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PREMESSA
Dopo l’occupazione di Varsavia importanti sezioni dell’archivio dell’ex Ministero degli Esteri polacco sono cadute in mano tedesca. Il Ministero degli Esteri del Reich ha incominciato l’esame dell’abbondante documentazione e la pubblicherà, in quanto essa abbia un’importanza per la storia dei precedenti della guerra oppure offra un interesse generale. Viene ora qui pubblicata in fac-simile, con la corrispondente traduzione, la prima serie di questi documenti. I documenti parlano da sé e non hanno bisogno di alcun commento.
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DOCUMENTO N. 1
Telegramma dell’ambasciatore britannico a Varsavia, sir Howard Kennard, a Londra, 2 aprile 1935(1)
Quanto segue dal signor Eden.
Ho avuto questo pomeriggio una conversazione con il maresciallo Pilsudski. La conversazione non è stata facile da sostenere, perchè una gran parte delle osservazioni del maresciallo, fatte tutte in lingua francese, erano incomprensibili sia a me che ai due ministri polacchi presenti. Molte delle sue osservazioni consistevano in reminiscenze; egli si informò anche delle mie esperienze di guerra e fece degli elogi sull’esercito britannico in guerra.
Il principale tema politico che si può rilevare nella conversazione è che egli ha il suo patto con la Germania e con la Russia, che la po1itica di quest’ultimo paese è sempre stata molto difficile da comprendere, che altre nazioni l’hanno spesso fraintesa e che il signor Lloyd Gcorge, in particolare, era un esempio tipico di questi errori di giudizio. Egli citò, come esempio, l’appoggio accordato da Lloyd George a Denikin. I1 maresciallo dice di aver sempre saputo che Denikin non aveva alcuna probabilità di successo ma che il signor Lloyd George si era ingannato sulla situazione in modo deplorevole. Sembrava che il maresciallo desiderasse che la Gran Bretagna si occupasse delle sue colonie e non seguisse il cattivo esempio di Lloyd George. Quale era, ad esempio, egli chiese, 1a situazione politica nelle isole di Giamaica? Risposi che se l’Europa non era più importante delle isole di Giamaica, non avremmo avuto motivo di preoccuparci. Domandai al maresciallo se, secondo il suo modo di vedere, la Gran Bretagna non aveva altra alternativa fra l’isolazionismo…. Il maresciallo rispose che, secondo lui, non vi era alcuna altcrnativa del genere. Gli dissi che, da parte nostra, noi non desideravamo nulla di meglio che di lasciare l’Europa alle sue difficoltà; ma che l’esperienza cì aveva insegnato che queste difficoltà avevano la spiacevole caratteristica di coinvolgere anche il nostro paese. Il maresciallo non mi contraddisse.
Ho avuto l’impressione di un uomo attualmente molto debole fisicamente, il quale nonostante la sua… In ogni modo, egli non si lasciò trascinare in una discussione delle questioni politiche correnti. Sembra che egli giudichi la situazione del suo paese, nellc attuali circostanze, come quella di un paese che rimane attaccato ai suoi patti con ciascuno dei grandi vicini e che rifiuta di mutare il suo atteggiamento o di prendere in considerazione qualsiasi avvenimento che possa metterlo nella necessità di rivedere l’atteggiamento assunto.
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(1) Il documento che precede, riprodotto in fac-simile, venne trovato fra gli atti polacchi.Evidentemente si tratta di un telegramma dell’ambasciatore britannico a Varsavia al Foreign Office a Londra.
DOCUMENTO N. 2
Lettera dello Stato Maggiore polacco (sezione 2) a Varsavia al Ministero degli Esteri a Varsavia, 8 agosto 1938
STATO MAGGIORE – SEZIONE II
773I/IL S.O
Varsavia, 8 agosto 1938
(Segreto)
Al Ministero degli Affari Esteri Dipartimento Politico Varsavia
Trasmetto, per conoscenza, al signor direttore copia del rapporto de1 nostro addetto militarc a Lisbona e prego di darmi delle direttive circa il mio atteggiamento nei riguardi delle opinioni degli ufficiali stranieri riportate nel rapporto.
1 Allegato
Il capo della Sezione IV del Reparto Il dello Stato Maggiore, Banach, tenente colonnello, dipl.
COME VIENE GIUDICATA LA SITUAZIONE INTERNAZIONALE NEL PORTOGALLO
La missione inglese che svolge la sua attività nel Portogallo si occupa in questo momento di fissare le linee generali della collaborazione militare tra il Portogallo e l’Inghilterra. L’ammiraglio Wodehouse espose ai capi di Stato Maggiore dell’esercito e della marina del Portogallo le esigenze inglesi, ma il Governo e il Ministero della Guerra hanno sabotato tutti i progetti; la missione non ha ricevuto neppure una risposta alle sue proposte. L’ammiraglio Wodehouse ha conferito poi con l’ambasciatore inglese Selby, il quale gli ordinò di essere calmo e riservato. Infine, l’ammiraglio Wodehouse inviò un rapporto direttamente a Londra, a proposito del quale egli disse quanto segue: “Ho chiesto a Londra se dovevo già puntare loro la pistola suì petto oppure se dovevo ancora attendere. In tutti i casi, ora mi presento a loro in modo più energico”.
Il generale portoghese Peixote e Cunha, il quale sta attuando la riforma dell’esercito quale uomo di fiducia di Salazar, mi dichiarò che:
– il Portogallo vede il suo avvenire soltanto nell’appoggio che gli viene dato dall’alleanza con l’Inghilterra;
– che la Spagna, indipendentemente dal risultato degli avvenimenti spagnoli, rappresenta per il Portogallo una minaccia permanente. Nel Portogallo si vedrebbe volentieri un indebolimento della Spagna, magari a costo della separazionc della Catalogna.
Il tenente colonnello Chamberlain, uno dei membri della missione militare inglese, parlò del pericolo di una guerra europea e si espresse nel modo seguente: “Noi siamo perfettamente al corrente del bluff della Germania e dell’Italia. Come i membri più giovani del nostro Stato Maggiore, anch’io sono personalmente del parere che noi dovremmo iniziare la guerra, e precisamente subito” . Egli giustificò questa dichiarazione dicendo che la Germania non avrebbe potuto agire di sorpresa con nuovo materiale da guerra, che l’esercito non era preparato, poiché mancava soprattutto dei quadri necessari, che il vecchio materiale corazzato e di aviazione aveva poco valore e chc anche con unità rimodernate, rispettivamente con unità nuove, sarcbbe stato insufficiente; espose inoltre la situazione economica e morale del paesc (possibilità della caduta del regime). La Germania aveva mancanza di minerale, di olio, di caucciù c di generi alimentari. L’eventuale alleata Italia si trovava in un situazione ancora pcggiore, poichè essa non dispone affatto di materie prime. Dichiarò che nelle attuali circostanze una guerra è inevitabile in futuro. E’ dunque meglio cominciarla subito, mentre prcsenta meno pericoli. In questo momento l’Inghilterra può contare su una stretta collaborazione dell’America.
Chiesi a Chamberlain se in questo caso l’Inghiltcrra avesse intenzione di introdurre il servizio militare obbligatorio. Mi rispose che non era il caso, poiché si riteneva che l’aiuto inglese sarebbe stato maggiormente utile nelle forme seguenti:
– partecipazione della marina e dell’aviazione nonchè dei carri armati;
– aiuto economico e industriale.
Naturalmente, nel corso della guerra, questa forma di aiuto potrebbe estendersi a una mobilitazione generale.
Il colonnello Daly della missione militare inglese è ottimista circa i prevedibili risultati dei lavori della missione. Mi fece comprendere che l’Inghilterra usava mezzi che garantiscono il successo. In questo momento la vendita di materiale da guerra tedesco viene già ostacolata qui in grande misura. Le possibilità che venga ancora acquistato materiale da guerra tedesco vanno giudicate con molto scetticismo. Egli osservò a tale riguardo che le ultime esperienze fatte in Romania col materiale da guerra tedesco sono state sfavorevoli. Il colonnello Daly mi disse che negli ultimi tempi la Germania aveva venduto una certa quantita di armi alla Spagna rossa. Circa le possibilità inglesi egli si espresse in modo analogo al signor Chamberlain, e sottolineò molto enfaticamente i risultati già raggiunti nei riguardi della collaborazione dell’Inghilterra con gli Stati Uniti. A proposito de1 servizio militare obbligatorio disse che l’Inghilterra con la sua preparazione militare, con le esercitazioni di tiro e con la costituzione di numerose associazioni di volontari per la difesa antiaerea, con i servizi di trasporto e di sanità, creava le premesse per un grande aumento del suo esercito. L’Inghilterra organizza su grande stile le riserve strategiche nelle sue colonie, soprattutto in India, dove vengono anche istruite. Da due anni vengono istituite anche scuole di ufficiali per preparare i quadri destinati alla condotta della futura guerra:
– la Centrale degli studi superiori militari per la preparazione dei posti direttivi politici, amministrativi e militari,
– il Collegio imperiale militare per la preparazione ai rispettivi posti di grado inferiore,
– raddoppio del numero degli allievi ufficiali di Stato Maggiore con un corso annuale per gli ufficiali fino al grado di divisione, e con un corso di due anni per i gradi superiori.
In tal modo l’Inghilterra forma un’organizzazione in tutto l’Impero e si prepara alla futura guerra.
Il comandante Gade, addetto navale americano, mi disse da parte sua: “Idealmente noi siamo completamente dalla parte delle democrazie. In questo momento si sta studiando in America la possibilità di portare un rapido aiuto all’Inghilterra e alla Francia; si è giunti alla convinzione l’aiuto non deve essere dato, come nella guerra mondiale, soltanto dopo un anno, quando i primi soldati americani sono intervenuti attivamente, ma che entro 7-10 giorni dall’inizio della guerra dovranno essere inviati 1000 aeroplani”. Il comandante Gade attirò inoltre la mia attenzione sui metodi inammissibili della penetrazione tedesca nell’America del Sud, metodi con i quali gli Stati Uniti non si potevano dichiarare d’accordo. Il comandante Gade è uomo di fiducia e amico personale di Roosevelt. Egli ha rapporti molto stretti con il Belgio e gode dell’amicizia del Re del Belgio. Egli è molto ostile alla Germania. Personalmente è molto ricco.
Dalle conversazioni con Chamberlain, Daly e Gade ho avuto l’impressione che essi hanno l’intima certezza di una stretta collaborazione in caso di conflitto.
Mi sono intrattenuto sovente con gli italiani di qui. Essi erano estremamente nervosi, si interessavano molto del nostro atteggiamento nel futuro conflitto; messi contro il muro essi facevano osservare la minaccia all’umanità e alla civiltà in una futura guerra, che perciò si doveva evitare a qualunque costo.
Durante la presenza qui della flotta francese, il comandante Darieux, sostituto del capo di Stato Maggiore della flotta atlantica, che viene considerato come il futuro capo della marina francese, e che avevo già conosciuto in occasione della sua precedente visita a Lisbona come comandante di un cacciatorpediniere, mi invitò personalmente sulla nave ammiraglia, come anche a visitare la nave portaerei “Béarn”. Insieme al capitano Stefanowicz, noi eravamo gli unici stranieri accompagnati dal ministro francese. “Béarn” era in mezzo al fiume Tejo, lontano da qualsiasi possibilità d’essere vista. Durante la conversazione il comandante Darieux si espresse con abbastanza calma circa la possibilità di un futuro conflitto. Egli sottolineò soprattutto che in Francia i circoli di destra e la stampa di destra avevano una paura esagerata e giudicavano male la situazione. Egli riteneva che lo sbaglio maggiore era il pacifismo delle democrazie, perché a causa di ciò non si può essere i primi a cominciare la guerra. In tal modo si dà all’avversario la carta più preziosa in mano, quella della sorpresa. Ma questa opinione è già stata alquanto superata. Egli ritiene possibile mettersi d’accordo con gli italiani.
In conclusione vorrei sottolineare la tranquillità e la concordanza di vedute dei rappresentanti dell’Inghilterra, della Francia e degli Stati Uniti.
DOCUMENTO N. 3
Lettera del voivoda di Kattowitz, dott. Grazynski, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 2 novembre 1938
IL VOIVODA DELLA SLESIA
Pr. 150 Tj
Kattowitz, 2 novembre 1928
(Segreto)
Signor ministro,
Considero mio dovere comunicare la sostanza del colloquio che si svolse tra il signor Krulis Randa, ex direttore della fabbrica di Trzyniec e il signor Zieleniewski. Tale colloquio riveste una grande importanza, essendo il signor Krulis Randa uno dei massimi esponenti dell’industria cecoslovacca, che fu anche designato recentemente quale candidato alla presidenza della Repubblica cecoslovacca. Allorché egli parlò della politica della Cecoslovacchia, si espresse nei termini seguenti:
“Per mille anni i cechi sono stati un fattore politico nell’insieme del Sacro Romano Impero. Dopo il conseguimento dell’indipendenza sorse in Cecoslovacchia un gruppo di persone che si sforzava di rendere la politica ceca indipendente. La storia li ha spazzati via. Il tentativo è fallito. Adesso, secondo il mio punto di vista, lo Stato ceco deve ritornare alla sua antica funzione di partecipe della sorte politica del Reich tedesco. La politica ceca si svolge in tale direzione”.
Tenuto conto della situazione del signor Krulis Randa tali parole rivestono un valore particolare e stanno a testimoniare le tendenze di cui noi possiamo asservare le manifestazioni anche in altri campi.
Dott. Grazynski
Voivoda
DOCUMENTO N. 4
Relazione dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 21 novembre 1938
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA A WASHINGTON
Washington, 21 novembre 1938
Ogg.: Colloquio con l’ambasciatore Bullitt
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia
L’altro ieri ebbi un lungo colloquio con l’ambasciatore Bullitt, che è qui in permesso. A mo’ d’introduzione egli rilevò le cordiali relazioni che lo legano all’ambasciatore a Parigi, Lukasiewicz e disse di intrattenersi volentieri con lui. Siccome Bullit informa continuamente il Presidente Roosevelt sulla situazione internazionale in Europa e soprattutto sulla Russia, le sue comunicazioni vengono prese in grande considerazione dal Presidente Roosevelt a dal Dipartimento di Stato. Bullitt parla vivacemente e in modo interessante. Tuttavia le sue opinioni sugli avvenimenti europei rispondono più alla concezione di un giornalista che a quella di un politico, poiché nella sua conversazione egli toccò tutta la gamma delle questioni europee più note. Da esse egli trae conclusioni oltremodo negative. In generale Bullitt dimostrò nella sua conversazione un gran pessimismo. Egli disse che la primavera del 1939 sarebbe senza dubbio di nuovo agitatissima, peggiorata ancora dal continuo balenio delle possibilità di guerra e dalle minacce da parte della Germania così come dal pericolo di relazioni torbide in Europa. Egli fu d’accordo con me che il centro di gravità della questione europea si era spostato da occidente verso oriente poiché la capitolazione degli Stati democratici a Monaco aveva dimostrato la loro debolezza verso la Germania.
Quindi Bullitt parlò dell’assoluta impreparazione della Gran Bretagna alla guerra e dell’impossibilità di cambiare l’industria inglese per una produzione di guerra in massa specialmente nel campo dell’industria aeronautica. Circa l’esercito francese egli si espresse con entusiasmo straordinario, pur affermando che la flotta aerea francese era antiquata. Secondo quando gli esperti militari avevano detto a Bullitt durante la crisi dell’autunno dell’anno 1938, una guerra durerebbe almeno sei anni, e terminerebbe, secondo il loro punto di vista, con un completo collasso dell’Europa e con il comunismo in tutti gli Stati. Senza dubbio alla fine chi guadagnerebbe sarebbe la Russia sovietica. Disse in proposito che l’ultima epurazione e specialmente l’allontanamento di Blücher avevano condotto ad un totale disorientamento dell’esercito rosso che era incapace di alcun sforzo bellico attivo. In generale la Russia è, come egli disse, l’attuale uomo malato dell’Europa. Egli la paragonò allo Stato ottomano di prima della guerra.
Sulla Germania e sul Cancelliere Hitler si espresse con la massima veemenza e con forte odio. Egli disse che soltanto la forza e in particolare alla fine di una guerra potrebbe mettere un termine all’insensata espansione tedesca nel futuro. Alla mia domanda come egli si rappresentasse questa futura guerra, egli replicò che soprattutto gli Stati Uniti, la Francia e l’Inghilterra dovevano riarmare in modo gigantesco per fronteggiare la potenza tedesca. Solo quando la situazione sarà matura (continuò Bullitt) si potrà iniziare la lotta decisiva. Gli chiesi in qual modo tale lotta potrebbe avvenire, poiché la Germania presumibilmente non attaccherebbe per prima. Io non vedo semplicemente il punto di attacco in tutta questa combinazione.
Bullitt replicò che le Potenze democratiche avevano assolutamente bisogno di ancora due anni per un completo riarmo. Nel frattempo la Germania avrebbe proseguito probabilmente la sua espansione nella direzione orientale. Sarebbe desiderio delle Potenze democratiche che si giungesse a oriente a una decisione armata tra la Germania e la Russia. Siccome il potenziale bellico dell’Unione sovietica è fin qui ignoto, potrebbe darsi che la Germania si allontani troppo dalle sua basi e sia costretta ad una lunga guerra di indebolimento. Soltanto allora le Potenze democratiche, come pensa Bullitt, attaccherebbero la Germania e la costringerebbero ad una capitolazione.
Ad una mia domanda se gli Stati Uniti parteciperebbero ad una tale guerra egli rispose: “Indubbiamente sì, tuttavia soltanto dopo che l’Inghilterra e la Francia si siano mosse per prime”. L’umore degli Stati Uniti è, come egli disse, così teso contro il nazismo e l’hitlerismo che già oggi regna tra gli americani una psicosi simile a quella che regnava prima della dichiarazione di guerra alla Germania dell’anno 1917.
Bullitt si informò poscia della Polonia e della nostra situazione nell’Europa orientale. Egli affermò che la Polonia è uno di quegli Stati che scenderebbero in campo con le armi se la Germania varcasse le sue frontiere. Io capisco bene, egli disse, la questione di una frontiera comune con l’Ungheria. Gli ungheresi sono in ogni caso un popolo coraggioso, una linea comune di difesa con la Jugoslavia li faciliterebbe notevolmente contro una espansione tedesca.
Quindi Bullitt parlò della questione ucraina e dei tentativi tedeschi in Ucraina. Egli affermò che la Germania aveva un completo Stato Maggiore ucraino che assumerebbe in avvenire il governo in Ucraina e che dovrebbe fondare uno Stato indipendente sotto l’influenza tedesca. “Una simile Ucraina”, continuò Bullitt, “sarebbe per voi pericolosissima, poiché influirebbe direttamente sugli ucraini della Piccola Polonia orientale”. Già oggi, egli disse, la propaganda tedesca si volge verso una direzione totalmente ucraino-nazionalista e come punto di partenza per questa futura impresa deve servire l’Ucraina ruteno-carpatica, la cui esistenza è importante per la Germania, principalmente per ragioni strategiche.
Bullitt si mostrò visibilmente non completamente ben informato circa la situazione dell’Europa orientale e proseguì la conversazione in un modo abbastanza superficiale.
Jerzy Potocki
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 5
Relazione dell’ambasciatore polacco a Parigi, Jules Lukasiewicz, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 17 dicembre 1938
N. 1F/58
Rapporto politico N. XL/3
Parigi, 17 dicembre 1938
(Confidenziale)
Oggetto: Posizione della Francia nei confronti dell’Europa orientale
Al ministro degli Esteri, Varsavia
A completamento dei miei rapporti telegrafici, che ho avuto l’onore di inviare al signor ministro nel corso delle ultime settimane, mi permetto di esporre nel presente rapporto la mia opinione sulla politica estera della Francia dopo la conferenza di Monaco e dopo la visita del signor von Ribbentrop.
L’avvenimento più importante durante questo periodo è stata naturalmente la dichiarazione franco-tedesca firmata a Parigi il 6 dicembre c.a. dal ministro Bonnet e da von Ribbentrop.
Il desiderio francese di migliorare i rapporti con la Germania dopo la conferenza di Monaco, almeno nella misura in cui aveva fatto l’Inghilterra con la pubblicazione del noto comunicato Chamberlain-Hitler, era indubbiamente chiaro e forte. A quanto pare, però, l’iniziativa vera e propria è stata presa dal Cancelliere Hitler nel suo colloquio di congedo con l’ambasciatore Francois-Poncet. Da parte francese questa iniziativa è stata accolta con benevola e evidente soddisfazione, anzi, addirittura con il desiderio di vederla realizzata immediatamente. Quando, alla fine di ottobre, io partii per Varsavia, il ministro Bonnet mi annunciò che la firma e la pubblicazione della dichiarazione avrebbero potuto aver luogo da un giorno all’altro.
Ma queste supposizioni non hanno potuto realizzarsi per due motivi: evidentemente la redazione del testo non è stata priva di difficoltà e, d’altra parte, l’assassinio del segretario d’Ambasciata tedesco a Parigi ha provocato un’interruzione di due settimane nelle trattative. Sembra che le difficoltà nella redazione del testo siano da attribuire agli sforzi del ministro Bonnet di dare alla dichiarazione una redazione tale che riconoscesse non soltanto i confini europei franco-tedeschi, ma anche l’integrità dei possedimenti imperiali della Francia. Il testo definitivo della dichiarazione tiene conto in una certa misura dello scopo che si era prefisso il ministro Bonnet, o per lo meno può essere interpretato in tal senso.
Al momento in cui venne fissato il testo definitivo della dichiarazione, il Governo tedesco prese l’iniziativa di inviare il ministro von Ribbentrop in visita a Parigi. Il ministro Bonnet ha accettato subito favorevolmente questa iniziativa, giacché sia nei riguardi della situazione interna come anche della propaganda estera, egli desiderava dare alla dichiarazione un carattere che fosse il più solenne possibile e creare attorno a questo avvenimento un’atmosfera che lasciasse sperare in una più profonda distensione nei rapporti con il vicino orientale. A causa dello sciopero generale, che era stato annunciato in Francia dalle organizzazioni e dai partiti operai per il 30 novembre, la data della visita del ministro von Ribbentrop, che era già quasi stata fissata, dovette essere ritardata di alcuni giorni. La visita ebbe luogo il 6 dicembre, in un’atmosfera di tranquilla cortesia da parte del Governo e dei circoli politici francesi. Soltanto la stampa d’estrema sinistra la commentò in modo eccessivamente severo. Si ebbe l’impressione che la stragrande maggioranza del mondo politico francese voleva credere nella possibilità di risultati duraturi di una distensione con la Germania; ma la sfiducia era più profonda e più forte e ha finito coll’avere in sopravvento sugli animi. A rafforzare questa sfiducia ha naturalmente contribuito in misura notevole la campagna italiana anti-francese, la quale non ha trovato in Germania una seria reazione.
Attualmente, appena trascorsa una settimana dopo la partenza del ministro von Ribbentrop da Parigi, sono ammutoliti perfino gli echi di questa visita. Essi sono stati sostituiti da nuove agitazioni, suscitate tanto dalla campagna italiana quanto dalla questione di Memel e dal problema dell’Ucraina. Si può constatare con piena certezza che la dichiarazione firmata solennemente aveva tranquillizzato l’opinione francese sul punto meno necessario, e cioè sulla questione dei confini franco-tedeschi. Non ha invece portato nulla di nuovo o di tranquillizzante nel campo delle tendenze espansionistiche della Germania e dell’Italia, che sono quelle che agitano maggiormente l’opinione di questo paese. Bisogna però sottolineare contemporaneamente che per quanto riguarda la posizione del Governo francese di fronte al Parlamento, alla Borsa e all’opinione pubblica, la firma della dichiarazione franco-tedesca ha senza dubbio rafforzato attualmente la posizione del Governo e inoltre ha accentuato le le divergenze fra il Governo del Presidente del ministri, Daladier, e gli elementi di estrema sinistra, con i comunisti in testa.
Per quanto riguarda il giudizio sulla dichiarazione da parte degli ambienti politici ufficiali, esso è estremamente prudente ed è caratterizzato da una grande riserva. Dal colloquio che io ho avuto su questo tema con l’ambasciatore Leger è risultato che da parte francese si è cercato di trattare la distensione franco-tedesca su una base generale europea, vale a dire come punto di partenza di una pacificazioe più vasta dei rapporti fra i paesi di questo continente. Io ritengo più probabile che l’ambasciatore Leger abbia pensato e pensi veramente che attraverso la distensione franco-tedesca e italo-inglese si possa in un modo o in un altro giungere a un patto a quattro. E’ difficile accertare in quale misura le sue idee siano condivise dal ministro Bonnet e dal Governo. Le voci della stampa ufficiosa, che è in stretto contatto con il Quai d’Orsay, lasciano piuttosto presumere che i piani del signor Leger non siano estranei al Governo. Importante è il fatto che l’ambasciatore Leger abbia sempre preso parte alle conversazioni con i rappresentanti della Germania che hanno avuto luogo durante la visita di von Ribbentrop. D’altra parte io posso però dire con assoluta certezza, in base a una esauriente conversazione che ho avuto col ministro Bonnet, che la Francia, se effettivamente ha cercato di trattare la distensione con Berlino su una base europea più vasta, ha avuto a questo riguardo un pieno insuccesso. Nel risultato finale la dichiarazione Bonnet-Ribbentrop deve essere considerata dunque momentaneamente come un atto bilaterale, il cui significato non oltrepassa i rapporti immediati franco-tedeschi. Considerata da questo punto di vista la dichiarazione ha riconosciuto alla Francia i suoi confini orientali ed ha confermato che fra la Germania e la Francia non esistono divergenze di carattere territoriale. Questa constatazione viene interpretata da parte francese come il riconoscimento dell’integrità dell’Impero coloniale senza i paesi sotto mandato. Infine, la dichiarazione ha portato un miglioramento di atmosfera nei rapporti di buon vicinato, il che è importante in relazione ai capitoli del libro “Mein Kampf””, in cui Hitler considera la Francia come il nemico principale della Germania.
D’altra parte si è però constatato che i problemi economici sono talmente complicati che richiedono lunghe trattative, e cioè il miglioramento dell’atmosfera politica non era affatto sufficiente per semplificare i problemi economici e per risolverli rapidamente. Per quanto riguarda il primo e il terzo paragrafo della dichiarazione, essi sono per ora un primum dediderium e forse soltanto di una delle parti e non corrispondono alla realtà. Particolare attenzione merita il fatto che le consersazioni con il ministro von Ribbentrop non hanno portato a nulla di positivo su due questioni veramente importanti per la Francia, quali i rapporti con l’Italia e la questione spagnola, ma che anzi, a quanto pare, non hanno sollevato alcuna speranza per il futuro.
Riassumendo quanto precede, si deve constatare che nell”elaborazione e nella firma della dichiarazione franco-tedesca, la parte francese, seppur in modo discreto, ha cercato di dare a questo avvenimento un significato politico maggiore, mentre la parte tedesca lo ha ridotto a un atto eminentemente bilaterale. E’ dunque chiaro che l’ulteriore sorte della dichiarazione dipenderà completamente da Berlino, poiché è difficile supporre che le intenzioni della politica francese subiscano un mutamento fondamentale.
*
La dichiarazione franco-tedesca, come anche la visita del ministro von Ribbentrop a Parigi, sin dal momento in cui venne presa la loro iniziativa, sono stati i primi avvenimenti politici che hanno gettato luce sull’insieme della politica francese dopo la sconfitta di Monaco, e, in particolare, sul suo atteggiamento nei riguardi dell’Europa centrale e orientale. La prima notizia della prevista firma della dichiarazione interruppe il silenzio che era stato osservato dopo Monaco da quasi tutta la stampa francese sull’atteggiamento della Francia circa la alleanza con noi, nonché circa il patto di mutua assistenza con l’Unione sovietica. I primi a parlare furono i più ardenti partigiani di una collaborazione con l’Unione sovietica, cioè “L’Humanité”, il “Populaire”, “L’Ocuvre”, “L’Ordre”, ecc., compreso Pertinax e la signora Tabouis. Tutti difendevano il patto franco-sovietico, ma non potevano mettere la nostra alleanza sullo stesso piano. La stampa di destra e la stampa ufficiosa continuavano invece a tacere, oppure constatavano, come il “Temps” e il “Petit Parisien”, che il problema essenziale consisteva per la Francia soltanto nei rapporti franco-inglesi, mentre invece il valore dell’alleanza con la Polonia e del patto con la Russia sovietica era, nella nuova situazione, per lo meno dubbio. Il “Temps”, nei suoi articoli di fondo, si è inoltre espresso più volte nel senso che non bisognava opporsi a un Impero tedesco nell’Europa centrale e orientale.
Parallelamente, il progetto della dichiarazione franco-tedesca ha sollevato la questione degli impegni internazionali della Francia nei circoli governativi, dove vi erano uomini politici pro-russi, come Mandel, i quali si preoccupavano di sapere se questa dichiarazione fosse conciliabile con la nostra alleanza e con il patto con l’Unione sovietica. Infine, il ministro Bonnet si indusse a parlare con me su questo problema, e probabilmente altrettanto fece con gli ambasciatori sovietico e belga.
La prima di queste conversazioni ebbe luogo prima che il ministro Bonnet si fosse dichiarato d’accordo con il testo definitivo della dichiarazione. Il ministro Bonnet mi lesse il progetto della dichiarazione accompagnandolo con il commento orale che la riserva concernente i rapporti con terzi Stati comprendeva anche i rapporti con noi. Ritornammo una seconda volta su questo problema quando io consegnai al ministro Bonnet la risposta del signor ministro al comunicato anzidetto (del 28 novembre). Il ministro Bonnet teneva in mano il testo siglato della dichiarazione del signor ministro e confermò che l’interpretazione ivi contenuta dal punto di vista del Governo francese nei riguardi dell’alleanza con noi era perfettamente esatta. Infine mi informò sul suo colloquio col signor von Ribbentrop e sottolineò spontaneamente di avere espresso al firmatario tedesco l’inutilità tanto dell’alleanza con noi quanto del patto con l’Unione sovietica.
Inoltre sembra che l’eco che ha avuto nella stampa la seduta della Commissione parlamentare per gli Affari Esteri del 14 del corrente mese, stia a dimostrare che il ministro Bonnet, nonostante che nel suo esposto non abbia menzionato l’alleanza con noi né il patto con l’Unione sovietica, abbia tuttavia risposto alle domande che gli sono state rivolte, che gli impegni della Francia verso di noi e verso l’Unione sovietica continuavano a permanere ed erano perfettamente valevoli.
Sarebbe tuttavia prematuro credere, alla luce di quanto precede, che l’atteggiamento del Governo francese, del Parlamento e dell’opinione pubblica nei riguardi dell’alleanza con noi si sia già chiarito; io sono del parere che noi siamo più vicini alla verità se diciamo che la dichiarazione franco-tedesca ha reso attuale soltanto momentaneamente l’atteggiamento della Francia nei riguardi della sua alleanza con la Polonia e del patto con l’Unione sovietica e che a tale riguardo non ha né violato né menomato la validità formale di questi due documenti. E’ da notare che quei circoli politici francesi che in occasione della dichiarazione franco-tedesca si preoccupavano degli impegni precedenti della Francia, erano principalmente, anzi quasi esclusivamente elementi filo-sovietici. L’alleanza con la Polonia era dunque piuttosto un pretesto per pensare al mantenimento del patto franco-sovietico, ma non era il motivo principale.
Se esaminiamo l’attuale situazione da un punto di vista puramente politico, bisogna purtroppo constatare decisamente che né l’atteggiamento del Governo rappresentato dal ministro Bonnet, né le dichiarazioni degli uomini politici parlamentari, né quanto è detto nella stampa hanno rilevato l’intenzione di dare all’alleanza con noi una qualsiasi forza vitale o di condiderarla oggi come uno strumento della politica estera francese. Per contro non mancano numerosi accenni che fanno pensare che se oggi la Francia per un motivo o per un altro dovesse essere obbligata a mettere in esecuzione quegli impegni che risultano dall’alleanza con noi, gli sforzi per sottrarsi a questi impegni sarebbero indubbiamente maggiori delle forze favorevoli all’adempimento.
Questa mia opinione non sembra essere conforme alle dichiarazioni del ministro Bonnet che ho avuto l’onore di comunicare al signor ministro. Pur tuttavia essa è esatta e rispecchia la vera situazione di fatto. Il ministro Bonnet è un uomo debole, che in generale non è capace di sostenere giustamente una causa e che è incline ad adattarsi successivamente ad ognuno dei suoi interlocutori. Benché io non voglia giudicare la sincerità delle sue espressioni nei nostri riguardi, non ho però il minimo dubbio che di fronte al Governo, come anche alla stampa e al Parlamento, nella questione dell’alleanza con noi egli non assumerà l’atteggiamento che ha assunto nella sua conversazione con me.
Già più volte io ho attirato direttamente e indirettamente l’attenzione del ministro Bonnet sull’enorme differenza che vi era fra le nostre conversazioni dirette e le dichiarazioni della stampa ufficiosa e gli echi parlamentari. Finora le mie osservazioni non hanno avuto il minimo successo, attendiamo di vedere quale sarà la prossima discussione alla Camera dei deputati. Essa certamente renderà più difficile la continuazione di questa situazione che almeno apparentemente si avvicina molto a una cosciente politica doppia nei nostri riguardi.
Considerata nel suo aspetto sostanziale, la nostra situazione in Francia non è un risultato di un profondo mutamento dei rapporti con noi. Una certa importanza, per quanto minima, è dovuta all’amarezza rimasta dalla crisi ceca. Ma il nucleo decisivo della questione sta molto più in profondo, e precisamente nell’atteggiamento generale della Francia nei confronti dell’insieme della situazione internazionale. La Francia infatti si trova, dopo la Conferenza di Monaco, nella situazione di un vinto, che non riesce a liberarsi dal suo nemico che continua a perseguitarla, e che non è in grado di affrontare una serie di nuovi problemi. Per quanto riguarda i suoi precedenti impegni di carattere internazionale, la Francia è troppo debole per liberarsene, ma è anche troppo debole per riconoscerli con sufficiente decisione. Così la Francia è paralizzata e persiste nella rassegnazione, assumendo con ciò a priori un atteggiamento rininciatario nei riguardi di tutto quello che avviene nell’Europa centrale e orientale.
Così come stanno oggi le cose, la Francia contrappone all’Asse coordinato italo-tedesco, la collaborazione con l’Inghilterra, collaborazione nella quale essa ha una parte passiva e nei confronti della quale non le importa se l’alleanza con la Polonia e il patto con l’Unione sovietica possano avere, da questo punto di vista, un significato qualsiasi. Tutto questo avviene non già perché si dubiti della nostra eventuale decisione di opporci a pretese troppo eccessive della Germania, ma semplicemente perché non si crede che una tale opposizione potrebbe avere successo. Per questo motivo il fatto che la questione russo-carpatica non è stata risolta secondo i criteri dell’Ungheria e della Polonia, ha pure avuto una parte molto importante e negativa.
Nell’insieme, la politica francese considera che soltanto l’alleanza con l’Inghilterra ha un valore positivo, mentre invece considera l’alleanza con noi e il patto con l’Unione sovietica come un peso, per cui riconosce la loro esistenza soltanto di malocchio. Questa situazione potrebbe subire un cambiamento se la Francia, sotto l’influenza dell’Inghilterra, passasse a una politica offensiva nei riguardi della Germania e dell’Italia, ciò che è del tutto improbabile nel prossimo futuro, oppure se gli avvenimenti dovessero dimostrare che la nostra resistenza contro la politica tedesca è efficace e che per conseguenza il nostro atteggiamento potrebbe avere una influenza su altri Stati dell’Europa centrale e orientale. E’ anche possibile che, se l’attacco italiano dovesse diventare più imminente e più pericoloso, e dovesse venire appoggiato in qualche modo dalla Germania, la Francia, obbligata a difendersi in modo più attivo in un campo dove non può appoggiarsi sugli impegni formali dell’Inghilterra, cercherà di sfruttare le sue alleanze continentali, ma sempre però soltanto come mezzi di comando, che non valgono l’alleanza inglese. Per quanto riguarda l’Italia, è da prevedere che la visita di Chamberlain e Roma sia un tentativo per provocare una distensione fra Roma e Parigi, la quale, almeno momentaneamente, darà dei risultati positivi, e per conseguenza la Francia potrebbe essere incline a mantenere nelle questioni dell’Europa centrale e orientale la sua riserva rinunciataria.
*
Quando si tratta dei problemi dell’Europa centrale, la politica francese tradisce nei confronti degli sforzi espansionistici della Germania non soltanto una piena passività e disfattimo, ma è anche incapace di assumere nei loro riguardi un atteggiamento diverso da quello che l’ha caratterizzata negli ultimi venti anni. Io ho l’impressione che il punto di vista espresso dal ministro Bonnet al signor von Ribbentrop circa una garanzia dei confini cechi fosse analogo all’atteggiamento assunto a suo tempo dall’ambasciatore Leger nel suo colloquio con me. Se soltanto il signor von Ribbentrop lo volesse, egli potrebbe ottenere la garanzia dei nuovi confini cechi prima ancora che questi vengano garantiti da noi e dall’Ungheria. Da quanto risulta dalle informazioni che mi sono state comunicate dal ministro Bonnet, il ministro von Ribbentrop ha ricevuto l’assicurazione che la Francia non si opporrebbe ad una penetrazione economica della Germania nel bacino danubiano. Von Ribbentrop non poteva inoltre aver riportato dalla Francia l’impressione che una penetrazione politica in questa direzione si sarebbe urtata ad una azione decisa della Francia.
Nelle questioni che riguardano esclusivamente l’Europa orientale, particolarmente la Russia, regna nell’opinione pubblica francese, come anche nella politica francese, un caos completo. La fiducia nella Russia sovietica, o piuttosto nella sua forza, va continuamente diminuendo, e diminuiscono pure le rispettive simpatie. La situazione interna dei sovieti viene giudicata, qua e là, con pessimismo, ma principalmente nei circoli militari ci si preoccupa che un eventuale rovescio militare a Mosca potrebbe condurre a una pericolosa collaborazione fra Berlino e la Russia. Nella questione dell’Ucraina ci si urta a una completa incomprensione della situazione, il che conduce di nuovo alla convinzione disfattista che, qualora i tedeschi lo volessero, l’azione ucraina potrebbe cominciare efficacemente da un mese all’altro e minacciare l’integrità del nuovo territorio. Tutto questo tiene l’opinione pubblica francese in un continuo nervosismo, che trova espressione nella stampa come pure anche nelle dichiarazioni dei membri del Parlamento. Di fronte a questa situazione di fatto l’atteggiamento del Governo può essere definito come impotente e perplesso.
Si ha l’impressione di una psicosi generale che momentaneamente non si lascia dominare neppure da ragionevoli obiezioni. Ma nella stampa si fanno sempre più frequenti le voci giudiziose che si oppongono a una politica di completa riserva e che additano i pericoli di un completo disinteressamento della Francia nei confronti dell’Europa centrale e orientale, e particolarmente nei nostri confronti.
Ma probabilmente queste voci sono ancora lungi dall’avere una qualsiasi influenza sui fattori che determinano la vera linea di condotta della politica estera francese. Ciò non di meno, fra gli uomini politici francesi ve ne sono già oggi che cominciano ad esprimersi non soltanto a favore del mantenimento dell’alleanza con la Polonia, ma anche a favore del suo rafforzamento. E’ chiaro che i miei sforzi e quelli dei miei collaboratori tendono a che le manifestazioni della stampa e del Parlamento si organizzino per una collaborazione tra la Francia e noi e obblighino in tal modo il Governo a precisare ufficialmente il suo punto di vista. Nonostante il giudizio generalmente pessimistico sulla situazione internazionale della Francia, non si teme che questo punto di vista possa poi risultare del tutto negativo.
L’ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 6
Relazione dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 12 gennaio 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA A WASHINGTON
N. 3/SZ-tjn-3
Washington 12 gennaio 1939
(Segreto)
Oggetto: Situazione politica interna negli Stati Uniti (stato d’animo contro la Germania, questione ebraica).
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia.
Lo stato d’animo che domina attualmente negli Stati Uniti si contraddistingue per un odio sempre crescente verso il fascismo, specie contro la persona del Cancelliere Hitler e soprattutto contro quanto ha attinenza con il nazionalsocialismo. La propaganda si trova soprattutto in mani ebree, a cui appartiene quasi il cento per cento della radio, dei film, della stampa e dei periodici. Benché tale propaganda sia fatta molto grossolanamente, e benché la Germania venga rappresentata nel peggior modo possibile – si sfruttano soprattutto le persecuzioni religiose e i campi di concentramento – essa ha un effetto tanto profondo perché il pubblico di qui è totalmente ignaro e non ha nessuna idea della situazione in Europa. Attualmente la grande maggioranza degli americani ritengono il Cancelliere Hitler e il nazionalsocialismo come il male peggiore e il massimo pericolo che incombono sul mondo.
La situazione di questo paese offre un ottimo foro per ogni sorta di oratori e per i fuoriusciti tedeschi e cecoslovacchi, che non risparmiano parole per aizzare il pubblico di qui, mediante le più svariate calunnie. Essi lodano la libertà americana in contrasto con gli Stati totalitari. E’ interessantissimo che in questa ben congegnata campagna, che si dirige soprattutto contro il nazionalsocialismo, la Russia sovietica viene quasi completamente messa da parte. Se vi si accenna, lo si fa soprattutto in modo amichevole e si presentano le cose come se la Russia sovietica partecipasse al blocco delle Potenze democratiche. Grazie ad una abile propaganda, la simpatia del pubblico americano sta tutta dalla parte dei rossi di Spagna.
Oltre a questa propaganda viene anche creata artificialmente una psicosi di guerra. Si dice al popolo americano che la pace in Europa è sospesa soltanto a un filo, che la guerra è inevitabile. Inoltre si rende inequivocabilmente chiaro al popolo americano che in caso di guerra mondiale anche l’America deve parteciparvi attivamente, per difendere le parole d’ordine della libertà e della democrazia nel mondo.
Il presidente Roosevelt fu il primo che diede espressione all’odio contro il fascismo. Egli perseguiva in tal modo un doppio scopo: 1) egli voleva distogliere l’attenzione del popolo americano dai gravi e intricati problemi di politica interna, soprattutto dal problema della lotta tra capitale e lavoro; 2) mediante la creazione di uno stato d’animo bellicoso, e le voci di un pericolo minacciante l’Europa egli voleva dare occasione al popolo americano di accettare l’enorme programma di riarmo dell’America, che va al di là dei bisogni della difesa degli Stati Uniti.
Circa il primo punto si deve dire che la situazione interna sul mercato del lavoro va continuamente peggiorando, che il numero di disoccupati ammonta già oggi a 12.000.000. Le spese dell’amministrazione federale e degli Stati assumono giornalmente una sempre maggiore entità. Soltanto le grandi somme di miliardi che l’erario paga per i lavori di necessità mantengono ancora una certa tranquillità nel paese. Finora si sono avuti soltanto gli abituali scioperi e i disordini locali. Fino a quando questa specie di assistenza statale può durare, oggi non si può ancora dire. L’agitazione e l’indignazione dell’opinione pubblica e i gravi conflitti tra le imprese private e gli enormi trusts da un lato e le maestranze dall’altro hanno procurato molti nemici a Roosevelt e gli occasionano parecchie notti insonni.
Circa il secondo punto posso soltanto dire che il Presidente Roosevelt quale abile giocoliere politico e quale conoscitore della psicologia americana ha distolto molto presto l’attenzione del popolo americano dalla situazione politica interna per interessarlo alla politica estera. La via era molto semplice, bastava solo inscenare abilmente, da un lato il pericolo di guerra, pericolo che sovrasta sul mondo a causa del Cancelliere Hitler, e creare dall’altro lo spauracchio di un vagheggiato attacco degli Stati totalitari contro gli Stati Uniti. Il patto di Monaco è arrivato a punto per il Presidente Roosevelt. Egli lo raffigurò come una capitolazione della Francia e dell’Inghilterra dinanzi al militarismo tedesco avido di lotta. Come si suol dire qui, Hitler ha puntato la pistola sul petto di Chamberlain. La Francia e l’Inghilterra non avevano quindi nessuna scelta e dovevano concludere una pace vergognosa.
Più innanzi sono i brutali procedimenti contro gli ebrei in Germania e il problema degli emigranti che attizzano sempre più l’odio dominante contro tutto quanto riguardi in qualche modo il nazionalsocialismo tedesco. A quest’azione hanno partecipato intellettuali ebrei isolati come per esempio Bernardo Baruch, il governatore dello Stato di New York, Lehmann, il nuovo giudice del Tribunale Supremo, Felice Frankfurter, il segretario al Tesoro, Morgenthau, e altri che sono personalmente amici del Presidente. Essi vogliono che il Presidente sia il propugnatore dei diritti dell’umanità, della religione e della libertà di parola, e che egli debba punire in futuro i perturbatori della quiete. Questi gruppi di persone che rivestono le più alte cariche del Governo americano e che vorrebbero spacciarsi come i rappresentanti del “vero americanismo” e come “i difensori della democrazia”, sono in fondo legati mediante vinvoli indissolubili al giudaismo internazionale. Per questa internazionale ebraica, che ha dinanzi agli occhi soprattutto gli interessi della propria razza, la trovata del Presidente degli Stati Uniti di collocarsi a questo posto “ideale” di difensore dei diritti dell’umanità, fu un colpo veramente geniale. In tal modo essi hanno creato un pericolosissimo focolare di odio e di inimicizia su questo emisfero e hanno diviso il mondo in due campi opposti. L’intero problema è stato condotto in modo magistrale: Roosevelt riceve le basi per vivificare la politica estera americana e per questa via approntare i colossali approvvigionamenti militari per la guerra futura, verso la quale tendono gli sforzi pienamente coscienti degli ebrei. Dal punto di vista della politica interna è molto comodo distogliere l’attenzione del pubblico dal sempre crescente antisemitismo in America parlando della necessità di difendere la fede e la libertà individuale contro gli attacchi del fascismo.
Jerzy Potocki
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 7
Relazione dell’ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 16 gennaio 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA A WASHINGTON
N. 3/SZ-tjn-4
Washington, 16 gennaio 1939
(Segreto)
Oggetto: Colloquio con l’ambasciatore Bullitt
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia
L’altro ieri ebbi un lungo colloquio con l’ambasciatore Bullitt all’Ambasciata, dove mi fece visita. Bullitt parte il 21 corrente per Parigi, dopo essere stato assente per quasi tre mesi. Egli viaggia con tutto un “baule” pieno di istruzioni, colloqui e direttive del Presidente Roosevelt, del Dipartimento di Stato e dei senatori che fanno parte della Commissione per gli Affari Esteri.
Dal colloquio con Bullitt riportai l’impressione che egli avesse ricevuto dal Presidente Roosevelt una definizione molto precisa del punto di vista che gli Stati Uniti assumono nella attuale crisi europea. Egli deve esporre questo materiale al Quai d’Orsay e deve anche servirsene nei suoi colloqui con gli uomini di Stato europei. Il contenuto di tali direttive, quale Bullitt mi comunicò durante la sua conversazione di mezz’ora, è il seguente: 1) Un ravvivamento della politica estera sotto la direzione del Presidente Roosevelt, il quale condanna aspramente e inequivocabilmente gli Stati totalitari; 2) I preparativi militari degli Stati Uniti sul mare, in terra e in aria, saranno condotti con ritmo accelerato e e inghiottono la somma colossale di 1 miliardo e 250.000.000 di dollari; 3) L’opinione decisa del Presidente è che la Francia e l’Inghilterra debbono porre fine ad ogni politica di compromesso con gli Stati totalitari; esse non debbono in alcun modo intavolare discussioni che comportino cambiamenti territoriali; 4) L’assicurazione morale che gli Stati Uniti abbandoneranno la politica di isolamento e sono pronti, nel caso di guerra, a partecipare attivamente a lato dell’Inghilterra e della Francia; l’America è pronta a mettere a loro disposizione tutte le sue risorse, sia per quanto concerne le finanze che le materie prime.
Dietro mia domanda quale oroscopo Bullitt prevedesse per il 1939, egli rispose di temere nella primavera il pericolo di un conflitto tra la Francia e l’Italia a causa delle colonie. Egli pensa che la vittoria dei franchisti in Spagna porrà la Francia in una situazione grave, poiché in questo modo essa verrà circondata da tutti i lati da Stati fascisti. Mussolini allora si farà certamente avanti e minaccerà la Francia di una guerra.
Dietro mia domanda se la Germania aiuterebbe Mussolini in questa impresa Bullitt rispose essere dell’opinione che sarebbe oltremodo dubbio che Hitler, salvo un appoggio morale, si lascerebbe sedurre a partecipare effettivamente ad una simile impresa, poiché è chiatro che una guerra mondiale sarebbe inevitabile.
Bullitt affermò in tutta sicurezza che la Francia non addiverrebe a nessun accordo con Mussolini. Da alcuni mesi la situazione in Francia si era talmente migliorata da poter vincere anche l’esercito italiano e la flotta italiana, nel caso che l’Italia l’attaccasse senza provocazioni. Egli raffigurò il modo di procedere di Mussolini come un volgare “atto di banditismo” e una estorsione; fece però capire che tuttavia fra Hitler e Mussolini, considerati sotto il loro aspetto di dittatori, vi è una grossa differenza, e che Mussolini, di fronte a Hitler è soltanto un piccolo bandito.
Proseguendo la sua conversazione, Bullitt venne anche a parlare dell’Europa orientale e della Germania. Egli dichiarò in proposito che la politica estera polacca sotto l’eccellente direzione del signor ministro aveva dato prova di opportunismo; dalla crisi dell’autunno dell’anno scorso la Polonia non era uscita solo con le armi in pugno, bensì come vincitrice.
Egli mi interrogò intorno alle relazioni tra la Polonia e la Russia sovietica e sul significato del rinnovo del patto di non aggressione tra la Polonia e la Russia. Risposi che quanto la stampa aveva scritto intorno alla questione russa era pura fantasia. Il rinnovo del patto di non aggressione con i sovieti era una necessità contingente, poiché le relazioni tra la Polonia e i sovieti erano molto peggiorate dopo la crisi cecoslovacca. Era soltanto mettere i punti sugli i, né più né meno. Si trattava quindi di riassettare le relazioni che erano state squilibrate dagli avvenimenti. Per quanto concerne il nostro trattato commerciale con i sovieti, sul quale egli mi interrogò, io dissi che era stato conseguenza della nostra presa di possesso dei territori e della zona industriale dell’Olsa. La Polonia era costretta a cercare mercati di sbocco, e li aveva in parte trovati nella Russia sovietica.
Bullitt si espresse in modo nettamente ostile e repulsivo verso la Russia sovietica.
Egli opinava inoltre che adesso la Germania non intraprenderebbe un’aggressione in Europa orientale, perché da un lato la Polonia è troppo forte, e dall’altro le faccende con l’Ungheria, la Romania e la Jugoslavia non sono ancora troppo chiare. Certi preparativi debbono ancora essere realizzati e le situazioni rafforzate. Del resto, egli era persuaso che la Germania proseguirebbe il suo piano di conquista dell’Ucraina, ma solo nell’anno 1940.
Non ho discusso con Bullitt circa questa azione. Gli chiesi soltanto se in tal caso le Potenze occidentali entrerebbero in scena attivamente, e se esse attaccherebbero il Reich sotto il pretesto di proteggere la Russia sovietica. Bullitt rispose che le Potenze democratiche avrebbero rinunziato una volta per sempre a tutti gli interventi armati immaginari a protezione di qualsivoglia Stato che dovesse essere vittima di un attacco tedesco.
Jerzy Potocki
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 8
Relazione dell’ambasciatore polacco a Parigi, Jules Lukasiewicz, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 1 febbraio 1939
Rapporto politico N. IV/1
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
N. 1F/7
Parigi, 1 febbraio 1939
(Segretissimo)
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia
La discussione su questioni inerenti alla politica estera francese, che si è conclusa ieri al Parlamento di qui con una votazione di maggioranza di 379 voti contro 234 per il Governo del signor Daladier, mi offre occasione, signor ministro, di esporvi i miei punti di vista, sia sullo stato attuale dei rapporti della Francia verso di noi, sia sui trattati che la legano alla Polonia.
Come ho già ricordato nella mia relazione precedente del 17 dicembre 1938 (V. documento n. 5), negli ambienti politici francesi il problema dei rapporti con la Polonia è divenuto attuale, dopo gli avvenimenti di settembre, in seguito al fatto della firma della dichiarazione di non aggressione franco-tedesca. Da quell’epoca, la stampa francese ha incominciato a dedicare maggior spazio e attenzione alle relazioni con la Polonia. E’ stato anche possibile osservare o destare presso molti uomini politici, sia di destra che di sinistra, un più forte e vivo interesse per questo problema. E’ divenuto palese che l’avversione alla Polonia, che si era delineata in seguito agli eventi di settembre, è incominciata a scomparire, ed a dar luogo ad un atteggiamento più ragionevole, obiettivo e realistico.
In tali circostanze, così come in seguito al peggioramento della politica internazionale della Francia, il vostro prolungato soggiorno a Monte Carlo e la vostra visita al Cancelliere Hitler a Berchtesgaden, hanno fornito a tutta la stampa francese ed a molti uomini politici di qui il punto di partenza per una critica alla politica del ministro Bonnet nei confronti della Polonia; gli si è richiesto infatti un chiarimento della sua posizione di fronte alla alleanza con la Polonia.
Una parte molto considerevole della stampa ha rinfacciato al ministro Bonnet di non aver sfruttato il vostro soggiorno nella Francia meridionale per incontrarsi con voi e per entrare in contatto politico diretto. Quando si è appresa la notizia della vostra partenza per Berchtesgaden, non soltanto sono riapparse sulla stampa francese le osservazioni critiche di un tempo, ma al contrario tutti i rimproveri sono stati indirizzati al ministro Bonnet. Quest’ultimo, a quanto pare, ha tentato di sventare gli attacchi diffondendo, in conversazioni con alcuni membri del Parlamento, il punto di vista che la situazione interna in Polonia sarebbe molto difficile, e che pericoli ci minaccerebbero da parte tedesca. Tuttavia, le relazioni personali mie e dei miei collaboratori con un gran numero di deputati, così come con gli esponenti della stampa, hanno subìto nel frattempo un miglioramento tale che non ci è stato difficile controbattere questa manovra, peraltro molto ingenua.
Inoltre, i risultati della vostra visita al Cancelliere sono stati interpretati in modo da rafforzare notevolmente le critiche al ministro Bonnet. Si è compreso in Francia che non soltanto i rapporti diretti tedesco-polacchi non subiscono alcun peggioramento, ma che noi non siamo neppure indirettamente minacciati, né dalla cosiddetta azione ucraina del Cancelliere Hitler, né da qualche altra sua azione di forza nell’Europa centrale. Al periodo delle agitazioni è seguito il timore, predominante qui dopo la conferenza di Monaco e ispirato da immediati pericoli di guerra, di lasciarsi trascinare in questioni dell’Europa orientale e centrale. Benché l’incontro di Berchtesgaden abbia condotto a una notevole distensione della situazione nell’Europa orientale e centrale, il pericolo di una attività espansionistica della Germania può farsi sentire facilmente nell’Europa occidentale, e ciò in rapporto con la brutale campagna anti-francese che viene condotta dall’Italia, e che diminuisce la speranze dei francesi che l’Italia possa aderire alla cosiddetta politica imperiale. I risultati della visita dei ministri inglesi a Roma non hanno minimamente attenuato questa inquietudine.
Di conseguenza, le voci che chiedevano un chiarimento delle relazioni con la Polonia ed una politica ragionevole di fronte a quest’ultima, sono divenute sempre più frequenti, anzi, quotidiane, nel vero senso della parola. Molto importante è stato il fatto che l’azione dei critici del ministro Bonnet non era basata su preoccupazioni concernenti la situazione della Polonia, bensì era provocata da una giusta preoccupazione per la situazione internazionale della Francia, in costante peggioramento, e dalla considerazione che un disinteressamento francese per le questioni dell’Europa centrale e orientale avrebbe reso difficile la nostra posizione di fronte alla Germania.
In questa atmosfera di attacchi alla stampa, mossi anzitutto per le questioni polacche e per un certo imbarazzo del ministro Bonnet, ha avuto inizio alla Camera dei deputati il dibattito sulla politica estera della Francia. Lo stato d’animo della stampa venne integralmente trasmesso anche in seno al Parlamento. Tranne alcune eccezioni – la più notevole fu quella di Flandin – non vi fu quasi nessun deputato che nelle sua dichiarazioni non abbia fatto cenno alla Polonia, o quanto meno non abbia rinfacciato al ministro Bonnet di aver lasciato sfuggire in modo così miope l’occasione di incontrarsi con voi. Questa volta non si sollevarono soltanto le voci dei russofili, i quali nella difesa delle relazioni con la Polonia vedono un favorevole accostamento a quella collaborazione con Mosca che sta loro tanto a cuore, ma anche molte voci di avversari del patto franco-russo.
Si può dunque in modo del tutto obiettivo constatare che la questione dei rapporti con la Polonia è divenuta molto attuale per i membri della Camera dei deputati, e precisamente, dal nostro punto di vista, in senso nettamente positivo. E’ divenuto chiaro che, in seguito a ciò, e purtroppo verosimilmente in seguito a ciò, il Governo non potrà passare sotto silenzio tale questione.
Il ministro Bonnet, il quale è particolarmente sensibile agli attacchi della stampa e del Parlamento, non cessò, a quanto pare, ancora alla fine della settimana scorsa, di condurre piccole manovre diversive contro i suoi critici, ma tuttavia si è deciso a parlare intorno ai rapporti franco-polacchi. Io ho avuto ad esempio indicibili difficoltà a indurre la stampa di Parigi a riprodurre l’intervista che voi avete concesso alla “North American Press Alliance”, poiché in tale questione il Quai d’Orsay lavorò palesemente contro di me. Come vi è noto, egli me ne informò, nel corso del suo colloquio, peraltro casuale, svoltosi venerdì scorso, 20 corrente.
Nella sua esposizione letta il 26 corrente alla Camera dei deputati, il ministro Bonnet ci ha ricordati due volte. I passi relativi del suo discorso furono i seguenti:
1) Con riferimento alla dichiarazione franco-tedesca:
“Non ho bisogno di dire, signori, che noi abbiamo informato delle nostre trattative i principali paesi con i quali siamo in rapporti di amicizia: la Polonia, il Belgio, l’Inghilterra, l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, gli Stati Uniti d’America.
Come è stato giudicato l’accordo in questi paesi? Alla Camera dei Comuni il signor Neville Chamberlain ha dichiarato che il Governo inglese era stato particolarmente soddisfatto che la Francia fosse stata in grado di concludere un accordo con la Germania. In America gli articoli di fondo dei tre principali giornali di New York e di Washington hanno espresso piena comprensione per la politica francese; la Polonia ha fatto sapere che il suo Governo era molto soddisfatto della felice conclusione della dichiarazione franco-tedesca”.
2) Con riferimento ai rapporti con la Russia e con la Polonia:
“Per quanto riguarda i rapporti con la Russia sovietica e con la Polonia, hanno avuto luogo ripetute consultazioni con questi Stati. Infatti durante la crisi di settembre io sono stato in stretto contatto ora con il signor Litvinov, che ho visto più volte a Ginevra e a Parigi, ora con l’ambasciatore dell’U.R.S.S. a Parigi, per scambiare le idee fra i nostri due Governi, in conformità del patto del 1935.
La Francia ha mantenuto anche i suoi tradizionali rapporti di amicizia con la Polonia. In occasione della dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre, io ho informato delle nostre intenzioni l’ambasciatore polacco, in conformità allo spirito dei trattati. Il Governo polacco mi ha ringraziato di averlo tenuto al corrente e mi ha fatto sapere che non poteva che rallegrarsi di una azione di cui apprezzava il fine, il significato e la portata. Così il signor Beck mi ha informato, prima della sua partenza da Monte Carlo, dell’invito che aveva avuto dal Cancelliere Hitler. Prego la Camera del resto di non dimenticare che fra la Germania e la Polonia esiste un accordo, che è stato firmato nell’anno 1934. Il signor Beck ha tenuto ad informare il nostro ambasciatore sull’andamento della sua conversazione. In tal modo noi siamo sempre rimasti in contatto con il Governo di Varsavia e, ogni volta che è stato necessario, abbiamo avuto con esso conversazioni, giustificate dai rapporti particolari fra u due Stati e dallo sviluppo degli avvenimenti.
In tutte le occasioni, e precisamente ancora di recente, il Governo polacco ci ha rinnovato l’assicurazione che l’amicizia francese rappresenta una delle basi più importanti della politica polacca.
Si dovrebbe dunque metter fine, signori, alla falsa interpretazione, secondo la quale la nostra politica avrebbe distrutto gli accordi che abbiamo concluso con l’Europa orientale, con l’U.R.S.S. o con la Polonia. Questi accordi sussistono sempre e devono venire applicati nello spirito in cui sono stati conclusi”.
Le dichiarazioni anzidette del ministro Bonnet vennero poi completate ancora nel discorso del Presidente del Consiglio dei ministri, Daladier, che precedette il voto di fiducia alla Camera. Dopo una breve esposizione sui rapporti della Francia con i suoi vicini e con gli Stati Uniti d’America, il Presidente del Consiglio dei ministri disse:
“E’ necessario aggiungere che non è affatto nel pensiero del Governo di indebolire i patti che legano la Francia ad altri popoli? Al contrario, noi siamo decisi a mantenerli in vigore”.
Passando poi ad analizzare le dette dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri francese e del ministro degli Esteri francese, devo osservare in primo luogo che il discorso del ministro Bonnet aveva, dal principio sino alla fine, un carattere di difesa contro le critiche cui si era urtata la sua politica, tanto da parte della stampa come da parte degli oratori in Parlamento. Il suo discorso era più una difesa che un discorso politico, e per questa ragione l’esposizione del ministro degli Esteri venne accolta con indifferenza alla Camera e criticata quasi generalmente come molto debole e insignificante. Soltanto il discorso del Presidente del Consiglio del ministri, che per il suo contenuto e per il suo tono fu molto più energico e molto più significativo dal punto di vista politico, provocò un lungo dibattito parlamentare sulla politica estera della Francia, in una atmosfera di maggiore interesse da parte della Camera e contemporaneamente di maggiore patriottismo.
Ma è certo che il discorso del ministro Bonnet non è stato per lui un successo e non ha in alcin modo rinforzato la sua posizione, che da parecchio tempo era già indebolita.
Senza dubbio il ministro Bonnet, più che tracciare una linea positiva della politica estera francese, si è limitato a difendersi da attacchi, e questo ha diminuito l’importanza della sua esposizione, in quanto documentazione della politica del Governo da lui rappresentato.
Nonostante tutto, tanto i dibattiti parlamentari, quanto le dichiarazioni dei membri del Governo, di cui si è parlato più sopra, dimostrano incontestabilmente che è stato fatto un grande passo avanti nello sviluppo delle opinioni politiche della Francia, dall’epoca del suo completo abbattimento dopo la catastrofe della Conferenza di Monaco. Questo si riferisce in primo luogo al problema dei rapporti con la Polonia. Per quanto riguarda infatti i rapporti della Francia con l’Inghilterra, gli Stati Uniti, la Germania e l’Italia, e per quanto riguarda anche le questioni spagnole, i dibattiti parlamentari e le dichiarazioni dei membri del Governo non hanno portato assolutamente nulla di nuovo a tale riguardo. Le questioni dell’Europa centrale sono state trattate superficialmente e con tono non politico, e così anche le questioni dell’Estremo Oriente. Una vera novità è però costituita dalla constatazione del mantenimento degli impegni verso la Russia e verso la Polonia, in cui si è fatto sentire chiaramente che si annetteva la più grande importanza ai rapporti con la Polonia; questi si sono sviluppati recentemente in forma di contatti amichevoli di carattere informativo a proposito delle conversazioni e trattative da noi svolte con la Germania.
Se si tiene presente quale era la nostra situazione nell’opinione dei francesi soltanto quattro mesi fa, se ricordiamo gli attacchi di cui siamo stati oggetto dopo la conferenza di Monaco e che terminarono col far passare al primo piano della stampa francese o dell’opinione pubblica la questione ucraina, se tieniamo conto inoltre che, in fondo, fino alla fine di dicembre la stragrande maggioranza degli uomini politici francesi volevano considerare non soltanto l’Europa centrale, ma anche noi come un territorio di espansione tedesca riconosciuto come tale dai paesi occidentali, si può constatare che l’opinione politica dei francesi nei nostri riguardi ha subìto un profondo e sostanziale mutamento. L’evidente antipatia contro la Polonia viene sostituita dalla comprensione che sul continente noi siamo l’unico Stato che possa avere una parte importante e positiva nella soluzione del problema della sicurezza francese. Quanto precede è naturalmente la conseguenza di un notevole peggioramento della situazione francese, e inoltre la Francia è minacciata da pericoli che rendono qui gli uomini più nervosi e li preoccupano. Ma io non credo che questo mutamento sia soltanto il sintomo di una congiuntura.
L’atteggiamento verso la Polonia costituì fino a poco tempo fa un elemento essenziale della posizione di difesa, a carattere offensivo, assunto dall’opinione pubblica francese nei riguardi della Germania. Ma questo atteggiamento si esaurisce ora in una posizione di defesa, sempre esistente, ma priva ormai di qualsiasi carattere offensivo.
Ma sarebbe pericoloso e inesatto affermare che il Governo francese apprezza in tutto il suo pieno valore l’alleanza con la Polonia e che è deciso a fare di questa alleanza un elemento essenziale della sua politica. Per il momento si può soltanto constatare che il Governo francese, che evita di pronunciarsi in modo troppo categorico, dimostra per quanto riguarda i trattati fra la Francia e la Polonia, la sua buone volontà e si preoccupa di mantenere con noi buoni rapporti. Questo risulta non soltanto da quella specie di disfattismo che caratterizza la politica ufficiale della Francia dopo la conferenza di Monaco, ma anche dalla mancanza di qualsiasi piano nuovo positivo in questa politica.
Un ulteriore sviluppo favorevole della politica francese nei nostri riguardi potrà verificarsi se i pericoli che minacciano la Francia si acutizzeranno, oppure se la nostra posizione nell’Europa centro-orientale si consoliderà ulteriormente e se la nostra influenza aumenterà in quel settore. Nella politica francese lottano due tendenze: l’antica tendenza, notevolmente indebolita in seguito ai recenti avvenimenti, di sottoporre al proprio influsso i cosiddetti piccoli Stati del continente europeo, oppure di utilizzarli come moneta di scambio con la Germania, e inoltre la tendenza sempre forte di assicurarsi la pace in Europa.
E’ naturale che nel momento in cui lo sviluppo della situazione generale, e della nostra in particolare, dimostrerà che una collaborazione con la Polonia può diventare importante non soltanto dal punto di vista di una assicurazione delle elementari condizioni di sicurezza, naturalmente a patto di un certo rischio, l’atteggiamento nei riguardi dell’alleanza con noi, che finora non è ancora deciso ed è pieno di intime riserve, potrà subire un positivo cambiamento desiderabile.
Ma a tale riguardo avrà sempre la sua influenza il punto di vista del Governo inglese, il quale sarà certamente decisivo per la politica francese ancora per molto tempo.
Mi permetto di attirare personalmente l’attenzione del signor ministro su un certo cambiamento che sembra verificarsi nella politica francese nei riguardi del suo atteggiamento di fronte alla sua alleanza con noi e al patto con l’Unione sovietica. Sebbene il ministro Bonnet abbia riassunto in una sola frase il carattere dell’atteggiamento della Francia nei riguardi degli accordi esistenti con noi e con l’Unione sovietica, tuttavia si può dire con certezza che la nostra posizione, tanto nel concetto politico francese, come nei circoli competenti governativi, è senza confronti migliore di quella dell’Unione sovietica: noi siamo, per così dire, in prima linea. Se prima di settembre l’Unione sovietica era considerata come l’alleato più importante nell’Europa orientale, il quale eventualmente avrebbe dovuto esercitare una pressione su di noi, la situazione è ora capovolta. La Polonia assume la parte del principale alleato della Francia, l’Unione sovietica non è più considerata che come un fattore ausiliario, oppure soltanto come un fattore formale, che deve proteggere la Polonia alle spalle. Anche in questo campo assistiamo dunque a uno sviluppo desiderabile e sano, che è conforme ai reali rapporti di forza nell’Europa orientale.
Riassumendo tutto quanto precede, desideriamo esprimere il nostro convincimento che in questi ultimi tempi abbiamo fatto un grande passo avanti nei nostri sforzi verso una completa intesa e una normalizzazione dei rapporti di alleanza con la Francia, soprattutto per quanto riguarda il mutamento di opinione in questi ambianti e nella stampa. Nell’immediato futuro ci troveremo probabilmente davanti a due eventualità:
- – o la minaccia della Francia da parte dell’Italia e della Germania aumenterà, e in questo caso noi saremo oggetto di una pressione da parte della Francia, la quale cercherà di migliorare la situazione paralizzando in certo qual modo la libertà d’azione della Germania;
- – oppure si cercherà di trovar modo di giungere ad una distensione duratura della situazione in Europa, e questo ci porrà di fronte al difficile compito di difendere e valorizzare attivamente i risultati e le possibilità della nostra opera costruttiva di pace. Secondo il mio modo di vedere, questo compito sarà veramente difficile, perché finora i paesi occidentali non hanno ancora riconosciuto la nostra funzione nella pacificazione dell’Europa centro-orientale. Gli uomini politici francesi, nonché l’opinione pubblica locale (suppongo che in Inghilterra sia esattamente la stessa cosa), sono inclini a considerare i successi positivi sinora raggiunti dalla nostra politica di pace come il risultato di una momentanea buona volontà, o più ancora come risultato dei piani passeggeri del Cancelliere Hitler, ma non come risultato della nostra propria attività e della nostra potenza. Appunto per questi stessi motivi la nostra situazione sembra sempre problematica, e le nostre possibilità sono ritenute molto dubbie. Ma in seguito ai recenti avvenimenti, e alle misure da voi prese, signor ministro, la fiducia nella reale indipendenza della nostra politica è ora aumentata. Tuttavia, ciò non significa ancora fiducia nelle nostre possibilità di successo e di potenza.
L’ambasciatore della Repubblica di Polonia
Lukasiewicz
DOCUMENTO N. 9
Relazione dell’ambasciatore polacco a Parigi, Jules Lukasiewicz, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, febbraio 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
N. 1/F/10
Parigi, febbraio 1939
(Segretissimo)
Rapporto politico N. IV/4
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia
Una settimana fa l’ambasciatore degli Stati Uniti, W. Bullitt, è tornato a Parigi dopo un congedo di tre mesi trascorsi in America. Nel frattempo ebbi con lui due lunghi colloqui che mi diedero occasione, signor ministro, di informarmi sui suoi punti di vista concernenti la situazione europea e di ottenere uno sguardo di assieme sulla politica di Washington.
- – Non esiste una politica estera degli Stati Uniti che si sforzi di partecipare direttamente allo sviluppo della situazione in Europa. Una tale politica estera non sarebbe neanche possibile, perché non sarebbe approvata dalla opinione pubblica, che sotto questo riguardo non ha cambiato il suo atteggiamento isolazionistico. Per contro esiste un interesse straordinariamente accresciuto del popolo americano per la situazione europea. Rispetto ad esso persino le questioni interne passano in secondo piano e perdono l’attenzione che esse un tempo destarono. La situazione internazionale è considerata dai circoli ufficiali come oltremodo seria e posta sotto la minaccia di un conflitto armato. L’opinione degli elementi influenti è che se si dovesse giungere ad una guerra tra l’Inghilterra e la Francia, da un lato, la Germania e l’Italia, dall’altro, in cui Inghilterra e Francia venissero sconfitte, i tedeschi metterebbero in pericolo i veri interessi degli Stati Uniti sul continente americano. Per tale ragione si può già adesso prevedere la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra accanto alla Francia e all’Inghilterra, naturalmente solo un certo tempo dopo lo scoppio del conflitto.L’ambasciatore Bullitt si espresse nel seguente modo. “Se una guerra dovesse scoppiare, noi sicuramente non vi parteciperemmo dal principio, ma la termineremmo”.
Secondi l’opinione dell’ambasciatore Bullitt, il sopra citato punto di vista degli ambienti moderati di Washington è alieno da qualsiasi elemento ideologico e risulta chiaramente dalla necessità di difendere i reali interessi degli Stati Uniti, che in caso di una disfatta franco-inglese sarebbero seriamente e direttamente minacciati dal Pacifico così come dall’Atlantico.
L’ambasciatore Bullitt dichiarò che la diceria che il Presidente Roosevelt avesse detto che la frontiera degli Stati Uniti si trove sul Reno era falsa. Egli espresse invece la sua convinzione che il Presidente avesse sicuramente detto di voler vendere alla Francia aeroplani, perché l’esercito francese era la prima linea di difesa degli Stati Uniti. Ciò corrispondeva completamente alla sua opinione.
- – Le pretese italiane verso la Francia mancano assolutamente di qualsiasi fondamento ed argomento che possano almeno in parte giustificarle. La Francia non poteva e non doveva perciò fare neanche concessioni apparenti. Qualsiasi arrendevolezza della Francia avrebbe significato una diminuizione di prestigio in Africa. Si deve quindi escludere qualsiasi eventuale compromesso a danno degli interessi della Francia.
Dal punto di vista teorico, sussiste il timore che l’Inghilterra possa forse tentare insieme a Berlino di costringere la Francia, in caso di qualche tensione, ad accettare qualche compromesso non conciliabile con i suoi interessi. Ma in questo caso la Francia potrà contare sul potente aiuto di Washngton. Gli Stati Uniti dispongono, di fronte alla Gran Bretagna, di diversi e importantissimi mezzi di pressione. Solo la minaccia del loro impiego potrebbe bastare a trattenere la Gran Bretagna da una politica di compromesso di fronte alla Francia.
Si deve anche tener conto che il prestigio britannico, sia a causa degli avvenimenti in Estremo Oriente sia a causa dei risultati della conferenza di Monaco, è molto scaduto nell’opinione pubblica americana.
D’altro canto l’opinione pubblica americana capisce chiaramente quanto stiano oggi a cuore all’Inghilterra la collaborazione e l’appoggio degli Stati Uniti.
In queste condizioni si può supporre che Hitler e Mussolini non giungeranno ad un conflitto aperto con l’Inghilterra e la Francia a causa delle pretese italiane verso la Francia.
Un lato debole degli Stati Uniti sta naturalmente in ciò che, benché essi abbiano già da oggi definito il loro punto di vista in caso di un eventuale conflitto, non possono nel contempo prendere tuttavia alcuna parte attiva ad una positiva risoluzione dei problemi europei, perché l’opinione americana orientata verso l’isolazionismo non lo permetterebbe.
- – L’atteggiamento dei fattori moderati americani verso l’Italia e la Germania assumono un aspetto negativo soprattutto per il fatto che essi sono dell’opinione che i nuovi successi dell’asse Roma-Berlino, i quali hanno diminuito tanto il prestigio quanto l’autorità della Francia e dell’Inghilterra quali potenze imperiali, costituiscono già una minaccia quasi diretta ai reali interessi degli Stati Uniti. In tal modo anche la politica estera di Washington reagirebbe in tale direzione in caso di un ulteriore sviluppo della situazione.
Gli Stati Uniti dispongono nei loro rapporti verso l’Italia e la Germania di svariati mezzi di pressione che già oggi sono stati molto seriamente esaminati e messi a punto. Questi mezzi in preponderanza economici sono tali che possono essere applicati senza il minimo timore di una resistenza politica interna. Tanto a Roma quanto a Berlino ne risentiranno indubbiamente abbastanza la pressione. L’ambasciatore Bullitt pensa che una contemporanea pressione esercitata dagli Stati Uniti sull’Italia e sulla Germania da un lato e sull’Inghilterra dall’altro, potrebbe in gran misura evitare lo scoppio di un conflitto armato, cioè impedire che lo sviluppo della situazione europea assuma una direzione indesiderabile secondo il punto di vista di Washington.
Avendo io osservato che data l’attuale situazione era tuttavia poco chiaro se gli Stati Uniti fossero pronti a battersi contro la Germania e l’Italia per le Colonie francesi e rispettivamente di lottare contro certi sistemi ed ideologie, l’ambasciatore Bullitt dichiarò categoricamente che il contegno di Washington sarebbe stato determinato soltanto dai reali interessi degli Stati Uniti e non da problemi ideologici.
Devo aggiungere che l’ambasciatore Bullitt sembra essere certo della resistenza intransigente della Francia contro le pretese italiane e esclude in conseguenza l’eventualità di una possibile mediazione inglese o anglo-tedesca il cui fine fosse un compromesso ai danni della Francia.
Vorrei rinunziare per il momento a formulare la mia propria opinione circa le espressioni dell’ambasciatore Bullitt. E’ cioè mia aspirazione ricevere prima da lui ancora alcuni commenti supplementari. Mi sembre però sicuro che la politica del Presidente Roosevelt si rivolga nell’immediato ad appoggiare la resistenza della Francia, a ostacolare la pressione italo-tedesca e ad indebolire le tendenze inglesi ad un compromesso.
Lukasiewicz
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 10
Relazione dell’ambasciatore polacco a Londra, conte Edward Raczynski, al ministro degli Affari Esteri a Varsavia, 9 marzo 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
ER / MR N. 57/tj-122
Rapporto politico N. 6/2
Londra, 9 marzo 1939
(Segreto)
Al signor ministro degli Affari Esteri, Varsavia
Oggi fu da me a colazione il signor Hudson,”segretario parlamentare per il commercio estero”, che avevo invitato, insieme ad alcuni collaboratori nonché funzionari del Foreign Office e della Tesoreria, prima del suo progettato viaggio a Varsavia, nella seconda metà di questo mese. Questo invito mi offre l’occasione di eliminare rapidamente e amichevolmente un malinteso fra noi e gli inglesi che era sorto a proposito delle esportazioni britanniche in Polonia (assegnazione dei contingentamenti). Riferisco a tale riguardo in un rapporto speciale del 10 marzo N. 57/tj/123.
La piega soddisfacente che si verificò in questa occasione creò condizioni favorevoli per uno scambio di idee molto amichevole. Il signor Hudson, che io conosco da diversi anni, benché soltanto superficialmente, mi fece una grande impressione per la sua rettitudine alquanto primitiva ma piena di energia e per il suo modo di agire aperto anche in questione politiche delicate, metodo questo che differisce molto dalla discrezione dei funzionari del Foreign Office. Questo metodo viene probabilmente adottato in parte coscientemente e intenzionalmente, e riposa sulla decisione di questo Governo di dimostrare esteriormente la forza, la decisione e l’ottimismo della Gran Bretagna, onde impressionare gli interlocutori continentali. Inoltre tale metodo è certamente una conseguenza della disposizione personale del signor Hudson, il quale sembra deciso, presentandosi nella sua qualità di “viaggiatore” per conto di Whitehall, ad attribuire molta importanza alle questioni di “sicurezza e fiducia” nella scelta delle merci offerte, alle quali devono partecipare i contraenti che si dichiarano per la Gran Bretagna. Questo stato di fatto non menoma per nulla il significato del viaggio del signor Hudson in alcune capitali europee, anzi, secondo il mio modo di vedere, attribuisce un significato prudente e piuttosto restrittivo alle dichiarazioni del signor Hudson, in quanto esse non rappresentano assicurazioni o impegni concreti, ma sono invece espressioni di carattere generale e non impegnativo di un valore piuttosto propagandistico.
Grazie al carattere impulsivo e alla prontezza del signor Hudson, la conversazione con lui fu particolarmente interessante. Egli non nascose il suo convincimento che tutti gli sforzi fondamentali dell’Inghilterra sono guidati dal punto di vista di opporsi alla minaccia tedesca. Il signor Hudson ritiene che il pericolo che può venire dall’Italia è minimo. Egli è del parere che nel campo economico l’Italia è talmente esaurita che non può permettersi alcuna azione indipendente che costituisca una minaccia per l’Inghilterra. Ma anche nel giudicare il problema tedesco egli si espresse con molto ottimismo. Mi disse che, secondo lui: “noi abbiamo quasi già superato la fase del pericolo”. In particolare la Germania desidera veramente un’intesa economica, il cui esponente è, fra altri, il signor Funk. I tedeschi sono inclini a questa intesa a causa della difficile situazione economica, la quale – così crede il signor Hudson – subirà un forte inasprimento in seguito alle diminuite esportazioni, ecc. e dovrebbe peggiorare nell’estate di quest’anno. Il signor Hudson crede che la maggiore probabilità di un’intesa economica anglo-tedesca si possa trovare entro il quadro di accordi di cartello, i quali però renderebbero impossibile qualsiasi esclusività a danno degli Stati economicamente deboli. Inoltre il Governo britannico sarebbe deciso a non ritirarsi da nessun mercato europeo e a non rinunciare a quanto possiede a favore del Reich tedesco. Ciò non significa però che la Gran Bretagna voglia contestare alla Germania il primo posto che, per motivi geopolitici ecc. le spetta nell’Europa centrale (1).
Mentre il signor Hudson esprimeva in modo caratteristico la sua fiducia in un favorevole sviluppo degli avvenimenti, disse a questo punto: “Ora trattiamo nel campo economico e rovesciamo il sistema tedesco degli scambi bilaterali! – in autunno facciamo venire Goering a Londra, fra un anno avremo concluso un trattato per la limitazione degli armamenti, fra diciotto mesi avremo risolto definitivamente la dolorosa questione delle colonie e delle materie prime, e in tal modo noi assicuriamo la pace e ristabiliamo l’equilibrio attualmente scosso!”.
La fiducia del signor Hudson nel risultato delle sue conversazioni berlinesi, espressa in queste parole, non gli impedisce di pensare a una “politica dello sviluppo dei mezzi di resistenza” e di parlarne. Mentre caratterizza egli stesso la presa di posizione del suo paese, sostiene che la politica britannica ha ora abbandonato i metodi e i sistemi degli ultimi vent’anni e che ha ripreso i metodi dell’epoca guerriera della fine del sec. XIX, cioè di Giuseppe Chamberlain, e quindi della tradizione “Jingo!”.
Catatteristiche furono le sue osservazioni sulla Russia. Egli mi chiese in particolare: 1) come giudichiamo noi la potenza della Russia? 2) Quale significato annettiamo noi al recente accordo commerciale concluso con l’Unione sovietica? 3) Se si poteva immaginare che i nostri rapporti con i sovieti potessero migliorare; 4) se credevo che i sovieti desiderassero intrattenere rapporti amichevoli con la Gran Bretagna, il che avrebbe potuto offrire prospettive favorevoli per le sue conversazioni su questioni economiche durante la sua visita a Mosca. A queste domande risposi in uno stile più diplomatico. Particolarmente a proposito della domanda n. 4 osservai che gli attuali rappresentanti sovietici si sforzavano di far mostra di una grande sicurezza di se stessi e sostenevano che se esiste un pericolo di guerra, esso esiste nel settore della “minima resistenza”, vale a dire in occidente. L’Unione sovietica, come essi sostengono con molta sicurezza di se stessi, è così forte che può guardare al futuro senza preoccupazione. Hudson rispose che solo ieri Maisky gli aveva detto la stessa cosa.
Questa piega interessante che il signor Hudson diede alla conversazione, dimostra: 1) che egli si occupa molto della parte sovietica del suo viaggio, 2) che egli annette a questa parte del viaggio molta importanza, 3) che Mosca non ricambia più, come in passato, una certa simpatia. A tale riguardo bisogna ricordare che le conversazioni che il signor Hudson si propone di svolgere a Mosca, a parte quelle di carattere politico delle quali egli parla di preferenza, riguarderanno questioni concrete di carattere economico e che da parte inglese si esigerà soprattutto di equilibrare meglio, da un punto di vista inglese, il commercio anglo-russo aumentando le esportazioni inglesi nell’Unione sovietica.
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(1) Il signor Hudson, a giustificazione del suo ottimismo circa i risultati delle sua conversazioni berlinesi, si riferì, tra l’atro, alla seguente comunicazione fattagli dal nuovo ministro romeno a Londra, signor Tilea: Soltanto poche settimane fa, a proposito di un regolamento dei reciproci rapporti economici tedesco-ungheresi, e in vista di assicurare l’acquisto dei prodotti agricoli ungheresi, la Germania pose all’Ungheria la condizione di rinunciare alla creazione di nuovi stabilimenti nelle industrie che interessano l’esportazione tedesca. La Germania avrebbe recentemente rinunciato a questa pretesa, adducendo come motivo del cambiamento di atteggiamento che era certa una intesa economica tra il Reich e la Gran Bretagna a breve scadenza. Il signor Hudson sostiene di aver avuto conferma dell’esattezza di questa notizia del signor Tilea che per altra via.
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10 marzo 1939
Appena terminato di redigere questo rapporto ho avuto occasione di intrattenermi con l’ambasciatore Maisky al ricevimento di corte di ieri sera. Questa conversazione rafforzò in me il convincimento che il mio giudizio sull’incontro Hudson-Maisky era esatto. Hudson mette in rilievo il significato politico della sua missione, egli conta con ciò di raggiungere più facilmente i risultati desiderati nel campo economico. Il signor Maisky rimprovera inoltre agli inglesi di non avere la necessaria prospettiva storica e di non saper giudicare esattamente l’equilibrio delle forze in Europa. Egli dice che gli inglesi immaginano che la potenza della Gran Bretagna sia ancora quella del 1870! Essi credono che il semplice fatto di inviare una missione economica a Mosca venga accolto con entusiasmo e con viva riconoscenza dai sovieti. Come egli ha avuto occasione di dire al signor Hudson, questi sarà ricevuto a Mosca con molta cortesia e sarà ascoltato con tutta la dovuta attenzione. Ma prima di giudicare se la missione sia utile o abbia una qualsiasi importanza, i sovieti si riservano di attendere il momento in cui il signor Hudson avrà fatto delle proposte concrete. Infine il signor Maisky osservò che l’obbiezione inglese che il commercio anglo-sovietico manchi di equilibrio, non è giustificata; se i sovieti non fanno maggiori acquisti in Inghilterra, ciò è dovuto soprattutto al fatto che moltissime fabbriche inglesi sono sovraccariche di lavoro per gli armamenti e non sono in grado di accettare le ordinazioni russe.
Queste mie conversazioni con i signori Hudson e Maisky gettano una luce interessante sui rapporti anglo-sovietici, dei quali tanto si parla qui in questi tempi, benché di quanto si dice vi sia ben poco di concreto e venga colorito dal convincimento dei vari informatori. Ciò mi permette di concludere, con abbastanza probabilità, che finora non è stato realizzato un riavvicinamento politico fra Londra e Mosca e che quegli avvenimenti, che suscitano la sorpresa nell’opinione pubblica, come ad esempio l’improvvisa apparizione del Primo Ministro a una serata all’Ambasciata sovietica, sono calcolati per produrre un effetto esteriore, ma non sono il risultato di precedenti contatti amichevoli fra le due Potenze. Il primo atto concreto dell’Inghilterra è l’inclusione di Mosca nella missione Hudson. Questo atto è stato accolto dai sovieti, come nel passato, con riserva.
Circa le sue progettate conversazioni a Varsavia, il signor Hudson non ha detto molto e soltanto in linea generale ha sottolineato di non aver un programma rigido prestabilito. Il suo scopo è di aumentare il traffico reciproco e di contribuire al rafforzamento dell’esportazione polacca sui mercati a divisa libera, aumentando frattanto le esportazioni inglesi in Polonia, eventualmente con l’aiuto di un “credito di esportazione” inglese.
Edward Raczynski
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 11
Relazione dell’ambasciatore polacco a Parigi, Jules Lukasiewicz, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 29 marzo 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
R.2 /3
Parigi, 29 marzo 1939
(Segretissimo)
Al signor ministro degli Esteri, Varsavia
Il 24 c.m. io dissi all’ambasciatore Bullitt in una normale conversazione amichevole press’a poco quanto segue.
Io non conosco né il testo della proposta inglese relativamente alla dichiarazione dei 4 Stati né la nostra risposta in proposito (il che del resto corrispondeva a verità). Riferendomi alle dichiarazioni della stampa e alle loro ripercussioni che mi pervengono da varie parti, giudico la situazione come segue: la proposta inglese mi sembra, sia per la forma sia per la sostanza, una manovra destinata almeno per tre quarti alla politica interna inglese e affatto derivata dalla volontà di reagire agli avvenimenti politici degli ultimi giorni, ma piuttosto da quella di reagire alle difficoltà contro le quali urta Chamberlain sia da parte del Parlamento sia da parte dell’opinione pubblica. E’ una infantile ingenuità e al contempo una slealtà il proporre a uno Stato che si trova nella situazione della Polonia di dover compromettere le sue relazioni con un vicino così potente come la Germania e di esporre il mondo alla catastrofe di una guerra solo per accondiscendere ai bisogni della politica interna di Chamberlain. Sarebbe quindi più ingenuo ancora il supporre che la Polonia non afferri il vero senso di tale manovra e le sue conseguenze.
Sarebbe inoltre altamente imprudente intraprendere una azione quale il Governo inglese patrocina pubblicamente e mettere in primo piano una partecipazione della Russia ad essa azione, partecipazione che deforma tanto l’aspetto politico degli Stati che devono agire solidalmente quanto il fine delle loro azioni. Gli sforzi palesi per una collaborazione con la Russia in una forma e in una portata che corrispondono solo alle necessità della politica interna di Chamberlain, fa nascere il sospetto ingiusto che non si tratti qui soltanto della difesa di quegli Stati che sono minacciati dai nuovi metodi della politica tedesca ma anche di una lotta ideologica contro l’htlerismo e che scopo finale delle azioni non sia la pace, bensì provocare una rivoluzione in Germania. Chi conosce i princìpi che da lungo tempo guidano la politica polacca, non può ammettere che il Governo polacco sia positivamente di connivenza con le mosse così leggere e pericolose del signor Chamberlain.
Secondo le esperienze degli ultimi venti anni durante i quali la Francia e l’Inghilterra non solo non hanno rispettato alcun impegno internazionale ma non furono neanche mai in grado di difendere come si conviene i propri interessi, è assolutamente impossibile credere che un qualsiasi Stato dell’Europa centrale o orientale – così come il campo opposto Berlino-Roma – possa prendere sul serio anche una sola proposta inglese, tanto più quando l’Inghilterra si slancia in azioni che attestino indubbiamente e chiaramente la sua decisione di rompere le relazioni con la Germania.
Se il Governo inglese alcuni giorni prima della diffusione della dichiarazione proposta a Varsavia avesse mobilitato la sua flotta da guerra e introdotto il servizio militare obbligatorio e il Governo francese avesse ordinato la mobilitazione del suo esercito in una misura più ampia di quel che non avesse fatto fino allora, si sarebbe allora potuto considerare anche simili proposte inglesi insufficienti, quali quelle che ci vennero fatte, come una prova di una sincera e seria volontà di leale collaborazione. Siccome è accaduto precisamente il contrario, si deve presumere che tutti i negoziati diplomatici intrapresi da Londra non avranno probabilità alcuna di successo fintantoché il Governo inglese non si affretterà finalmente a prendere la decisione di assumere impegni concreti e precisi, appoggiati da reali misure nel campo delle forze militari di cui dispone.
E’ triste, anzi quasi tragico che nella situazione attuale non si tratti soltanto degli interessi di un solo paese, bensì – senza esagerazione – di evitare un conflitto armato catastrofico. Io non conosco né il testo della proposta inglese né le intenzioni di Hitler. Tuttavia in base ad aspetti indiscutibili mi formo un concetto mio della situazione reale. L’iniziativa inglese, considerata quanto alla forma, lacunosa quanto alla sostanza, lascia al Governo polacco la scelta fra il compromettere le sue relazioni con la Germania o il naufragio dei negoziati con Londra. Nel primo caso Hitler si può veder costretto a tentare contro di noi l’impiego della forza al che non potremmo replicare che con le armi. Da ciò nascerebbe un conflitto europeo generale nella cui prima fase noi dovremmo sopportare il peso di tutta la forza tedesca. Tutta la nostra industria di guerra sarebbe non solo minacciata ma la potremmo perdere. Già al principio della guerra perciò risulterebbero le peggiori condizioni non solo per noi ma anche per la Francia e l’Inghilterra. Nel secondo caso il fallimento dei negoziato con Londra sarebbe una prova per Hitler della doppiezza e della debolezza della politica inglese e francese ed un incitamento per lui a nuove imprese espansionistiche nell’Europa orientale e centrale che presto o tardi condurrebbero alla catastrofe di una guerra. Data la situazione è altrettanto infantile quanto criminoso voler rendere la Polonia responsabile della guerra o della pace. Va dichiarato una volta per sempre che la responsabilità ricade in gran parte su Francia e Inghilterra la cui politica insensata o ridicolmente debole condusse alla situazione e agli avvenimenti nei quali attualmente viviamo. Se il Governo inglese non afferra oggi questo, un conflitto europeo generale, anzi forse una guerra mondiale, sono inevitabili e devono presto sopravvenire perché la scelta del momento opportuno è nelle mani di Hitler.
L’ambasciatore Bullitt prese molto a cuore le mie affermazioni e mi pregò di ripeterle ancora una volta. Vidi che egli cercava di fissare nella memoria ogni frase.
Più in là egli mi chiese se noi avremmo partecipato ad una alleanza comune nel caso in cui l’Inghilterra e la Francia ce ne proponessero una l’indomani. Replicai che non potevo dar nessuna risposta su questo punto.Assicurai invece che il punto essenziale non stava nelle proposte che ci erano state fatte bensì nelle misure effettive che l’Inghilterra in prima linea doveva prendere. L’ambasciatore Bullitt si dichiarò pienamente d’accordo con il mio punto di vista. L’indomani 25 c.m. l’ambasciatore Bullitt mi comunicò di aver fatto suo il mio punto di vista e di aver dato, utilizzando i diritti che gli spettavano, l’incarico a Kennedy, ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, di recarsi nella giornata odierna di sabato alla residenza del Presidente del ministri, Chamberlain, e di ripetere tutto ciò a quest’ultimo accentuando categoricamente la responsabilità del Governo inglese.La domenica 26 l’ambasciatore Bullitt ricevette in mia presenza una relazione telefonica da parte dell’ambasciatore Kennedy circa il colloquio che quest’ultimo aveva avuto con il Presidente dei ministri, Chamberlain. Di ciò vi ho riferito, signor ministro, in un telegramma, che è stato immediatamente inviato dopo la mia visita all’ambasciatore Bullitt.
So che l’ambasciatore Bullitt considera sicuramente alquanto esagerata l’importanza delle dichiarazioni che furono fatte dal suo collega al Governo inglese. Tuttavia reputo mio dovere, signor ministro, informarvi circa quanto sopra, poiché è mia convinzione che la collaborazione dell’ambasciatore Bullitt in tempi difficili e complicati possa esserci di un certo giovamento. E’ in ogni caso assolutamente sicuro che egli condivide completamente il nostro punto di vista e che è pronto per quanto è possibile ad una leale ed amichevole collaborazione.
Per rafforzare inoltre l’azione dell’ambasciatore americano a Londra io richiamai l’attenzione dell’ambasciatore Bullitt sul fatto che non è escluso che gli inglesi stimino in verità scarsamente, seppure in modo larvato. il passo degli Stati Uniti del Nord America.
Egli mi rispose che forse avevo ragione. Tuttavia gli Stati Uniti possedevano mezzi con i quali poter esercitare una effettiva pressione sull’Inghilterra. Egli penserebbe seriamente ad una mobilitazione di tali mezzi.
L’ambasciatore della Repubblica di Polonia
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(Nota del traduttore: la firma personale dell’ambasciatore manca poiché si tratta di una copia della relazione originale. La copia reca nella prima pagina la sigla del vice-ministro polacco conte Szembek).
DOCUMENTO N. 12
Relazione dell’ambasciatore polacco a Londra, conte Edward Raczynski, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 29 marzo 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
ER MR-N. 1 WB/tj/146
Londra, 29 marzo 1939
(Segreto)
Al signor ministro degli Affari Esteri, Varsavia
ATTEGGIAMENTO DEL GOVERNO BRITANNICO DI FRONTE ALLA CRISI. RAPPORTI CON LA POLONIA. COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE KENNEDY.
Il corso violento dell’ultima fase della crisi ceca ha scosso profondamente l’opinione pubblica di questo paese ed ha provocato anche un mutamento nell’atteggiamento del Governo inglese. Per i decisi avversari della Germania di Hitler, i recenti avvenimenti non sono stati che una conferma di quanto si prevedeva e una prova di più che è necessaria un’azione energica. Ma gli avvenimenti cechi hanno acquistato maggior importanza in seguito all’impressione che hanno hatto qui, sulle “sfere favorevoli alla conciliazione”.
Gli aderenti a queste sfere evitavano in generale di esprimere sinceramente le loro previsioni e le loro speranze. Essi si limitavano in generale a dichiarare che la Gran Bretagna doveva limitarsi alla difesa dell’Europa occidentale, nonché, naturalmente, dell’Impero britannico e delle vie di comunicazione imperiali. L’Europa centrale e orientale, invece, avrebbe dovuto servire quale territorio di espansione tedesca, dal quale l’Inghilterra avrebbe potuto ritirarsi senza subire grandi danni.
Altri argomenti, che non venivano pronunciati ad alta voce, ma che forse erano i più importanti, in tali sfere, erano che si prevedeva che la Germania avrebbe incontrato molte difficoltà nei territori che le erano stati ceduti, e che, grazie a queste difficoltà e grazie al contrasto con la Russia, la Germania avrebbe perduto tanto in capacità espansiva, quanto in dinamismo.Si prevedeva che sarebbe scoppiata una guerra tra la Russia e la Germania, guerra che avrebbe indebolito entrambi i paesi, non senza un diretto vantaggio per le Potenze occidentali.
Il rapido corso degli avvenimenti, che procurò alla Germania un prezioso bottino, senza spargimento di sangue, dimostrò il lato debole di questa argomentazione. Attirò l’attenzione sul fatto che, in fondo, non era che una scusa, che permettava agli uomini di Stato responsabili delle Potenze occidentali di seguire la via della minima resistenza. Sorse poi una seria preoccupazione di fronte al fatto che la Germania, in seguito alla sua azione ad oriente, invece di indebolirsi, ne usciva rafforzata.
In seguito a questa constatazione, si assunse nei confronti della Germania un nuovo tono, il quale trovò la sua espressione nella stampa politica dell’Inghilterra, d’accordo, peraltro, con i desideri degli ambienti governativi. Secondo la notizie che circolano in questi ambienti diplomatici e politici, l’atteggiamento dei fautori della “conciliazione” non è del resto unanime. Fra essi si troverebbe, secondo l’opinione generale, sir John Simon, considerato come l’autore del progetto di una dichiarazione comune della Gran Bretagna, della Francia, della Polonia e dell’Unione sovietica. Anche il Primo Ministro, nonostante il tono energico dei suoi ultimi discorsi, sembra non essere alieno dal nutrire dubbi circa il successo della partita iniziata a Monaco.
Sembra che questa titubanza si verifichi soprattutto nei rapporti dell’Inghilterra con la Polonia. Nella tendenza disfattita, cioè conciliativa, sopra riferita, non vi era apparentemente un posto chiaramente definito per noi. Ora, di fronte ai rapidi successi tedeschi, che hanno potuto essere raggiunti soltanto con la pressione, si comincia qui a temere che anche la Polonia finisca con un compromesso con la Germania, il quale renderebbe possibile a quest’ultima di far saltare rapidamente la Russia. Ci si preoccupa pensando che dopo di ciò verrebbe la volta dei paesi occidentali e che allora la pressione tedesca non potrebbe più venir respinta. Questa considerazione fa pensare che i rapporti anglo-polacchi hanno la probabilità di migliorare. Inoltre, vi è un altro serio motivo per cui l’Inghilterra avrebbe interesse ad agire d’accordo con noi: e cioè la consapevolezza, che si sta formando, che la Polonia, a parte i sovieti, è l’unico elemento nell’Europa orientale che gode di una piena indipendenza politica e di una situazione, estera ed interna, che permetta decisioni indipendenti. La corrente degli “elementi cinciliativi” tende, come è noto, a una limitazione dell’influenza inglese nel Mediterraneo orientale, e alla difesa dei Dardanelli, che assicurano l’accesso al Mar Nero. Ma risulta che nella penisola balcanica, e cioè alle porte della Turchia, non esiste una situazione priva di minacce e che la mobilitazione politica degli Stati dell’Intesa balcanica, in conformità ai desideri dell’Inghilterra e sotto la sua direzione, si urta a grandi difficoltà. Dalle possibilità sopra riferite, e da altre, che per brevità tralascio di menzionare, il Governo inglese ha scelto la proposta di una dichiarazione comune dell’Inghilterra, della Francia, della Polonia e dell’Unione sovietica, per rivolgersi a noi. Ma poiché in seno al Governo esistevano regolarmente, fino a questi ultimi giorni, divergenze e dubbi circa l’utilità di questi metodi attivi, si è scelto la forma non molto viva, ma in cambio meno impegnativa, di una dichiarazione di carattere generale, e si è redatta tale dichiarazione in uno stile che lascia aperta la via a molte interpretazioni. Una prova infatti che qui si è compresa l’intima debolezza che risulta da questa circostanza, si può vedere nel fatto che la avversione della Polonia alla firma di un simile documento non ha suscitato qui grande sorpresa; e tanto meno si ha la pretesa di dirigere la politica polacca.
Un’altra circostanza richiede di essare chiarita, per quanto mi è possibile in questo momento. Si tratta dello stato dei rapporti anglo-russi. Come ho già avuto occasione di riferirvi, signor ministro, a proposito del viaggio del signor Hudson a Varsavia e a Mosca (N. 57/tj/122 del 10 corrente mese) da parte inglese si sperava molto già allora in una collaborazione politica con i sovieti. Da parte sovietica invece si mostrò di non aver vivo interesse alla cosa. A suo tempo i sovieti si dichiararono d’accordo a firmare la dichiarazione comune. Lo fecero in condizioni che finora non sono state ben chiarite. Apparentemente essi facevano dipendere la loro firma dalla partecipazione della Polonia (1).
Non si sa se il Governo inglese si sia rivolto a Mosca per una firma a tre, con la Francia, e se la Russia non era disposta a firmare. Ad ogni modo, in questi ultimi giorni sono aumentati gli indizi che fanno pensare che l’atteggiamento nei riguardi dell’iniziativa inglese è ora meno favorevole di quanto lo fosse poco tempo fa. Ritornerò su questo punto dopo la mia conversazione con l’ambasciatore Kennedy. Vorrei soltanto aggiungere ancora che l’ambasciatore Maisky che ho incontrato più volte nei ricevimenti offerti in onore del Presidente Lebrun, non nasconde di essere estremamente soddisfatto del recente corso degli avvenimenti, e contemporaneamente mostra molta sicurezza di se stesso. L’elemento di titubanza del Governo di Londra si notò anche nella questione del servizio militare obbligatorio, che già da alcuni mesi forma oggetto di vivaci controversie. Di fronte al notevole aumento dei quadri dell’esercito regolare e territoriale, gli esperti militari di qui hanno dichiarato al Governo la loro avversione all’introduzione della legge del servizio militare obbligatorio, motivandola con considerazioni di carattere tecnico. Essi sostengono che questa misura avrebbe nel prossimo futuro soltanto un significato simbolico-dimostrativo; ma non faciliterebbe lo sviluppo dell’esercito in tempo di pace, rendendolo anzi più difficile.
A parte il valore di queste dichiarazioni, sembra che la titubanza del signor Chamberlain risulti soprattutto dalla sua avversione a mettersi contro le unioni sindacali, contrarie al servizio militare obbligatorio, suscitando con ciò divergenze di opinione in Parlamento, che attualmente è quasi unanime. Invece di introdurre la legge del servizio militare obbligatorio, il Primo Ministro ha per ora annunciato alla Camera dei Comuni che il cosiddetto esercito territoriale sarà raddoppiato, portando il numero degli effettivi a 340 mila uomini.
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(1) Al Foreign Office mi è stato detto invece che i sovieti smentiscono ciò. Sembre che qui si dia alla cosa una interpretazione casuistica: l’invito è stato fatto ai quattro Stati, e i sovieti lo accettano, come essi sostengono, senza nessuna condizione. Naturalmente essi lo accettano soltanto in questa forma e con la partecipazione prevista nella proposta inglese.
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MIO COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE KENNEDY
Questo modo di giudicare la situazione locale costituì il contenuto principale della conversazione che, in conformità alle vostre istruzioni, signor ministro, trasmessemi a tramite del signor direttore Lubienski, ebbi il 28 di questo mese con l’ambasciatore americano, signor Kennedy. Interrogai senz’altro il signor Kennedy sulla conversazione che egli deve avere avuto di recente con il signor Chamberlain sulla Polonia. Il signor Kennedy rimase sorpreso e dichiarò categoricamente che una simile conversazione di particolare importanza non aveva avuto luogo. Contemporaneamente, e mentre contestava in certo qual modo questa assicurazione, il signor Kennedy espresse il suo malcontento che i suoi colleghi a Parigi e a Varsavia, “i quali non erano come lui in grado di farsi un quadro esatto della situazione in Inghilterra”, ne parlassero così sfrontatamente.
Visto che su questa via non potevo ottenere molto, portai la conversazione sull’attuale situazione, e incitai l’ambasciatore a esprimere un suo giudizio sulla preparazione dell’Inghilterra a entrare in un conflitto armato. Su questa parte della conversazione vi ho già riferito telegraficamente. Il signor Kennedy, il quale mi fece comprendere che il suo giudizio si basava su una serie di conversazioni che aveva avuto con queste autorità competenti, dichiarò di essere convinto che, qualora la Polonia dovesse decidersi a una resistenza armata contro la Germania, particolarmente anche a proposito di Danzica, essa avrebbe trascinato con sé l’Inghilterra. Il signor Kennedy sottolineò con enfasi che ciò non sarebbe stato il risultato di una amicizia più grande di quella che l’Inghilterra aveva avuto sinora con noi, disse anche che questa non sarebbe stata neppure una decisione volontaria o presa con entusiasmo, ma sarebbe semplicemente stato il risultato di una necessità politica. Se per contro la Polonia stessa dovesse essere indecisa, allora l’ambasciatore crede che gli elementi pacifisti del Governo approfitteranno di questa indecisione per indurre la Gran Bretagna a rinunciare ad agganciarsi a noi. Il signor Kennedy è del parere che il Governo di Londra continui a nutrire dubbi circa l’effetiva decisione irrevocabile della Polonia di resistere a proposito di Danzica. Nelle circostanze che qui mutano con la rapidità del fulmine, sarebbe necessario ripetere spesso assicurazioni di questo genere.
Misi poi sul tappeto la questione russa. Il signor Kennedy fu piuttosto riservato, ed evidentemente non voleva entrare in discussione sul modo di agire inglese di fronte a Mosca (e neppure sulle difficoltà contro le quali poteva urtarsi questo modo di agire?). Egli si limitò alla caratteristica espressione che il Governo inglese annetteva maggiore importanza alla sua intesa con la Polonia che non a quella con la Russia (1). Questa intesa sarebbe in ogni modo per il Governo inglese un punto di partenza essenziale per un’eventuale ulteriore azione.
Tanto mi disse il signor Kennedy stesso. Per contro, in questi circoli giornalistici corrono voci, secondo le quali l’ambasciatore avrebbe effettivamente parlato in questi ultimi giorni con il Primo Ministro sull’Europa orientale. In tale occasione si sostiene che egli avrebbe sottolineato che le simpatie dell’America per l’Inghilterra in caso di conflitto dipenderebbero in grande misura dalla decisione con cui l’Inghilterra appoggerebbe gli Stati Europei minacciati dalla Germania.
Edward Raczynski
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
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(1) Per la prima volta ho trovato questo punto di vista espresso nella stampa odierna, in alcuni articoli che parlano della portata e degli scopi dell’offensiva diplomatica inglese.
DOCUMENTO N. 13
Relazione del ministro polacco a Stoccolma, G. Potworowski, al ministro degli Esteri polacco a Varsavia, 15 aprile 1939
LEGAZIONE DI POLONIA A STOCCOLMA
N. 19/S/5
Stoccolma 15 aprile 1939
(Confidenziale)
Al signor ministro degli Affari Esteri, Varsavia
Con riferimento alla relazione dell’8 aprile c.a. N. 19/S/4, la Legazione comunica che ulteriori notizie circa il soggiorno del ministro Hudson a Stoccolma attestano che qui egli non ha raggiunto maggior successo. Apparentemente il ministro Hudson ha dimostrato troppo poca abilità nelle conversazioni qui condotte ed anzi ha attirato contro di sé il malumore degli ambienti economici locali.
Secondo quanto mi ha comunicato un eminente rappresentante dell’ambiente finanziario locale, Hudson saggiò altresì il terreno in relazione al contegno della Svezia in caso di guerra, suggerendo essere necessario che venissero sospesi i rifornimenti di materie prime alla Germania.
Gli svedesi gli fecero a tal riguardo comprendere che desideravano mantenere la neutralità e che, qualora in caso di guerra la Germania dominasse il Baltico, essi non potrebbero sottrarsi dal rifornirle minerale. La situazione sarebbe naturalmente diversa qualora gli inglesi dominassero il Baltico.
In una conferenza alla stampa Hudson mise ostensibilmente in risalto la necessità di uno sviluppo delle esportazioni inglesi verso la Svezia, facendo così comprendere che, nel caso in cui i lavori della prevista delegazione degli ambienti economici rimanessero senza risultati, l’Inghilterra dovrebbe prendere in considerazione una revisione del trattato di commercio. Tale prospettiva non spaventerebbe tuttavia la Svezia, mi dichiarò il mio interlocutore. Secondo il suo modo di vedere, un simile trattato non sarebbe troppo vantaggioso. Conterrebbe inanzitutto clausole onerose per la Svezia per quanto concerne il carbone, che essa potrebbe acquistare altrove a minor prezzo; gli svedesi non si preoccuperebbero per la vendita di merci che potrebbero ora essere vendute agli inglesi. Questi potrebbero certo elevare, per esempio, i diritti doganali sull’acciaio e sulla cellulosa, ma tali articoli hanno relativamente poca importanza nell’esportazione verso l’Inghilterra; del resto gli svedesi sono convinti che le merci che non potessero essere prese dall’Inghilterra, principalmente prodotti agricoli, sarebbero collocate senza difficoltà in Germania, con la quale soprattutto essi potrebbero svolgere commercio benissimo e regolarmente. Per l’esportazione di prodotti agricoli verso l’Inghilterra essi dovrebbero per così dire rivendere in perdita, mentre potrebbero ricavarne prezzi più elevati in Germania.
L’atteggiamento critico degli ambienti economici locali circa il contegno di Hudson è sanzionato anche da un articolo del noto economista G. Cassel sulla “Svenska Dagbladet” dell’8 aprile. Tale articolo è degno di attenzione per il fatto che, dal punto di vista delle relazioni commerciali polacco-svedesi, esso è diretto anche contro la Svezia.
Cassel in particolare dichiara che il fatto della passività della bilancia commerciale anglo-svedese per l’Inghilterra non può essere interpretato in modo troppo semplice. La struttura del commercio internazionale ha cioè per effetto che l’eccedenza di sterline che la Svezia ha ricevuto dall’Inghilterra può essere utilizzata per l’acquisto di merci in altri paesi, i quali comprano di nuovo merci inglesi per lo stesso valore di sterline.
Gli svedesi discuterebbero volentieri a Londra circa un aumento degli acquisti svedesi in Inghilterra. Ma il successo di questa azione dipenderebbe anche dal buon volere degli esportatori inglesi. D’altro lato, gli importatori inglesi comprano in Svezia le merci loro necessarie non certo per amore degli svedesi, ma piuttosto perché esse sono di buona qualità e poco care.
Infine, il prof. Cassel termina l’articolo così:
“Dalle esigenze che saranno avanzate dall’Inghilterra, la Svezia può tuttavia imparare qualcosa. I nostri continui sforzi per rendere gli altri paesi inclini a comperare merci svedesi che noi possiamo loro vendere soltanto con l’aiuto di sovvenzioni finanziarie, rappresentano naturalmente un deviamento pericoloso da una sana economia. Questa esportazione sovvenzionata pesa continuamente sui nostri negoziati circa trattati commerciali e rappresenta per il paese che assorbe tali esportazioni il punto di partenza per sempre crescenti richieste di un aumento delle sue esportazioni verso la Svezia. Questo lato nocivo della nostra politica di sovvenzioni è spesso dimenticato da noi. Esso è reso attuale dall’ultimo tentativo dell’Inghilterra, che si è sforzata di utilizzare la sua capacità di grande importatore per l’accaparramento di un più vasto mercaro in Svezia”.
Il “Göteborgs Handels-och Sjöfarts Tidning” del 12 aprile commenta questo articolo del Cassel e condivide la sue conclusioni. Lo scritto rimprovera soprattutto gli inglesi che la maggior parte della loro importazione dalla Svezia è composta di importanti materie prime e materie semilavorate per la loro industria, come legno o pasta di carta, e che essi comprano tali prodotti per bisogno e non per usare una cortesia alla Svezia; per quanto poi riguarda l’esportazione sovvenzionata dei prodotti del latte, e soprattutto del burro, che gli inglesi grazie alla sovvenzione ricevono ad un prezzo inferiore al 60% a quello pagato dai consumatori svedesi, niente vi sarebbe di più facile, se tale regalo fa venire il mal di capo agli inglesi, di sopprimere dalla passività del bilancio commerciale inglese l’ammontare dell’importazione dalla Svezia.
Il giornale, che ha lottato fin dal principio contro tali sovvenzioni, considerate una forma di appoggio all’agricoltura e alla produzione lattifera dannosa e opprimante per l’economia svedese, ritiene che potrebbe essere utile per l’economia svedese che le sovvenzioni per l’esportazione del burro venissero soppresse e i prezzi per il consumo interno ribassati e che la produzione venisse avviata in altre direzioni.
G. Potwororowski
Ministro della Repubblica di Polonia
DOCUMENTO N. 14
Relazione dell’ambasciatore polacco a Londra, Edward Raczynski, al ministro degli Esteri a Varsavia, 26 aprile 1939
AMBASCIATA DELLA REPUBBLICA DI POLONIA
AB/ME-N. 1/SE-Sow/191
Rapporto politico N. 10/3
Londra, 26 aprile 1939
(Segreto)
Al signor ministro degli Affari Esteri, Varsavia
RAPPORTI ANGLO-SOVIETICI
Gli avvenimenti delle ultime settimane hanno messo all’ordine del giorno l’interesse per i rapporti fra la Gran Bretagna e l’Unione sovietica. Sembra pertanto utile illustrare il loro sviluppo durante gli scorsi mesi e riassumere le espressioni al riguardo dei dirigenti della politica britannica, che di solito sono state fatte sotto la pressione di domande aggressive dell’opposizione.
Negli ultimi anni il Governo inglese, benché non nutrisse alcuna simpatia per il regime sovietico, desiderava intrattenere con il Governo sovietico rapporti corretti, evitando però qualsiasi stretto legame. Quando nel 1935 il ministro Eden si recò in visita a Mosca, il comunicato che venne allora pubblicato constatò che “in nessuna delle questioni fondamentali della politica internazionale esisteva una divergenza fra gli interessi del Governo britannico e quelli del Governo sovietico”.
Quando salì al potere Chamberlain, il quale, a differenza del suo predecessore, aveva il suo punto di vista in materia di politica estera e mirava ad un’intesa fra le quattro Potenze occidentali, non solo divenne impossibile una più stretta unione con i sovieti, ma si vide anche di mal occhio la politica troppo filosovietica del Governo francese. Questo atteggiamento fondamentale non mutò neppure nei giorni della crisi cecoslovacca di settembre. Per parecchie settimane il Governo inglese non ebbe alcun contatto con l’ambasciatore sovietico, il quale durante il mese di settembre fu quasi sempre assente da Londra. Tanto più grande fu dunque la sorpresa suscitata dalla questione, sino ad oggi non ancora ben chiarita, del comunicato diramato dal Foreign Office la sera del 26 settembre, nel quale era detto che se la Francia, in seguito ai suoi impegni nell’Europa centrale, dovesse venir coinvolta in una guerra, essa avrebbe trovato al suo fianco la Gran Bretagna e la Russia. Dopo questo inatteso gesto, che era piuttosto il risultato di un sentimento momentaneo e non di un piano ponderato e prestabilito, i rapporti si raffreddarono. Critica sovietica della politica di “Monaco”, e speranza degli inglesi che la tendenza espansionistica tedesca si rivolgesse verso oriente. La stampa britannica dedicò a quell’epoca molto spazio al “problema ucraino” e fece intravedere che questa regione non rientrava nella sfera degli interessi vitali britannici. Perfino le dichiarazioni dei rappresentanti del Governo si mantenevano su questa linea.
Una nuova tappa si iniziò nel momento in cui, dopo una certa freddezza e disorientamento nell’epoca successiva alla crisi e dopo che si era giunti al convincimento che la politica di “distensione” con la Germania non presentava alcuna prospettiva di rapida realizzazione – come poteva sembrare quando il signor Chamberlain, di ritorno dalla sua ultima visita al Cancelliere del Reich aveva potuto annunciare di aver raggiunto “peace in our time” -, il Governo britannico cominciò a mostrare una maggiore iniziativa per prepararsi un terreno favorevole a possibili trattative con la Germania, nelle quali si è sperato fin quasi al momento dello scoppio della crisi di marzo. I gesti verso la Russia hanno avuto allora il carattere di una manifestazione piuttosto che di una vera e propria mossa politica (ad esempio la visita dimostrativa del Primo Ministro Chamberlain all’Ambasciata sovietica), benché l’inclusione di Mosca nel viaggio del ministro Hudson sia l’espressione che l’interesse nella Russia non è soltanto economico. Certamente l’atteggiamento fondamentale non muta molto; rapporti corretti, anche se non affatto cordiali, e volontà di mantenerli sulla stessa temperatura. Ma l’opposizione, la quale chiede la creazione di un fronte “antiaggressivo” degli Stati “democratici”, desidera un maggiore riavvicinamento con la Russia; simili tendenze sono condivise perfino da alcuni membri del partito conservatore, i quali desiderano una lotta decisiva con la Germania (Churchill, Duff-Cooper). Tuttavia la maggioranza del partito non appoggia queste opinioni.
La crisi ceca di marzo crea una nuova situazione. Le proposte sovietiche di convocare una conferenza degli Stati interessati o degli Stati che si sentono “minacciati” da un’ulteriore aggressione tedesca non possono venire accettate. Per i noti motivi, viene scartata anche la proposta inglese di una dichiarazione comune delle quattro Potenze. Durante questo periodo di tempo i due Governi prendono relativamente spesso contatto fra di loro, ma quando il Governo britannico rinuncia ai suoi tentativi di esercitare la sua influenza e si decide a dare alla Polonia la garanzia, allora questi contatti vengono interrotti, suscitando un grande malcontento dei Sovieti. L’ambasciatore sovietico qui a Londra ha fatto comprendere a tutti che egli viene tenuto in disparte, e si lamenta di questo trattamento con i rappresentanti dell’opposizione (1).
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(1) Il deputato socialista Dalton sostenne, in una discussione alla Camera dei Comuni del 1° aprile, che fra il 19 e il 31 marzo non vi era stato alcun contatto tra l’ambasciatore sovietico e il ministro degli esteri britannico.
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L’ambasciatore Maisky venne informato del contenuto della nota dichiarazione del Primo Ministro del 31 marzo, due ore prima che essa venisse emanata.
La dichiarazione, approvata dall’opposizione, fece peraltro sorgere subito la questione della funzione che si intendeva riconoscere ai sovieti.
Il Primo Ministro rispose a tale riguardo:
“Il Governo è in consultazione con parecchie altre Potenze, e fra le altre naturalmente anche con il Governo sovietico. Lord Halifax ha ricevuto stamane l’ambasciatore sovietico e ha avuto con lui una approfondita discussione su questo tema. Non vi è alcun dubbio che i princìpi, in base ai quali si sta attualmente trattando, sono pienamente compresi e apprezzati da questo Governo”.
Alla domanda dell’opposizione se il Primo Ministro può dare l’assicurazione che fra la Gran Bretagna e l’Unione sovietica non esisteva ostacolo ideologico, il signor Chamberlain rispose: “Sì, non esito a dare questa assicurazione”. Nel dibattito del 3 aprile l’opposizione solleva di nuovo la questione russa. Ciò induce il Primo Ministro a fare la seguente dichiarazione nel corso del suo discorso:
“Non ho l’intenzione di nominare oggi quei Governi con i quali ci proponiamo di consultarci attualmente, o nel prossimo futuro, circa la situazione. Devo però menzionare l’Unione sovietica, perché sono sicuro che l’U.R.S.S. è sempre presente nella mente dei membri dell’opposizione e perché questi sospettano ancora che le cosiddette divergenze ideologiche potrebbero dividerci in quello che altrimenti sarebbe interesse di entrambi i paesi. Non mi sforzerò di sostenere neppure per un momento che simili divergenze ideologiche non esistono: esse rimangono immutate. Ma, come ho già detto nella mia risposta a una domanda che mi è stata rivolta venerdì scorso, il nostro punto di vista è che le divergenze ideologiche, di qualunque natura esse siano, non possono avere alcuna influenza in simili problemi. Quello che ci importa attualmente è il mantenimento della nostra indipendenza. Ma quando io parlo della nostra indipendenza, non intendo soltanto l’indipendenza del nostro paese,ma anche quella di altri Stati, che potrebbero venir minacciati da una aggressione. Per questo motivo noi accettiamo la collaborazione di qualsiasi Stato, senza riguardo alla forma del suo Governo, non perché noi vogliamo effettuare una aggressione, ma perché vogliamo opporci ad una aggressione”.
Da parte sua, lord Halifax confermò lo stesso giorno alla Camera dei Lord quanto segue:
“Le consultazioni continueranno, ed io non sono in grado attualmente di pronunciarmi in modo definitivo su di esse. Posso però dire subito che il Governo di S.M. è perfettamente al corrente circa il significato del punto di vista del Governo sovietico e desidera mantenere con questo Governo buoni rapporti. Non posso però dimenticare il fatto che i rapporti di certi Stati con la Russia sono complicati da certe condizioni speciali, benché io possa assicurare alla Camera che, per quanto concerne il Governo di S.M., queste difficoltà non esistono”.
Gli avvenimenti di Albania hanno reso necessaria la convocazione del Parlamento durante il periodo delle ferie e cioè per il giorno 13 aprile. Il Primo Ministro ha aperto il dibattito, nel quale, dopo aver esposto la situazione internazionale, rende nota la decisione di accordare una garanzia alla Romania e alla Grecia. Egli non accenna però all’atteggiamento russo. Soltanto verso la fine del discorso – quando da parte dell’opposizione si grida “E la Russia?” – egli esprime la sua speranza
“che il fatto che egli non ha nominato la Russia non venga interpretato dall’opposizione come la prova che la Gran Bretagna non intrattenga stretti rapporti coi rappresentanti di quel paese. Noi abbiamo un compito molto difficile da adempiere.Non bisogna prendere in considerazione soltanto quello che noi stessi desideriamo, ma anche quello che vogliono fare gli altri (We have to consider not only what we wish, but what other people also are willing to do). Queste parole possono riferirsi tanto alle riserve polacche e romene quanto al punto di vista della Russia”.
Soltanto quando sir John Simon rispose alle numerose domande che gli sono state poste durante il dibattito, egli discusse esaurientemente i rapporti con la Russia:
“Passo ora a parlare della Russia. A proposito di questa questione vorrei dare a nome del Governo la più chiara spiegazione possibile. Devo cominciare con la constatazione che da parte nostra non esiste il minimo desiderio di escludere la Russia o di rinunciare all’aiuto russo negli sforzi per la pace. Sin dall’inizio della nostra nuova politica abbiamo cercato di acquistare rapidamente la collaborazione russa. Subito dopo l’occupazione della Cecoslovacchia da parte della Germania, ci siamo rivolti al Governo russo, pregandolo di aderire alla dichiarazione delle quattro Potenze. Il Governo russo rispose subito che era d’accordo a partecipare alla dichiarazione delle quattro Potenze, alla sola condizione che Francia e Polonia accettassero questa proposta. Arriviamo ora a un punto delicato, poiché come è noto alla Camera, questo progetto purtroppo non ha potuto essere relizzato, e siamo stati obbligati ad adottare un altro metodo, pur perseguendo lo stesso scopo. La Russia presentò allora la sua proposta di una conferenza delle Potenze. Le obbiezioni del Governo britannico non sono state fatte perché la proposta veniva da parte russa: la sua presa di posizione al riguardo avvenne invece in base a un atteggiamento ispirato unicamente da motivi pratici….Si trattava di adottare il metodo più rapido e che presentasse le maggiori probabilità di successo per il raggiungimento di un’intesa fra gli Stati interessati. La convocazione di una conferenza si sarebbe urtata a molte difficoltà, ma indubbiamente noi ci saremmo sforzati di superarle, se avessimo avuto la convinzione che questo era il metodo migliore….Gli ultimi avvenimenti in Europa durante i mesi di marzo e di aprile hanno necessariamente suscitato preoccupazione in una serie di paesi, appunto perché essi sentirono minacciata la loro indipendenza e perché questo pericolo poteva assumere un rapido corso. Potrebbe infatti essere questione soltanto di giorni o di ore. Per far fronte a questo pericolo, non per agire dietro alle spalle dell’Unione sovietica, e neppure con l’intenzione di non fare alcun uso del suo aiuto, ma perché ci trovavamo di fronte a questioni che dovevano essere risolte senza indugio, e soprattutto perché agivamo in pieno accordo con il Governo francese, ci siamo sentiti obbligati a fare tutto il possibile per ristabilire la fiducia, e per questa ragione abbiamo dato l’assicurazione che è nota alla Camera. Noi abbiamo assunto speciali impegni verso gli Stati la cui indipendenza era minacciata o avrebbe potuto essere minacciata. Durante queste trattative siamo rimasti in stretto contatto con il Governo russo. Il 29 marzo abbiamo fatto sapere all’ambasciatore russo che non ci sembrava opportuno mantenere in vita l’idea di una dichiarazione delle quattro Potenze e che perciò avevamo adottato un’altra linea di condotta. L’ambasciatore russo venne informato delle linee generali di questo nuovo metodo che avevamo escogitato e che ci condusse a dare, in comune con la Francia, una garanzia alla Polonia e alla Romania. L’ambasciatore russo riconobbe che questo rappresentava un mutamento rivoluzionario della politica britannica e contribuiva grandemente al mantenimento della fiducia in altri paesi. Durante le trattative gli è stato fatto apertamente capire che non avevamo alcuna intenzione di escludere un aiuto del Governo russo qualora questo fosse disposto a dare un aiuto il più possibile utile e effettivo. Le circostanze che si verificarono allora obbligarono il Primo Ministro a fare una dichiarazione alla Polonia. Prima però che venisse pronunciata questa dichiarazione, l’ambasciatore russo era stato informato del suo contenuto. L’ambasciatore disse il 31 marzo al segretario di Stato che la politica russa era stata di nuovo circoscritta dal signor Stalin come una politica di assistenza contro l’aggressione per coloro che lottano per la propria indipendenza. Il segretario di Stato ha interpretato questa definizione come l’avrebbe interpretata ciascuno di noi che cerca un massimo di aiuto dovunque è possibile trovarlo. Da queste parole la Camera può convincersi che i princìpi su cui si è basato il Governo di S.M. nella dichiarazione relativa alla questione polacca, erano esattamente gli stessi della dichiarazione del signor Stalin. Ci sembra che questi princìpi non possano venir fraintesi dal Governo russo, ed io vorrei che la Camera comprendesse che, benché in fatto di problemi di questo genere sia più difficile di quanto sembri trattare con un gran numero di Stati, i rimproveri che noi volevamo evitare di includere la Russia nel sistema che noi volevamo appunto costruire come sistema della pace in opposizione all’aggressione, non sono giustificati….Se consideriamo il pericolo in cui si trovano attualmente nel mondo alcuni Stati liberi, saremmo sciocchi se non comprendessimo dove sono le fonti dell’aiuto e non ne approfittassimo”.
Il deputato Dalton interruppe a questo punto sir John Simon per chiedere si il Governo considerava la possibilità di proporre una definitiva alleanza militare con la Francia e con la Russia. Sir John Simon non rispose direttamente a questa domanda, ma dichiarò che da parte britannica tale proposta non sollevava preoccupazioni di princìpi:
“Queste questioni non sono così semplici come potrebbero sembrare. Mi sembra che, nonostante la grande potenza della Russia, noi dobbiamo concentrare tutti i nostri sforzi esclusivamente su questo Stato. Dobbiamo pensare che esistono anche altri Stati i quali sono più in pericolo della Russia. Ma, benché io non possa dire se sia stata fatta una proposta di questo genere, posso però assicurare che, di fronte a una simile proposta, il Governo non avrebbe alcuna obbiezione di principio da sollevare”.
Intanto a Londra e a Mosca hanno luogo ulteriori trattative circa la partecipazione e la posizione della Russia nei nuovi rapporti di forza che si vanno creando in Europa. Indubbiamente l’Inghilterra desidera che la Russia partecipi a questi rapporti di forze, ma non vuole un legame stretto o formale. Dalle dichiarazioni fattemi dal sottosegretario di Stato permanente al Foreign Office, signor Cadogan, risulta che Inghilterra e Francia vogliono limitarsi ad ottenere dalla Russia una dichiarazione che in caso di guerra essa manterrà un atteggiamento benevolo, onde assicurarsi il transito, l’accesso alle materie prime, ecc.
Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, per mezzo di una dichiarazione unilaterale del Governo sovietico, in cui venisse stabilito che in caso di un attacco tedesco contro la Polonia o la Romania, l’atteggiamento della Russia in un simile conflitto sarebbe fissato in anticipo. Ma le controproposte dei sovieti, i quali desiderano giungere a un accordo politico di mutua assistenza – sia in forma bilaterale anglo-russa con relativo adattamento dell’accordo franco-russo – non potrebbero, come ha dichiarato Cadogan, venire accettate dall’Inghilterra, e neppure la Francia lo vorrebbe. Cadogan si riferì a tale riguardo a considerazioni essenziali, come ad esempio la reazione che avrebbe suscitato la conclusione di un simile accordo in altri paesi, fra cui egli citò la Polonia, la Romania, la Jugoslavia e la Spagna. Contemporaneamente però Cadogan sottolineò le difficoltà a cui si trovava di fronte il Governo britannico; esso non voleva dare una risposta negativa che potesse essere offensiva.
Questo punto di vista venne comunicato anche al ministro Gafencu. Nelle sue conversazioni di Londra egli assicurò che il Governo britannico avrebbe evitato un più stretto riavvicinamento con i sovieti. Il ministro degli Esteri romeno mi espresse a tale proposito l’opinione che gli attuali negoziati anglo-sovietici avrebbero potuto rimanere senza un concreto risultato.
Perciò la politica britannica, la quale evita ancora espressioni che siano troppo chiaramente anti-tedesche, cerca di sfuggire ad una alleanza troppo stretta con i sovieti. Ma l’ulteriore sviluppo della situazione internazionale può volgersi in una direzione che potrebbe rendere insostenibile il mantenimento di questa linea di condotta.
Perciò le trattative in corso si urtano a molti ostacoli. Una grave difficoltà è costituita dall’atteggiamento dell’opposizione e di un certo settore del partito conservatore, con Churchill alla testa, che si preparano evidentemente alla guerra e vedono nella Russia uno Stato con grandi riserve e, in potenza, enormi forze militari. Le difficoltà con l’opposizione potrebbero ancora aumentare con gli attacchi suscitati dalla decisione circa l’introduzione del servizio militare obbligatorio. Infatti il Governo terrà conto di dover eventualmente rispondere ad argomenti come questi, che cioè una “alleanza” oppure un’altra forma di unione con la Russia avrebbero potuto evitare una decisione così drastica.
Edward Raczynski
Ambasciatore della Repubblica di Polonia
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(Nota del traduttore: la firma personale dell’ambasciatore manca poiché si tratta di una copia della relazione originale. La copia porta sulla prima pagina la sigla del consigliere ministeriale polacco Gwiaxdowski).
DOCUMENTO N. 15
Appunti dell’addetto commerciale polacco, Jan Wszelaki, su un colloquio con l’ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, Joseph Kennedy, 16 giugno 1939
(Segreto)
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE AMERICANO A LONDRA SIGNOR KENNEDY, 16 GIUGNO 1939
L’ambasciatore Kennedy, che era stato informato dall’ambasciatore Biddle, del mio arrivo a Londra, mi pregò di visitarlo. La visita durò tre quarti d’ora.
Di tale visita è degno di nota quanto segue:
1.- All’inizio, l’ambasciatore mi chiese come venga giudicata in Polonia la situazione economica della Germania; e a tal riguardo egli stesso sottolineò che, a suo modo di vedere, la Germania potrebbe ancora per lungo tempo rovinare il mondo con spese di armamenti, e che effettivamente non vi sarebbe altra alternativa fuor che la guerra. A suo modo di vedere, un abbandono da parte della Germania della sua politica, anche per quanto riguarda la politica finanziaria ed economica, equivarrebbe ad una guerra perduta dalla Germania. Al contrario, la guerra darebbe alla Germania almeno una certa possibilità di attuare con la forza le sue rivendicazioni, e, in considerazione di ciò, messa alle strette, essa non indietreggerebbe di fronte alla guerra. Egli si espresse sfavorevolmente circa gli ottimisti, i quali pensavano che la Germania possa venire piegata facilmente o velocemente, o che calcolavano su una sollecita rivoluzione in Germania.
2.- L’ambasciatore sottolineò con vigore che il mondo occidentale correrebbe verso una bancarotta, qualora l’attuale corsa al riarmo dovesse durare ancora a lungo. Anche qualora in questo anno non si giungesse ad una guerra, né la Gran Bretagna né gli Stati Uniti potrebbero interrompere o limitare il loro programma di armamenti. Di conseguenza, la Gran Bretagna ha già silenziosamente introdotto limitazioni concernenti le divise; già fin d’ora non è più possibile investire capitale straniero all’estero, o comunque trasferirlo in altri paesi, senza l’autorizzazione del Governo. Ogni giorno reca nuove difficoltà o limitazioni del genere.
3.- Nell’ulteriore corso del colloquio, l’ambasciatore mi rivolse domande circa la situazione in Polonia e circa i nostri bisogni. Ciò mi offrì l’occasione di fare lunghe dichiarazioni. L’ambasciatore mi disse che noi siamo l’unico popolo dell’Europa orientale sul quale si possa calcolare con sicurezza, non solo per quanto riguarda gli armamenti, ma anche per quanto riguarda il valore militare. Aggiunse che, a suo modo di vedere, in Spagna era stato dimostrato che i volontari polacchi della parte repubblicana erano i migliori soldati, fra tutti i combattenti da entrambi i lati del fronte. Egli chiese cosa chiedevamo noi agli inglesi riguardo al materiale e agli aiuti finanziari. Io gli risposi a grandi linee, usando in una certa misura la dichiarazione iniziale che era stata fatta il giorno precedente dal colonnello Koc di fronte agli inglesi. Richiamai particolarmente la sua attenzione sul credito in contanti. L’ambasciatore mi chiese quanto denaro in contanti volevamo dagli inglesi. Gli risposi che avremmo esposto loro i nostri bisogni al riguardo. La somma di questi bisogni, constatati di comune accordo, costituirebbe poi il totale del denaro liquido richiesto. L’ambasciatore convenne che la questione essenziale consisteva nel denaro liquido, e disse che qualora gli inglesi limitassero ora il loro aiuto in tal campo essi dovrebbero poi, per ottenere gli stessi risultati, spendere dieci volte di più. Aggiunse che avrebbe visto il Primo Ministro e lord Halifax, e che avrebbe sottolineato di fronte ad essi la necessità di recare immediato aiuto in denaro alla Polonia.
4.- Concludendo, l’ambasciatore mi disse che i suoi due figli, che recentemente avevano viaggiato in tutta Europa e avevano potuto vedere e conoscere molte cose, avevano intenzione, dopo il loro ritorno negli Stati Uniti, di tenere all’università di Havard una serie di conferenze sulla situazione in Europa e nei singoli paesi.
A tali conferenze l’ambasciatore attribuisce grande importanza, dato che esse sono un elemento che influisce sulla formazione dell’opinione pubblica americana. “Voi non potete credere – aggiunse l’ambasciatore – quanto mio figlio maggiore, che è stato di recente in Polonia, sia ascoltato dal Presidente. Direi che il Presidente crede più a lui che a me. Forse per il fatto che Joe prospetta le cose con molta convinzione e con molto entusiasmo”.
Nella prossima settimana devo rivedere l’ambasciatore e incontrarmi con suo figlio.
Jan Wszelaki
Addetto commerciale
DOCUMENTO N. 16
Ordine del Ministero polacco per il Commercio e l’Industria a Varsavia agli addetti commerciali polacchi a Parigi ed a Londra, 13 luglio 1939
MINISTERO PER IL COMMERCIO E L’INDUSTRIA
N.M. 330/tjn
Varsavia, 13 luglio 1939
(Segreto)
a Parigi
Addetto commerciale
a Londra
Il Ministero per il Commercio e l’Industria è venuto a conoscenza che le imprese di navigazione francesi e inglese hanno ricevuto già fin d’ora istruzioni precise dagli organi di controllo dei loro Governi per il caso di uno scoppio di una guerra. Sono state del pari impartite istruzioni per cambiamenti di costruzione, trasformazioni e costruzioni supplementari, specialmente per la prua delle navi che sono utilizzate da queste società.
Di conseguenza, il Ministero per il Commercio e l’Industria prega accertare al più presto possibile questa faccenda e di mandare le informazioni più precise a questo Ministero. Ove sia possibile, il Ministero prega di trasmettere il contenuto testuale delle menzionate istruzioni.
L. Mozdzenski
Direttore del Dipartimento marittimo