2 Luglio 2021
Il Banchiere della Provvidenza
Erano appena trascorsi i giorni della merla e Giuseppi aveva un gran freddo, anzi sudava freddo e forse aveva pure qualche linea di febbre, ma lui non ci faceva caso perché aveva il corpo e l’anima straziati dal pensiero che poteva infrangersi il suo sogno, poi diventato certezza come aveva più volte ribadito, di “regnare” fino al 2023; e poi chissà: un pensierino al 2028 in fondo l’aveva fatto, dato niente glielo impediva.
Ma è necessario fare qualche passo indietro.
Nell’ormai lontano giugno 2018, senza neppure lui sapere come, Giuseppe Conte si era ritrovato seduto sul seggiolone di Presidente del consiglio dei ministri; forse lo sapeva e forse no, ma era stato collocato su quello scranno all’unico scopo di fare da paravento in mezzo ai “duumviri” Di Maio e Salvini, almeno secondo le intenzioni di costoro. Però, un po’ alla volta, lui ha imparato il mestiere e, un po’ alla volta, ha cominciato ad “allargarsi” sempre di più. Il fatto è che a lui quella vita piaceva un sacco: viaggiare più che in marina, trattare con i “grandi” della terra o se non proprio trattare almeno intrufolarsi tra loro, maneggiare il potere erano cose che soddisfacevano il suo ego infinitamente di più del “misero” stipendio e del monotono lavoro da professore universitario e delle sia pur strapagate “consulenze”, saltuarie e dipendenti dalle raccomandazioni degli amici.
I guai però arrivano quando uno meno se li aspetta e il guaio imprevisto di Conte si è materializzato in Salvini. Quest’ultimo, ritenendosi completamente a torto un genio della politica, nell’agosto del 2019 ha tentato il colpo per fregare sia Conte sia Di Maio. L’amico d’Israele, infatti, basandosi sui sondaggi elettorali che gli attribuivano un’ampia maggioranza, aveva giudicato che quello era il momento buono per far saltare il governo ed andare alle elezioni, confidando sul fatto che non fosse possibile formarne un altro. Nella sua pochezza non aveva tenuto conto di un elemento essenziale: l’inquilino del Quirinale, che mai e poi mai gli avrebbe consentito tale manovra. Il babbo degli italiani, infatti, si è adoperato con tutte le sue forze per conciliare ciò che sino ad allora sembrava assai poco conciliabile: il partito del comico genovese con quello del vicecommissario Montalbano. In realtà, le nozze tra i due partiti erano un obiettivo assai meno difficile da raggiungere di quanto apparisse superficialmente (e pure di questo il genio non aveva tenuto conto), perché il primo, rispetto alle elezioni del 2018 era in caduta verticale nei consensi dell’opinione pubblica e il secondo, ancora traumatizzato da quelle elezioni, vagava senza meta razzolando attorno ad una percentuale di consensi a due cifre che cominciava con l’1: ottimi motivi per evitare le elezioni a qualsiasi costo. Detto fatto, i due partiti hanno improvvisamente scoperto le prima insospettate affinità che li accomunavano e Conte è rimasto in sella senza bisogno di scendervi nemmeno per un caffè. Da allora, però, ha giurato odio eterno per Salvini, il quale, scornato su tutta la linea, ha iniziato quell’inesorabile discesa nei consensi che tuttora dura, fino a perderne circa la metà, e che a nulla sono valse a frenarla le sue dichiarazioni d’amore per Israele e per i giudei in generale e le coccole profuse a Liliana Segre.
A quel punto Giuseppi si è sentito un faraone, ha iniziato a pontificare e a distribuire al popolo banconote non sue sotto forma di “bonus” e “ristori” strombazzati a piena voce da giornali e televisioni. Per la verità tali “bonus” e “ristori”, percepiti per lo più da coloro che non ne avevano alcun bisogno, consistevano in pochi spiccioli per ciascuno dei “beneficati” e soprattutto necessitavano del decreto di attuazione, che in circa la metà dei casi non è mai stato emanato. Ma non erano certo questi piccoli dettagli ad impedirgli di vestire i panni di novello Robin Hood benefattore del popolo.
C’era solo un piccolo problema: a reggere il suo trono vi era anche la banda del faccendiere toscano, altro suo nemico giurato: quattro gatti ma necessari, di cui lui giustamente si fidava meno di zero. Ma tale problema lo preoccupava poco, perché sapeva che in caso di sgambetto da parte di quelli, avrebbe facilmente potuto sostituirli con un gruppo ancor più numeroso di mercenari, che per meno di trenta denari avrebbero venduto anche la nonna.
In realtà tutto o quasi è filato liscio fino a Natale del 2020, allorché, manco il tempo di digerire cappelletti e panettoni, il faccendiere toscano, dopo una ridicola sceneggiata preparatoria, ha deciso che era arrivato il momento di tirargli il colpo ritirando le sue “ministre” dal governo.
E’ scattato allora il piano d’emergenza, ma l’operazione è stata condotta nel peggiore dei modi: alla luce del sole di giorno e sotto i riflettori di notte. Ne è risultato che di mercenari (per l’occasione chiamati pudicamente “responsabili”) ne ha sì trovati (dello “spessore” di un Tabacci campione mondiale del cambio della casacca, di un Ciampolillo, di una “lady” Mastella, ecc.), ma in numero insufficiente e per giunta in lite tra loro; gli altri potenziali “responsabili” (e ce ne sarebbero stati non pochi) hanno valutato che non era il caso di sputtanarsi per partecipare ad un gioco bello ma proprio per questo di breve durata.
Ormai a Giuseppi restava una sola flebile speranza: una magia dell’inquilino del Quirinale, il suo mentore, che sino ad allora gli aveva fornito il suo appoggio incondizionato e che per nulla al mondo avrebbe acconsentito alle elezioni anticipate. Calcolo sbagliato pure questo, perché quello, imitando in sedicesimo un suo lontano predecessore, coronato ma all’incirca della stessa statura (intesa come misura dalla testa ai piedi), si è sbarazzato in un baleno del cavallo perdente (non l’ha fatto arrestare e trasferire in ambulanza, ma la qualità del personaggio era tale non richiedere così drastici provvedimenti) gettandolo semplicemente nella pattumiera e, dopo la solita pantomima delle “consultazioni”, ha calato l’asso che da tempo teneva nella manica: Mario Draghi, il banchiere della provvidenza, non compromesso e gradito più o meno a tutti, al di qua e soprattutto al di là del confine grazie al suo passato attraverso la Goldman Sachs, la Banca d’Italia (la chiamano ancora così), la BCE, istruzione di base presso i gesuiti, specializzazione in America, membro del G 30, perfettamente allineato al “politicamente corretto”: quanto basta e avanza per mandare in estasi i giudei che dirigono l’orchestra della UE. E per completare il successo il babbo degli italiani ha invitato tutti, ma proprio tutti alla mensa del governo.
Inutile dire che tutti hanno accolto con euforia tale invito, passando agilmente sopra a rivalità e conflitti personali (generati solo da motivi di concorrenza nella caccia alle poltrone, perché vere differenze ideologiche non esistono né possono esistere in tutto l’”arco costituzionale”) e si sono felicemente accomodati alla tavolata portandosi da casa il piatto e le posate; tutti (compreso Tabacci) meno lei: Giorgia Meloni, che, grazie a quell’astuzia tipicamente femminile, ha valutato che le conveniva assai di più restarne fuori e collocarsi da sola all’opposizione; mossa rivelatasi del tutto azzeccata.
Così l’unico a restare col culo per terra è stato proprio lui, Giuseppi; segnali inequivocabili hanno indicato che non ha gradito. C’è anche chi dice che abbia cancellato dal calendario il 21 settembre, perché quel giorno si festeggia San Matteo.
Tutto a posto dunque? Per niente. Tutti sanno che Draghi non resterà lì troppo a lungo anche perché mira più in alto e perciò è necessario continuare la battaglia preventiva per la conquista delle poltrone con gli annessi e connessi che esse comportano; perciò sono già in atto grandi manovre.
I rossi scoloriti hanno liquidato il vicecommissario Montalbano, l’uomo che ride, il quale per la verità aveva da tempo smesso di ridere ed iniziato a far ridere: non l’hanno defenestrato come erano soliti fare i loro padri dal colore più acceso e nemmeno gli hanno sparato un colpo alla nuca come erano soliti fare i loro nonni, ma si sono limitati ad offrirgli, sì come novello Socrate, una coppa di cicuta. Quindi hanno restaurato e tirato a lucido Enrico Letta, l’uomo della campanella, che senza indugio ha dimostrato subito tutta la sua valenza politica e quanto lui e il suo partito siano pensosi dei problemi degli italiani rispolverando una dopo l’altra vecchie “sòle” come lo ius soli, la patrimonialina sulle successioni e la protezione dei froci, con l’unica novità dell’imperioso appello ad inginocchiarsi prima della partita rivolto ai giocatori della nazionale di calcio.
Dal canto suo Salvini, che non sa più come fare per trattenere i suoi “aficionados”, ha lanciato la proposta della “federazione di centro-destra” (in altre parole una sorta di “Israel Fan Club”) per fregare la Meloni compensando almeno in parte le sue perdite con i guadagni di quella, la quale però non ha abboccato e gli ha risposto con una pernacchietta. Entusiasta è stato invece Berlusconi, che però ha voluto aggiungere un tocco personale suggerendo di tramutare la federazione in partito unico sul modello del partito repubblicano americano. Si potrebbe pensare ad un accesso di demenza senile, ma non è così: l’età non c’entra affatto.
I 5 stelle (si chiamano ancora così, anche se di stelle gliene sono rimaste due scarse) continuano ad agitarsi nelle sabbie mobili in cui si sono cacciati e così facendo affondano sempre di più. Poiché le loro personalità di spicco sono del calibro di un Di Maio, di un Fico, di un Crimi (peraltro in fibrillazione) e di una Dadone, hanno pensato fosse utile, così come fanno le squadre di calcio in questi casi, ingaggiare il disoccupato Giuseppe Conte, che dopo tutto un certo “pedigree” se l’era creato. Dal canto suo Giuseppi, consapevole del rango ormai raggiunto, ha condizionato la sua adesione alla nomina a guida suprema del partito e al conferimento dei pieni poteri, ma tale pretesa ha incontrato, com’era ovvio, l’ostilità totale del comico genovese, per nulla propenso a cedergli il suo redditizio giocattolo. Le trattative tra i due si sono svolte molto pacatamente: prima sono volate le torte in faccia, poi i piatti e poi le bottiglie (piene). Sembra proprio che Giuseppi resterà disoccupato, malgrado l’appoggio (cauto) dell’amico Di Maio, il quale del resto sia dentro che fuori il partito conta meno del due di picche.
Gli altri guitti si accontentano del loro 1 o 2 virgola (tanto non possono proprio fare di più), che comunque consente loro di avere risorse sufficienti per mandare a scuola i bambini e apparire, sia pur brevemente, tutti i giorni al telegiornale per sparare idiozie e banalità a cui nessuno presta attenzione.
Questo è il panorama politico, che spiega esaurientemente perché l’Italia è nella merda.
Giuliano Scarpellini
Federale Provincia di Rimini