Nella Repubblica delle Banane l’assurdo costituisce la normalità, l’illogico rimpiazza il razionale, il futile soffoca ciò che è davvero importante.
Prendendo in considerazione soltanto i tempi più recenti, spicca, per esempio, il caso di un tizio libico, per il quale la “Corte penale internazionale” ha emesso un mandato d’arresto, che prima viene arrestato e poi rispedito a casa con un volo di Stato per decisione del Governo.
I ministri competenti giustificano quanto sopra con motivazioni contraddittorie. Nessuno ha il coraggio di dire chiaro e tondo che il tizio suddetto rappresenta una patata bollente, che, a conti fatti, è meglio togliersi dalle scatole e che, in tutto il mondo, le sentenze della costosissima quanto inutile “Corte penale internazionale” si rispettano solo se vi è una convenienza politica per farlo e si disattendono liberamente se tale convenienza non sussiste.
Ne è una prova lampante il mandato d’arresto emesso dalla stessa Corte nei confronti del capo del Governo israeliano e di un suo ministro. Tale provvedimento ha scatenato il caos internazionale, con governi che hanno assicurato il suo rispetto, altri che hanno dichiarato che se ne faranno beffe, altri ancora che hanno traccheggiato senza esprimersi, perché, hanno detto, ci devono pensare (sine die). Nella Repubblica delle Banane sono state accolte tutte queste posizioni: un ministro ha invitato il capo dei giudei assicurandogli che sarà ricevuto con tutti gli onori (così come ha fatto recentemente il pazzoide che alla Casa Bianca è subentrato al manichino imbalsamato che l’occupava prima; e che però ora deve saldare il conto a chi l’ha fatto eleggere), un altro, pur a malincuore, ha dichiarato che, se verrà, dovrà essere arrestato, un altro ancora che tale arresto sarebbe “irrealizzabile”, senza peraltro precisarne il motivo, anzi, guardandosi bene dal farlo.
Dal canto loro le “opposizioni” hanno strepitato allo scandalo per la vicenda del libico, mentre hanno prudentemente taciuto su ciò che riguarda l’israeliano, nessun commento, nessuna obiezione: i princìpi morali, politici e giuridici dell’opposizione, al pari di quelli del Governo, sono molto flessibili, si adattano facilmente al tempo, al luogo e alle persone. E ciò è perfettamente comprensibile, perché sono tutti parenti, in quanto fanno tutti parte della grande famiglia dell’antifascismo; anche se, particolarmente per loro, vale il detto “parenti serpenti”.
Comunque il caso del libico ha dato esca alla magistratura per attaccare il Governo, reo di stare progettando di dare una modestissima limatura agli immensi poteri della stessa: sia sabotando il fantomatico “progetto Albania”, sia con una denuncia presentata contro vari ministri da un procuratore che si è visto privare della possibilità, finora goduta, di usufuire dei voli di Stato per i suoi spostamenti al modico prezzo di circa 13.000 euri cadauno; cui è seguita quella, certamente indotta, del “rifugiato sudanese”, il quale, signorinilmente vestito e apparendo in splendida forma, ha dichiarato davanti ai microfoni di essere stato torturato dal libico in questione, il quale, per tale ragione, non doveva essere rilasciato; e ha manifestato in tal modo la sua profonda gratitudine verso chi lo ha “accolto” e rimesso a nuovo.
Nel frattempo i sindacati, in particolare quelli dei trasporti pubblici, hanno rispolverato gli scioperi politici, accompagnati da veri e propri sabotaggi alla rete ferroviaria, per mettere in crisi l’odiato ministro dei trasporti e delle infrastrutture, al quale tali azioni non torcono un capello, ma provocano in compenso grossi disagi ai cittadini.
L’attacco concentrico opposizioni-sindacati-magistratura contro il Governo, al contrario del passato, non ha comunque alcuna probabilità di successo, perché esso si è fin da subito premurato di stringere una solida alleanza, sia pure in posizione del tutto subordinata, con Tel Aviv, Washington e Bruxelles, alleanza che lo rende invulnerabile; e ciò provoca uno stato di profonda frustrazione nell’opposizione, che più di qualche inutile caciara non riesce a fare, anche per l’assoluta inettitudine dei suoi capi.
Peraltro nella Repubblica delle Banane, la magistratura è onnipotente: a differenza di qualsiasi altro comune mortale, i giudici, nel loro lavoro, possono sbagliare e prendere decisioni assurde che possono provocare enormi danni materiali e personali ai cittadini (come la scarcerazione o la comminazione di pene irrisorie a delinquenti che una volta liberi reiterano il reato), senza per questo doverne rispondere. Sono però inflessibili nei confronti dell’antisemitismo (si può essere “anti” tutto e tutti, ma antisemiti no e poi no, non si può) e di chi difende la propria famiglia e i propri beni dall’aggressione di criminali: se spara, scatta automaticamente, come minimo, l’accusa di “eccesso di legittima difesa”, se non quella di omicidio volontario.
Da ciò non sono immuni neppure i tutori dell’ordine: i carabinieri che hanno inseguito due mascalzoni stranieri che fuggivano in motorino zigzagando tra veicoli e pedoni e che si sono schiantati contro un semaforo provocando la morte di uno di loro, si sono visti appioppare l’accusa di omicidio, cosa che, oltre tutto, ha fatto sì che parenti, amici e connazionali del defunto si sentissero autorizzati ad organizzare violente manifestazioni di protesta per la morte del “martire”; così come il carabiniere che ha ucciso un folle straniero, il quale, dopo avere ferito quattro passanti scelti a caso, si stava scagliando contro di lui armato di coltello, incurante dei colpi di avvertimento sparati dal militare.
La politica ha però una posizione preminente nell’interesse di molti magistrati, che, dovendo applicare le leggi, si preoccupano di come le leggi vengono formulate, anche se ciò non è propriamente di loro competenza; e se non ne sono soddisfatti scioperano al pari dei ferrovieri e dei metalmeccanici. Pazienza se poi tutto ciò sottrae loro il tempo di occuparsi dei casi dei comuni cittadini, col risultato che molti procedimenti penali si trascinano per lustri e molti procedimenti civili per decenni.
Nel frattempo i clandestini, pudicamente chiamati “immigrati irregolari”, compresi quelli pluripregiudicati, sono liberi di sciamare da un angolo all’altro del territorio della Repubblica delle Banane, compiono a ripetizione reati che non sempre vengono perseguiti e, nei rari casi in cui viene comminato a qualcuno di loro un provvedimento di espulsione, col decreto ci incartano il pesce e restano dove sono. Se poi, nell’ancora più raro caso, vengono effettivamente espulsi, non hanno di che preoccuparsi: cambiate le generalità, possono ritornare col prossimo barcone in partenza e riprendere l’attività momentaneamente interrotta.
Tutto ciò in nome della “accoglienza”, la parola d’ordine ossesivamente lanciata dal “santo padre” (che fa leva sul sentimentalismo dei bigotti), dall’ “amabile” capo dello Stato (che fa eco ai temi cari ai “sinistri”, dai quali proviene) e dalla “sopravvissuta” senatrice a vita (che da anni, con atteggiamento professorale, si impegna pazientemente nella didattica, insegnando ai cittadini ciò che secondo lei devono fare e devono pensare per essere bravi cittadini). Ovviamente tale invito essi lo rivolgono agli altri, perché non risulta che qualcuno di loro abbia “accolto” chicchessia a casa propria.
Il Governo, però si vanta di “difendere i confini della Patria”; questo perché nel 2019 uno degli attuali “vice-premier” ha impedito per ben 19 giorni lo sbarco, poi regolarmente avvenuto, di 147 clandestini (peraltro rischiando per tale labile intralcio 6 anni di galera), perché in questo periodo c’è stato un calo naturale degli sbarchi (ovviamente destinato a non durare) rispetto alla punta di diamante del 2023, di cui esso si attribuisce abusivamente il merito e perché lo stesso Governo ha fatto costruire in Albania un “centro di accoglienza”.
Tale “centro”, grazie alla guerra tra Governo e magistratura, si è tradotto in una sorta di “bed-and-breakfast” per alcuni, in verità pochissimi, dei nuovi invasori, i quali possono così usufruire gratuitamente, oltre alla successiva completa “accoglienza”, di un breve soggiorno in Albania e di una piacevole crociera di andata e ritorno nel Canale d’Otranto a bordo di navi militari appositamente destinate a tale compito ed attrezzate per fornire loro ogni comodità.
Questo ed altro è ciò che accade nella Repubblica delle Banane, ma i cittadini, cloroformizzati e rincoglioniti fin dalla nascita dalla propaganda e dall’ “educazione” loro imposta del Sistema, non dànno segno di preoccuparsene affatto: in fondo hanno il Festival di Sanremo (parata di individui repellenti, talmente tossici da richiedere per il loro smaltimento il trattamento per i rifiuti speciali pericolosi), il campionato nazionale di calcio (giocato in prevalenza da stranieri), la droga, i tatuaggi, gli anelli al naso, alle orecchie o altrove (cose che favoriscono l’ “integrazione” con gli aborigeni delle Isole Papua e gli Swazi dello Zimbabwe), in attesa che diventi di moda la sveglia al collo; ma, soprattutto, hanno “facebook” et similia (per far sapere agli amici, ma anche ai servi del Sistema, cosa fanno, dove sono, cosa pensano e cosa progettano) e tutto ciò a loro basta e avanza, che altro possono volere?
Ah, nella Repubblica delle Banane non sono buone neppure le banane: robaccia di frigorifero, senza alcun sapore.
Giuliano Scarpellini