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IL MITO DELLA “BUONA GUERRA” NEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE

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 di Mark Weber

La seconda guerra mondiale non è stata solo il più grande conflitto militare della storia, ma anche la guerra più importante del ventesimo secolo per l’America. Ha portato profondi e duraturi cambiamenti sociali, governativi e culturali negli Stati Uniti e ha avuto un grande impatto sul modo in cui gli americani considerano se stessi e il posto del loro paese nel mondo. Questo scontro globale, con gli Stati Uniti e gli altri “Alleati” da una parte e la Germania nazionalsocialista, il Giappone imperiale e gli altri paesi dell'”Asse” dall’altra, è regolarmente rappresentato negli Stati Uniti come la “buona guerra”, un conflitto moralmente netto tra il Bene e il Male (1).

Secondo l’autore e storico britannico Paul Addison, “la guerra è servita a una generazione di britannici e americani come un mito che ha consacrato la loro purezza essenziale, una parabola del bene e del male(2). Dwight Eisenhower, comandante supremo delle forze americane in Europa in tempo di guerra e in seguito presidente degli Stati Uniti per otto anni, ha definito la lotta contro la Germania nazionalsocialista “la Grande Crociata(3). E il presidente Bill Clinton ha affermato che nella seconda guerra mondiale gli Stati Uniti “hanno salvato il mondo dalla tirannia(4).  Agli americani viene anche detto che essa era una guerra inevitabile e necessaria, che gli Stati Uniti hanno dovuto combattere per evitare di essere ridotti in schiavitù da dittatori crudeli e spietati.

Qualunque dubbio o perplessità gli americani possano aver avuto sul ruolo del loro paese in Iraq, Vietnam o altri conflitti oltremare, la maggior parte di loro accetta che i sacrifici fatti dalla “generazione più grande” nella seconda guerra mondiale, specialmente nella sconfitta della Germania di Hitler, fossero del tutto giustificati e meritevoli. Per decenni, questa visione è stata rafforzata in innumerevoli film, in televisione, nelle aule, nei libri di testo e dai leader politici. Il modo reverenziale in cui è stato rappresentato il ruolo degli Stati Uniti nella guerra ha spinto Bruce Russett, professore di scienze politiche alla Yale University, a scrivere (5):

La partecipazione alla guerra contro Hitler rimane quasi del tutto sacrosanta, quasi nel regno della teologia… Qualunque critica venga avanzata alla politica americana del ventesimo secolo, la partecipazione degli Stati Uniti alla seconda guerra mondiale ne rimane quasi del tutto immune. Secondo la nostra mitologia nazionale, quella fu una “buona guerra”, una delle poche per cui i benefici superarono chiaramente i costi. A parte alcuni libri pubblicati poco dopo la guerra e rapidamente dimenticati, questa ortodossia è stata sostanzialmente indiscussa.”

Quanto è veritiera questa sacra rappresentazione del ruolo dell’America nella seconda guerra mondiale? Come vedremo, non regge a un esame ravvicinato.

Innanzitutto, uno sguardo allo scoppio della guerra in Europa.

Quando i leader di Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania il 3 settembre 1939, annunciarono che lo stavano facendo perché le forze militari tedesche avevano attaccato la Polonia, minacciando così l’indipendenza polacca. Andando in guerra contro la Germania, i leader britannici e francesi trasformarono uno scontro geograficamente limitato, durato due giorni, tra Germania e Polonia in un conflitto continentale, europeo.

Ben presto divenne ovvio che la giustificazione franco-britannica per andare in guerra non era sincera. Quando le forze sovietiche russe attaccarono la Polonia da est due settimane dopo, e poi presero ancora più territorio polacco di quanto non avesse fatto la Germania, i leader di Gran Bretagna e Francia non dichiararono guerra all’Unione Sovietica. E sebbene Gran Bretagna e Francia andarono in guerra formalmente per proteggere l’indipendenza polacca, alla fine dei combattimenti nel 1945 – dopo cinque anni e mezzo di orribili lotte, morte e sofferenza – la Polonia non era ancora libera, ma era invece interamente sotto il brutale dominio della Russia sovietica.

Sir Basil Liddell Hart, un eminente storico militare britannico del ventesimo secolo, la esprime così (6):

Gli Alleati occidentali entrarono in guerra con un duplice obiettivo. Lo scopo immediato era quello di mantenere la promessa di preservare l’indipendenza della Polonia. Lo scopo finale era quello di rimuovere una potenziale minaccia per loro stessi, e quindi garantire la propria sicurezza. Alla fine, fallirono in entrambi gli scopi. Non solo, in primo luogo, non riuscirono a impedire che la Polonia venisse sconfitta e divisa tra Germania e Russia, ma dopo sei anni di guerra, che si conclusero con un’apparente vittoria, furono costretti ad accettare il dominio della Russia sulla Polonia, venendo meno alle promesse fatte ai polacchi che avevano combattuto al loro fianco.”

Nel 1940, poco dopo essere stato nominato primo ministro, Winston Churchill spiegò, in due discorsi spesso citati, le sue ragioni per continuare la guerra della Gran Bretagna contro la Germania. Nel suo famoso discorso “Sangue, sudore e lacrime”, il grande leader britannico in tempo di guerra disse che se la Germania non fosse stata sconfitta, non ci sarebbe stata “nessuna sopravvivenza per l’impero britannico, nessuna sopravvivenza per tutto ciò che l’impero britannico ha rappresentato…“. Poche settimane dopo, nel suo discorso “Finest Hour”, Churchill disse: “Da questa battaglia dipende la sopravvivenza della civiltà cristiana. Da essa dipendono la nostra stessa vita britannica e la lunga continuità delle nostre istituzioni e del nostro impero(7).

Quanto suonano strane queste parole oggi. Anche se la Gran Bretagna presumibilmente “ha vinto”, o almeno era dalla parte dei vincitori nella guerra, l’impero britannico, un tempo potente, è scomparso per sempre. Nessun leader britannico oggi oserebbe difendere la storia spesso brutale dell’imperialismo britannico, che includeva uccisioni e bombardamenti su larga scala per mantenere il dominio coloniale sfruttatore su milioni di persone in Asia e Africa. E nessun leader britannico oggi oserebbe giustificare l’uccisione di persone per sostenere la “civiltà cristiana”, non da ultimo per paura di offendere la numerosa e in rapida crescita popolazione non cristiana della Gran Bretagna.

Agli americani piace credere che i “buoni” vincano e i “cattivi” perdano e, negli affari internazionali, che i paesi “buoni” vincano le guerre e quelli “cattivi” le perdano. In linea con questa visione, gli americani sono incoraggiati a credere che il ruolo degli Stati Uniti nella sconfitta della Germania e del Giappone abbia dimostrato la bontà del “metodo americano” e la superiorità della forma di governo e della società di questo paese.

Ma se questa visione avesse qualche fondamento, sarebbe almeno altrettanto corretto dire che l’esito della guerra ha dimostrato la bontà della “via sovietica” e la superiorità della forma di società e di governo comunista sovietici. E invero questa è stata una rivendicazione orgogliosa dei leader di Mosca per decenni (8). In effetti, la Germania di Hitler è stata sconfitta, prima di tutto, dall’Unione Sovietica. Circa il 70-80 percento delle forze da combattimento tedesche sono state distrutte dall’esercito sovietico. Lo sbarco del D-Day in Francia da parte delle forze americane e britanniche, che è spesso descritto negli Stati Uniti come un colpo militare di importanza fondamentale contro la Germania nazionalsocialista, è stato lanciato nel giugno 1944, ovvero meno di un anno prima della fine della guerra in Europa e mesi dopo le grandi vittorie militari sovietiche di Stalingrado e Kursk, che sono state decisive nella sconfitta della Germania (9).

Quali erano gli obiettivi americani durante la Seconda Guerra Mondiale e quanto successo hanno avuto gli Stati Uniti nel raggiungerli?

Nel 1941 il presidente Franklin Roosevelt, insieme al primo ministro britannico Winston Churchill, emise una dichiarazione formale degli obiettivi di guerra degli Alleati, la tanto pubblicizzata “Carta Atlantica”. In essa, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna dichiararono di non cercare “nessun cambiamento territoriale che non fosse in accordo con i desideri liberamente espressi dai popoli interessati”, che avrebbero “rispettato il diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo sotto la quale vivere” e che si sarebbero sforzati “di vedere i diritti sovrani e l’autogoverno restituiti a coloro che ne erano stati forzatamente privati”.

Tuttavia, ben presto divenne evidente che questa solenne promessa di libertà e autogoverno per “tutti i popoli” non era altro che vuota propaganda (10). Ciò non sorprende, dato che i due più importanti alleati militari degli Stati Uniti nella guerra erano la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica, ovvero la principale potenza imperialista del mondo e la più crudele tirannia del mondo.

Allo scoppio della guerra nel 1939, la Gran Bretagna governava il più grande impero coloniale della storia, tenendo sotto controllo milioni di persone contro la loro volontà più di qualsiasi altro regime prima o dopo di lui. Questo vasto impero comprendeva ciò che oggi è India, Pakistan, Bangladesh, Malesia, Nigeria, Ghana, Kenya, Uganda, Tanzania e Sudafrica.

L’altro grande alleato dell’America in tempo di guerra, l’Unione Sovietica, era, sotto tutti gli aspetti, il regime più tirannico o oppressivo del suo tempo, e un dispotismo molto più crudele della Germania di Hitler. Come riconoscono gli storici, le vittime del dittatore sovietico Stalin superano di gran lunga quelle che perirono a causa delle politiche di Hitler. Robert Conquest, un importante studioso della storia russa del ventesimo secolo, stima il numero di coloro che persero la vita a causa delle politiche di Stalin in “non meno di 20 milioni” (11) [la cifra reale, in milioni, non è mai stata accertata, ma quella qui indicata appare assai riduttiva: c’è chi la indica in 80 milioni – n.d.r.].

Durante la guerra gli Stati Uniti contribuirono in modo sostanziale a mantenere la tirannia di Stalin e ad aiutare l’Unione Sovietica a opprimere milioni di europei, aiutando nel contempo la Gran Bretagna a mantenere o ristabilire il suo dominio imperiale su molti milioni di persone in Asia e Africa” (12).

Il governo degli Stati Uniti dipinse la seconda guerra mondiale come “una lotta tra un mondo libero e un mondo schiavista(!3). Gli americani furono incoraggiati a credere che i loro nemici fossero tutte dittature non democratiche. In realtà, da entrambe le parti c’erano regimi repressivi o dittatoriali, così come governi che avevano un ampio sostegno popolare. Molti dei paesi alleati degli Stati Uniti erano governati da regimi oppressivi, dittatoriali o comunque “non democratici(14). La Finlandia, un importante alleato in tempo di guerra della Germania di Hitler, era una repubblica democratica e parlamentare e più “progressista” sia degli Stati Uniti che della Gran Bretagna.

Paul Fussell, professore all’Università della Pennsylvania che prestò servizio nella seconda guerra mondiale come tenente dell’esercito americano, scrisse nel suo acclamato libro Wartime che “la guerra alleata è stata edulcorata e romanticizzata quasi fino a renderne la realtà completamente deformata ad uso dei sentimentali, dei patrioti lunatici, degli ignoranti e degli assetati di sangue(15).

Una caratteristica importante di questa visione “depurata” è la convinzione che, mentre il regime nazionalsocialista tedesco era responsabile di molti terribili crimini di guerra e atrocità, gli Alleati, e in particolare gli Stati Uniti, hanno condotto la guerra in modo umano. In effetti, la storia delle malefatte degli Alleati è lunga e include l’uccisione di massa di civili negli attacchi aerei statunitensi sulle città giapponesi con bombe incendiarie e atomiche, i bombardamenti anglo-americani delle città tedesche, una campagna terroristica che ha causato la morte di oltre mezzo milione di civili [ben oltre, invero: circa 3 milioni nella sola Germania – n.d.r.] e la brutale “pulizia etnica” di milioni di civili nell’Europa orientale e centrale (16).

Dopo “quaranta mesi di servizio di guerra e cinque grandi battaglie” in cui prestò servizio come “autista di ambulanza, marinaio mercantile, storico dell’esercito e corrispondente di guerra”, Edgar L. Jones scrisse un articolo in cui sfatava alcuni miti sul ruolo degli americani nella guerra. “Che tipo di guerra credono i civili che abbiamo combattuto, comunque?”, disse ai lettori del mensile The Atlantic . “Abbiamo sparato a sangue freddo sui prigionieri, distrutto ospedali, mitragliato scialuppe di salvataggio, ucciso o maltrattato civili nemici, finito i feriti nemici, gettato i moribondi in una buca con i morti e nel Pacifico abbiamo bollito la carne dei crani nemici per farne ornamenti da tavola per le fidanzate o scolpito le loro ossa per ricavarne tagliacarte(17).

Poco dopo la fine della guerra, le potenze vincitrici processarono i leader tedeschi del tempo di guerra per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Così facendo, gli USA e i loro alleati sottoposero i leader tedeschi a un criterio che non sempre rispettarono loro stessi.

Il giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti Robert Jackson non fu l’unico alto funzionario americano a riconoscere, almeno in privato, che la pretesa rettitudine unica degli Alleati era poco più di una presuntuosa finzione. In una lettera al Presidente, scritta mentre era in carica come procuratore capo degli Stati Uniti al grande processo di Norimberga del 1945-1946, Jackson riconobbe che gli Alleati “hanno fatto o stanno facendo alcune delle stesse cose per cui stiamo processando i tedeschi. I francesi stanno violando così tanto la Convenzione di Ginevra nel trattamento dei prigionieri di guerra [tedeschi] che il nostro comando sta riprendendo i prigionieri inviati loro [per i lavori forzati in Francia]. Stiamo perseguendo il saccheggio e i nostri Alleati lo stanno praticando. Diciamo che la guerra di aggressione è un crimine e uno dei nostri alleati afferma la sovranità sugli Stati Baltici basandosi su nessun titolo se non la conquista(18).

Alla conclusione del processo di Norimberga del 1945-1946, il rispettato settimanale britannico The Economist citò i crimini sovietici, e poi aggiunse: “Né il mondo occidentale dovrebbe consolarsi ritenendo i russi gli unici colpevoli al giudizio degli Alleati“. L’ editoriale dell’Economist continuava (19):

“… Tra i crimini contro l’umanità c’è il reato di bombardamento indiscriminato di popolazioni civili. Gli americani che hanno sganciato la bomba atomica e gli inglesi che hanno distrutto le città della Germania occidentale possono dichiararsi ‘non colpevoli’ per questo capo d’imputazione? I crimini contro l’umanità includono anche l’espulsione in massa di popolazioni. I leader anglosassoni che a Potsdam hanno tollerato l’espulsione di milioni di tedeschi dalle loro case possono ritenersi completamente innocenti? … Le nazioni sedute in giudizio [a Norimberga] si sono così chiaramente proclamate esenti dalla legge che hanno amministrato.”

Per consolidare la coalizione alleata in tempo di guerra, formalmente nota come “Nazioni Unite”, il presidente Roosevelt, il primo ministro britannico Churchill e il premier sovietico Stalin si incontrarono in due occasioni: nel novembre 1943 a Teheran, nell’Iran occupato, e nel febbraio 1945 a Yalta, nella Crimea sovietica. I tre leader alleati realizzarono ciò per cui accusavano i leader dell’Asse di Germania, Italia e Giappone di aver cospirato: il dominio del mondo. In palese violazione dei princìpi da loro solennemente proclamati, gli statisti statunitensi, britannici e sovietici trattarono decine di milioni di persone senza alcun riguardo ai loro desideri.

Un esempio particolarmente sfacciato di inganno e cinismo alleati fu l'”accordo sulle percentuali” britannico-sovietico per la spartizione dell’Europa sud-orientale. Durante un incontro con Stalin nel 1944, Churchill propose che in Romania i sovietici avrebbero dovuto avere il 90% di influenza o autorità, e il 75%  in Bulgaria, e che la Gran Bretagna avrebbe dovuto avere il 90% di influenza o controllo in Grecia. In Ungheria e Jugoslavia, suggerì il leader britannico, ciascuna avrebbe dovuto avere il 50%. Churchill scrisse tutto questo su un pezzo di carta, che spinse verso Stalin, il quale ci fece un segno di spunta e lo restituì. Churchill disse quindi: “Non potrebbe essere considerato piuttosto cinico se sembrasse che ci fossimo liberati di queste questioni, così fatali per milioni di persone, in modo così superficiale? Bruciamo il foglio“. “No, tienilo tu“, rispose Stalin (20).

Il presidente Roosevelt disse candidamente al ministro degli esteri sovietico durante un incontro a Washington nel 1942 che dopo la fine della guerra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’URSS avrebbero dovuto agire come “poliziotti” del mondo per garantire la pace per almeno 25 anni. Fu suo “giudizio finale e ponderato”, spiegò il presidente, che “gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Russia, e forse la Cina, avrebbero dovuto sorvegliare il mondo e imporre il disarmo [di tutti gli altri] tramite ispezione”. Non riusciva a vedere “alcuna alternativa a un qualche tipo di forza di polizia e quindi al disarmo obbligatorio, seguito da ispezione per far sì che le nazioni rimanessero disarmate” (21).

Per garantire il dominio globale delle potenze vincitrici dopo la guerra, i “Tre Grandi” leader alleati istituirono l’organizzazione delle Nazioni Unite per fungere da forza di polizia mondiale permanente. Ma una volta sconfitti Germania e Giappone, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica si scontrarono, il che rese impossibile per l’ONU funzionare come il presidente Roosevelt aveva inteso. Mentre gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica cercarono per decenni di assicurarsi l’egemonia nella propria sfera di influenza, le due “superpotenze” erano anche rivali in una lotta decennale per la supremazia globale.

Nel suo libro, A People’s History of the United States , lo storico Howard Zinn ha scritto (22):

I vincitori furono l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti (e anche Inghilterra, Francia e Cina nazionalista, ma erano deboli). Entrambi questi paesi ora si misero al lavoro – senza svastiche, marcia dell’oca o razzismo ufficialmente dichiarato, ma sotto la copertura del ‘socialismo’ da una parte e della ‘democrazia’ dall’altra, per ritagliarsi i propri imperi di influenza. Procedettero a condividere e a contendersi a vicenda il dominio del mondo, a costruire macchine militari molto più grandi di quelle costruite dai paesi fascisti, a controllare i destini di più paesi di quanti Hitler, Mussolini e il Giappone fossero stati in grado di fare. Agirono anche per controllare le proprie popolazioni, ogni paese con le proprie tecniche – rudimentali nell’Unione Sovietica, sofisticate negli Stati Uniti – per rendere sicuro il loro dominio.

Gli Stati Uniti entrarono ufficialmente nella seconda guerra mondiale dopo l’attacco giapponese alla base navale statunitense di Pearl Harbor nelle Hawai il 7 dicembre 1941. Fino ad allora, gli Stati Uniti erano ufficialmente un paese neutrale e la maggior parte degli americani voleva tenersi fuori dalle guerre che allora imperversavano in Europa e Asia. Nonostante lo status neutrale del paese, il presidente Roosevelt e la sua amministrazione, insieme a gran parte dei media statunitensi, spinsero il popolo americano a sostenere la guerra contro la Germania. Fu organizzata una campagna di propaganda su larga scala per convincere gli americani che Hitler e i suoi “scagnozzi” o “orde” nazisti stavano facendo tutto ciò che era in loro potere per conquistare e “schiavizzare” il mondo intero e che la guerra con la Germania di Hitler era inevitabile.

Nell’ambito di questo sforzo, il Presidente e altri alti funzionari americani, insieme ai giornali e alle riviste più influenti del Paese, promossero storie fantasiose sui piani di Hitler e del suo governo di attaccare gli Stati Uniti e imporre una dittatura globale (23).

L’elenco di deliberate falsità del presidente Roosevelt è riconosciuto persino dai suoi ammiratori. Tra coloro che hanno cercato di giustificare la sua politica c’è l’eminente storico americano Thomas A. Bailey, che ha scritto (24): “Franklin Roosevelt ha ripetutamente ingannato il popolo americano durante il periodo precedente a Pearl Harbor … Era come il medico che deve dire bugie al paziente per il bene del paziente … Il paese era in larga parte non interventista fino al giorno stesso di Pearl Harbor, e un tentativo palese di condurre il popolo in guerra avrebbe portato a un fallimento certo e a una quasi certa estromissione di Roosevelt nel 1940, con una completa sconfitta dei suoi obiettivi finali“.

Il professor Bailey ha continuato offrendo una visione cinica della democrazia americana: “Un presidente che non riesce a confidare la verità al popolo tradisce una certa mancanza di fede nei principi fondamentali della democrazia. Ma poiché le masse sono notoriamente miopi e generalmente non riescono a vedere il pericolo finché non è alle loro gole, i nostri statisti sono costretti a ingannarle per farle prendere coscienza dei loro interessi a lungo termine. Questo è chiaramente ciò che Roosevelt ha dovuto fare, e chi può dire che la posterità non lo ringrazierà per questo?“.

Come parte della campagna del governo degli Stati Uniti per incitare alla guerra, il presidente Roosevelt nel 1941 ordinò alla Marina degli Stati Uniti di aiutare le forze britanniche ad attaccare le navi tedesche nell’Atlantico. Ciò fu rafforzato da un ordine presidenziale di “sparare a vista” alla Marina degli Stati Uniti contro le navi tedesche e italiane. L’obiettivo di Roosevelt era quello di provocare un “incidente” che avrebbe fornito un pretesto per una guerra aperta. Hitler, da parte sua, era ansioso di evitare un conflitto con gli Stati Uniti. Rispose alle provocazioni palesemente illegali del governo degli Stati Uniti ordinando ai suoi comandanti della marina di evitare scontri con le navi statunitensi (25).

Inoltre, in palese violazione del diritto internazionale, il governo statunitense ufficialmente neutrale fornì massicci aiuti militari “Lend Lease” ai nemici della Germania, in particolare alla Gran Bretagna e al suo impero, nonché alla Russia sovietica. Due importanti storici americani, Allan Nevins e Henry Steele Commager, notarono che: “Questa misura [Lend Lease del 1941] era chiaramente non neutrale, ma gli Stati Uniti, ora impegnati nella sconfitta della Germania, non si lasciarono frenare dalle finezze del diritto internazionale. Seguirono altri atti ugualmente non neutrali: il sequestro delle navi dell’Asse, il congelamento dei fondi dell’Asse, il trasferimento di petroliere alla Gran Bretagna, l’occupazione della Groenlandia e, in seguito, dell’Islanda, l’estensione del Lend Lease al nuovo alleato, la Russia, e … l’ordine presidenziale di “sparare a vista” a qualsiasi sottomarino nemico” (26).

Secondo lo storico britannico JFC Fuller, il presidente Roosevelt “non lasciò nulla di intentato per provocare Hitler a dichiarare guerra proprio alle persone a cui aveva promesso così ardentemente la pace. Fornì alla Gran Bretagna cacciatorpediniere americani, fece sbarcare truppe americane in Islanda e si mise a pattugliare le vie marittime dell’Atlantico per salvaguardare i convogli britannici; tutti atti di guerra…

Nonostante le sue molteplici enunciazioni per tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, era intenzionato a provocare qualche incidente che li avrebbe fatti entrare” (27). Le politiche dell’amministrazione Roosevelt erano così bellicose e illegali che l’ammiraglio Harold Stark, capo delle operazioni navali degli Stati Uniti, avvertì il Segretario di Stato in un memorandum dell’ottobre 1941 che Hitler “ha tutte le scuse del mondo per dichiararci guerra ora, se ne avesse voglia(28).

In Europa e in Asia, la seconda guerra mondiale portò distruzione di massa, morte a decine di milioni di uomini, donne e bambini e grande sofferenza a molti altri. Gli americani, tuttavia, furono risparmiati dagli orrori dei bombardamenti su larga scala, dai combattimenti in patria o dall’occupazione da parte di eserciti stranieri. Gli Stati Uniti furono l’unica grande nazione a non essere distrutta nel conflitto globale. Emersero dalla guerra come la principale potenza economica, militare e finanziaria del mondo. Per gli americani, i decenni successivi furono un’epoca di impressionante crescita economica e di impareggiabile statura globale.

L’autore Lewis H. Lapham, per anni direttore della rivista Harper’s , la metteva così: “Nel 1945, gli Stati Uniti ereditarono la terra… Alla fine della seconda guerra mondiale, ciò che restava della civiltà occidentale passò sul conto americano. La guerra aveva anche spinto il paese a inventare una macchina economica miracolosa che sembrava esaudire tutti i desideri che gli venivano richiesti. Gli Stati Uniti continentali erano sfuggiti alla piaga della guerra, e quindi era abbastanza facile per gli eredi credere di essere stati unti da Dio(29).

Anche se gli USA fossero rimasti fuori dalla guerra, la prosperità e la preminenza economica americane nel mondo del dopoguerra sarebbero state pressoché certe. Come ha spiegato il Prof. Russett: “La partecipazione americana alla seconda guerra mondiale ha avuto un effetto molto limitato sulla struttura essenziale della politica internazionale successiva, e probabilmente ha fatto poco per promuovere il benessere materiale della maggior parte degli americani o per rendere la nazione sicura dalle minacce militari straniere… In effetti, la maggior parte degli americani probabilmente non sarebbe stata in una situazione peggiore, e forse un po’ migliore, se gli Stati Uniti non fossero mai diventati un belligerante…” Russett ha aggiunto: “Personalmente trovo difficile sviluppare una preferenza molto enfatica per la Russia stalinista rispetto alla Germania hitleriana… In termini realistici a sangue freddo, il nazismo come ideologia era quasi certamente meno pericoloso per gli Stati Uniti di quanto lo sia il comunismo(30).

Sebbene la Germania del Terzo Reich e il Giappone imperiale fossero stati distrutti, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna non riuscirono a raggiungere gli obiettivi politici proclamati dai loro leader. Nell’agosto del 1945, il prestigioso settimanale britannico The Economist notò: “Alla fine di una potente guerra combattuta per sconfiggere l’hitlerismo, gli Alleati stanno stipulando una pace hitleriana. Questa è la vera misura del loro fallimento(31).

Tra coloro che non erano contenti dell’esito della guerra c’era lo storico britannico Basil Liddell Hart, che scrisse (32):

“…Tutti gli sforzi profusi nella distruzione della Germania hitleriana hanno portato a una Europa così devastata e indebolita  che il suo potere di resistenza è stato notevolmente ridotto di fronte a una minaccia nuova e più grande, e la Gran Bretagna, in comune con i suoi vicini europei, è diventata una povera dipendente degli Stati Uniti. Questi sono i duri fatti alla base della vittoria che è stata perseguita con tanta speranza e così dolorosamente ottenuta, dopo che il peso colossale sia della Russia che dell’America è stato trascinato sulla bilancia contro la Germania. Il risultato ha dissipato la persistente illusione popolare che “vittoria” significasse pace. Ha confermato l’avvertimento dell’esperienza passata che la vittoria è un “miraggio nel deserto”, il deserto che una lunga guerra crea, quando condotta con armi moderne e metodi illimitati.”

Anche Winston Churchill nutriva dubbi sull’esito della guerra. Tre anni dopo la fine dei combattimenti, scrisse: “La tragedia umana [della guerra] raggiunge il suo culmine nel fatto che, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici di centinaia di milioni di persone e le vittorie della Giusta Causa, non abbiamo ancora trovato la Pace o la Sicurezza, e che siamo in preda a pericoli ancora peggiori di quelli che abbiamo superato(33).

Alla fine della guerra, per la prima volta nella sua storia, l’Europa non era più padrona del proprio destino, ma si trovava invece sotto il dominio di due grandi potenze extraeuropee, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che per ragioni politiche e ideologiche non avevano alcun interesse o preoccupazione particolare per la cultura europea o la civiltà occidentale (34).

Secondo Charles A. Lindbergh, autore e aviatore di fama mondiale, la guerra fu una grande battuta d’arresto per l’Occidente. Venticinque anni dopo la fine del conflitto, scrisse (35):

Abbiamo vinto la guerra in senso militare; ma in senso più ampio mi sembra che l’abbiamo persa, perché la nostra civiltà occidentale è meno rispettata e sicura di prima. Per sconfiggere la Germania e il Giappone abbiamo sostenuto le minacce ancora più grandi della Russia e della Cina, che ora ci affrontano in un’era di armi nucleari. La Polonia non è stata salvata… Gran parte della nostra cultura occidentale è stata distrutta. Abbiamo perso l’eredità genetica formatasi attraverso secoli in molti milioni di vite… È allarmantemente possibile che la seconda guerra mondiale segni l’inizio del crollo della nostra civiltà occidentale, come segna già il crollo del più grande impero mai costruito dall’uomo”.

Nel tentativo di spiegare la mentalità dei leader delle potenze vittoriose della guerra, lo storico britannico JFC Fuller scrisse: “Cosa li convinse [Roosevelt e Churchill] ad adottare una politica così fatale? Ci azzardiamo a rispondere: odio cieco! I loro cuori fuggirono via con le loro teste e le loro emozioni annebbiarono la loro ragione. Per loro la guerra non era un conflitto politico nel senso normale del termine, era una contesa manichea tra il Bene e il Male, e per trascinare con sé il loro popolo scatenarono una propaganda al vetriolo contro il diavolo che avevano invocato(36).

Quell’odio è durato. Le scuole americane, i mass media statunitensi, le agenzie governative e i leader politici hanno portato avanti per decenni una campagna di propaganda unilaterale e carica di emozioni per sostenere la mitologia nazionale della seconda guerra mondiale.

Il modo in cui una nazione vede il passato non è un esercizio banale o meramente accademico. La nostra prospettiva sulla storia plasma profondamente le nostre azioni nel presente, spesso con gravi conseguenze per il futuro. Traendo conclusioni dalla nostra comprensione del passato, creiamo o sosteniamo politiche che hanno un impatto notevole su molte vite.

La familiare rappresentazione americana della seconda guerra mondiale e la mitologia della “buona guerra” e del ruolo degli Stati Uniti in essa non sono semplicemente una storia inesatta. Hanno contribuito notevolmente a sostenere e giustificare una serie di sfortunate avventure di politica estera degli Stati Uniti, con conseguenze calamitose sia per l’America che per il mondo. “La seconda guerra mondiale ha distorto il nostro modo di vedere le cose oggi“, ha affermato il contrammiraglio della Marina degli Stati Uniti Gene R. LaRoque, che ha prestato servizio in 13 grandi battaglie durante il conflitto. “Vediamo le cose in termini di quella guerra, che in un certo senso è stata una buona guerra. Ma il ricordo distorto di essa incoraggia gli uomini della mia generazione a essere disposti, quasi ansiosi, di usare la forza militare ovunque nel mondo(37).

Una opinione simile era sostenuta dallo storico ed economista americano Murray Rothbard, che scrisse: “… La seconda guerra mondiale è l’ultimo mito bellico rimasto, il mito a cui la Vecchia Sinistra si aggrappa per pura disperazione: il mito che allora, almeno, ci fu una buona guerra, allora ci fu una guerra in cui l’America aveva ragione. La seconda guerra mondiale è la guerra che ci viene sbattuta in faccia dall’establishment bellicoso, mentre cerca, in ogni guerra che affrontiamo, di avvolgersi nel mantello della buona e giusta seconda guerra mondiale(38).

Gli americani che esprimono ammirazione per il ruolo degli Stati Uniti in quella guerra e per la leadership presidenziale di Franklin Roosevelt in essa, hanno scarso diritto morale di lamentarsi quando altri presidenti seguono il suo esempio e guidano il paese in nuove guerre per la “libertà” e contro il “male”. Sebbene agli americani piaccia pensare alla loro nazione come a un grande promotore di pace, nei tempi moderni gli Stati Uniti hanno di fatto bombardato, attaccato, invaso e occupato più paesi, di gran lunga, di qualsiasi altra potenza.

Se la storia della guerra e dei conflitti insegna qualcosa, questo è il pericolo dell’arroganza e della tracotanza, quando i leader di una nazione, convinti della propria rettitudine, convincono se stessi e l’opinione pubblica che un paese straniero dovrebbe essere attaccato perché il suo governo o la sua società sono “malvagi”. Forse l’eredità più dannosa della duratura prospettiva della “buona guerra” è stato il suo ruolo nell’incoraggiare una politica di impareggiabile egemonia militare americana e di intervento armato in tutto il mondo, giustificata con una retorica dal suono nobile sulla difesa della “libertà” e la lotta al “male”.

Durante gli anni ’60, il presidente Johnson citò ripetutamente Hitler e le “lezioni” della seconda guerra mondiale per ottenere sostegno alla sua politica di guerra in Vietnam (39). Il presidente George W. Bush tracciò parallelismi con la seconda guerra mondiale per convalidare e ottenere sostegno per il bombardamento, l’invasione e l’occupazione dell’Iraq del 2003. Sostenuto dai leader di entrambi i partiti principali e dai media tradizionali, giustificò una “guerra globale al terrorismo” americana come una “crociata” per la “libertà” e contro il “male” e in un importante discorso che riecheggiava il presidente Roosevelt nella seconda guerra mondiale, proclamò una politica estera statunitense dedicata a “porre fine alla tirannia nel mondo” (40). Il presidente Joe Biden citò lo sforzo del presidente Roosevelt di radunare gli americani contro la Germania di Hitler nel suo discorso sullo “stato dell’Unione” del 2024 per sollecitare il sostegno a maggiori aiuti militari statunitensi all’Ucraina nella sua guerra contro la Russia, il cui leader paragonò a Hitler (41).

Fu la preoccupazione per le conseguenze di questo atteggiamento persistente che spinse George F. Kennan, un eminente storico e diplomatico americano del ventesimo secolo, a consigliare ai suoi connazionali: “Non ripetiamo l’errore di credere che il bene o il male siano totali. Stiamo attenti, in futuro, a condannare completamente un intero popolo e a discolpare completamente gli altri. Ricordiamoci che le grandi questioni morali, su cui la civiltà sta per reggersi o cadere, attraversano tutti i confini militari e ideologici, oltre i popoli, le classi e i regimi, oltre, di fatto, la costituzione dell’individuo umano stesso(42).

Una nazione dovrebbe andare in guerra solo per le ragioni più impellenti, dopo un’attenta valutazione delle possibili conseguenze e quando tutte le altre alternative sono state esaurite. Questa visione è sempre stata saggia, non da ultimo perché persino le “buone guerre” raramente finiscono come ci si aspetta. È ancora più valida oggi, dato il potere orribilmente distruttivo degli armamenti moderni.

Il potere e l’influenza relativa dell’America nel mondo sono in declino da anni, e in modo sempre più evidente dagli ultimi decenni del ventesimo secolo. Fu durante gli anni ’80, ad esempio, che gli Stati Uniti persero la loro posizione di principale nazione creditrice al mondo, e divennero la nazione debitrice numero uno al mondo. Inoltre, poiché la popolazione è diventata molto più diversificata dal punto di vista razziale e culturale, la società americana è diventata notevolmente meno coesa, coerente e unita.

Nei primi decenni del ventunesimo secolo è un paese afflitto da problemi scoraggianti e apparentemente insormontabili di disuguaglianza sociale, discordia razziale, un sistema educativo fallimentare, dilagante tossicodipendenza, elevata criminalità, confusione e declino culturale, intensa polarizzazione politica, cinismo diffuso e ampia sfiducia nelle principali istituzioni.

Per queste sole ragioni, una politica estera assertivamente globalista basata sulla visione fiduciosa e sicura di sé degli anni ’40 e ’50 non è più sostenibile. Questo paese, e il mondo, trarrebbero grandi benefici se gli americani invece abbracciassero una politica internazionale più prudente, fondata su una visione della storia e della vita equilibrata e basata sulla realtà e più in linea con la prospettiva dei fondatori di questo paese, che sconsigliavano di “impigliare alleanze” e “attaccamenti appassionati” con altre nazioni, così come di ostilità duratura verso altri paesi.

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Note

1 – Studs Terkel, “La buona guerra” (New York: Pantheon, 1984), p. vi.

2 –  Paul Fussell, Wartime (Oxford Univ. Press, 1989), pp. 164-165. Fussell cita anche Eric Severeid, un influente giornalista e commentatore americano, che scrisse che la guerra era “assolutamente” una “sfida tra il bene e il male”.

3 – Dichiarazione di Eisenhower del 6 giugno 1944, rilasciata in relazione allo sbarco in Normandia.

4 –  Secondo discorso inaugurale del Presidente Clinton, 20 gennaio 1997. Vedere: M. Weber, “The Danger of Historical Lies: President Clinton’s Distortion of History,” The Journal of Historical Review , maggio-giugno 1997. ( https://ihr.org/jhr/v16/v16n3p-2_Weber.html )

5 – Bruce M. Russett, Nessun pericolo chiaro e presente (New York: 1972), pp. 12, 17.

6 – Basil H. Liddell Hart, Storia della seconda guerra mondiale (New York: GP Putnam’s Sons, 1971), p. 3.

7 – Discorsi di Churchill del 13 maggio 1940 e del 18 giugno 1940.

8 – Un’opera ufficiale di storia sovietica, pubblicata negli anni ’70, la esprimeva in questo modo: “La guerra ha dimostrato la superiorità del sistema sociale e statale socialista sovietico… La guerra ha ulteriormente dimostrato l’unità sociale e politica del popolo sovietico… Ancora una volta ha sottolineato l’importanza del ruolo guida e organizzativo del Partito Comunista nella società socialista. Il Partito Comunista ha consolidato milioni di persone nella loro lotta contro gli aggressori fascisti… La dedizione disinteressata dimostrata dal Partito Comunista durante gli anni della guerra ha ulteriormente consolidato la fiducia, il rispetto e l’amore di cui gode tra il popolo sovietico”. (K. Gusev, V. Naumov, The USSR: A Short History [Moscow: Progress, 1976], p. 239.); Stalin stesso ha sottolineato che la vittoria dell’URSS nella seconda guerra mondiale ha dimostrato la superiorità del sistema sovietico su quello degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e di altri paesi. Nel suo discorso “elettorale” del 9 febbraio 1946, il premier sovietico disse: “… L’ordine sociale sovietico si è dimostrato più stabile e capace di durare di un ordine sociale non sovietico… l’ordine sociale sovietico è una forma migliore di organizzazione, una società superiore a qualsiasi ordine sociale non sovietico”. Inoltre, continuò, l’esito della guerra dimostrò “che il sistema statale sovietico è un sistema di organizzazione statale in cui la questione nazionale e il problema della collaborazione tra le nazioni sono stati risolti meglio di qualsiasi altro stato multinazionale”. (https://stars.library.ucf.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1311&context=prism)

9 – Norman Davies, No Simple Victory (New York: 2007), pp. 24, 25, 276, 484-485; John Erickson, The Road to Berlin (Yale Univ. Press, 1999), p. ix (prefazione); si stima che le perdite sovietiche nell’offensiva di Berlino di tre settimane, dal 16 aprile all’8 maggio 1945, siano state maggiori del totale dei morti americani nella Seconda guerra mondiale e maggiori delle perdite degli alleati occidentali nell’intero 1945. HP Willmott, The Great Crusade: A New Complete History of the Second World War (New York: The Free Press, 1990), p. 452; secondo lo storico John Lukacs: “La loro [dei russi sovietici] resistenza e vittoria sui tedeschi è stata la loro più grande – anzi, la loro unica – grande conquista durante i settantaquattro anni di comunismo sovietico”. J. Lukacs, La fine del XX secolo e la fine dell’era moderna (New York: 1993), p. 55.

10 – Lo storico britannico JFC Fuller definì la Carta Atlantica “propaganda di prima classe, e probabilmente la più grande bufala della storia”. JFC Fuller, A Military History of the Western World,  Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 453.

11 – R. Conquest, The Great Terror: A Reassessment (Oxford Univ. Press, 1990), p. 48. Vedi anche: N. Davies, No Simple Victory  (2007), pp. 64-67.

12 – Nove anni dopo la fine della guerra, l’ex presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover ricordò le sue precedenti critiche alla politica di Franklin Roosevelt di aiutare l’Unione Sovietica: “Nel giugno 1941, quando la Gran Bretagna era al sicuro dall’invasione tedesca grazie alla deviazione di Hitler per attaccare Stalin, ho affermato che la burla più grande di tutta la storia sarebbe stata quella di dare aiuto al governo sovietico. Ho sostenuto che avremmo dovuto permettere a quei due dittatori di esaurirsi a vicenda. Ho affermato che il risultato della nostra assistenza sarebbe stato quello di diffondere il comunismo … Le conseguenze hanno dimostrato che avevo ragione”. Discorso a West Branch, Iowa, 10 agosto 1954. Herbert Hoover, Addresses Upon the American Road (Stanford Univ. Press, 1955), p. 79; Vedi anche: Sean McMeekin, Stalin’s War: A New History of World War II (New York: Basic Books, 2021)

13 – In “Prelude to War”, il primo della serie “Why We Fight” di film di propaganda bellica del governo statunitense, agli spettatori viene detto che la seconda guerra mondiale è una “lotta tra un mondo libero e un mondo schiavista”. Una citazione da un discorso dell’8 maggio 1942 del vicepresidente Henry Wallace appare sullo schermo, con una mappa del mondo come sfondo: “Questa è una lotta tra un mondo libero e un mondo schiavista”. ( https://www.youtube.com/watch?v=t2ii2TCFVvA ). La serie di film “Why We Fight” è stata prodotta dal 1942 al 1945 dal Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti (che in seguito divenne il Dipartimento della Difesa), per la visione di tutto il personale militare statunitense e del pubblico in generale.

14 – Oltre all’Unione Sovietica e agli stati fantoccio sotto il dominio coloniale britannico, i paesi “non democratici” dell’alleanza alleata includevano Cina, Brasile, Cuba ed Egitto.

15 – P. Fussell, Wartime (New York: 1989), p. ix (prefazione).

16 – Vedi, ad esempio: Max Hastings, Bomber Command (New York: 1979); Giles MacDonogh, After the Reich (2007); N. Davies, No Simple Victory (2007), pp. 67-72; Alfred M. de Zayas, The German Expellees: Victims in War and Peace (New York: 1993); Frederick JP Veale, Advance to Barbarism (IHR, 1993); Jörg Friedrich, The Fire: The Bombing of Germany, 1940-1945 (Columbia University Press, 2006); Ralph F. Keeling, Gruesome Harvest (Chicago: 1947).

17 – Edgar L. Jones, “One War is Enough,” The Atlantic , febbraio 1946. ( http://tmh.floonet.net/articles/nonatlserv.shtml ). Citato anche in P. Fussell, Thank God for the Atom Bomb and Other Essays (New York: 1988), pp. 50-51.

18 – Lettera di Jackson a Truman, 12 ottobre 1945. Citato in: Robert E. Conot, Justice at Nuremberg (New York: 1983), p. 68. Vedere anche: James McMillan, Five Men at Nuremberg (Londra: 1985), pp. 67, 173-174, 244-245, 380, 414-415.

19 –  “The Nuremberg Judgment,” editoriale, The Economist (Londra), 5 ottobre 1946. Citato in: M. Weber, “The Nuremberg Trials and the Holocaust,” The Journal of Historical Review , estate 1992, p. 176 (https://ihr.org/jhr/v12/v12p167_Webera.html)

20 – Winston Churchill, La seconda guerra mondiale, Vol. 6. Trionfo e tragedia (Londra: 1954), p. 198.

21 –  Memorandum dell’incontro Roosevelt-Molotov, 29 maggio 1942 (https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1942v03/d470 ) Pubblicato in: Foreign Relations of the United States, 1942, Europe, vol. III (Washington, DC: USGPO, 1961), pp. 572-573; il leader francese Charles de Gaulle incontrò il presidente Roosevelt a Washington nel luglio 1944. In seguito ricordò: “Dietro la sua maschera patrizia di cortesia, Roosevelt mi considerava senza benevolenza. [Egli] intendeva che la pace fosse una pace americana, convinto che dovesse essere lui a dettarne la struttura, che gli stati che erano stati invasi avrebbero dovuto essere soggetti al suo giudizio e che la Francia in particolare avrebbe dovuto riconoscerlo come suo salvatore e suo arbitro”. R. Dallek, The Lost Peace (2010), pp. 41-42. Le memorie di guerra di De Gaulle sono citate come fonte.

22 – H. Zinn, Storia popolare degli Stati Uniti (New York: HarperCollins/Perennial, 2001), pp. 424-425.

23 – Nel suo discorso trasmesso a livello nazionale del 29 dicembre 1940, il presidente Roosevelt disse agli americani che “i padroni nazisti della Germania” stavano cercando di “schiavizzare l’intera Europa e poi usare le risorse dell’Europa per dominare il resto del mondo”. Nel suo discorso del 27 maggio 1941, Roosevelt disse che “i nazisti” cercavano di “dominare il mondo”. Il 25 ottobre 1941, il sottosegretario di Stato americano Adolph Berle disse agli americani che Hitler e i nazisti “progettavano di conquistare il mondo intero”. In un discorso trasmesso a livello nazionale due giorni dopo, il presidente emise forse la sua affermazione più stravagante sui presunti piani nazisti di conquistare il mondo. Vedi: M. Weber, “Roosevelt’s ‘Secret Map’ Speech”, The Journal of Historical Review , primavera 1985. Vedi anche: Thomas A. Bailey e P. Ryan, Hitler vs. Roosevelt (1979), in particolare. pp. 199-203; Ted Morgan, FDR: A Biography (New York: 1985), pp. 602-603; M. Weber, “Collusion: Franklin Roosevelt, British Intelligence, and the Secret Campaign to Push the US Into War.” Febbraio 2020; “Dagli archivi tedeschi catturati, non ci sono prove a sostegno delle affermazioni del Presidente secondo cui Hitler contemplava un’offensiva contro l’emisfero occidentale e, finché l’America non entrò in guerra, ci sono abbondanti prove che questa fosse l’unica cosa che desiderava evitare.” JFC Fuller, A Military History of the Western World , Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 629.

24 – TA Bailey, The Man in the Street (1948), pp. 11-13. Citato in: WH Chamberlin, America’s Second Crusade (1962), p. 123. Vedere anche: Joseph P. Lash, Roosevelt and Churchill, 1939-1941 (New York: 1976), pp. 9, 10, 420, 421.

25 – C. Tansill, Back Door to War (1952), pp. 606-615; JP Lash, Roosevelt e Churchill, 1939-1941 (New York: 1976), pp. 298, 323, 340, 344, 392, 418, 419, 421; TA Bailey e PB Ryan, Hitler contro Roosevelt (1979), pp. 166, 265, 268; T. Morgan, FDR: A Biography (1985), pp. 589, 601; Frederic R. Sanborn, “Roosevelt è frustrato in Europa”, in HE Barnes, a cura di, Perpetual War for Perpetual Peace (1993), pp. 219-221; James McMillan, Cinque uomini a Norimberga (Londra: 1985), pp. 173-174; WH Chamberlain, La seconda crociata americana (1950), pp. 124-147 (Cap. 6).

26 – Allan Nevins, Henry Steele Commager, Una storia tascabile degli Stati Uniti (New York: Washington Square Press, 1986), p. 433.

27 – JFC Fuller, Storia militare del mondo occidentale , Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 416.

28 – JFC Fuller, Storia militare del mondo occidentale , Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 416.

29 – Lewis H. Lapham, “America’s Foreign Policy: A Rake’s Progress,” Harper’s , marzo 1979. Citato in: Studs Terkel, “The Good War” (New York: 1984), p. 8; Vedi anche: R. Dallek, The Lost Peace (2010), pp. 95 -96, 147.

30 – BM Russett, Nessun pericolo chiaro e presente (1972), pp. 19, 20, 42.

31The Economist (Londra), 11 agosto 1945. Citato in: JFC Fuller, A Military History of the Western World , Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 631.

32 – Basil H. Liddell Hart, Storia della seconda guerra mondiale (New York: GP Putnam’s Sons, 1971), p. 3.

33 – Winston Churchill, La seconda guerra mondiale, Vol. 1. The Gathering Storm (Boston: 1946), pp. iv-v (prefazione).

34 – HP Willmott, The Great Crusade: A New Complete History of the Second World War (New York: 1990), pp. 102-103, 474, 476.; durante la seconda guerra mondiale, il presidente americano promosse ripetutamente la sua visione dell’ordine globale universalista che gli Stati Uniti, insieme all’URSS e ad altri paesi, avrebbero creato dopo la fine del conflitto. Nel suo discorso radiofonico del 3 settembre 1942, all'”International Student Assembly”, Franklin Roosevelt spiegò che la “civiltà occidentale” è un concetto obsoleto e che gli Stati Uniti e gli altri governi delle “Nazioni Unite” devono invece creare una “civiltà mondiale” di “libertà ed equità” per “tutta l’umanità”. Disse: “… Oggi la gioventù assediata della Russia [sovietica] e della Cina sta realizzando una nuova dignità individuale, liberandosi degli ultimi anelli delle antiche catene del dispotismo imperiale che li avevano legati così a lungo. Questo è uno sviluppo di importanza storica. Ciò significa che il vecchio termine “Civiltà occidentale” non è più valido. Gli eventi mondiali e le esigenze comuni di tutta l’umanità stanno unendo la cultura dell’Asia con la cultura dell’Europa e delle Americhe per formare, per la prima volta, una vera civiltà mondiale. Nel concetto delle Quattro Libertà, nei principi fondamentali della Carta Atlantica, ci siamo prefissati obiettivi elevati, traguardi illimitati. Questi concetti e questi principi sono progettati per formare un mondo in cui uomini, donne e bambini possano vivere in libertà e in equità e, soprattutto, senza paura degli orrori della guerra”.

35 – Charles A. Lindbergh, I diari di guerra di Charles A. Lindbergh (New York: 1970), pp. xiv-xv.

36 – JFC Fuller, Storia militare del mondo occidentale , Vol. 3 (New York: DaCapo, 1987), p. 631.

37 – Studs Terkel, “La buona guerra” (1984), p. 193.

38 – Murray N. Rothbard, “Harry Elmer Barnes, R.I.P.”, Sinistra e Destra , 1968. ( https://mises.org/mises-daily/harry-elmer-barnes-rip )

39 – Ad esempio, in una conferenza stampa del 28 luglio 1965, il presidente Johnson disse che “le lezioni della storia” dimostravano che la “resa” in Vietnam non avrebbe portato la pace. “Abbiamo imparato da Hitler a Monaco”, disse, “che il successo alimenta solo l’appetito dell’aggressione. La battaglia si rinnoverà in un paese e poi in un altro paese…”

40 – Presidente George W. Bush. Discorso sullo stato dell’Unione “Asse del male”, 29 gennaio 2002; George W. Bush, Discorso inaugurale, 20 gennaio 2005: “Quindi è politica degli Stati Uniti cercare e sostenere la crescita di movimenti e istituzioni democratiche in ogni nazione e cultura, con l’obiettivo finale di porre fine alla tirannia nel mondo.”; vedere anche: Bob Woodward, Plan of Attack (New York: Simon & Schuster, 2004).

41 – Discorso sullo “stato dell’Unione” del presidente Biden, 7 marzo 2024.

42 – George F. Kennan, La Russia e l’Occidente sotto Lenin e Stalin (New York: Mentor, 1961), p. 346.

 

Informazioni sull’autore

Mark Weber ha studiato storia presso l’Università dell’Illinois (Chicago), l’Università di Monaco, la Portland State University e l’Università dell’Indiana (MA). È direttore dell’Institute for Historical Review.

Questo articolo si basa su un discorso tenuto in un incontro dell’IHR a Costa Mesa, California, il 24 maggio 2008. Il testo è stato aggiornato e rivisto ad aprile e agosto 2024.

 

Per ulteriori letture

Michael CC AdamsLa migliore guerra di sempre: America e seconda guerra mondiale . Johns Hopkins Univ. Press, 1994

Thomas A. Bailey, Paul B. Ryan, Hitler contro Roosevelt: la guerra navale non dichiarata . New York: The Free Press, 1979

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Harry Elmer Barnes, a cura di, Guerra perpetua per la pace perpetua . Institute for Historical Review, 1993

Patrick J. BuchananChurchill, Hitler e ‘La guerra inutile’: come la Gran Bretagna perse il suo impero e l’Occidente perse il mondo . New York: Crown, 2008

Edward Hallett CarrLa crisi dei vent’anni. New York: 1939 e 1964

William H. ChamberlainLa seconda crociata americana . Chicago: 1950, e Indianapolis: 2008

Benjamin ColbyFu una famosa vittoria . Arlington House, 1975

George N. CrockerLa strada di Roosevelt verso la Russia . Regnery, 1961

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Paul FussellWartime: Comprensione e comportamento nella seconda guerra mondiale . New York: 1989

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Giles MacDonoghDopo il Reich: la brutale storia dell’occupazione alleata . Basic Books, 2007

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Studs Terkel“La buona guerra”: una storia orale della seconda guerra mondiale . New York: Pantheon, 1984

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Tradotto dall’inglese

Fonte: IHR

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