebreo – una vera chicca – e fare all’amore con le loro donne alla discreta luce prodotta da un paralume in pelle di ebreo) e molti altri ingegnosi marchingegni. Magari sul numero dei milioni c’è qualche perdurante e strana discordanza, ma che importa? Siamo comunque di fronte ad una immane strage perpetrata con inaudita ferocia nei confronti di un piccolo popolo, mite, laborioso ed inoffensivo.
Io, però, ho sempre avuto un grosso difetto: quello di volere ostinatamente ragionare col mio cervello, rifiutandomi di riciclare i concetti degli altri. Così, in piena celebrazione, mi è passata per la mente un’idea molesta; mi sono detto: “Certo, però, che l’olocausto (o shoah, o sterminio, o come volete chiamarlo) fornisce agli ebrei un formidabile ed indispensabile supporto morale al loro controllo della finanza mondiale, nonché un perfetto alibi alle azioni, non sempre irreprensibili, dello Stato di Israele. Tanto che, se non ci fosse stato, avrebbero dovuto inventarlo”. Da qui a voler vederci più chiaro, il passo è stato brevissimo.
Perciò ho cominciato ad indagare sulle cifre. I cosiddetti “media” sparano tuttora disinvoltamente al popolo bue quella di 6 milioni, trascurando del tutto volutamente il fatto che la storiografia “ufficiale” dell’olocausto ha continuamente corretto al ribasso tale cifra, rimanendo peraltro sull’ordine dei milioni. C’è però un problema: i dati demografici forniti da varie fonti, in primis quella al di sopra di ogni sospetto, ovvero il “World Almanach” pubblicato dall’”American Jewish Committee”, il quale, a proposito degli ebrei presenti in tutto il mondo, indica queste cifre: 1939, 15 milioni e 600 mila; 1946, 15 milioni 750 mila, numero confermato anche per gli anni successivi. Ovvero, in un arco di tempo in cui la popolazione mondiale è sensibilmente diminuita in conseguenza della guerra, quella ebrea è addirittura aumentata. Sorge quindi spontanea la domanda: “Dove hanno preso i biechi nazisti i milioni di ebrei che hanno sterminato?”. Sulla terra evidentemente no; ma, per quanto i loro scienziati fossero di gran lunga all’avanguardia nella tecnologia e gli ebrei abbiano da sempre l’abitudine di sparpagliarsi dappertutto, risulta improponibile l’ipotesi che li abbiano catturati nello spazio; se non altro per ragioni pratiche.
La mancata risposta a tale domanda ne produce di conseguenza un’altra: “Ma allora l’olocausto è davvero avvenuto o è solo il frutto di una colossale menzogna?”. Urge pertanto esaminare le prove. Ma, gira e rigira, le prove consistono soltanto in parole: quelle fornite dalla miriade di ebrei sedicenti sopravvissuti ai campi di sterminio e quelle fornite dalla benemerita Unione Sovietica. Senonché, a prescindere dalle evidenti falsità e dalle clamorose reciproche contraddizioni, le testimonianze dei sopravvissuti provengono da persone la cui religione non solo consente, ma addirittura impone di mentire per propria utilità; quanto all’Unione Sovietica, è evidente che solo in malafede si possono considerare prove le affermazioni di governi che erano emanazione di un regime, il quale, non per niente costituito da ebrei, ha sempre adottato la menzogna come criterio guida della propria politica interna ed estera. In conclusione non esiste alcuna vera prova che l’olocausto sia veramente avvenuto; anzi, i numeri, che se non manipolati da qualcuno dicono sempre il vero, dimostrano il contrario.
Tuttavia l’indagine non si può fermare a metà strada, occorre cercare altri seri riscontri. E per trovarli si deve attingere ai ricercatori non smentiti e non smentibili e per questo posti all’indice e perseguitati dal regime imperante o relegati da esso nella completa oscurità. Tra le opere di tali ricercatori spiccano in particolare, per serietà e completezza, quelle di Carlo Mattogno, che si è occupato a fondo dell’argomento, sul quale ha scritto decine di libri ed articoli (cito in particolare “Auschwitz – Fine di un Mito” e “Negare la Storia”, i cui titoli anticipano le conclusioni), molti dei quali, almeno in Italia, sono ancora scaricabili in PDF da internet. Ma tra le più serie e conclusive opere demolitrici del “mito” dell’olocausto, trovo che quella di maggiore impatto sia il video realizzato nel 1992 proprio da un ebreo, il prof. David Cole. Si tratta di un filmato (intitolato “La verità dietro i cancelli di Auschwitz”, tuttora reperibile, almeno in Italia, su “YouTube”), che solo un ebreo, in quanto tale, poteva realizzare all’interno del campo di Auschwitz. Chi non l’avesse ancora visionato e conosce a fondo la lingua inglese può gustarlo nella sua interezza e nel suo pieno valore; per chi deve invece ricorrere alle didascalie in italiano e può perdersene una parte occhieggiando tra esse e le immagini, ne riporto sotto il testo: è un po’ lungo (il filmato dura poco più di un’ora), ma merita senz’altro una attenta ed integrale lettura.
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LA VERITÀ DIETRO I CANCELLI DI AUSCHWITZ
Opera di David Cole
E’ un fatto storico indiscutibile che, durante la 2° Guerra Mondiale, i tedeschi crearono una rete di campi di lavoro forzato, sia in Germania che nei territori che controllavano.
In questi campi furono spediti ebrei, prigionieri di guerra, partigiani, zingari ed altre persone considerate nemiche del III Reich.
Il più grande di questi campi fu quello di Auschwitz, situato in Polonia. Gli internati ad Auschwitz venivano da tutta l’Europa ed erano uomini, donne e bambini. Chi era in grado di lavorare veniva forzato a farlo per lo sforzo bellico tedesco. Auschwitz fu liberato dall’armata sovietica, nel gennaio del 1945.
Ma è qui che il consenso…..finisce.
Sin dalla fine della 2° Guerra Mondiale, ci è stato ripetutamente detto che molti di questi campi avevano una finalità terribile: il genocidio di 6 milioni di ebrei e lo sterminio di 5 milioni di non ebrei tramite l’uso di camere a gas omicide, in ciò che viene comunemente chiamato l’”Olocausto”. Il più alto numero di morti si dice che si ebbe ad Auschwitz.
Ma vi è chi sostiene che questo preteso sterminio non è mai stato provato. Costoro fanno notare la mancanza di documentazione, oltre al fatto che le prove fornite dell’Unione Sovietica al processo di Norimberga sono discutibili e in parte già screditate. Essi notano l’inattendibilità dei testimoni oculari, molti dei quali sono stati ugualmente screditati (ad esempio, molti ex internati nei campi, così come tanti soldati americani, parlano ancora di “gasazioni” al campo di Dachau, in Germania, quando tutti gli storici ora ammettono che non vi furono mai camere a gas omicide in detto campo).
Eppure, dalla fine della guerra ad oggi, l’”Olocausto” è un evento continuamente cresciuto d’importanza e generalmente accettato come un “fatto”, senza porre domande.
Ma come facciamo a sapere che cosa è accaduto realmente? Quali prove sono fornite a chi non vuole accettare la Storia come un atto di fede? Questo video si occupa, fra le altre cose, di una di queste “prove”, un piccolo tassello di un gigantesco “puzzle”: la supposta camera a gas del campo principale di Auschwitz. Questo filmato è il primo di una serie inerente il mio viaggio in Europa nel 1992 per indagare in prima persona i luoghi della cosiddetta “Soluzione Finale”.
Esso non intende porsi come ultima parola su questa controversia: esattamente il contrario. Spero che questo video dia inizio ad un dibattito aperto di cui da tempo si ha necessità: che cosa è certo e che cosa è solo propaganda di guerra in ciò che chiamiamo “Olocausto”?
Ecco il campo principale di Auschwitz, detto “Stammlager”. Auschwitz è diviso in tre parti. Questo è Auschwitz 1, o campo principale. Era una caserma che esisteva già prima della guerra e fu lievemente modificata dai tedeschi quando l’hanno rilevata. Poi c’è Auschwitz 2, conosciuto anche come “Auschwitz-Birkenau”, che fu costruito durante la guerra come espansione del campo principale. Infine vi è Auschwitz 3, o “Auschwitz-Monowitz”, una grande area industriale dove molti prigionieri erano obbligati a lavorare.
E’ ad Auschwitz 1 che vi è il centro turistico. E’ qui che gruppi di turisti sono condotti ogni ora, con guide che parlano inglese, polacco, tedesco e francese. Dalle cifre fornite, più di 500.000 persone lo visitano annualmente.
Questo luogo è diventato un curioso santuario, un misto di grasso commercio e di riverenza religiosa, con alberghi, ristoranti, negozi di ricordini e bancarelle dove è possibile comprare ogni tipo di oggetti per il video, come batterie e cassette di vario formato, per essere sicuri di non perdere nessun fotogramma della “Soluzione Finale”.
E’ un tempio che combina devozioni cattoliche e lamentazioni ebraiche, il che ha causato alcune tensioni. Dei gruppi ebraici accusano i polacchi di sminuire le sofferenze dei giudei, e, anche se pochi lo ammettono, si può dire che, in Occidente, gli ebrei hanno tentato di monopolizzare Auschwitz, quale sciagura esclusivamente ebraica.
Abbiamo così toccato un punto importante del nostro studio sull’”Olocausto”: esso è interpretato in modo diverso in varie parti del mondo. I sovietici enfatizzano le sofferenze di russi, polacchi, ucraini ed altri. I film di propaganda post-bellica russa parlano poco di ebrei. Per i polacchi, Auschwitz ha un volto cattolico congiunto ai soliti feticci: i temi preferiti sono l’uccisione di preti polacchi e di altri martiri, oltre al tentativo di sterminio del popolo polacco.
Ma, nel mondo occidentale, prevale solo la versione ebraica, nella quale si ammette la morte di non ebrei solo per tenere vivo l’interesse di questi nei confronti dell’”Olocausto”. Ma ci viene inculcato che, anche se dei non ebrei hanno sofferto, sono gli ebrei e gli ebrei soltanto ad essere stati marcati per lo sterminio.
Questo “scisma” ha generato controversie ben note, come quella relativa ad un convento di Carmelitane che si stabilirono qui, ad Auschwitz, contro il volere di molti gruppi ebraici. E quella di una mostra polacca su Auschwitz, accusata di non essere “sufficientemente giudaica”.
Ad ogni modo, nel campo, di vittimismo che n’è da vendere.
Lo schema del campo principale di Auschwitz è molto semplice: una recinzione quadrata di filo spinato circonda file e file di baracche di detenuti, una mensa di grandi dimensioni ed alcune sorprese che vi mostrerò dopo.
Fuori dalla zona recintata, vi è il quartier generale delle SS (questi due edifici), l’ospedale ed il ristorante.
Di fronte a questo edificio, si incontra quello conosciuto come “Crematorium I”, l’infame camera a gas e il forno crematorio.
La maggior parte delle baracche dei prigionieri sono state trasformate in musei e fanno il grosso della visita guidata. Le altre sono usate come archivi od uffici per il personale del museo.
Una baracca (blocco 11) fu lasciata intatta. Era la prigione del campo ed ora viene chiamata, naturalmente, “braccio della morte”.
Questo ci porta ad una domanda interessante: “Che cosa è mostrato e cosa non lo è, nella visita guidata?”. Durante il “tour” è mostrato il “braccio della morte”, poi il cosiddetto “muro della morte” (ovviamente accanto al “braccio della morte”) ed , orrore dopo orrore, si trasmette l’idea di Auschwitz come macchina della morte dove l’internamento era sinonimo di sterminio.
Ma che cosa NON ci viene mostrato?
Per cominciare non ci mostrano un edificio il cui nome appropriato sarebbe “braccio della vita”. Era un enorme complesso per la disinfestazione, nel quale il gas Zyklon B venne usato giornalmente per combattere i pidocchi e le malattie che ne derivavano. Queste furono le vere camere a gas, le cui vittime erano….vestiti e materassi….
Esse avevano un unico obiettivo: preservare la salute degli internati.
Gli storici ufficiali non negano la funzione di tali edifici, ma semplicemente non ne parlano. Dopo tutto, perché complicarsi la vita?
Passa sotto silenzio anche il teatro del Campo, attuale sede del convento delle monache di cui sopra, le cui ultime foto ci mostrano pianoforti, costumi ed un palco che i prigionieri usavano per le rappresentazioni. Oggi, comunque, le suore non consentono di fare foto degli interni.
E, finalmente, abbiamo la piscina di Auschwitz. Si! Proprio così! La piscina di Auschwitz! Si trova nel complesso delle prigioni, subito dopo le camerate dei prigionieri. Una bella piscina con un trampolino e blocchi di partenza per le gare.
A loro attivo, gli attuali responsabili di Auschwitz non hanno tentato di far sparire questa distrazione, ma, se volete vedere la piscina, è necessario già sapere che esiste, perché non la troverete durante il “tour”.
Dunque, in pratica, nel “tour” che è già composto da persone che credono alla storia ufficiale dell’”Olocausto” e sono emotivamente influenzate da essa, si dà una visione selettiva di storie d’orrori dopo storie d’orrori, fino a giungere all’ultima tappa: la camera a gas.
Giunti lì, i visitatori sono cotti al punto giusto per credere a qualsiasi cosa. La camera a gas è l’apice del crescendo di orrori al quale il pubblico è stato progressivamente elevato. Letteralmente, la camera a gas è la prova oggettiva che tutto quanto mostrato nel “tour” è vero. La prova oggettiva dell’”Olocausto”.
Ma lo è? Lo vedremo fra poco…..
Andai ad Auschwitz nel settembre del 1992 per vedere con i miei occhi questo luogo che ho studiato così a lungo. Pagai un extra per una guida turistica personale: una giovane polacca di nome Alicia, che guida “tour” in polacco, tedesco ed inglese. Ed indossai la mia “kippah”, affinché tutti capissero che sono ebreo. Così facendo, pensai di poter far domande senza sembrare un revisionista, dal momento che, in passato, i revisionisti non hanno avuto molto successo nell’ottenere risposte dai funzionari di Auschwitz.
Mi presentavo come un giusto ebreo, voglioso di conoscere i fatti reali, per rispondere a quelli che dicevano che l’”olocausto” non era mai avvenuto. (Ad onor del vero, io non sono solo un revisionista, ma anche un fiero ateo; tuttavia i miei genitori sono ebrei e, se sei ebreo per nascita, sei ebreo per nascita: nulla di cui mi debba vergognare).
Alicia, come le altre guide, ha fatto un corso per imparare la litania a memoria. Questo è un punto molto importante, perché, come dimostrerò, le persone che gestiscono il Campo, come il Dr. Franciszek Piper ed il supervisore dei “tour”, istruiscono le guide a dire cose che essi ben sanno essere false.
Per questo Alicia non ha colpe: lei ripete lei ripete solo ciò che le è stato detto e sono certo che non ha mai avuto a che fare con un turista come me.
Ho più di 4 ore di riprese del “tour”, con tante domande antipatiche.
Questo materiale sarà editato separatamente. Questa volta ci occuperemo solo delle camere a gas e della mia intervista al Dr. Franciszek Piper, curatore decano e responsabile degli archivi del museo statale di Auschwitz.
Venni ad Auschwitz molto scettico a riguardo delle camere a gas. So bene che, per molta gente, la ricerca critica sull’”Olocausto” è il più grande dei sacrilegi. Ma io non ho tabù. Ed è importante per me capire quello che accadde realmente e chiedo rispetto per questo.
Da anni di ricerche personali ed altrui, so che le prove dell’”Olocausto” sono scarse. Letteralmente, tutto quello che c’è sono testimonianze oculari e confessioni del dopoguerra. Non esistono foto e documenti di guerra collegabili ad un piano di sterminio degli ebrei. E non possiamo usare come scusa il fatto che i nazisti abbiano distrutto le prove, perché, dopo che fu scoperto il codice tedesco, eravamo capaci di intercettare ogni loro trasmissione segreta, anche quelle provenienti da Auschwitz.
La chiave per comprendere l’”Olocausto” sta nel capire la vera natura delle cose spacciate per prove. Tutto ciò che viene mostrato come prova dell’”Olocausto” può anche avere una spiegazione del tutto normale.
Per esempio, queste mostre sono usate come prova materiale dello sterminio. Si tratta di mucchi di capelli umani. Ma questo cosa prova? E’ noto che, per il problema dei pidocchi, tutti i detenuti venivano rasati. Nessuno lo nega. Ed allora perché non dovrebbero esservi mucchi di capelli?
E che dire dei mucchi di scarpe e vestiti? Sono una prova? E’ un fatto che ai prigionieri veniva data un’uniforme con tanto di scarpe. Perché non dovrebbero dunque esserci i mucchi di scarpe e vestiti? Ciò non prova che qualcuno sia morto.
E questo dando ai sovietici ed ai polacchi il beneficio del dubbio, fidandoci, cioè, che i mucchi di scarpe e vestiti siano stati veramente accumulati durante il funzionamento del Campo, come essi sostengono.
E i recipienti di gas? Nessuno nega che lo Zyklon B è stato usato per disinfettare vestiti ed edifici. Lo Zyklon B fu uno dei migliori rimedi contro i parassiti usato all’epoca in Europa. E’ stato usato nella maggior parte dei campi di concentramento, inclusi quelli considerati privi di camere a gas omicide. L’epidemia di tifo che si diffuse in Europa, ed anche nei campi, obbligò a misure molto drastiche contro i pidocchi. Nel suo libro “Auschwitz: tecniche e procedure delle camere a gas”, pubblicato dalla Fondazione Klarsfeld e teso a confutare il revisionismo, Jean-Claude Pressac ammette che più del 95% dello Zyklon B usato dai tedeschi fu usato per disinfettare. Appena il 5% per intenti omicidi. E questo da parte di un sostenitore dell’”Olocausto”!
Quindi, quali altre prove sono offerte?
Beh, ci sono le solite foto di prigionieri malati, con la tesi, non proprio innovativa, che la gente si ammalava nel Campo. Ma. Ancora, nessuno nega che vi fu un’epidemia di tifo che causò molte morti.
Poi ci sono le opere d’arte….le foto dei bambini, ma queste non valgono per chi cerca prove oggettive sulle camere a gas. Anzi, alcune delle prove mostrate depongono contro la storia dello sterminio. Per esempio, ci mostrano foto aeree scattate dagli alleati durante la guerra ad Auschwitz. Ma non vi dicono che in esse non si vedono immagini di persone che vengono gasate, o di corpi che vengono cremati. E questo mentre lo sterminio avrebbe dovuto procedere quasi senza sosta. E non voglio parlare del denaro speciale stampato dai tedeschi per gli internati ad Auschwitz, o dei bambini ebrei che sarebbero stati uccisi subito. Tanto Anna Frank, come sua sorella, vennero mandate ad Auschwitz e sopravvissero. Poi furono inviate a Bergen-Belsen, dove, viene detto, morirono di tifo.
Ma queste questioni sarebbero superabili se solo potessimo vedere una vera camera a gas coi nostri occhi. Questo farebbe scrivere la parola fine sulla vicenda.
Il che ci porta all’edificio dinanzi al quale mi trovo: la camera a gas e il forno crematorio.
Le foto di questo edificio sono state pubblicate libro dopo libro sull’”Olocausto”. E dunque, quale miglior prova?
I revisionisti non negano che questo sia un edificio usato durante la guerra. Noi sosteniamo che questo era un crematorio ed un obitorio, anche usato come rifugio antiaereo dal personale delle SS, da quello dell’ospedale e del ristorante posti all’altro lato della strada. I responsabili di Auschwitz affermano che era un obitorio ed un crematorio, dove l’obitorio venne usato, più tardi, come camera a gas. Essi ammettono che fu anche un rifugio antiaereo. Ed hanno ammesso in passato che la grande ciminiera in mattoni sul lato del palazzo è una “ricostruzione”: il che non ha stupito nessuno, dato che non ha alcun legame con l’edificio.
Ora andiamo all’interno.
Una volta dentro, possiamo vedere perché i revisionisti si fissano tanto su questo edificio:
1) – Vi sono evidenti segni su muri e pavimenti, dove è chiaro che le pareti sono state demolite.
2) – Del pari evidenti sono i buchi nel pavimento per i sanitari del bagno (noi affermiamo che, malgrado lo spazio aperto ora esistente, questa stanza era divisa in cinque stanze, incluso un bagno; devo aggiungere che non vi sono macchie blu di Zyklon B sulle pareti, come invece avrebbero dovuto esserci nel caso di ripetute gasazioni e come è possibile trovarne negli edifici usati per la disinfestazione).
3) – Una fragile porta di legno con un grosso pannello di vetro.
4) – Un’apertura, senza porta e senza stipite, che conduce al forno crematorio.
5) – E vorrei menzionare il grosso tombino proprio al centro della “Camera a gas”.
Eppure l’edificio ha quella che sembra essere la prova di un utilizzo criminale: quattro fori nel soffitto che portano sul tetto dove si trovano quattro camini. E’ attraverso queste aperture che, si dice, i cristalli di Zyklon B venivano calati. E, di fatto, non esiste altra spiegazione per questi fori.
Dunque questi buchi provano le gasazioni?
I revisionisti hanno dichiarato in passato che questi fori vennero aggiunti DOPO la liberazione del Campo, che le pareti interne furono abbattute e che i sanitari del bagno vennero rimossi per fare apparire la struttura come una grossa camera a gas.
Quando Alicia ed io ci avvicinammo all’edificio, passammo dinanzi alla forca dove il Comandante di Auschwitz, Rudolf Höss, fu impiccato dai sovietici, nel 1947, proprio di fronte alla prova dei suoi crimini. Qui, di fronte alla camera a gas, chiesi ad Alicia se l’edificio era autentico.
Cole: Parliamo nuovamente di questa struttura.
Alicia: Questo è il crematorio e la camera a gas.
Cole: Ma è una ricostruzione?
Alicia: E’ nel suo stato originale.
Alicia ci ha chiaramente descritto la camera a gas come qualcosa che si trova nel suo stato originale.
Una volta dentro, le chiesi specificatamente dei buchi sul tetto.
Cole: Questi fori nel tetto sono originali?
Alicia: Sono originali. Lo Zyklon B era fatto cadere attraverso questi buchi.
Poi chiesi ad Alicia se alcune pareti fossero state demolite nell’edificio che viene presentato come camera a gas.
Cole: Tutto il vano era una camera a gas?
Alicia: Si.
Cole: Non c’erano pareti divisorie una volta? Qui…qui…
Alicia: C’era solo un vano….solo un vano….c’era un unico vano nella camera a gas.
Cole: Dunque non vi sono mai state pareti qui?
Alicia: No.
Facciamo una pausa di ricapitolazione sulla camera a gas secondo quanto detto dalla nostra guida. Lei afferma che il vano è nel suo stato originale; che i buchi sul tetto erano originali e che nessuna parete interna è stata demolita.
Insoddisfatto delle sue risposte, continuai a tormentare la povera Alicia circa la vera storia di quel vano. Essendo un po’ esasperata dal fatto che nulla che essa diceva riusciva a zittirmi, Alicia chiamò una donna che mi fu presentata come il supervisore delle guide turistiche del museo di Auschwitz. Quando vidi questa donna avvicinarsi, pensai che o avrei avuto una risposta diretta, o sarei stato cacciato dal Campo.
Supervisore: Posso suggerirle questo: sarà molto meglio andare dal nostro scienziato al museo di Stato. Lì abbiamo una gran quantità di piantine e documenti archiviati.
Cole: Dove sarebbe?
Supervisore: Non credo sia aperto oggi, ma probabilmente Lunedì sarà possibile.
Cole: E’ qui a Oswiecim (Auschwitz)?
Supervisore: Si, nel blocco n. 24 o 23…non sono sicura.
Cole: Sarebbe possibile per me fissare un appuntamento con lui per Lunedì?
Supervisore: Certo.
Fu questa la prima volta che mi fu suggerito di incontrare il Dr. Franciszek Piper, capo degli archivi e curatore decano.
Ma, temendo che questo incontro sarebbe potuto non avvenire e, supponendo che il supervisore fosse al controllo di ogni istruzione, tentai di avere la sua versione sui buchi nel tetto.
Cole: I fori sul tetto sono originali?
Supervisore: No.
Cole: Furono ricostruiti?
Supervisore: Si.
Cole: Dopo la guerra?
Supervisore: Si, dopo la guerra.
Quindi, tenendo il punteggio, siamo 1 a 1. Suppongo che il Dr. Piper farà lo spareggio.
Ora, prima di procedere oltre, è necessaria una piccola digressione su alcune autentiche revisioni dell’”olocausto”. Il Dr. Franciszek Piper è uno degli esperti dell’”Olocausto” più responsabili del ridimensionamento dell’entità del massacro, insieme ad altri studiosi, come l’esperto israeliano dell’”Olocausto” Dr. Yehuda Bauer. Nel 1989 fu deciso di ammettere pubblicamente che i morti ad Auschwitz erano meno di quanto in precedenza affermato.
Nel suo libro “Auschwitz – Quanti morirono?”, Piper conclude che il numero di 4 milioni, inizialmente fornito dai sovietici, era errato. Secondo Piper, i morti veri furono circa 1,1 milioni.
Ora, non si parla di una piccola differenza, se si ammette che i sovietici esagerarono di quasi il quadruplo il numero delle vittime. Possiamo poi notare che il numero fraudolento di 4 milioni fu usato per 50 anni come un fatto storico relativo all’”Olocausto”. Ancora nel 1988 nella “Guida Ufficiale” del museo di Auschwitz si incontrava, alla pagina 19, l’affermazione relativa ai 4 milioni di morti.
La Commissione Straordinaria dello Stato sovietico per l’investigazione dei crimini nazisti affermò che “non meno di 4 milioni di persone morirono ad Auschwitz”.
Il Supremo Tribunale Nazionale, in Polonia, ha dichiarato che “circa 4 milioni di persone morirono ad Auschwitz”.
Secondo il Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, “più di 4 milioni di persone perirono ad Auschwitz”; “queste cifre si basano su centinaia di testimonianze oculari e sul parere degli esperti”.
Ciò dimostra che non solo le prove dei sovietici ammesse come “fatti” a Norimberga erano fraudolente, ma anche che i sopravvissuti e gli esperti possono sbagliarsi. Per quello che conta, molti revisionisti credono che i morti ad Auschwitz siano anche meno di 1,1 milioni. Ma nemmeno il più estremo dei revisionisti al mondo può abbassare il numero dei morti più di quanto hanno fatto già gli “esperti” dell’”olocausto”.
Ciò ci porta direttamente da quest’uomo, il Dr. Franciszek Piper.
L’ho intervistato nel suo ufficio, nel museo statale di Auschwitz. Inizialmente era un po’ in apprensione per il fatto di essere ripreso in un video, ma gli spiegai che, avendo già filmato la visita guidata, dove avevo riscontrato che venivano date delle informazioni scorrette, dovevo continuare a filmare per aggiustare le cose.
Quando lui acconsentì, gli chiesi subito delle modifiche fatte nella camera a gas.
Piper: La prima e più antica camera a gas, che esisteva ad Auschwitz I, il campo dove siamo ora, funzionò dall’autunno del 1941 al Dicembre del 1942, approssimativamente un anno. Il forno crematorio, vicino alla camera, funzionò più a lungo, fino alla metà del 1943. Nel Giugno del 1943, il forno crematorio fu chiuso, ed i corpi dei prigionieri morti dopo sono stati trasferiti a Birkenau. Nel 1944, in seguito ai bombardamenti degli Alleati, il crematorio n. 1, unitamente alla camera a gas, diventarono dei rifugi antiaerei. Durante questo periodo, furono aggiunte delle pareti all’interno della camera a gas. Fu aggiunto un ingresso nella parte Est della camera a gas e le aperture del soffitto, attraverso le quali lo Zyklon B veniva immesso, furono, a quel tempo, liquidate. Pertanto, dopo la liberazione del campo, la vecchia camera a gas aveva le sembianze di un rifugio antiaereo. Al fine di riguadagnare l’aspetto iniziale, l’aspetto originario, dell’oggetto in questione, le pareti interne, costruite nel 1944, furono abbattute ed i fori nel soffitto vennero rifatti. Così, ora, questa camera a gas è molto simile a quella che esisteva nel 1941-1942, ma non tutti i dettagli furono ricostruiti. Ad esempio, non ci sono porte a tenuta di gas e l’ulteriore ingresso della parte Est è rimasto come venne fatto nel 1944. Questi cambiamenti vennero fatti, dopo la guerra, al fine di riguadagnare l’aspetto originario dell’oggetto in questione.
Cole: I fori sul tetto furono messi nello stesso posto?
Piper: Si, nello stesso posto, dato che le tracce erano visibili.
Ora penso sia il caso di ricapitolare quello che il Dr. Piper ci ha detto.
Secondo lui, il vano era, inizialmente, una camera a gas, ma fu poi trasformato in rifugio antiaereo ed allora furono costruite delle pareti interne, i fori sul tetto vennero rimossi ed una nuova porta fu aperta sul lato Est dell’edificio. Dopo la liberazione del campo, le pareti interne furono demolite, i buchi sul tetto vennero ricostruiti, ma la nuova porta NON fu rimossa.
Penso che si notino tre punti salienti.
Il primo di questi è che siamo di fronte ad un palese inganno. Come ho mostrato, la camera a gas è presentata ai turisti come originale, anche se i responsabili del campo ben conoscono la verità. Il Dr. Piper mostra molta noncuranza sul fatto che delle modifiche furono apportate dopo la guerra. Ma se non è un grosso problema, perché nasconderlo ai turisti? E non è tutto. Nel Maggio del 1992 uno storico britannico, David Irving, fu multato da un tribunale tedesco per aver detto, in una riunione a Monaco, esattamente quello che avete sentito dire dal Dr. Piper! Infatti Piper fu anche chiamato come testimone per la difesa, ma il giudice non gli permise di testimoniare anche se avrebbe potuto scagionare Irving. Ancora mi domando: se questa è una faccenda di poco conto, perché multare qualcuno che la racconta?
Il secondo punto è che la “camera a gas” non è più valida come prova nel suo stato attuale. Non è un locale per gasazioni omicide, a meno che non si possa dimostrare che, durante la guerra, questo edificio aveva 4 fori sul tetto e non aveva pareti divisorie quando i tedeschi gestivano il campo.
Il che ci fa giungere al punto finale: la ricostruzione in se stessa. Con le informazioni che abbiamo ora possiamo dire che ci sono due diversi punti di vista sulla ricostruzione della camera a gas. La versione ufficiale sostiene che sovietici e polacchi crearono una camera a gas a partire da un rifugio antiaereo che FU una camera a gas. La versione revisionista afferma che sovietici e polacchi crearono una camera a gas da un rifugio antiaereo che fu un…..rifugio antiaereo.
Quindi, come facciamo a sapere chi ha ragione?
Beh, ovviamente l’onere della prova cade su coloro i quali affermano che, per un dato periodo, l’edificio fu usato come camera a gas.
Hanno prove per suffragare una simile accusa?
Come revisionista storico posso garantire che, se ce ne era una, io l’avrei senz’altro trovata. Posso inoltre aggiungere che questi discutibili buchi nel soffitto non sono visibili in alcuna foto aerea che io abbia visto.
Per arrivare alla verità in questa materia vi sono altre domande pertinenti da poter fare.
Se c’era una camera a gas funzionante in questo edificio, perché la sua attività fu interrotta, visto che i nazisti usavano Auschwitz come centro di sterminio?
Piper ha una risposta anche per questo. In un saggio, pubblicato nel libro polacco “Auschwitz”, Piper scrive che lo sterminio fu spostato in nuove camere a gas, ad Auschwitz-Birkenau, perché stava diventando troppo difficile tenere segreta la camera a gas agli internati del campo principale. Questa storia sembra essere divenuta parte della narrativa ufficiale, dato che mi fu ripetuta da Alicia durante il “tour”.
Alicia: Malgrado ciò il crematorio era troppo vicino al blocco dove vivevano i prigionieri; ecco perché lo sterminio fu spostato a Birkenau. Ecco perché furono costruiti 4 forni crematori con camera a gas a Birkenau.
Cerchiamo di essere perfettamente chiari su questo. Ci dicono che il processo di sterminio fu spostato a Birkenau dato che la camera a gas, nel campo principale, era troppo vicina ai prigionieri, e dunque essi potevano capire quello che succedeva. Ma questo è minimamente credibile?
Riguardiamo la mappa del campo principale: ecco qui la camera a gas e qui ci sono le camerate dei prigionieri. Come potete vedere, la camera a gas è posta ben al di fuori dal complesso delle prigioni, occultata alla vista da ben 3 edifici delle SS, che di fatto la nascondono ai detenuti. Inoltre ci viene detto che i nuovi arrivati, che dovevano essere gasati, venivano portati dentro da qui, per evitare ogni contatto con gli altri prigionieri. Pertanto questa camera a gas poteva funzionare completamente isolata, fuori da sguardi indiscreti.
Ora, questo è Auschwitz-Birkenau, in una foto aerea del Settembre 1944. Questi sono due crematori e “camere a gas”, con i crematori fuori terra, a forma di “L” e sotto, stanze che erano camere a gas od obitori. E qui vi sono file e file di camerate di prigionieri. Ora, ciò che diventa immediatamente chiaro, è che non vi è nulla, se non del filo spinato, che possa impedire agli internati nelle baracche di vedere dette “camere a gas”. E questo qui è il centro sportivo di Auschwitz-Birkenau, proprio accanto alle “camere a gas”.
Un’altra cosa da notare è che, non solo è possibile vedere le “camere a gas” parallelamente alle camerate, ma si possono anche vedere diagonalmente dall’altra parte della strada. Niente era nascosto ai prigionieri.
Altra cosa interessante è rappresentata dai treni che portavano le “vittime”. Si vedevano migliaia di persone entrare, in convoglio, direttamente in una camera a gas, di fronte a tutto il campo. Questo era uno spettacolo che nessuno poteva perdere. Si sarebbero viste migliaia di persone entrare in questi edifici e nessuna uscire fuori. Queste “camere a gas” non erano affatto isolate. Ed infatti, quando queste foto aeree vennero rese pubbliche, negli anni 70, contraddissero molti “testimoni oculari”, secondo i quali i nazisti tentarono di camuffare le camere a gas.
Ho trascorso parecchi giorni qui a Birkenau e le riprese fatte, che saranno disponibili in un altro video, puntualmente mostrano quello che ho già detto.
Francamente, le spiegazioni del Dr. Piper non reggono affatto.
Un’altra domanda che si dovrebbe porre è: “Esistono residui di Zyklon B nelle camere a gas, visto che tale gas, a base di acido cianidrico, lascia dei residui?”.
Nel 1988, per rispondere a questa domanda, l’esperto di equipaggiamenti per esecuzioni capitali Fred Leuchter condusse una perizia legale sulla camera a gas di Auschwitz. Egli prese campioni delle 4 camere a gas di Birkenau e da quella del campo principale, oltre al campione di controllo di una delle stanze di disinfestazione, che sappiamo usavano lo Zyklon B.
Ora, i campioni presi nelle camere a gas non mostrano tracce apprezzabili, mentre nell’edificio di disinfestazione i valori sono andati, letteralmente, fuori scala.
Ancora più importante, però, nel 1990 l’Istituto di Ricerca Forense di Cracovia decise di fare propri test di medicina legale per vedere se potessero confutare le conclusioni di Fred Leuchter. Li fecero con l’aiuto del Dr. Piper. I loro test giunsero agli stessi risultati.
Quindi, da allora, la questione non è stata: “Ci sono tracce apprezzabili di residui di Zyklon B nelle camere a gas?”, ma, invece: “Perché non ci sono tracce apprezzabili di Zyklon B?”.
Posi la domanda al Dr. Piper. Gli chiesi perché ci sono così poche tracce nelle camere a gas omicide, rispetto all’enorme quantità di tracce nelle camere di disinfestazione.
Piper: Nelle camere a gas, lo Zyklon B era usato per un periodo di tempo molto breve, circa 20-30 minuti ogni 24 ore, e nelle camere di disinfestazione il gas era usato giorno e notte. Questa era la procedura d’utilizzo del gas per le stanze di disinfestazione e per le camere a gas.
Ora, chiariamo perfettamente ciò che il Dr. Piper ha detto. Gli ho chiesto: “Perché il valore dei residui è elevato nelle stanze di disinfestazione, ma basso in quelle ad uso omicida?”. E lui mi ha risposto che nelle stanze di disinfestazione il gas era usato “giorno e notte”, mentre nelle camere a gas era usato per “20-30 minuti ogni 24 ore”. Il che vuol dire, circa, una gasazione al giorno. Ora, non solo questo contraddice le testimonianze oculari che parlano di ripetute gasazioni omicide, in corso giorno e notte, ma il Dr. Piper riesce anche a contraddire se stesso, perché poi nell’intervista gli ho chiesto il numero dei gruppi di persone che venivano gasate per giorno e lui mi ha parlato ancora di gasazioni ripetute.
Cole: Quanti gruppi di persone erano giornalmente gasati nel crematorio 3?
Piper: E’ difficile dirlo perché ci sono stati periodi in cui le camere a gas venivano usate giorno dopo giorno….ed il procedimento si ripeteva parecchie volte: gasazione-cremazione, gasazione-cremazione e così via…
Dobbiamo porci questa domanda: “L’alto tasso di mortalità poté verificarsi se le camere a gas furono usate solo per “20-30 minuti ogni 24 ore”, come Piper aveva inizialmente detto?”.
In un articolo sul “New York Times” inerente il sopracitato libro di Jean-Claude Pressac, scritto per refutare il revisionismo, Richard Bernstein scrive che, secondo Pressac; “sarebbe stato necessario, per le stanze di sterminio, venire svuotate dei corpi e riempite di nuove vittime ogni mezz’ora o giù di lì, per raggiungere un numero così elevato di vittime”.
In altre parole, egli si accorge che, per un così alto tasso di mortalità, sarebbero state necessarie gasazioni quotidiane ad un ritmo estremamente veloce.
Quindi c’è una contraddizione.
Il concetto di uso limitato delle camere a gas può spiegare la mancanza di residui, ma contraddice i testimoni oculari e rende l’alto tasso di morte per gasazione tecnicamente IMPOSSIBILE.
Inoltre il concetto di gasazioni limitate rende ridicola l’idea che i tedeschi intendevano spazzar via l’intera popolazione ebraica. Letteralmente, per sostenere una parte della storia dell’”Olocausto”, Piper finisce per comprometterne un’altra.
Purtroppo, ciò che passa per storia dell’”Olocausto” è diventato un complesso equilibrio di razionalizzazioni. E’ per questo che i suoi fautori preferiscono che non si facciano troppe domande, come quelle riguardanti lo Zyklon B.
E che dire del gas in se stesso? Ci vengono mostrati molti contenitori di Zyklon B come prova della Soluzione Finale. Ma, a parte la disinfestazione, su cui sono tutti d’accordo, e l’uso omicida, affermato dai gestori di Auschwitz, tale gas ha avuto altri usi?
Piper: Anche per disinfettare gli edifici…Così c’è stato tale….
Cole: Era normale disinfettare gli edifici?
Piper: Di tanto in tanto queste azioni erano compiute per rimuovere i pidocchi.
Ricapitoliamo ancora. Sappiamo che lo Zyklon B era usato per spidocchiare i vestiti e per disinfettare gli edifici e, se ricordate il calcolo del sostenitore dell’”Olocausto” Jean-Claude Pressac, più del 95% del gas fu usato per disinfestare e meno del 5% per uccidere. Questo sembra un grande sforzo, da parte dei tedeschi, di preservare la salute di coloro che intendevano sterminare!
E penso che da questo punto possiamo andare avanti.
Torniamo ora alla scelta fra le due versioni alternative della camera a gas ricostruita. Si tratta di un falso o di una ricostruzione fedele?
Una questione molto importante è: possiamo credere che i sovietici abbiano ricostruito fedelmente la camera a gas?
Dato che non vi è nessuna prova del fatto che , durante la guerra, vi erano i 4 buchi sul tetto, né prova alcuna dell’uso come camera a gas, dovremmo credere sulla parola ai sovietici ed ai polacchi; i quali avrebbero rimesso i 4 fori esattamente dove erano in origine e ricostruito, anziché fabbricato, una camera a gas.
Se vogliamo capire gli intenti dei sovietici, dobbiamo guardare ai precedenti. Alla credibilità dei sovietici riguardo la storia dell’”Olocausto”.
Hanno i sovietici una storia di fabbricazione di “prove dell’Olocausto” o dell’uso dell’inganno per sostenerlo?
Beh, come abbiamo già visto, i sovietici esagerarono sfacciatamente il numero dei morti ad Auschwitz di almeno 4 volte. Sarà stato un errore in buona fede da parte loro?
Dalla guida di Auschwitz e da altre fonti ci viene detto che fu difficile stabilire il numero dei morti, perché i nazisti distrussero le relative documentazioni. Questo concetto mi fu ripetuto anche dal Dr. Piper.
Cole: Chi se ne uscì con la cifra iniziale di 4 milioni di morti ad Auschwitz?
Piper: Fu stimata dalla commissione sovietica che indagava sui crimini nazisti, a causa del fatto che i nazisti distrussero i documenti del campo.
Ma, in realtà le registrazioni dei morti nel campo furono trovate e conservate dai sovietici….e non vennero rese pubbliche fino al 1989! Questi documenti non furono distrutti dai nazisti.
Penso possiamo presumere che, durante questi anni nei quali i sovietici davano quelle cifre esagerate, essi sapevano dei documenti in loro possesso.
Possiamo inoltre guardare alle accusa infamanti che i sovietici mossero, con l’aiuto degli Alleati, al processo di Norimberga. I sovietici affermarono che c’erano “camere a vapore” per uccidere i detenuti nel campo di Treblinka, in Polonia. Ovviamente tale imputazione è caduta. Come sono cadute le accuse relative alle “camere elettriche”.
Molto più interessante, a Norimberga i sovietici dissero che furono i nazisti, non i sovietici, ad uccidere migliaia (22.000) ufficiali polacchi nell’infame massacro della foresta di Katin. Oggi, ovviamente, i sovietici hanno ammesso di essere i responsabili di tale crimine e gli storici onesti già lo sapevano. Ma, a Norimberga, i sovietici affermarono che i nazisti corruppero e minacciarono la gente per incolpare ingiustamente i russi!
Le storie atroci, oggi screditate, di nazisti che avrebbero fatto teste mummificate e paralumi di pelle umana furono ugualmente accettate come “fatti”! E, in un atto d’accusa quasi inconcepibile, fu affermato che i nazisti avevano sterminato 20.000 giudei, ammassati in un villaggio, con una….bomba atomica!
Fu presentato come un “fatto” anche la storia che i nazisti avevano prodotto sapone usando corpi di ebrei.
Esaminiamo un po’ meglio questa storia. I sovietici portarono del supposto sapone “giudaico” al processo di Norimberga. Ma oggi studiosi dell’”Olocausto” come Raul Hilberg, Yehuda Bauer e Deborah Lipstadt sono d’accordo sul fatto che tali accuse sono infondate.
Cerchiamo di essere più specifici: Simon Wiesenthal, il nome più conosciuto nell’arena olocaustiaca, scrisse nel 1946 una serie di articoli inerenti scatole di “sapone giudaico” per un giornale ebraico australiano: “Su ogni scatola vi era la sigla R.I.F. (puro grasso ebraico). Le scatole erano destinate alle Waffen SS. La carta da imballaggio rilevava, con cinica obiettività, che il sapone era stato fatto usando corpi di ebrei. Il mondo civile non può immaginare la gioia con la quale i nazisti e le loro donne, ed il regime, pensavano a questo sapone. In ogni pezzo di sapone essi vedevano un giudeo messo magicamente lì, prevenendo così la nascita di un nuovo Freud, Erlich od Einstein!”.
Ma che demoniaci! Non è difficile immaginare un comportamento così diabolico dopo decenni che vediamo criminali nazisti nei film ed in televisione. La storia del sapone fu immortalata nel best-seller di William Shirer “Ascesa e caduta del III Reich”, così come in un numero incalcolabile di articoli, libri e perfino testi scolastici.
Ma si può parlare con tanta sicurezza di questa incredibile atrocità?
Oggi, i cosiddetti “esperti dell’Olocausto” sono decisi come Wiesenthal e Shirer sulla storia del sapone, solo dicono che….NON è vera….
Nel 1981, la docente di storia ebraica moderna e specialista dell’”Olocausto”, Deborah Lipstadt, scrisse in una lettera al “Los Angeles Times” sostenendo che: “Nei fatti, i nazisti non usarono i corpi degli ebrei o di chiunque altro per produrre sapone. Questa diceria prevaleva sia durante che dopo la guerra. Essa poteva essere originata dalle storie di fabbriche usanti cadaveri che venivano dalla Prima Guerra Mondiale. La diceria sul sapone venne attentamente investigata e provata falsa”.
Questo è chiarissimo!
E Shumel Krakowsky, direttore degli archivi dello Yad Vashem, il museo dell’”Olocausto” in Israele, confermò in un articolo sul “Chicago Tribune”, intitolato “Demistificazione di una credenza dell’Olocausto”, che: “Gli storici hanno concluso che quel sapone non fu fatto con grasso umano”.
Ora mi sorgono alcune ragionevoli domande:
1) – Qualcuno ha detto a Simon Wiesenthal che si sbaglia?
2) – Se non esiste sapone fatto coi corpi degli ebrei, non significa forse che il sapone portato a Norimberga era falso ed il testimone si sbagliava?
3) – Deborah Lipstadt parla di un esame approfondito della storia del sapone e Shumel Krakowsky parla di storici che hanno concluso che le voci sul sapone erano sbagliate. Parlando di un’indagine approfondita e di un consenso da parte degli storici, Lipstadt e Krakowsky sono in grado di scaricare la storia del sapone, allo stesso tempo affermando la loro fede nella solidità dell’impianto storico ufficiale sull’”Olocausto”. Ma una tale fede è giustificata? Non solo la storia del sapone non venne investigata e refutata dopo la guerra, ma nemmeno ora vi è consenso fra gli storici in merito ad essa. Nel 1991 il colonnista di “Village Voice”, Nat Hentoff, diceva di aver visto con i suoi occhi sapone tratto dal corpo di ebrei! E il Dr. Piper? Beh, lui continua a sostenere la storia discreditante del sapone….
Piper: Ci furono tentativi come questi di fare sapone usando carne umana nei campi di Stutthof a Danzica.
Cole: Quindi è lì che è stato fatto?
Piper: Furono fatti lì i tentativi.
Come potete vedere, gli esperti dell’”Olocausto” si mostrano ipocriti quando dicono che non è necessario mettere in discussione la storia dell’”Olocausto” in quanto essa è già stata provata oltre ogni dubbio. E qui non intendo dire che la storia del sapone è l’unica sulla quale gli esperti non sono unanimi.
Molto più importante è il fatto che, pur presentando un fronte unito sul concetto di camera a gas, molti di essi si rendono conto che vi è una scarsa documentazione al riguardo.
Il che ci porta al vero mito dell’”Olocausto”. Il mito che l’esistenza e l’uso di camere a gas omicide sia “ben documentato”. Infatti la cosa che ha acuito il mio interesse su questo tema fu la scarsa documentazione sulle camere a gas che trovai nei soliti studi sull’”Olocausto”, oltre alle contraddizioni ed alle incertezze inerenti le prove.
Più volte abbiamo citato il libro di Jean-Claude Pressac. Questo libro fu pubblicato nel 1989 dal famoso duo di cacciatori di nazisti, i coniugi Klarsfelds, ed annunciato come la confutazione finale del revisionismo olocaustiaco. Nel suo libro, Pressac fulmina la dura condanna di ciò che passa per “storia dell’Olocausto” fra gli storici tradizionali. Pressac afferma che il suo libro….”…..dimostra la completa bancarotta della storia tradizionale…..una storia basata soprattutto su testimonianze e costruita secondo l’umore del momento, tagliata su misura per vestire una verità arbitraria e cosparsa di documenti tedeschi di dubbio valore ed incoerenti fra loro”.
Sempre nel 1989, il professore ebreo, rifugiato dall’Europa di Hitler, Arno Mayer, scrisse, nel suo libro sull’”Olocausto” intitolato “Perché il cielo non si oscurò?”: “Le fonti per lo studio delle camere a gas sono, allo stesso tempo, scarse ed inattendibili”. Mayer ha scritto anche che ad Auschwitz morirono molti più ebrei per cause naturali che per gasazioni e fucilazioni. Ed il suo libro fece infuriare altri esperti dell’”Olocausto”, che lo hanno denigrato in ogni modo, da “pericoloso e brutto” a “perversione dell’Olocausto”.
Il punto è che, quando gli esperti dicono che non c’è spazio per il dibattito sulla storia delle camere a gas, vi stanno nascondendo il fatto che essi ne dibattono fra loro frequentemente. Spesso, la causa della reticenza a rispondere a domande scomode sulle camere a gas viene dal fatto che gli esperti segretamente comprendono che le camere a gas non sono ben documentate e gran parte della documentazione esistente è già stata screditata.
In realtà, lo spettro delle prove falsificate dai sovietici è comparso in molte circostanze, come l’incriminazione dell’ucraino-americano John Demjanjuk, la cui condanna per crimini di guerra, incredibilmente viziata, si basò, in parte, su prove fraudolente fornite dai sovietici.
E, parlando di prove fraudolente, alcuni esperti dell’”Olocausto” sembra abbiano difficoltà a distinguere ciò che è fraudolento e ciò che è vero.
Torniamo brevemente al libro di Jean-Claude Pressac, un libro teso a confutare il revisionismo. Qui ci mostra la foto di una porta a tenuta di gas di una stanza di disinfestazione. Egli afferma che i sovietici, mentendo, l’hanno presentata come appartenente ad una camera a gas omicida. Ma, molte pagine dopo, ci mostra ciò che egli sostiene essere una vera porta di camera a gas omicida, dato che c’è una griglia metallica emisferica a proteggere lo spioncino. Pressac ci mostra questa porta come prova che vi furono le gasazioni. Ma c’è solo una domanda da soddisfare: “Come fa Pressac a sapere che anche questa porta non è una falsificazione dei sovietici?”. Se ammettiamo che i sovietici falsamente rappresentarono e “ricostruirono” le cose, come facciamo a dire cosa è vero e cosa non lo è?
Nel caso vi fosse stata per davvero una porta con griglia metallica sullo spioncino, chiesi al Dr. Piper se potevo vederla personalmente.
Cole: Nel libro di Pressac c’è la foto di una porta a tenuta di gas con una griglia metallica attorno allo spioncino. E’ ancora da qualche parte? Esiste?
Piper: E’ in una delle stanze del Crematorium I.
Cole: Crematorium I?
Piper: Si, Crematorium I.
Cole: E’ possibile per me vederla?
Piper: Può andare dal direttore e lui ordinerà di aprire il compartimento. E’ possibile….
Cole: Attraverso la finestra?
Piper: Attraverso la finestra.
Cole: Mi piacerebbe molto vederla.
Bene, indovinate un po’….
Dopo l’intervista siamo andati nell’ufficio del direttore, abbiamo preso la chiave ed esplorato ogni stanza del Crematorium I, ma non è stata trovata nessuna porta di camera a gas omicida con una griglia metallica che proteggeva lo spioncino….
Nessuno sapeva dove fosse andata; penso che sia sparita, come per magia…
Così, per rispondere alla domanda sui precedenti dell’attendibilità sovietica, penso possiamo stabilire che non è possibile accettare tutto per fede, dato che testimonianze certificate come vere un anno, l’anno dopo possono diventare false. Prove, presentateci come originali, possono essere in realtà delle cosiddette…”ricostruzioni”. E se gli stessi esperti dell’”Olocausto” non sono d’accordo su cosa sia vero e cosa sia falso, allora si mostrano sicuramente ipocriti quando insistono nel dire che le gasazioni omicide non possono essere discusse.
Con tutto questo parlare delle menzogne sovietiche, io penso sia necessario inquadrare questa materia nella sua giusta prospettiva storica. Noi viviamo in un tempo in cui la vecchia Unione Sovietica si è sfasciata e va bene per tutti, sia progressisti che conservatori, come per chiunque altro, parlar male dei “cari”, defunti, Stati comunisti….Ma non è stato sempre così. Durante la Seconda Guerra Mondiale i sovietici erano molto più che semplici alleati militari: la loro propaganda antinazista era subito accettata dagli altri alleati, dato che serviva tutti i loro propositi. E’ necessario comprendere che i comunisti russi ed i fascisti tedeschi hanno combattuto una lunga battaglia propagandistica, sia prima del patto di non aggressione fra Hitler e Stalin, che dopo, con l’esplodere della guerra. Sia Hitler che Stalin erano esperti ed abili nella propaganda. Ma le vestigia della propaganda sovietica permangono ancora oggi.
Per esempio, quando osserviamo un manifesto tedesco anticomunista, probabilmente lo rifiutiamo subito come propaganda anticomunista paranoica. Ma siamo capaci di respingere allo stesso modo la propaganda sovietica paranoicamente antinazista?
Questo è il punto. Dobbiamo prendere atto che la propaganda antitedesca di Stalin fu altrettanto virulenta quanto quella di Hitler e che, da vincitori, i sovietici hanno potuto inserire la stessa propaganda nei libri di storia come fosse un “fatto”.
Ma tutte le accuse e controaccuse, mosse durante la Seconda Guerra Mondiale, devono essere riesaminate, 40 anni dopo, col senno del poi, visto che conosciamo bene il dispotismo di Stalin e la storia delle disinformazioni e degli inganni del KGB.
E questo riesame deve includere le accuse di genocidio mosse contro i nazisti, soprattutto considerando il fatto che, per Auschwitz, come per gli altri campi in Polonia (Majdanek, Belzec, Chelmno, Treblinka e Sobibor), si è dovuto fare affidamento sui sovietici per la maggior parte delle informazioni che abbiamo. Se i sovietici hanno esagerato il numero dei morti ad Auschwitz, chi può dire che non lo hanno fatto anche in altri campi? Perché esagerare le vittime di Auschwitz di ben 4 volte ed essere assolutamente onesti con Treblinka?
Comunque, per non apparire ingiusto, devo aggiungere che anche il nostro esercito americano, col suo dipartimento della propaganda, non è stato con le mani in mano, lasciando ai sovietici tutto il divertimento sulle “atrocità naziste”. Dopo la guerra fu affermato che nel campo di Dachau furono gasate delle persone. Infatti l’esercito americano produsse molti film di propaganda per supportare quella storia: “I vestiti dei prigionieri morti, soffocati in una letale camera a gas, erano appesi in file ordinate. Essi furono persuasi a svestirsi col pretesto di fare una doccia, per la quale gli vennero dati asciugamani e sapone”.
Ma ora nessuno sostiene più che qualcuno sia morto in una camera a gas a Dachau. Questo è un chiaro esempio di propaganda del tempo di guerra.
Va inoltre aggiunto, per correttezza, che furono gli inglesi ad ottenere SOTTO TORTURA la “confessione” di Rudolf Höss, il comandante di Auschwitz, prima di consegnarlo ai russi e ai polacchi. Ciò è stato confermato in un libro, pubblicato nel 1983, intitolato “Legions of Death” (Legioni della morte). Esso contiene i ricordi del sergente inglese Bernard Clarke, che si vanta di avere torturato Höss e minacciato la sua famiglia per ottenere da lui una confessione.
Il che ci riporta ad Auschwitz. E’ stato qui, dietro l’edificio di cui abbiamo tanto parlato, cioè la supposta camera a gas, che Höss fu impiccato per avere diretto un campo di sterminio.
Ma possiamo dire, ora, che è stata una sentenza giusta, con la prova principale ottenuta tramite tortura ed un rifugio antiaereo “ricostruito”?
Forse risponderete che la sentenza è comunque giusta, dato che Höss dirigeva un campo di internamento dove la gente morì, in grande numero, per malattia e malnutrizione. Ma se consideriamo l’internamento basato sulla razza un crimine meritevole di impiccagione, che si dovrebbe fare ai soldati statunitensi che gestivano i nostri campi di internamento, in USA, per i nippo-americani? Se poi riteniamo che dirigere un campo con un tasso di mortalità così elevato sia un crimine meritevole della pena di morte, cosa si sarebbe dovuto fare con il generale Eisenhower ed i suoi soldati, che diressero i campi di internamento post-bellici, nei quali morirono centinaia di migliaia se non un milione di tedeschi per malattie e malnutrizione?
Campi che spinsero il tenente Ernest Fisher della 101° divisione aerotrasportata, ex storico decano dell’esercito degli Stati Uniti, a rimarcare nel recente libro “Other Losses (Altre perdite)” che: “A cominciare dall’aprile del 1945, l’esercito statunitense e l’esercito francese causarono l’annientamento di circa un milione di uomini, per lo più nei campi americani. L’odio di Eisenhower, passato attraverso la lente di una compiacente burocrazia militare, produsse l’orrore dei campi della morte, cosa senza precedenti nella storia militare degli Stati Uniti….Un enorme crimine di guerra…”.
Chiaramente, l’unica cosa che separa Auschwitz da quello che fecero gli Alleati, è il concetto di sterminio, di genocidio, tramite camere a gas. Se rimuoviamo lo sterminio dall’equazione di Auschwitz, rimane sì una tragedia, ma non una tragedia unica; un crimine di guerra che fu duplicato dagli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Pertanto, la nostra domanda inerente l’autenticità della camera a gas del campo principale di Auschwitz assume una rilevanza cruciale: era una vera camera a gas o d un semplice rifugio antiaereo riattato per assomigliargli? E se non abbiamo raggiunto una risposta definitiva alla domanda in questo breve video, almeno, si spera, ho provato che è una domanda legittima da porre. E sebbene potrebbero non esserci risposte facili, una cosa è certa: la questione è ben lungi dall’essere superata.
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L’avere cercato di “smussare gli angoli” nella conclusione, non è certo valso a sottrarre il buon David alle violentissime ire dei sionisti, che si sono spinti fino a porre una non larvata taglia sulla sua testa. Ben sapendo con chi aveva a che fare e temendo giustamente di restare presto vittima di qualche fatale “incidente” o di un “suicidio”, il Cole si è ben guardato dal pubblicare gli altri filmati da lui girati sull’argomento e si è invece affrettato a ritrattare quello di cui sopra, redigendo una “lettera aperta” in cui sosteneva che, grazie a “buoni ed affettuosi amici” che gli avevano “aperto gli occhi”, aveva capito di……”essersi sbagliato”. Quanto possa essersi sbagliato appare infatti evidente dal filmato stesso, che comunque è stato visionato poco più di 200.000 volte: niente, se si considera che quelli che mostrano i latrati di un qualsiasi strimpellatore o le grazie di una qualsiasi bagascia contano milioni di visualizzazioni.
Tutto ciò, però, non deve stupire, se si tiene presente che in molte parti del mondo (e probabilmente anche in Italia in un prossimo futuro) il solo tentativo di smascherare la colossale truffa costa la galera, la confisca dei beni e la “damnatio memoriae”. Questo perché, come ha recentemente sentenziato anche l’autorevole Ministro dell’Interno francese, la libertà d’opinione è sacrosanta, ma mettere in dubbio l’olocausto costituisce antisemitismo e quindi, come dice la parola stessa, un reato. C’è da sganasciarsi dalle risate. O da piangere.
Giuliano Scarpellini