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DEMOCRAZIA

Nell’attuale periodo storico, in qualsiasi parte del mondo la parola più osannata in tema socio-politico è “democrazia”. Riesumata durante la rivoluzione francese, dopo un sonno di molti secoli, dai filosofi “illuministi” (attenzione a questo sostantivo, che già ha un suono inquietante), venne associata ai concetti che, alla faccia della mattanza e del bagno di sangue che furono provocati da essa (si calcolano da due a due milioni e mezzo di morti, di cui alcune decine di migliaia fraternamente ghigliottinati), divennero il motto di tale rivoluzione: liberté, égalité, fraternité  (libertà, uguaglianza, fraternità).

Col tempo alla parola “democrazia” furono via via collegati tanti altri concetti altamente etici, quali ad esempio il mantenimento della pace (altra parola magica di questi mala tempora), la salvaguardia dei “diritti dell’uomo”, la libertà di pensiero e di parola, ecc., ecc., al punto che oggi criticare o addirittura parlare male di essa equivale ad urinare nell’acquasantiera.

Ma è proprio così?

La precisa risposta a tale domanda si può ottenere, dopo essersi liberati da preconcetti e fumose formulazioni teoriche che non hanno alcun riscontro nella realtà, esaminando obiettivamente il significato della parola e confrontandolo con i fatti e gli avvenimenti storici reali di cui essa e i suoi sostenitori sono stati i protagonisti.

La parola “democrazia”, che trae origine dal greco e fu coniata nella Grecia classica, letteralmente significa governo del popolo. Già questo dovrebbe far capire ad una persona di normale buon senso, scevra da pregiudizi e condizionamenti esterni, che si tratta di un’utopia, o, per dirla più semplicemente, di una pura scemenza: quando e dove mai il popolo ha governato se stesso, e del resto come avrebbe potuto materialmente farlo se non in comunità composte da venti o poco più individui? Ed infatti, già allora, riscosse il giudizio negativo dei due più insigni filosofi greci: Platone ed Aristotele.

Ma i sostenitori della “democrazia” hanno pronta la risposta: il popolo non governa se stesso direttamente (democrazia diretta, che, qualora fosse realizzabile, produrrebbe verosimilmente solo enormi danni al popolo stesso), ma lo fa attraverso i suoi rappresentanti, liberamente eletti (democrazia indiretta o rappresentativa).

Allora, però, si tratta di qualcosa di ben diverso: non governo del popolo, ma governo dei rappresentanti – candidati dai partiti politici – di una parte del popolo, che potrebbe essere maggioritaria, ma potrebbe anche non esserlo ed infatti nella realtà quasi mai lo è. A titolo di esempio, per chiarire: nelle ultime elezioni politiche italiane il partito della Meloni, poi chiamata a rivestire la carica di presidente del consiglio, ha ottenuto circa il 26% dei voti validi, la coalizione che la sostiene poco meno del 44%, ma se si tiene conto che ha votato meno di 2/3 del corpo elettorale, tali percentuali si riducono rispettivamente al 17% circa e al 29% circa degli aventi diritto al voto; e ciò vale per qualsiasi elezione, ovunque avvenga. Quindi definire tale forma di governo “democrazia”, ovvero governo del popolo, è una iperbole ed in definitiva pura ipocrisia, intesa come atto di mentire consapevolmente per conseguire vantaggi politici e sociali e di sostenere princìpi che vengono sistematicamente disattesi.

E proprio da tale ipocrisia è permeata la storia degli Stati “democratici”.

Gli Stati Uniti d’America sono considerati il modello per eccellenza della “democrazia”, la terra della libertà, del rispetto dei diritti dell’uomo, ecc., ecc.. Ma dal loro farraginoso sistema elettorale scaturisce un governo che ben poco ha a che fare con la volontà del popolo. In teoria, come amano dire, chiunque potrebbe diventare presidente, ma in pratica – è un dato di fatto – tale carica è stata sempre ricoperta da miliardari che, avendo ben poco d’altro di cui occuparsi, si dedicano alla politica per soddisfare la propria ambizione personale. Lo stesso dicasi per coloro che vengono eletti membri del Congresso: si  tratta quasi esclusivamente di “paperoni”, che, grazie al loro patrimonio personale e all’appoggio finanziario dei gruppi che detengono il vero potere dietro le quinte, possono manovrare ed indirizzare a loro piacimento il corpo elettorale, venendo a loro volta manovrati ed indirizzati da quegli stessi gruppi di potere che ne hanno permesso l’elezione. E questo, ovviamente, vale ancor di più per colui che ottiene la carica di presidente, ovvero di formale capo dello Stato. Ne deriva che l’azione di governo è solo apparentemente esercitata dai “rappresentanti (di una parte) del popolo”, ma di fatto lo è dai gruppi di potere occulti che materialmente scelgono detti “rappresentanti” per servirsene poi in relazione al loro interesse, che non coincide affatto con quello del popolo, bensì è quasi sempre in contrasto con esso. C’è qualcosa di “democratico” in tutto ciò? Al di là della finzione proprio niente.

Se poi si volge lo sguardo alla politica estera degli Stati Uniti d’America nel corso della loro storia, si comprende come i conclamati princìpi etici che dovrebbero costituire il corollario della “democrazia” siano soltanto aria fritta, venendo essi costantemente aggirati e disattesi con artifici, menzogne e maneggi sotterranei.

Lo dimostra un rapido excursus cronologico della storia degli USA, fin dalla loro nascita lo Stato più aggressivo sulla faccia della Terra, la cui Costituzione vieta loro di attaccare per primi uno Stato estero, ragion per cui, al fine di aggirare tale divieto, i loro governi hanno escogitato quella che si può definire la “via democratica alla guerra”, ovvero l’arte di farsi attaccare, costantemente applicata in tutto l’arco della loro storia e che si attiene invariabilmente alle seguenti linee guida:

– la demonizzazione dell’ avversario;
– la  montatura di pretesti per scatenare una guerra anche a costo di sacrificare la vita di numerosi connnazionali;
– la presuntuosa arroganza nel considerarsi portatori di una missione civilizzatrice da imporre con le buone o con le cattive al resto del mondo;
– la doppiezza di chi, mentre incolpa gli altri di crimini, violenze e nefandezze di ogni genere,  nascostamente (e neppure tanto) commette azioni simili se non peggiori;
– l’ ipocrisia, di chi pur commettendo crimini, è sempre pronto a trovare ragioni per autoassolversi.

Guerre indiane: insediamenti abusivi di coloni su territori appartenenti agli autoctoni. Quando questi ultimi perdevano la pazienza e reagivano con violenza interveniva la cavalleria che li sterminava, facendo strage di interi villaggi senza distinzione tra uomini, donne, vecchi e bambini (celebre il massacro del Sand Creek: donne col ventre squarciato e teste di bambini mozzate a colpi di sciabola) e relegava i superstiti in “riserve” inospitali, dove morivano per fame e malattie. Fu così che si realizzò la mitica “espansione ad ovest” dell’Unione e l’annessione di immensi territori già appartenenti ai “musi rossi” aggressori, che, da svariati milioni che erano, furono alla fine ridotti a poche migliaia di esemplari (democratico genocidio);

Guerra contro il Messico (1846-1848), stessa tattica: insediamenti abusivi in Texas di coloni che poi spadroneggiano sugli autoctoni, considerati subumani e idonei solo al lavoro di bassa manovalanza al loro servizio ed arrivano a pretendere la secessione del Texas dal Messico per renderlo uno Stato indipendente, presupposto alla sua annessione da parte degli USA. Quando il governo messicano ovviamente reagisce, viene inviato l’esercito a difendere i “poveri” coloni, ma intanto la prima mossa l’hanno fatta i messicani, che in tal modo passano per aggressori. Ne consegue una guerra, in forte disparità di forze, con gli americani che conquistano Città del Messico e soffocano la successiva guerriglia con stragi, devastazioni di villaggi, rappresaglie e violenze di ogni genere nei confronti dei prigionieri e della popolazione civile. Al termine del conflitto gli USA si annettono circa il 50% del territorio messicano, comprendente le ricche regioni che costituiranno o amplieranno altrettanti Stati dell’Unione: Texas, California, Nevada, Utah, Nuovo Messico, Colorado e Wyoming.

–  Guerra contro la Spagna: il 15 febbraio 1898, all’insaputa dell’equipaggio, agenti americani minano all’altezza della santabarbara la vecchia e obsoleta corazzata “USS Maine” ancorata nel porto di L’Avana (Cuba) e la fanno esplodere causandone l’affondamento e l’uccisione di 261 marinai. Dopo aver traccheggiato con finte inchieste, gli USA incolpano la Spagna dell’attentato e le dichiarano guerra, il cui esito, scontato date le deboli forze terrestri e navali che gli spagnoli potevano allora schierare oltremare, consentirà agli Stati Uniti la conquista delle Filippine, Guam, Porto Rico e il protettorato su Cuba. Nel corso del conflitto vengono diffuse false notizie su atrocità commesse dagli spagnoli, atrocità che verrano invece commesse realmente a iosa dagli americani (massacri e distruzioni di interi villaggi, uccisioni di prigionieri, fucilazioni di ragazzini, ecc.) per soffocare la guerriglia nelle Filippine. Dopo circa un secolo, ovvero nel 1987, gli USA ammetteranno ufficialmente che gli spagnoli erano estranei all’affondamento della “Maine”.

Prima guerra mondiale: dopo aver violato senza esito gli obblighi imposti ai neutrali dal diritto e dalle convenzioni internazionali rifornendo di armi e quant’altro gli Stati belligeranti dell’ “Intesa”, gli Stati Uniti trovano (o meglio creano) finalmente il pretesto per intervenire in Europa a fianco di Inghilterra e Francia, che stavano perdendo la guerra: segretamente, caricano un ingente quantitativo di armi e munizioni sul transatlantico inglese “Lusitania”, in procinto di salpare da New York per la Gran Bretagna, trasformandolo così da nave passeggeri a legittimo obiettivo bellico e fanno in modo che i tedeschi lo vengano a sapere. Il 7 maggio 1915 l’U-20 intercetta la nave, che, violando il blocco imposto dai tedeschi, naviga 8 miglia al largo delle coste irlandesi e con un siluro ne provoca l’affondamento che causa la morte di 1.201 passeggeri, di cui 123 statunitensi. Negando che la nave trasportasse materiale bellico, inglesi e americani infiammano l’opinione pubblica e sobillano l’odio contro i tedeschi accusando la Germania di un crimine di guerra per avere massacrato dei civili (fu solo l’inizio di una vasta campagna denigratoria basata su pure menzogne: arrivarono persino a dire che i tedeschi avevano infilzato i neonati con le baionette, mozzato le mani ai bambini belgi, mutilato i seni delle donne e crocifisso soldati canadesi!; ma se un popolo è costretto a ricorrere a tali menzogne per screditare il suo nemico, ciò vuol dire che il suo nemico è assai migliore di lui) e, sempre sfruttando tale episodio, il presidente Wilson riesce, dopo due anni, a raggiungere l’agognato obiettivo di  trascinare in guerra gli americani, che fino ad allora erano stati in stragrande maggioranza isolazionisti, con tanti saluti al “popolo sovrano”, ingannato  e manovrato dai suoi rappresentanti. Nel 2014 alcuni sommozzatori hanno raggiunto il relitto del “Lusitania”, adagiato sul fondale marino ad una profondità di circa 100 metri, verificando che in stive non refrigerate la nave trasportava casse etichettate come formaggio, burro e ostriche, contenenti in realtà almeno quattro milioni di proiettili Remington fabbricati negli Stati Uniti.

Seconda guerra mondiale: il presidente Roosevelt è in gravi difficoltà, il “new deal” si è rivelato un fallimento, la disoccupazione dilaga, l’economia è in crisi e tutto ciò compromette quello a cui lui tiene di più: la sua rielezione. Come uscire da tale palude? Semplice, provocare una guerra mondiale, che, con scarso rischio per gli USA data la loro posizione geografica, possa risolvere in un colpo solo tutti i suddetti problemi a spese di nemici e amici. Inizia così in pubblico a montare una vasta campagna diffamatoria e provocatoria nei confronti di Germania e Italia, sostenuta da tutti i “media” e basata su pure menzogne, arrivando persino a dichiarare, tra le altre fandonie, che gli Stati fascisti si stavano preparando ad invadere ed occupare il Sudamerica, mentre in segreto preme, alternando lusinghe e minacce, sulle poco convinte Inghilterra e Francia affinché esse muovano guerra alla Germania e sulla Polonia affinché provochi la stessa Germania fino alle estreme conseguenze (il tutto documentato dai rapporti degli ambasciatori polacchi a Washington, Londra e Parigi: v. “La guerra di Roosevelt” nella sezione Storia di questo sito) ed alla fine ottiene il risultato voluto: la guerra in Europa è iniziata. Deve però risolvere un altro problema: farsi attaccare per giustificare il proprio intervento, al quale, secondo i sondaggi, era contrario l’80% degli statunitensi. In aperta violazione della neutralità, rifornisce massicciamente di armi la belligerante Inghilterra e arriva persino a far scortare i convogli inglesi che attraversano l’Atlantico da navi da guerra americane, alle quali dà ordine di attaccare con bombe di profondità,  in acque internazionali, i sommergibili tedeschi e italiani, che dànno la caccia a detti convogli, per indurli a reagire. Germania e Italia non abboccano ed allora sposta la sua attenzione dall’Atlantico al Pacifico e prende di mira il Giappone, già impegnato in Cina, vessandolo con tutta una serie di provocazioni e provvedimenti ostili, appositamente studiati e programmati, che privano l’Impero del Sol Levante di qualsiasi alternativa alla guerra. Si arriva così a quello che gli americani chiamarono “il giorno dell’infamia”, definizione assolutamente corretta, salvo il fatto che i veri infami non furono i giapponesi, ma i governanti USA, i quali, pur essendo al corrente dell’imminente attacco a Pearl Harbour, che causò circa 2.500 morti tra gli yankees del presidio, non fecero nulla per impedirlo, anzi era proprio quello che volevano per avere la possibilità di entrare in guerra, non solo col Giappone, ma anche con Germania e Italia, che del Giappone erano alleate. Roosevelt aveva così raggiunto il suo obiettivo: la guerra mondiale, che, complici i due farabutti suoi simili (Churchill e Stalin) e violando tutte le norme del diritto e delle convenzioni internazionali, condusse commettendo crimini, in modo particolare nei confronti della popolazione civile e dei prigionieri di guerra, tali che per trovarne nel corso della storia altri di comparabile efferatezza  (ma non entità) bisogna risalire ai tempi di Gengis Khan. Il tutto accompagnato, come al solito, da una martellante campagna menzognera e denigratoria nei confronti degli Stati fascisti, la quale trovò la sua apoteosi nella trovata delle “camere a gas”, che, proprio perché demenziale, riscosse enorme e duraturo successo (meno riuscite quelle dei paralumi e delle saponette, rispettivamente fabbricati con pelle e grasso d’ebreo, quella delle piastre elettriche per friggere gli ebrei e altre amenità simili). Di positivo ci fu soltanto che non visse abbastanza a lungo per cogliere i frutti dei suoi misfatti, perché schiattò prima che la guerra finisse; furono invece i suoi degni eredi a farlo.

Guerre contro l’Irak: governato da Saddam Hussein e dal partito Ba’th, l’Irak era uno Stato moderno, efficiente, ben ordinato e ben amministrato, culturalmente e socialmente avanzato e ricchissimo di petrolio, ma era nel mirino degli USA perché costituiva una ricca preda e, ancor di più, perché rappresentava una seria minaccia per lo Stato di Israele. Nell’agosto del 1990, dopo aver ricevuto un ambiguo benestare dalla diplomazia USA, Saddam Hussein, per ragioni politiche, militari ed economiche, ordinò al proprio esercito l’occupazione del Kuwait, che si realizzò in 24 ore con minimo spargimento di sangue. Le reazioni degli altri Stati dell’area mediorientale, però, indussero gli americani ad un completo voltafaccia, supportato ovviamente da false accuse di atrocità commesse dagli iracheni (ben nota è l’intervista, che fece il giro del modo, rilasciata da una giovane sedicente infermiera, la quale raccontò commossa e in lacrime in televisione che i soldati di Saddam erano entrati nell’ospedale pediatrico in Kuwait e avevano rovesciato a terra le incubatrici, facendo morire i neonati in esse contenuti. Quasi tutta la stampa mondiale spese inchiostro per far versare lacrime. Si seppe poi che questa commediante era la figlia quindicenne dell’ambasciatore del Kuwait a Washington, mai stata in Kuwait,  istruita e arruolata da una grossa società di pubbliche relazioni in America per la grande messa in scena a supporto propagandistico dell’intervento americano); voltafaccia che, tra il gennaio e il febbraio 1991 si tradusse nell’attacco americano all’Irak, anche con l’ausilio di truppe coloniali europee e di altri continenti, che consistette dapprima in massicci bombardamenti aerei nel corso dei quali fu deliberatamente colpito il rifugio antiaereo n. 25 nel quartiere di Al-Amirya a Bagdad. Nel rifugio vi erano circa 1000 persone, quasi tutte donne, bambini e vecchi. Almeno 408 di esse furono ridotte in cenere. A mo’ di giustificazione gli americani sostennero – e non era vero – che il rifugio ospitava un non ben precisato comando militare (insomma, un po’ come gli ospedali di Gaza adesso). Quindi partì l’offensiva terrestre conclusiva di quella poi chiamata prima guerra del Golfo. Saddam Hussein, però, era rimasto al potere, facendo perdurare l’angoscia degli americani e degli israeliani, cosicché nel 2003 il presidente George Bush figlio decise di portare a termine l’opera iniziata dal padre. Anche a lui, però, occorreva una motivazione altamente morale per giustificare l’intervento e, non potendola trovare nemmeno su “amazon”, decise di fabbricarsela in casa. Così gli USA iniziarono a strepitare su fantomatiche “armi di distruzione di massa”, ovviamente mai esistite, di cui Saddam Hussein sarebbe stato in possesso e  inventarono gesti terroristici che agenti di Saddam avrebbero compiuto in America, spargendo e spedendo lettere all’”antrace”, una sostanza pericolosa per le vie respiratorie, una fialetta della quale fu drammaticamente sventolata sotto il naso dei membri del Congresso americano dal segretario di Stato Colin Powell. Bastarono poi 4 o 5 lettere all’antrace per spargere il terrore negli USA e giustificare la guerra. Il gioco riuscì: l’Irak fu seppellito sotto un tappeto di bombe, completamente distrutto, in preda a miseria e rovine e in balìa di sétte armate e di continui attentati terroristici che provocarono centinaia di migliaia di morti tra la popolazione, retto da un governo fantoccio senza alcun potere e tuttora in tale stato si trova. Anni dopo si seppe che l’”antrace” era uscita da laboratori controllati dalla CIA. Le due guerre del Golfo hanno prodotto solo morte, devastazione e instabilità politica e gli americani si sono impantanati nell’inferno da loro stessi creato; l’unico a trarne beneficio, a spese degli altri, è stato – guarda caso – Israele, che ha visto eliminata una temibile minaccia.

Invasione dell’Afghanistan: l’intervento in Afghanistan rientrava da tempo nel programma degli USA, ma per poterlo avviare occorreva una adeguata motivazione morale da presentare all’opinione pubblica. L’occasione di confezionare tale motivazione si presentò l’11 settembre del 2001, allorchè, sfruttando una scalcinata banda di arabi che, secondo la versione poi divulgata, erano terroristi legati ad Al Quaeda, che li aveva inviati a compiere attentati terroristici mediante il contemporaneo dirottamento di quattro aerei di linea (due Boeing 767 e due Boeing 757) da usarsi come bombe contro edifici di rilevante importanza, si ottenne il crollo delle “Twin Towers” del World Trade Center di New York oltre a danni di scarsa entità al Pentagono. Si trattò, anche in questo caso, di una colossale montatura di cui però tuttora non si conoscono i particolari del piano operativo, particolarmente complicato, anche perché – si dice – oltre alla CIA vi parteciparono servizi segreti stranieri (israeliani e/o sauditi). Come detto, due aerei centrarono rispettivamente i piani alti delle torri gemelle, uno colpì il Pentagono, mentre il quarto precipitò senza raggiungere il bersaglio, che, sempre stando ai si dice, avrebbe dovuto essere la Casa Bianca o il Campidoglio. Tale versione è stata giudicata non credibile da migliaia di analisti indipendenti, perchè presenta aspetti assurdi quanto alle modalità dell’azione e aspetti contrari alle leggi della fisica quanto ai risultati dell’azione stessa, giacché i crolli delle torri presentarono le caratteristiche tipiche della demolizione controllata (per i particolari: v. “11 Settembre” – Il grande inganno, nella sezione Libri di questo sito). Sta di fatto che quella che non a torto è stata ribattezzata la “seconda Pearl Harbour”, causando essa direttamente la morte di circa 3.000 persone e di molte altre in tempi successivi, diede il via alla guerra in Afghanistan, anch’essa una sporca guerra condotta per vent’anni con bombardamenti a tappeto, stragi di civili e di prigionieri, torture, stupri e violenze di ogni genere, senza ottenere alcun risultato utile, tanto che nel 2021 gli USA dovettero ritirarsi con la coda tra le gambe. Le migliaia di persone sacrificate per ottenere tutto ciò erano morte invano.

In conclusione, chi crede alle favole può continuare a crederci, ma il vero volto della “democrazia”, dietro la maschera dei conclamati princìpi etici, è inganno, menzogna e ipocrisia.

Giuliano Scarpellini

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