Mese: Ottobre 2017

Le partite IVA: ecco i nuovi poveri

L’Italia è pessima per tante cose, ma soprattutto per una, in particolare: aprire una partita IVA, una azienda o una attività nel Nostro Paese dovrebbe essere qualcosa da medaglia al valore. 

È la CGIA di Mestre a dipingere un quadro impietoso della situazione: le partite IVA sono i nuovi poveri. La crisi economica ha colpito più loro che non pensionati e dipendenti statali: una partita IVA su quattro è sotto la soglia di povertà, mentre per i dipendenti statali il rischio è di uno su cinque.

Imprenditori, artigiani, liberi professionisti, lavoratori in proprio, padroncini, piccole attività: sono loro che hanno pagato, più di tutti gli altri, gli effetti devastanti della crisi, ancor più forti nel Mezzogiorno che al nord. Mentre quello dei lavoratori dipendenti è rimasto pressoché stabile (-0,3%), negli ultimi cinque anni il reddito di chi lavora in proprio è diminuito di 6.500 euro annui. Un dato ancora più allarmante se pensiamo che, mentre un lavoratore dipendente, in caso di licenziamento o di cessazione del suo rapporto di lavoro, può godere di ammortizzatori sociali (cassa integrazione, contributo NASPI, e via dicendo) un libero professionista o un imprenditore, quando cessano la loro attività, non dispongono di alcun aiuto: possono solo cercare di riciclarsi, magari trovando un nuovo impiego.

Con una pressione fiscale reale che si aggira sul 70% (ciò significa che, su 100 euro guadagnati, 70 spettano, in un modo o nell’altro, allo Stato, e con gli altri 30 si devono far quadrare i conti, pagare gli stipendi, reperire il materiale per l’attività, e via dicendo) lo Stato non aiuta sicuramente.

Sempre più la libera impresa e i valori umani che questa Nazione può vantare vengono visti come limoni da spremere fino all’osso. Chi ha una azienda sa bene di cosa parlo. E non sono solo le tasse – già di per se altissime – a costituire un problema, ma anche tutto ciò che si è costretti a pagare in più, spesso imposte indirette. 

Vendere un mezzo aziendale, ad esempio, è una tragedia: il passaggio di proprietà può superare anche il migliaio di euro. Quale operazione tecnica da parte dell’operatore che non sia la pura e semplice modifica del nome all’interno del sistema informatizzato può giustificare una spesa del genere?

Altro esempio. Cambiare la sede legale di una azienda è un calvario: se viene spostata all’interno dello stesso Comune basta qualche centinaio di euro, altrimenti costa più di 1.200 euro, e non possiamo farlo da soli, ma dobbiamo avvalerci di un notaio che ovviamente, per questo disturbo, dovrà essere retribuito. Di nuovo: cosa giustifica un tale importo? Non sarebbe più semplice una procedura informatizzata con la quale l’Azienda possa autonomamente modificare, magari all’interno del sito della Camera di Commercio della provincia competente, la propria sede legale?

Voliamo più in basso. Parliamo di una visura aziendale, ovvero quel documento che è un po’ la carta di identità dell’attività (sede legale, volume d’affari, oggetto sociale, media di dipendenti), e che può servire per tantissime operazioni, come richiedere una fornitura di materiale, partecipare a delle procedure pubbliche, partecipare a dei bandi di gara, ottenere prestiti e finanziamenti dalla propria Banca. Ogni sei mesi la visura catastale “scade”: anche se nella azienda non vi è stata alcuna sostanziale modifica, anzi, anche se tutto è rimasto esattamente identico a quando la visura è stata prodotta (non abbiamo assunto nuovi dipendenti, non abbiamo cambiato sede legale, non abbiamo modificato in alcun modo lo Statuto o toccato l’oggetto sociale), non si sa perché ma la visura deve essere riprodotta da capo. Essenzialmente possiamo fare ciò in due modi: recandoci all’ufficio della Camera di Commercio competente, fare file interminabili e infine renderci conto che dalle otto e mezza di mattina sono passate due o tre ore; oppure, grazie al Cielo, collegarci ad uno dei tanti siti che offrono questo servizio quasi in tempo reale, sperare di non incappare in un sito-truffa, e farci rilasciare la nostra cara visura. In ogni caso la cosa non ci costerà meno di una ventina di euro. Una cosa che mi sono sempre chiesto: qualcuno può spiegarmi perché la visura perda di valore dopo sei mesi? 

E dello Spesometro, ne vogliamo parlare? Perfino i commercialisti più scafati l’hanno giudicata, oltre ad una incredibile perdita di tempo e di soldi, di una complessità tale che bisogna essere dei pirati informatici per destreggiarsi all’interno del sito dell’Agenzia delle Entrate dove, di fatto, si tratta di inserire nuovamente tutta la propria contabilità. Non sarebbe stato meglio chiedere un rendiconto fiscale alle aziende? Ogni programma di contabilità, anche il più misero, può produrre in qualche secondo la documentazione IVA, i flussi di cassa, entrate e uscite dell’azienda. Un normalissimo file in .pdf che si invia all’Amministrazione competente in caso di controllo. Invece no. Devi autenticarti sul sito dell’Agenzia delle Entrate – e già questa è una impresa- inserire nuovamente dati su dati che hai già inserito mentre preparavi la tua contabilità interna (a seconda del volume d’affari della tua azienda sono centinaia e centinaia di dati), salvare i dati con un codice alfanumerico che conosci dopo che ti leggi tutta la manualistica, inviare il file e sperare in Dio che il sistema ti permetta di monitorare i files che hai trasmesso, perché altrimenti devi andare nuovamente all’Agenzia delle Entrate, perdendo un’altra mattinata, per attivare una procedura particolare che “forzi” il tuo sistema a vedere i files che tu stesso gli hai dato. Qualcuno dirà che si potrebbe affidare il tutto ad un commercialista, magari più bravo ed esperto di noi, per semplificare la situazione. Vero, ma solo a metà. Innanzitutto è si caldamente consigliato avere un commercialista esterno, ma non obbligatorio: potrei tranquillamente gestire la mia contabilità mediante il mio gruppo di lavoro aziendale; in secondo luogo sono gli stessi commercialisti che, nella redazione dello Spesometro, hanno espresso le lamentele più sentite riguardo la macchinosità e la difficoltà dell’operazione. E se lo dicono loro…

Si potrebbero fare decine e decine di esempi, ma i comuni denominatori, in tutti, sarebbero essenzialmente due: la perdita di tempo e la perdita di soldi di tutta una serie di attività burocratiche che portano via tempo e denaro alla tua attività, costringendoti ad inseguire più che a programmare, ad improvvisare più che a decidere.

Quasi come se lo Stato vedesse le attività imprenditoriali come dei nemici e non delle risorse per la Nazione. I nostri governanti le risorse le vedono nei fancazzisti africani che sbarcano, ogni giorno, a centinaia sulle nostre coste.

Ma questa è un’altra Storia.

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Cagliari sempre meno sicura: grazie Sindaco Zedda, grazie PD

Effettivamente ha ragione Luca Agati, il segretario provinciale del SAP, il Sindacato Autonomo di Polizia:Cagliari, fino a solo qualche anno fa, era effettivamente una città felice. A misura d’uomo, sicura, placida e tranquilla.

È bastato qualche anno di immigrazione selvaggia, che il sindaco Zedda (di Sinistra Ecologia e Libertà, partito fortemente immigrazioni sta, è bene ricordarlo) e la Giunta Pigliaru non hanno mai contestato ma verso il quale sono stati capaci di pronunciare al massimo qualche rimbrotto, per rovinare definitivamente questa città. Scippi, rapine, furti non si contano più. E anche Cagliari, si è tristemente adeguata alle altre metropoli più grandi di lei, con i famosi quartieri dove, dopo una certa ora della sera, è pericoloso uscire di casa. Anche noi abbiamo il nostro Porta Nuova, o il Nuovo San Siro: chiedere agli abitanti della Marina, o a chi la notte è costretto ad attraversare Piazza del Carmine o Piazza Matteotti.

Luca Agati è chiaro, diretto e preciso, ed evidenzia una situazione della quale si sono accorti tutti i cagliaritani:

“Cagliari non é più la città sicura e felice di qualche anno fa. I crimini violenti ad opera degli algerini appena sbarcati sono quotidiani, vi sono evidenti lacune normative che permettono ai clandestini di girare indisturbati senza correre il rischio di subire carcerazioni nonostante condotte violente e reiterate e l’espulsione é di fatto un semplice documento senza valore che mai si accompagna ad un allontanamento dal territorio nazionale. [… ] La microcriminalità si contrasta soprattutto con più uomini in strada, peccato che in sei anni Cagliari abbia perso circa 120 Poliziotti andati in pensione e mai sostituiti. Ci sono evidenti difficoltà a pagare gli straordinari, con un arretrato di un anno, grazie al ”forbicione” dei tagli nonostante numerose realtà funzionino proprio grazie al sacrificio degli operatori che volontariamente protraggono gli orari di servizio, ci sono uffici in grave carenza di personale sebbene oberati dalle attività legate alle emergenze criminalità, immigrazione ed ordine pubblico, gli uffici investigativi sono spogliati delle loro peculiarità per l’esigenza di contrastare fenomeni di criminalità sconosciuti fino a qualche anno fa”, prosegue. “Nel periodo estivo addirittura si é faticato a concedere ferie e riposi , proprio per evitare di lasciare sguarnita la città. Siamo sempre più anziani e stanchi e con una media di età di 49 anni ed é sempre più difficile contrastare una criminalità giovane e spregiudicata. La situazione è preoccupante ed é necessario un cambio di rotta, lanciamo l’ennesimo appello alle istituzioni affinché intervengano urgentemente per porre rimedio a queste palesi imperfezioni che rischiano di mettere in pericolo la sicurezza dei Poliziotti e degli stessi cittadini”.

Due cose saltano all’occhio, ancora più importanti proprio perché pronunciate da chi, quotidianamente, ha a che fare con la criminalità: la sensazione di impunità che gli immigrati hanno nei confronti dello Stato italiano (specialmente gli algerini: è bastato qualche sbarco di questi parassiti, che non fuggono da nessuna guerra, per far impennare il numero dei reati compiuti ad opera loro) e il fatto che a Cagliari vi siano dei tipi di reati che prima la città non conosceva.

Io ho vissuto , specialmente gli anni passati, la Cagliari notturna. Mai mi è capitato di temere per la mia incolumità o la mia sicurezza passando alle quattro di notte davanti alla Stazione, parcheggiando l’automobile nei parcheggi del CIS o sotto il Bastione, o passando davanti all’oncologico, magari per accompagnare un parente gravemente malato a sottoporsi a delle visite mediche. Invece tutto ciò è diventato quotidianità: solo nelle ultime due settimane si sono contati diversi scippi, aggressioni davanti ad un noto ristorante cagliaritano ai danni di una giovane ragazza, palpeggiamenti di clandestini in Via Roma alle 15.00 di pomeriggio ai danni di una tredicenne che camminava tenendo la mano della madre. Sono tutti avvenimenti che, solo fino a qualche anno fa, accadevano una volta ogni morte di Papa, e quando accadeva se ne parlava per giorni. Ora è quotidianità, situazioni di tutti i giorni con le quali, volenti o nolenti, tutti noi ci troviamo a fare i conti.

Cagliari diventa sempre più una grande città italiana: con i suoi quotidiani tentativi di scippo, i suoi frequenti casi di aggressioni da parte di immigrati, i suoi quartieri off limits per chi ha la sfortuna di non far parte della feccia africana. Era un tipo di parità del quale avremmo fatto volentieri a meno. Il tutto grazie ad un governo criminale, che ormai privilegia l’invasione di fancazzisti africani come metodo privilegiato di sostituzione etnica della popolazione italiana.

Grazie, Sindaco Zedda, grazie PD.

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L’8 ottobre 1985 e Sigonella: quando l’Italia si fece Onore

Possiamo ricordare l’8 ottobre 1985 come l’ultimo – e forse anche l’unico – sussulto di orgoglio e di dignità della Repubblica Italiana. In quella notte tesissima, Presidente del Consiglio era un assai combattivo Bettino Craxi, l’Italia affrontò e vinse gli Stati Uniti d’America in una battaglia che dalla pura e semplice diplomazia per un soffio non passò alle vie di fatto.

È il 7 ottobre 1985. La nave da crociera Achille Lauro lascia le acque egiziane per proseguire il suo viaggio in direzione Israele; è in questo frangente che viene presa in ostaggio da quattro uomini armati – appartenenti al FLP, il Fronte di Liberazione per la Palestina – i quali lanciano un ultimatum agghiacciante alle autorità sioniste: se non fossero stati immediatamente liberati 50 prigionieri tra i detenuti nella carceri di sicurezza israeliane, avrebbero ucciso un ostaggio ogni tre minuti. Per dimostrare che fanno sul serio non esitano a giustiziare sul posto l’ebreo Leon Klinghoffer, per poi gettarlo in mare. Tale azione desta sgomento in tutto l’Occidente, ancora più scioccante perché Klinghoffer era un disabile in carrozzina, pertanto incapace di opporre una sia pur minima resistenza.

Lo stesso Amu Abbas, capo del FLP, disapprova in toto il comportamento dei quattro terroristi (probabilmente una cellula pazza dell’organizzazione) e partecipa attivamente alle trattative tra i terroristi e le autorità internazionali, cercando di farli desistere dai loro obiettivi.

Anche l’Italia è fattivamente coinvolta in questo processo: il luogo in cui si consuma questo atto di terrorismo è l’Achille Lauro, nave battente bandiera italiana e pertanto ricadente sotto la Giurisdizione del Governo Italiano.

Dopo diversi giorni di trattative, i terroristi del FLP accettano di essere presi in consegna dalle autorità egiziane per essere portati in Tunisia. Durante questo passaggio, quattro F14 TomCat americani decollarono dal Mediterraneo intercettando l’aereo e costringendolo ad atterrare nella base NATO di Sigonella. Tale e tanta è la voglia degli statunitensi di mettere le mani addosso ai terroristi palestinesi che gli Stati Uniti hanno, fin da subito, cercato di annullare del tutto qualunque eventualità di un possibile intervento italiano. Lo stesso atterraggio forzato dell’aereo egiziano a Sigonella è avvenuto senza alcun permesso da parte delle autorità italiane;  a rimorchio dei quattro aerei da guerra vi sono anche due Lockheed 141, aerei da trasporto di personale militare strategico dai quali scendono improvvisamente 200 uomini della Delta Force americana che, in totale spregio della sovranità italiana, circondano l’aeroporto. Gli italiani si ritrovano delle armi americane puntate contro di loro, nel loro stesso Paese: non accadeva dal 1945, quaranta anni prima. 

Gli statunitensi, però, non hanno ancora fatto i conti con Bettino Craxi. Se il Presidente degli Stati Uniti Donald Reagan è aggressivo e battagliero, il Presidente del Consiglio Italiano, almeno in questo frangente, non ha alcunché da invidiargli. A nulla serve un tentativo, voluto dalla diplomazia italiana, di riconciliazione tra i due Paesi mediante una telefonata tra i due capi: Reagan è furioso, Craxi quanto e più di lui.

Bettino Craxi non digerisce che l’autorità italiana sia stata palesemente violata, per di più davanti agli occhi del mondo. L’attacco dei terroristi del FLP è avvenuto sull’Achille Lauro, battente bandiera italiana; i terroristi, a causa dell’arroganza americana, vengono dirottati in Sicilia, quindi in territorio italiano: il Nostro Paese ha tutte le carte in regola per poter imporre il suo intervento e per far rispettare la sua sovranità.

L’Italia del 1985, con Craxi al comando, non è, almeno non quella notte, il paesino che, come nel 1945, accoglie il nemico con fiori e baci da parte delle sue donne, pronta a genuflettersi davanti all’invasore. Il Nostro Presidente del Consiglio ribadisce sempre e comunque l’autorità italiana: l’attacco terroristico è avvenuto in acque internazionali su una nave italiana; il Nostro Paese ha, pertanto, la legittimità necessaria perché sia la Nostra Magistratura ad assumersi la responsabilità di giudicare i terroristi. Gli Stati Uniti, al contrario, non hanno alcuna legittimità ad intervenire nella questione. Questo sarà compreso in seguito, nei giorni successivi. Ma non in quella notte. In quella notte c’è una potenza mondiale, gli Stati Uniti, che credono di avere a che fare con una colonia, l’Italia, e da tale la trattano, davanti agli occhi del mondo. 

Alla notizia che gli americani hanno preso possesso della base aerea di Sigonella, puntando le armi contro i padroni di casa, cioè gli italiani, Craxi dà l’ordine estremo all’attonito Generale Carlo Bisognero: far affluire quanti più militari possibile dalle vicine caserme di Catania e di Siracusa, circondando la base con blindati militari e preparando i soldati tricolore per lo scontro a fuoco. 

I militari americani, che hanno le armi in pugno e circondano l’aereo, si ritrovano a loro volta circondati dai soldati italiani. In mezzo c’è l’areo, circondato dagli statunitensi, che a loro volta sono circondati dai nostri soldati. È lo stesso Carl Steiner, comandante in capo delle forze statunitensi, che ammetterà candidamente in seguito di non aver capito quanto fosse tesa la situazione fino a che non sentirà l’ordine dato chiaramente ai Carabinieri e alle squadre di intervento italiane di caricare le armi: in quella notte, nel silenzio assordante di quei nervi tesi, si sente chiaramente il click della armi italiane. I nostri soldati sono in assetto da battaglia, pronti a fare fuoco, le armi puntate contro i militari statunitensi.

Alle 4 del mattino del 8 ottobre 1985 i soldati americani si ritirarono. Gli ostaggi furono presi in consegna dalle autorità italiane. Il 13 ottobre gli Stati Uniti presentano la domanda di estradizione, ma la Magistratura Italiana rispose con un altro secco “no”: non si capisce cosa c’entrino gli Stati Uniti in tutta questa faccenda. Infatti non c’entrano nulla.

Craxi dovette pagare questo atto temerario con una crisi di governo, poi subito rientrata, ma si tolse la soddisfazione di ricevere una lettera di Donald Reagan che iniziava con un “Caro Bettino”.

Dopo quaranta anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, soldati italiani, per far valere la loro sovranità e la loro autorità, puntarono le armi contro gli americani, e vinsero. 

 

Una delle poche, pochissime pagine belle della Repubblica antifascista italiana in cui il Nostro nome, almeno per una sola volta, uscì onorato.

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Se un lurido tossico di nome J Ax ci dà lezioni sullo ius soli

Che il regime attuale sia in una fase di grande difficoltà lo si vede dal fatto che, ormai, cerca di tirare gli ultimi colpi di cosa con le poche armi che ormai gli sono rimaste a disposizione: l’assoluto strapotere mediatico e la macchina propagandistica che, oramai oliata a dovere, continua a marciare senza sosta. La dimostrazione più lampante è il fatto che tutto il mondo politico e mediatico marcia compatto contro le cosiddette “fake news”, tranne quando a dirle sono loro (e questo accade nella maggioranza dei casi).

Ormai chiunque, se schiavo del sistema, viene reclutato per la cattiva battaglia. Perfino i tossici che, facendo finta di essere duri e puri, fanno musichette per decerebrati e per malati di mente ma non disdegnano, di tanto in tanto, qualche comparsata in qualche radio o tivù per sparare qualche balla e quindi mostrare la loro supina accettazione del sistema vigente.

Accade che il tossico J Ax – un imbecille che canta canzoni imbecilli che potranno essere ascoltate ed apprezzate solo da imbecilli ancora più imbecilli di lui – invitato qualche giorno fa dalla famosa Radio Deejay, parlando di ius soli se ne esca con questa boiata clamorosa: “Ti faccio un esempio: se 5 stranieri si macchiano del terribile reato di stupro diventa un caso nazionale e i telegiornali non smettono di parlarne ma non dicono che il 99% degli stupri commessi in Italia ogni giorno sono fatti da italiani“. Luca Bottura, il conduttore, anziché trasalire come farebbe qualunque persona che è sana di mente e, soprattutto, sa leggere e interpretare una statistica, rincara la dose: “Certo, sembra quasi che qualcuno dica: le donne sono nostre e ce le stupriamo noi”.

Nessuna persona un minimo sana di mente potrebbe mai trovare lo stupro – come atto in sé – di un immigrato più grave di quello compiuto da un italiano; nessuna persona, neanche tra i cittadini che sono più contrari all’immigrazione selvaggia, sarebbe mai portato lontanamente a pensare una cosa del genere.

Ma, soprattutto, non è nemmeno lontanamente vero ciò che il lurido tossico ha avuto la faccia tosta di pronunciare in diretta su una radio di distribuzione nazionale. Già il 3 settembre 2017, nel mio articolo “Gli stranieri stuprano otto volte più degli italiani, e la sinistra dimostra quanto schifo possa fare”, prendevo in analisi i dati ISTAT relativi alle violenze sessuali commesse da italiani e da immigrati nel secondo semestre del 2015 e per tutto il 2016, giungendo a queste conclusioni: “Su 10 violenze sessuali, 4 sono commesse da stranieri, spesso irregolari, richiedenti asilo, sbandati (come Guerlin Butungu, il capo delle belve di Rimini, che hanno stuprato due donne e hanno picchiato a morte il marito di una delle due). Peccato che gli stranieri nel Nostro Paese siano l’8% della popolazione. Statisticamente ciò significa che ogni 5.300 stranieri uno di loro commette uno stupro; per quanto riguarda gli italiani, invece, uno su 42.000. Ciò significa, né più né meno, che gli stranieri sono portati a commettere stupri e violenze otto volte di più di noi italiani.

Pertanto non è assolutamente vero, in assoluto, che gli italiani compiano il 99% degli stupri (forse qualche amico di canne avrà dato questa cifra al lurido tossico?). Ciò che è grave è che gli stranieri, che sono solo l’8% della popolazione, incidano sul 40% dei reati.

Nessun giornale, men che meno a sinistra, ha sentito il dovere di rettificare questa informazione. Tutto è passato in sordina, in cavalleria, e negli ascoltatori più disattenti (quando non proprio cretini, poiché solo un cretino può ascoltare una intervista del lurido tossico che gioca a fare il sedicenne senza sentire l’irrefrenabile bisogno di spegnere la radio o, al minimo, cambiare canale) è passata l’idea che gli stupri, in questo Paese, avvengano solo ed esclusivamente per mano italiana.

Come sappiamo, non è così, checché ne dica il lurido tossico.

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Aggressione islamica all’Esquilino: l’ennesimo caso di tragedia sfiorata e di ipocrisia massmediatica

Sono stati aggrediti con calci e pugni nel quartiere romano dell’Esquilino, mentre passeggiavano mano nella mano. La loro colpa? Essersi scambiati delle effusioni davanti ad una moschea, tra l’altro abusiva, in quanto era stata chiusa diversi mesi prima.

È successo qualche giorno fa, precisamente nella notte tra domenica e lunedì, ad una coppia di cittadini romani, che in seguito all’incontro ravvicinato con un immigrato malese, frequentatore della moschea, sono stati costretti a ricorrere alle cure del Pronto Soccorso. L’episodio sarebbe potuto finire ben più tragicamente se non fosse intervenuta una pattuglia delle forze dell’ordine, che transitava da quelle parti per un normale controllo.

In questo episodio di cronaca c’è tutto il fallimento dell’immigrazione selvaggia che in questo Paese è stata non solo permessa, ma addirittura incoraggiata e fomentata, per anni e anni: una moschea abusiva che non sarebbe dovuta essere aperta e che invece svolgeva normalmente la sua attività, sotto gli occhi di tutti; un cittadino straniero che non riconosce alcuna legge e alcuna tradizione della Nazione che lo ospita (in Italia, fortunatamente, non siamo a Ryiad, e baciarsi per strada è permesso) ma, viceversa, pretende di imporre la propria; la mancata copertura mediatica della notizia, che sarebbe stata di ben diverso tenore se, ipotizziamo, si fosse trattato di un immigrato aggredito da un italiano (abbiamo visto come nel caso di Fermo, giusto per fare un esempio, un mafioso nigeriano che voleva massacrare un nostro connazionale sia diventato una vittima, e la vera vittima, Amedeo Mancini, sia stato criminalizzato per mesi su tutti i mass media, con tanto di Boldrini che piagnucolava in TV contro il ritorno del pericoloso razzismo).

L’ennesimo esempio di tragedia sfiorata e di doppiopesismo mediatico, che fa si che quando una notizia permette di propagandare l’immagine del “povero immigrato” viene riproposta incessantemente e in tutte le salse, e quando invece riguarda le prepotenze dei fancazzisti invasori viene coperta.

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