HITLER RISPONDE A ROOSEVELT
La risposta del Führer alla sfida pubblica del presidente americano
Prefazione
Dei tanti discorsi pronunciati da Adolf Hitler durante la sua vita, sicuramente uno dei più importanti fu il suo discorso del 28 aprile 1939. Fu anche molto probabilmente il discorso più atteso e seguito da vicino dell’epoca, con molti milioni di persone che lo ascoltarono in diretta alla radio in tutto il mondo o lo lessero il giorno dopo sui giornali.
Il giornalista e storico americano William L. Shirer, un aspro critico del Terzo Reich, che all’epoca stava lavorando dall’Europa per la radio CBS, in seguito descrisse questo discorso di Hitler come “probabilmente l’orazione più brillante che abbia mai tenuto, certamente la più grande che chi scrive abbia mai udito da lui”. Il discorso è importante anche come presentazione dettagliata e precisa del punto di vista del cancelliere tedesco sulla posizione del suo paese nel mondo e come una lucida rassegna degli obiettivi e dei risultati della politica estera del suo governo durante i primi sei anni della sua amministrazione.
Il discorso era una risposta a un messaggio molto pubblicizzato indirizzato a Hitler – con uno simile inviato al Duce italiano Benito Mussolini – rilasciato due settimane prima dal presidente Franklin Roosevelt. In esso, il presidente americano aveva lanciato una sfida provocatoria, invitando Hitler a promettere che non avrebbe attaccato i 31 paesi, che aveva elencato.
Reso pubblico la sera del 14 aprile, il messaggio del presidente americano aveva ricevuto ampio risalto sui giornali di tutto il mondo. Roosevelt e la sua cerchia ristretta prevedevano che il pubblico americano sarebbe stato soddisfatto della sua apparente preoccupazione per la pace mondiale e si aspettavano che questa sfida tanto pubblicizzata avrebbe messo in imbarazzo il cancelliere tedesco. Harold Ickes, un alto funzionario dell’amministrazione Roosevelt, aveva elogiato il messaggio del presidente come “una mossa brillante” che “ha messo sia Hitler che Mussolini in buca”.
Insieme a molti altri giornali di tutto il paese, il quotidiano Evening Star di Washington, DC, aveva elogiato l’iniziativa di Roosevelt, dichiarando in un editoriale che “la stragrande maggioranza degli americani si rallegra per la mossa costruttiva del loro presidente per la pace”.
Ma non tutti rimasero così impressionati. Molti consideravano il messaggio un’ingerenza arrogante e potenzialmente pericolosa in questioni straniere che non coinvolgevano alcun interesse vitale americano e che Roosevelt non comprendeva adeguatamente. Come ha osservato lo storico statunitense Robert Dallek, il messaggio rafforzò le convinzioni di coloro che pensavano che il presidente stesse cercando di distogliere l’attenzione dai persistenti problemi interni intromettendosi in problemi di politica estera che non riguardavano gli Stati Uniti.
L’influente giornale protestante, Christian Century, osservò che, nel lanciare la sua sfida, il presidente Roosevelt “aveva preso posizione davanti ai dittatori dell’Asse come uno sceriffo di frontiera a capo di una squadra”. Un importante giornale cattolico romano, Commonweal, giudicò il messaggio di parte, osservando che aveva ignorato “i torti commessi dall’Inghilterra e dalla Francia nel dopoguerra, che avevano contribuito all’impoverimento delle potenze dell’Asse …”. Lo storico britannico Leonard Mosley in seguito lo definì “maldestro”, mentre lo storico tedesco Joachim Fest definì il messaggio una esibizione di “ingenua demagogia”.
Poiché la sfida di Roosevelt aveva generato un’attenzione internazionale così ampia, l’annuncio pochi giorni dopo che il cancelliere tedesco avrebbe risposto in un discorso a una sessione appositamente convocata del Reichstag a Berlino, accrebbe ovviamente l’interesse per la replica di Hitler. Soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, molte persone attesero con ansia il “secondo round” di questo duello verbale tra due grandi capi mondiali.
I drammatici recenti sviluppi in Europa e la crescente paura di una guerra che coinvolgesse le maggiori potenze europee avevano naturalmente accresciuto l’interesse per ciò che avrebbe detto Hitler. Alcuni mesi prima, la regione etnicamente tedesca “Sudetenland” della Cecoslovacchia era stata incorporata nel Reich tedesco – che ora includeva anche l’Austria – in base all’Accordo di Monaco tra i capi delle “Quattro Potenze”: Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia. Poi, solo poche settimane prima che Roosevelt inviasse il suo messaggio a Hitler, la Germania aveva sorpreso il mondo prendendo improvvisamente il controllo delle terre ceche, aggiungendole al Reich come “Protettorato di Boemia-Moravia”. Soprattutto negli Stati Uniti, influenti giornali, riviste e commentatori radiofonici avevano descritto la conquista di Praga da parte di Hitler come un atto di sfacciata aggressione, che aveva dimostrato che il cancelliere tedesco era così inaffidabile e insaziabile da dover essere considerato una grave minaccia per la pace e la sicurezza. La recente richiesta del governo tedesco che la Polonia permettesse a Danzica di tornare al Reich fu ampiamente citata come ulteriore prova che Hitler minacciava la pace nel mondo.
In queste circostanze, Hitler dedicò naturalmente una notevole parte del suo discorso a quei temi e timori di attualità. Ma, pur se destinato a un pubblico mondiale, il cancelliere tedesco rivolse il suo discorso soprattutto al suo popolo.
A differenza di Franklin Roosevelt, Hitler non si faceva scrivere i suoi discorsi da altri. Le parole che pronunciava erano le sue. A dire il vero, nel preparare questo discorso, come per altri discorsi altrettanto dettagliati, si rivolse a vari funzionari e agenzie governative per le statistiche e altri dati specifici che intendeva citare. Tuttavia, le idee, gli argomenti, i giri di parole, il tono e la struttura di questo discorso erano interamente di Hitler. Nel preparare il testo di un discorso importante, in genere dettava una prima bozza a uno o più segretari, quindi apportava revisioni e modifiche fino a produrre un testo finale soddisfacente; un processo che poteva richiedere tempo e attenzione considerevoli.
Trasmesso dalle stazioni radio di tutto il mondo, il discorso di due ore di Hitler al Reichstag di venerdì pomeriggio 28 aprile, fu ascoltato da milioni di persone. Negli Stati Uniti, tutte e tre le principali reti radiofoniche lo trasmisero in diretta, con traduzione in lingua inglese. Il giorno successivo, il discorso di Hitler fu la notizia principale sulla prima pagina di tutti i principali quotidiani americani e molti ne pubblicarono lunghi estratti. “L’interesse per il discorso supera qualsiasi cosa finora nota”, riferì a Berlino l’ambasciata tedesca a Washington.
Astuti osservatori si resero conto che Roosevelt aveva molto sottovalutato l’astuzia e l’abilità retorica del cancelliere tedesco. “Hitler ha avuto la meglio nella discussione”, osservò il senatore americano Hiram Johnson della California, un importante legislatore “progressista”, “Roosevelt ha esposto il mento e ha ricevuto un sonoro colpo”. Il senatore degli Stati Uniti Gerald Nye commentatò semplicemente: “Se l’è cercato”.
James MacGregor Burns, eminente storico americano e ardente ammiratore di Franklin Roosevelt, in seguito scrisse sullo scambio verbale: “Roosevelt ha ottenuto un chiaro secondo posto”. John Toland, un altro noto storico statunitense, definì la risposta di Hitler “una notevole dimostrazione di agilità mentale”. Il cancelliere tedesco “ha ripreso punto per punto il messaggio del presidente, demolendone ciascuno come fa un maestro di scuola con l’allievo”.
Nel suo discorso accuratamente preparato, il cancelliere tedesco riuscì in gran parte a dipingere l’iniziativa del presidente americano come una manovra pretenziosa e arrogante; una manovra che, inoltre, aveva dimostrato una visione semplicistica e superficiale delle realtà geopolitiche, un distorto senso di giustizia e una scarsa comprensione delle storia.
Sebbene avesse un ruolo importante nei media statunitensi, l’atteggiamento della stampa americana nei confronti del discorso di Hitler fu generalmente sprezzante e denigratorio. Tipica era l’opinione dell’Evening Star di Washington, DC. In un editoriale, l’influente quotidiano denigrò il discorso definendolo “furbo e astuto”, mentre il Brooklyn Eagle di New York City lo definì “vago e confuso”. Insieme alla maggior parte dei giornali statunitensi, i due quotidiani ignorarono l’appello del cancelliere tedesco per la giustizia, l’equità e l’imparzialità e i dettagli della sua critica particolareggiata al messaggio di Roosevelt. Ancora più ostile dell’atteggiamento espresso nelle colonne editoriali dei giornali del paese è stato il ritratto sprezzante, sminuente e spesso ferocemente ostile di Hitler nelle vignette editoriali. All’inizio del 1939, la maggior parte dei media americani aveva adottato un atteggiamento aspro e bellicoso nei confronti della Germania nazionalsocialista e del suo capo. Hitler veniva abitualmente descritto come così maligno e ambiguo che tutto ciò che diceva semplicemente non era degno di rispettosa o seria considerazione.
Questo atteggiamento fu notato, tra gli altri, dall’ambasciatore polacco a Washington, Jerzy Potocki. In un dispaccio confidenziale del 12 gennaio 1939, egli riferiva al ministero degli Esteri di Varsavia:
“Il sentimento ora prevalente negli Stati Uniti è segnato da un crescente odio per il fascismo e, soprattutto, per il cancelliere Hitler e per tutto ciò che è connesso con il nazismo. La propaganda è principalmente nelle mani degli ebrei che controllano quasi il 100 per cento della radio, dei film, della stampa quotidiana e periodica. Sebbene questa propaganda sia estremamente grossolana e presenti la Germania il più nera possibile … questa propaganda è tuttavia estremamente efficace poiché il pubblico qui è completamente ignorante e non sa nulla della situazione in Europa. In questo momento, la maggior parte degli americani considera il cancelliere Hitler e il nazismo come il più grande male e il più grande pericolo che minaccia il mondo … Oltre a questa propaganda, viene creata artificialmente una psicosi di guerra. Al popolo americano viene detto che la pace in Europa è appesa solo a un filo e che la guerra è inevitabile”.
Agli osservatori più attenti era evidente che il messaggio del presidente americano era più una trovata pubblicitaria che una seria iniziativa per la pace. Per prima cosa, aveva rivolto questo appello solo ai capi di Germania e Italia. Non aveva fatto una richiesta simile ai capi di nessun altro paese. E visto l’elenco degli interventi militari americani in paesi stranieri, è difficile accettare che lo stesso Roosevelt credesse effettivamente alla sua affermazione secondo cui l’unica ragione valida o giustificabile per cui un paese dovrebbe entrare in guerra sarebbe “la causa dell’evidente difesa interna”. Nel corso degli anni, le forze statunitensi hanno attaccato numerosi paesi che non presentavano alcun pericolo evidente o presente per gli Stati Uniti o alcuna minaccia per gli interessi vitali americani.
L’elenco di Roosevelt dei paesi che presumibilmente avrebbero potuto essere minacciati dalla Germania è tanto più notevole se si considera come si sono svolti gli eventi negli anni successivi. La Finlandia, il primo paese sulla lista del presidente, fu infatti attaccata sette mesi dopo, non dalla Germania, bensì dall’Unione Sovietica. Durante la seconda guerra mondiale, la Finlandia era un alleato della Germania di Hitler, mentre l’Unione Sovietica era un importante partner militare degli Stati Uniti. Estonia, Lettonia e Lituania erano i successivi paesi sulla lista del presidente. Queste tre nazioni baltiche furono soggiogate con la forza nel 1940, non dalle truppe tedesche, ma dall’Armata Rossa. Successivamente, durante la seconda guerra mondiale, il presidente Roosevelt accettò la brutale incorporazione di questi tre paesi nell’URSS da parte di Stalin.
Anche la Polonia era nella lista del presidente. Ma quando le truppe sovietiche attaccarono la Polonia da est nel settembre 1939, né la Gran Bretagna, né la Francia, né gli Stati Uniti fecero nulla per contrastare l’aggressione. Dopo che le forze sovietiche presero il controllo di tutta la Polonia nel 1944-1945, gli Stati Uniti accettarono la sottomissione del paese ai sovietici.
Anche la Gran Bretagna e la Francia erano naturalmente sulla lista di Roosevelt. Ma solo pochi mesi dopo il suo messaggio a Hitler, quei due paesi entrarono in guerra contro la Germania, con i governi di Londra e Parigi che citavano l’attacco tedesco contro la Polonia come motivo di tale mossa. Almeno due paesi sulla lista di Roosevelt – Siria e Palestina – non correvano alcun rischio di attacco da parte della Germania, soprattutto perché, come sottolineò Hitler, erano già stati sottomessi militarmente da paesi “democratici”.
La menzione della Palestina da parte del presidente nel suo messaggio provocè una replica particolarmente tagliente da parte di Hitler sull’oppressione britannica di quel paese. I palestinesi erano infuriati non solo per l’egemonia non richiesta della Gran Bretagna, osservò, ma anche per il sostegno dato dai governi britannici agli “intrusi” ebrei, che stavano cercando di imporre il controllo sionista sul loro paese. Roosevelt, o non sapeva nulla dell’attuale status della Palestina, o la sua presunta preoccupazione per la libertà di essa era una farsa. Non fu, ovviamente, l’unico politico americano a sostenere la sottomissione sionista della Palestina mentre allo stesso tempo proclamava il suo amore per la libertà e la democrazia.
L’Iran, l’ultimo paese elencato nel messaggio del presidente, fu in seguito invaso, ma non dalla Germania. Quando le forze britanniche e sovietiche attaccarono e occuparono quel paese neutrale nell’agosto 1941, il presidente Roosevelt non solo rifiutò una richiesta di aiuto da parte del governo iraniano, ma giustificò e sostenne la brutale conquista di quel paese.
La causa della pace mondiale, disse Roosevelt nel suo messaggio a Hitler, sarebbe “molto progredita” se i capi mondiali avessero fornito “una dichiarazione franca relativa alla politica presente e futura dei loro governi”. Questa era pura ipocrisia. Durante quel periodo – mesi prima dello scoppio della guerra in Europa nel settembre 1939 – lo stesso presidente premeva segretamente per un conflitto contro la Germania.
In un incontro segreto di sette mesi prima, aveva detto all’ambasciatore britannico, Ronald Lindsay, che se la Gran Bretagna e la Francia “si fossero trovate costrette a fare la guerra” contro la Germania, alla fine anche gli Stati Uniti si sarebbero uniti ad esse. Roosevelt continuò spiegando durante il loro incontro alla Casa Bianca il 19 settembre 1938, che sarebbero state necessarie alcune manovre intelligenti per mantenere questa promessa. Il presidente poi esortò il diplomatico a convincere il suo governo a Londra ad imporre un embargo economico contro la Germania con la speranza e l’aspettativa che il governo tedesco rispondesse dichiarando apertamente guerra alla Gran Bretagna, il che avrebbe consentito quindi agli Stati Uniti di unirsi all’auspicata guerra contro la Germania con un minimo di pretesto da offrire al pubblico americano.
Nel novembre 1938, l’ambasciatore polacco a Washington riferì a Varsavia che William Bullitt, diplomatico statunitense di alto livello e collaboratore particolarmente fidato del presidente Roosevelt, gli aveva assicurato che gli Stati Uniti sarebbero “senza dubbio” entrati in guerra contro la Germania, “ma solo dopo che la Gran Bretagna e la Francia avessero fatto la prima mossa”. Nel gennaio 1939, l’ambasciatore polacco Potocki riferì di un’altra conversazione confidenziale con Bullitt, il quale gli assicurò che gli Stati Uniti sarebbero stati pronti “a intervenire attivamente a fianco di Gran Bretagna e Francia in caso di guerra” contro la Germania. Bullitt poi rivelò che gli Stati Uniti erano pronti a “mettere a loro disposizione tutta la loro ricchezza di denaro e materie prime”.
Poche settimane dopo, l’ambasciatore polacco a Parigi, Jules Lukasiewicz, informò in via confidenziale Varsavia di un colloquio con William Bullitt, ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. Il diplomatico americano gli aveva assicurato che se fossero scoppiate le ostilità si sarebbe potuto “prevedere fin dall’inizio la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra a fianco di Francia e Gran Bretagna”.
Questi impegni furono tenuti segreti perché il presidente e i suoi stretti consiglieri sapevano che l’opinione pubblica americana si opponeva fermamente al coinvolgimento degli Stati Uniti in un’altra guerra in Europa. In quell’era più ingenua, gli americani credevano che il loro presidente fosse sincero nelle sue pubbliche rassicurazioni sulle intenzioni pacifiche del governo e si fidavano della sua promessa di tenere il loro paese fuori da qualsiasi guerra che potesse scoppiare in Europa.
Lo storico scambio verbale dell’aprile 1939 tra Roosevelt e Hitler è importante per aiutare a comprendere meglio le prospettive e gli obiettivi di politica estera di quei due influenti capi di governo del ventesimo secolo, e come ognuno di loro vedeva in modo molto diverso la storia recente e il ruolo del proprio paese nel mondo.
Il loro scambio verbale è stato evidenziato nella serie di film del governo degli Stati Uniti sulla seconda guerra mondiale “Why We Fight”, ampiamente vista. Mostrava Hitler che leggeva l’elenco dei paesi che sarebbero stati minacciati di attacco o invasione da parte della Germania, a cui il pubblico del Reichstag aveva risposto prima con il silenzio e poi con le risate. Il narratore diceva agli spettatori che Hitler aveva trattato la sfida pubblica del presidente come un “enorme scherzo”. In effetti, il pubblico del Reichstag aveva riso perché aveva comprensibilmente considerato ridicola l’idea che le forze tedesche potessero attaccare o invadere paesi come la Spagna, l’Irlanda, la Siria o l’Iran.
Lungi dal considerarlo un “enorme scherzo”, Hitler si sforzò di rispondere a ogni punto del telegramma del presidente Roosevelt, che, da parte sua, si guardò bene dal rispondere al discorso dettagliato di Hitler, tanto meno ai punti specifici trattati dal cancelliere tedesco. Roosevelt ignorò persino l’appello di Hitler al governo degli Stati Uniti affinché mantenesse le solenni promesse che aveva fatto vent’anni prima alla Germania e al mondo.
Nei mesi che seguirono, la politica americana nei confronti della Germania divenne sempre più ostile. Nel 1940 e nel 1941 il presidente cercò sempre più apertamente di persuadere la scettica opinione pubblica americana a sostenere la Gran Bretagna e la Russia sovietica nella guerra contro la Germania. Il peggioramento delle relazioni USA-Germania culminò nel discorso di Hitler al Reichstag dell’11 dicembre 1941 – quattro giorni dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor e le reciproche dichiarazioni di guerra di questi due paesi – in cui egli riesaminò l’elenco degli atti di guerra e di aggressione più evidenti dell’America nei confronti della Germania. Dopo aver affermato che la sua pazienza con la belligeranza e l’illegalità degli Stati Uniti era finalmente giunta al termine, Hitler annunciò che la sua nazione si stava ora unendo al Giappone nella guerra contro gli Stati Uniti.
Di seguito è riportato il testo completo del messaggio del presidente Roosevelt del 14 aprile 1939 a Hitler, seguito da una traduzione appositamente preparata del testo completo del discorso al Reichstag del 28 aprile 1939 da parte del cancelliere tedesco in risposta.
Mark Weber, ottobre 2020
IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE ROOSEVELT
Vi rendete conto, ne sono certo, che in tutto il mondo centinaia di milioni di esseri umani vivono oggi nella costante paura di una nuova guerra o addirittura di una serie di guerre.
L’esistenza di questa paura – e la possibilità di un tale conflitto – sono di chiara preoccupazione per il popolo degli Stati Uniti per il quale parlo, come devono esserlo anche per i popoli delle altre nazioni dell’intero emisfero occidentale. Tutti loro sanno che qualsiasi grande guerra, anche se limitata ad altri continenti, deve gravare pesantemente su di loro durante il suo svolgimento e anche sulle generazioni a venire.
Dato che dopo l’acuta tensione in cui il mondo ha vissuto nelle ultime settimane sembrerebbe esserci almeno un temporaneo allentamento – poiché in questo momento non ci sono truppe in marcia – questo può essere un momento opportuno per me per inviarvi questo messaggio.
In una precedente occasione mi sono rivolto a voi a favore della soluzione dei problemi politici, economici e sociali con metodi pacifici e senza ricorrere alle armi.
Ma il corso degli eventi sembra essere tornato alla minaccia delle armi. Se tali minacce continuano, sembra inevitabile che gran parte del mondo debba essere coinvolta in una comune rovina. In tutto il mondo, nazioni vincitrici, nazioni vinte e nazioni neutrali, soffriranno.
Mi rifiuto di credere che il mondo sia, per necessità, prigioniero di un tale destino. Al contrario, è chiaro che i capi delle grandi nazioni hanno il potere di sottrarre i loro popoli al disastro che incombe. È altrettanto chiaro che, nelle loro menti e nei loro cuori, i popoli stessi desiderano che le loro paure abbiano fine.
Occorre però purtroppo prendere atto dei fatti recenti.
Tre nazioni in Europa e una in Africa hanno visto terminare la loro esistenza indipendente. Un vasto territorio di un’altra nazione indipendente dell’Estremo Oriente è stato occupato da uno Stato confinante. Rapporti, che confidiamo non siano veritieri, insistono sul fatto che ulteriori atti di aggressione sono ancora contemplati contro altre nazioni indipendenti. Chiaramente il mondo si sta muovendo verso il momento in cui questa situazione deve finire in una catastrofe, a meno che non si trovi un modo più razionale di guidare gli eventi.
Voi avete ripetutamente affermato che voi e il popolo tedesco non avete alcun desiderio di guerra. Se questo è vero non c’è bisogno che ci sia la guerra.
Nulla può persuadere i popoli della terra che qualsiasi potere di governo ha il diritto o la necessità di infliggere le conseguenze della guerra a se stesso o a qualsiasi altro popolo, tranne che per la causa dell’ovvia difesa interna.
Nel fare questa affermazione noi americani non parliamo per egoismo, paura o debolezza. Se parliamo ora è con la voce della forza e dell’amicizia per l’umanità. Mi è inoltre chiaro che i problemi internazionali possono essere risolti al tavolo delle trattative.
Pertanto, non è una risposta alla richiesta di una discussione pacifica che una delle parti sostenga che non deporrà le armi, a meno che non riceva assicurazioni in anticipo che il verdetto sarà suo. Nelle aule di conferenza, come nei tribunali, è necessario che entrambe le parti entrino nella discussione in buona fede, supponendo che ne derivi ad entrambe una giustizia sostanziale; ed è consuetudine e necessario che lascino le armi al di fuori della stanza in cui conferiscono.
Sono convinto che la causa della pace mondiale sarebbe molto avvantaggiata se le nazioni del mondo ottenessero una franca dichiarazione relativa alla politica presente e futura dei governi.
Poiché gli Stati Uniti, in quanto una delle nazioni dell’emisfero occidentale, non sono coinvolti nelle attuali controversie che sono sorte in Europa, confido che voi possiate essere disposto a fare una simile dichiarazione politica a me, come capo di una nazione lontana dall’Europa, affinché io, agendo solo con la responsabilità e l’obbligo di un intermediario amico, possa comunicare tale dichiarazione ad altre nazioni ora preoccupate per il corso che potrebbe prendere la politica del vostro governo.
Siete disposto a garantire che le vostre forze armate non attaccheranno o invaderanno il territorio o i possedimenti delle seguenti nazioni indipendenti: Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania, Svezia, Norvegia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Gran Bretagna e Irlanda, Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Polonia, Ungheria, Romania, Jugoslavia, Russia, Bulgaria, Grecia, Turchia, Iraq, Arabia, Siria, Palestina, Egitto e Iran?
Tale garanzia deve ovviamente valere non solo per il presente, ma anche per un futuro sufficientemente lungo da offrire ogni opportunità di lavorare con metodi pacifici per una pace più permanente. Suggerisco quindi di interpretare la parola “futuro” in modo che si applichi a un periodo minimo di non aggressione garantita di almeno dieci anni o un quarto di secolo, se osiamo guardare così lontano.
Se tale assicurazione verrà data dal vostro governo, la trasmetterò immediatamente ai governi delle nazioni che ho nominato e contemporaneamente chiederò se, come sono ragionevolmente sicuro, ciascuna delle nazioni elencate sia disposta a dare a sua volta la stessa assicurazione per trasmetterle a Voi.
Assicurazioni reciproche come quelle che ho delineato porteranno al mondo un sollievo immediato.
Propongo che, se saranno date, due problemi essenziali saranno prontamente discussi nell’ambiente pacifico che ne risulterà, e a quelle discussioni il governo degli Stati Uniti prenderà volentieri parte.
Le discussioni che ho in mente si riferiscono al modo più efficace e immediato attraverso il quale i popoli del mondo possono ottenere un progressivo sollievo dallo schiacciante fardello degli armamenti che li sta portando ogni giorno più vicini all’orlo del disastro economico.
Allo stesso tempo il governo degli Stati Uniti sarebbe pronto a prendere parte a trattative cercando il modo più pratico di aprire vie di commercio internazionale, affinché ogni nazione della terra possa essere abilitata a comprare e vendere a parità di condizioni sul mercato mondiale, nonché a possedere la certezza di ottenere i materiali e i prodotti necessari per una pacifica vita economica.
Nello stesso tempo, quei governi diversi dagli Stati Uniti che sono direttamente interessati potrebbero intraprendere le trattative politiche che potrebbero ritenere necessarie o auspicabili.
Riconosciamo i complessi problemi mondiali che interessano tutta l’umanità, ma sappiamo che lo studio e la discussione di essi devono svolgersi in un’atmosfera di pace. Una tale atmosfera di pace non può esistere se i negoziati sono offuscati dalla minaccia della forza o dalla paura della guerra.
Sono sicuro che non fraintenderete lo spirito di franchezza con cui vi mando questo messaggio. I capi dei grandi governi in questo momento sono letteralmente responsabili del destino dell’umanità nei prossimi anni. Non possono non ascoltare le preghiere dei loro popoli ad essere proiettati verso il prevedibile caos della guerra. La storia li riterrà responsabili della vita e della felicità di tutti, anche degli ultimi.
Spero che la vostra risposta consenta all’umanità di abbandonare la paura e ritrovare la sicurezza per molti anni a venire.
Un messaggio analogo viene rivolto al capo del governo italiano.
IL DISCORSO DEL CANCELLIERE HITLER
Membri del Reichstag tedesco!
Il Presidente degli Stati Uniti d’America mi ha indirizzato un telegramma di cui già conoscete i curiosi contenuti. Prima che io, il destinatario, ricevessi effettivamente questo documento, il resto del mondo ne era già stato informato da notizie radiofoniche e giornalistiche. Numerosi commenti sugli organi della stampa mondiale democratica ci avevano già felicemente illuminato sul fatto che questo telegramma fosse un documento tatticamente intelligente, volto ad imporre agli Stati, dove governa il popolo, la responsabilità delle misure belliche adottate dai paesi plutocratici.
Pertanto ho deciso di convocare il Reichstag tedesco in modo che voi, come deputati del Reichstag, aveste l’opportunità di essere i primi ad ascoltare la mia risposta, e di confermarla o respingerla. Inoltre, ho anche ritenuto opportuno agire secondo il metodo di procedura scelto dal Presidente Roosevelt e, da parte mia, informare a modo nostro il resto del mondo della mia risposta. Desidero cogliere questa occasione anche per esprimere i sentimenti che mi ispirano le straordinarie vicende storiche del mese di marzo. Posso esprimere i miei sentimenti più profondi solo sotto forma di umile ringraziamento alla Provvidenza che mi ha chiamato e mi ha permesso, un tempo sconosciuto soldato della guerra [mondiale del 1914-1918], di diventare il capo del mio popolo, a me così caro.
La Provvidenza mi ha mostrato la via per liberare il nostro popolo dalle profondità della sua miseria senza spargimento di sangue e per riportarlo verso l’alto. La Provvidenza ha concesso che potessi adempiere al compito della mia vita di sollevare il mio popolo tedesco dalle profondità della sconfitta e di liberarlo dai vincoli del diktat più oltraggioso di tutti i tempi. Solo questo è stato l’obiettivo dei miei sforzi.
Dal giorno in cui sono entrato nella vita politica, non ho vissuto per altra idea che quella di riconquistare la libertà della nazione tedesca, ripristinare il potere e la forza del Reich, superare le discordie interne del nostro popolo, porre fine al suo isolamento dal resto del mondo salvaguardando il mantenimento della sua vita economica e politica indipendente.
Ho inteso solo ripristinare ciò che altri una volta hanno distrutto con la forza. Ho desiderato solo riparare ciò che la malizia satanica o la stupidità umana hanno distrutto o rovinato. Non ho quindi compiuto alcun passo che violasse i diritti degli altri, ma ho solo ripristinato il diritto violato vent’anni fa.
Il Grande Reich Tedesco oggi non contiene alcun territorio che non sia stato fin dai primi tempi parte di questo Reich, ad esso legato o soggetto alla sua sovranità. Molto prima che il continente americano fosse scoperto, per non dire colonizzato, dai bianchi, questo Reich esisteva, non solo con la sua estensione attuale, ma con molte altre regioni e province che da allora sono andate perdute.
Ventuno anni fa, quando finì lo spargimento di sangue [della Prima guerra mondiale], milioni di menti erano piene dell’ardente speranza che una pace ragionevole e giusta avrebbe premiato e benedetto le nazioni che erano state ostaggio del terribile flagello della guerra mondiale. Dico “ricompensa”, perché tutti quegli uomini e quelle donne – qualunque siano le conclusioni a cui sono giunti gli storici – non avevano alcuna responsabilità per quegli avvenimenti spaventosi. In alcuni paesi possono ancora esserci politici che allora avrebbero potuto essere considerati responsabili del più orribile massacro di tutti i tempi, ma la grande massa dei soldati combattenti di ogni paese e nazione non era affatto colpevole, ma piuttosto meritevole di compassione.
Come sapete, io stesso non avevo mai avuto un ruolo in politica prima della guerra. Come milioni di altri, ho assolto solo ai normali doveri che ero chiamato a svolgere in quanto cittadino e soldato. È stato quindi con la coscienza assolutamente pulita che ho potuto farmi carico della causa della libertà e dell’avvenire del mio popolo, sia durante che dopo la guerra. E posso quindi parlare a nome di milioni e milioni di altri, che sono altrettanto inappuntabili, quando dichiaro che tutti coloro che avevano combattuto per la loro nazione solo nel leale adempimento del loro dovere, avevano diritto a una pace ragionevole e giusta, così che l’umanità potesse finalmente mettersi al lavoro per riparare con uno sforzo congiunto le perdite che tutti avevano subìto.
Ma quei milioni furono defraudati di quella pace, poiché non solo il popolo tedesco e gli altri popoli che combattevano dalla nostra parte hanno sofferto a causa dei trattati di pace, ma questi trattati hanno avuto anche un impatto distruttivo sui vincitori.
Che la politica dovesse essere controllata da uomini che non avevano combattuto essi stessi nella guerra, fu riconosciuta per la prima volta come una disgrazia. L’odio era sconosciuto ai soldati, ma non a quegli anziani politici che avevano accuratamente preservato la propria preziosa vita dagli orrori della guerra e che ora calavano sull’umanità in veste di folli spiriti di vendetta.
L’odio, la malvagità e la stupidità furono i procreatori intellettuali dell’impositivo Trattato di Versailles (1). Territori e stati con una storia millenaria sono stati arbitrariamente smembrati e dissolti. Persone apparentate da tempo immemorabile furono separate; le condizioni economiche vitali furono ignorate, mentre i popoli stessi venivano trattati come vincitori e vinti, come padroni che possedevano tutti i diritti o come schiavi che non ne possedevano nessuno.
Quel documento di Versailles è stato fortunatamente messo nero su bianco per le generazioni a venire, perché altrimenti sarebbe stato considerato in futuro come il prodotto grottesco di un’immaginazione selvaggia e corrotta. Quasi 115 milioni di persone sono state derubate del loro diritto all’autodeterminazione, non da soldati vittoriosi, ma da politici folli, e sono state arbitrariamente rimosse da antiche comunità e rese parti di nuove senza alcuna considerazione del sangue, dell’ascendenza, del buon senso o delle condizioni economiche di vita.
I risultati sono stati spaventosi. Sebbene a quel tempo gli statisti fossero in grado di distruggere moltissime cose, ce n’era una che non poteva essere eliminata: la gigantesca moltitudine di persone che vivono nell’Europa centrale, ammucchiate in uno spazio ristretto, può assicurarsi il pane quotidiano solo con il massimo del lavoro e dell’ordine che ne deriva.
Ma cosa sapevano di questi problemi quegli statisti dei cosiddetti imperi democratici? Un branco di persone assolutamente stupide e ignoranti si è scatenato sull’umanità. Nelle aree in cui circa 140 persone per chilometro quadrato devono guadagnarsi da vivere, hanno semplicemente distrutto l’ordine che esse si erano creato in quasi duemila anni di sviluppo storico e prodotto il disordine, senza essere essi stessi capaci o desiderosi di risolvere i problemi che si presentavano alla vita comune di queste persone, di cui peraltro, in quanto despoti del nuovo ordine mondiale, si erano allora assunti la responsabilità.
Tuttavia, quando questo nuovo ordine mondiale si è rivelato una catastrofe, i despoti democratici “della pace”, sia americani che europei, sono stati così codardi che nessuno di loro si è azzardato ad assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ciascuno ha addossato la colpa agli altri, cercando così di salvarsi dal giudizio della storia. Ma le persone maltrattate dal loro odio e dalla loro mancanza di senno, sfortunatamente per loro, non erano nella condizione di condividere quanto sostenevano.
Impossibile enumerare le tappe della sofferenza del nostro popolo. Derubata di tutti i suoi possedimenti coloniali (2), privata di tutte le sue risorse finanziarie, saccheggiata dalle cosiddette riparazioni, e quindi impoverita, la nostra nazione fu spinta nel periodo più oscuro della sua storia. E va notato che quella non era la Germania nazionalsocialista, ma la Germania democratica (3), la Germania che era talmente debole da fidarsi incondizionatamente delle promesse degli statisti democratici.
La conseguente miseria e il continuo impoverimento iniziarono a portare la nostra nazione alla disperazione politica. Anche le persone rispettabili e operose dell’Europa centrale guardavano alla possibilità di liberazione nella completa distruzione del vecchio ordine, che per loro rappresentava una maledizione.
I parassiti ebrei, da un lato, depredavano spietatamente la nazione e, dall’altro, eccitavano il popolo, ridotto com’era alla miseria. Poiché la disgrazia della nostra nazione divenne lo scopo e l’oggetto di quella tendenza, fu loro possibile trarre dal crescente esercito di disoccupati elementi adatti alla rivoluzione bolscevica.
Il decadimento dell’ordine politico e la confusione dell’opinione pubblica da parte di una stampa ebraica irresponsabile portarono a danni sempre più grandi alla vita economica, e di conseguenza ad una crescente miseria e ad una maggiore disponibilità ad accettare le idee sovversive bolsceviche. L’esercito della rivoluzione mondiale ebraica, come veniva chiamato l’esercito dei disoccupati, salì alla fine a quasi sette milioni di persone.
La Germania non aveva mai conosciuto tale situazione. Nel territorio in cui viveva questo grande popolo e negli antichi stati asburgici che ad esso appartenevano, la vita economica, nonostante tutte le difficoltà della lotta per l’esistenza comportate dall’eccessiva densità di popolazione, non era diventata nel corso del tempo mai così incerta, ma, al contrario, sempre più sicura.
L’operosità e la diligenza, la grande parsimonia e lo scrupoloso amore per l’ordine, sebbene non consentissero alle persone di questo territorio di accumulare ricchezze eccessive, le preservavano comunque dalla squallida miseria. Le conseguenze della miserabile pace imposta loro dai despoti democratici furono quindi tanto più terribili per queste persone che furono condannate a Versailles. Oggi conosciamo le cause di questo spaventoso esito della [Prima] Guerra Mondiale.
In primo luogo, vi era l’avidità di bottino. Essi credevano che ciò che raramente paga nella vita privata, una volta ingrandito di un milione di volte, potesse essere riprodotto per l’umanità come un esperimento proficuo. Se le grandi nazioni fossero state saccheggiate e fosse stato spremuto il massimo da esse, allora sarebbe stato loro possibile vivere una vita di spensierata inoperosità. Tale era l’opinione di questi dilettanti dell’economia.
A tal fine, prima di tutto, gli stati stessi dovevano essere smembrati. La Germania doveva essere privata dei suoi possedimenti coloniali, sebbene fossero privi di valore per le democrazie imperialistiche; le più importanti regioni [tedesche] per risorse naturali dovevano essere invase e – se necessario – poste sotto il controllo delle democrazie; e soprattutto, si doveva impedire alle sfortunate vittime di questo maltrattamento democratico di nazioni e popoli di riprendersi e, ancor più di sollevarsi contro i loro oppressori.
Così fu architettato un piano satanico per gravare le generazioni future con la maledizione di quei dettami. Per 60, 70 o 100 anni, la Germania avrebbe dovuto pagare somme talmente esorbitanti che la questione di come avrebbero dovuto effettivamente essere raccolte doveva rimanere per sempre un mistero. Raccogliere tali somme in oro, in valuta estera, o mediante regolari pagamenti in natura, sarebbe stato assolutamente impossibile senza rovinare anche gli offuscati esattori di questo tributo.
In realtà, questi democratici despoti della “pace” hanno sostanzialmente distrutto l’economia mondiale con la loro follia di Versailles (4). Il loro insensato smembramento di popoli e stati ha portato alla distruzione degli interessi comuni di produzione e commercio che si erano ben consolidati nel corso di centinaia di anni, provocando in tal modo lo sviluppo di tendenze autarchiche, e con esso la distruzione delle precedenti condizioni generali dell’economia mondiale.
Vent’anni fa, quando ho apposto il mio nome sul libro della vita politica come settimo membro dell’allora Partito dei lavoratori tedeschi (5) a Monaco, ho visto l’impatto di quei segni di decadenza intorno a me. La cosa peggiore – come ho già sottolineato – fu la totale disperazione delle masse che ne derivò, la scomparsa tra le classi colte di ogni fiducia nella ragione umana, per non parlare di un senso di ingiustizia e una predominanza di brutale egoismo tra tutte queste creature inclini all’egocentrismo.
La misura in cui, nel corso di quelli che sono ormai vent’anni, sono stato in grado di plasmare una nazione da una tale caotica disorganizzazione in un tutto organico e di stabilire un nuovo ordine, fa già parte della storia tedesca.
Ciò che desidero chiarire oggi, a titolo di premessa, sono soprattutto gli obiettivi della mia visione politica e la loro realizzazione in materia di politica estera.
Uno degli atti di oppressione più vergognosi mai commessi è stato lo smembramento della nazione tedesca e la sua disgregazione politica, prevista dal dettato di Versailles, nel territorio in cui essa aveva, in definitiva, vissuto per migliaia di anni.
Non ho mai espresso dubbi, miei deputati del Reichstag, sul fatto che in realtà sia quasi impossibile ovunque in Europa raggiungere un’armonia tra i confini statali e quelli etnici che potrebbe risultare soddisfacente per tutti gli interessati. Da un lato, le migrazioni di popoli che si sono progressivamente verificate nel corso degli ultimi secoli, e dall’altro lo sviluppo di grandi comunità, hanno determinato una situazione che, comunque la si guardi, deve inevitabilmente essere ritenuta in un modo o nell’altro insoddisfacente da parte degli interessati. Ma proprio il modo in cui questi sviluppi etnico-nazionali e politici si sono progressivamente stabilizzati nel secolo scorso ha portato molti ad aggrapparsi alla speranza che alla fine si sarebbe trovato un compromesso tra il rispetto della vita nazionale dei vari popoli europei e il riconoscimento delle strutture politiche consolidate; un compromesso grazie al quale, senza distruggere l’ordine politico in Europa e con esso le basi economiche esistenti, le nazionalità avrebbero potuto tuttavia essere preservate.
Quelle speranze furono distrutte dalla [prima] guerra mondiale. Il dettato di pace di Versailles non rendeva giustizia né all’uno, né all’altro principio. Non è stato rispettato né il diritto all’autodeterminazione, né sono state prese in considerazione le necessità e le condizioni politiche, e tanto meno economiche, dello sviluppo europeo. Tuttavia, non ho mai negato che – come ho già sottolineato – dovrebbe esserci spazio anche a una revisione del Trattato di Versailles. E l’ho sempre detto con la massima franchezza, non per ragioni tattiche, ma per intima convinzione. Come Führer del popolo tedesco, non ho mai avuto dubbi sul fatto che, laddove sono in gioco gli interessi superiori della comunità europea, gli specifici interessi nazionali debbano, se necessario, essere relegati in secondo piano.
E – come ho già sottolineato – non per ragioni tattiche, perché non ho mai lasciato dubbi sulla assoluta serietà di questo mio convincimento. Per quanto riguarda molti dei territori che potrebbero essere contesi, sono quindi giunto a decisioni definitive, che ho proclamato non solo al mondo esterno, ma anche alla mia stessa gente, e ho fatto in modo che tali decisioni fossero rispettate.
Non ho, come fece la Francia nel 1870-1871 (6), descritto come intollerabile per il futuro la cessione dell’Alsazia-Lorena. Invece ho fatto una distinzione tra il territorio della Saar e queste due ex province del Reich. E non ho mai cambiato il mio atteggiamento, né lo farò mai. Non ho permesso che questo atteggiamento venisse modificato o pregiudicato all’interno del Paese in nessuna occasione, né sulla stampa né in altro modo. Il ritorno alla patria del territorio della Saar (7) ha eliminato tutti i problemi territoriali in Europa tra Francia e Germania. Tuttavia, ho sempre considerato deplorevole che gli statisti francesi abbiano dato per scontato questo atteggiamento. Non è questo il modo di vedere la questione. Non è per paura della Francia che ho mantenuto questo atteggiamento. Come ex soldato, non vedo alcun motivo per tale paura. Inoltre, per quanto riguarda il territorio della Saar, ho chiarito che non avremmo tollerato alcun rifiuto di restituirlo alla Germania.
No, ho confermato questo atteggiamento nei confronti della Francia come espressione di apprezzamento per la necessità di raggiungere la pace in Europa, invece di gettare il seme di continue incertezze e persino tensioni facendo richieste illimitate e chiedendo continuamente revisioni. Se tuttavia questa tensione è ora sorta, la responsabilità non è della Germania, ma di quegli elementi internazionali che promuovono sistematicamente tale tensione per servire i propri interessi capitalistici.
Ho rilasciato dichiarazioni vincolanti a un gran numero di stati. Nessuno di questi stati può lamentare che sia mai stata fatta loro dalla Germania la benché minima richiesta a loro dannosa. Nessuno statista scandinavo, ad esempio, può affermare che gli sia mai stata rivolta dal governo tedesco o dall’opinione pubblica tedesca una richiesta incompatibile con la sovranità o l’integrità del suo paese.
Mi ha fatto piacere che alcuni Stati europei si siano avvalsi di queste dichiarazioni del governo tedesco per esprimere e sottolineare anche la loro volontà di assoluta neutralità. Questo vale per Olanda, Belgio, Svizzera, Danimarca e così via. Ho già citato la Francia. Non ho bisogno di menzionare l’Italia, con la quale siamo uniti dalla più profonda e intima amicizia, né l’Ungheria e la Jugoslavia, con le quali, come vicini, i nostri rapporti sono fortunatamente tra i più amichevoli.
D’altra parte non ho lasciato dubbi fin dal primo momento della mia attività politica che esistessero altre circostanze che rappresentavano un oltraggio così meschino e grossolano del diritto all’autodeterminazione del nostro popolo, tali da non poter mai da noi essere accettarle o avallate.
Non ho mai scritto una sola riga o fatto un solo discorso che mostri un diverso atteggiamento nei confronti degli stati appena menzionati. Quanto agli altri casi, non ho mai scritto una sola riga o fatto un solo discorso in cui abbia espresso un atteggiamento diverso del mio agire.
Uno. L’Austria, la più antica marca orientale [Ostmark] del popolo tedesco, un tempo era il contrafforte della nazione tedesca a sud-est del Reich. I tedeschi di quel paese discendono da coloni di tutte le comunità etniche tedesche, anche se la comunità etnica bavarese vi ha contribuito per la maggior parte. Successivamente questa Ostmark divenne il fondamento di un secolare regno imperiale, con Vienna come capitale del Reich tedesco di quel periodo.
Quel Reich tedesco fu infine disgregato nel corso di una graduale dissoluzione da parte di Napoleone, il Corso, ma continuò ad esistere come federazione tedesca, e non molto tempo fa combatté e soffrì nella più grande guerra di tutti i tempi come entità politica che fu l’espressione dei sentimenti nazionali del popolo, anche se non era più uno stato unito. Io stesso sono un figlio di quell’Ostmark.
Non solo il Reich tedesco fu abbattuto e l’Austria smembrata nelle sue parti componenti dai criminali di Versailles, ma ai tedeschi fu anche proibito di riconoscere quella comunità alla quale avevano dichiarato di appartenere per più di mille anni. Ho sempre considerato l’eliminazione di questo stato di cose come il compito più grande e più sacro della mia vita. Non ho mai mancato di proclamare questa determinazione e sono sempre stato deciso a realizzare queste idee che mi perseguitavano giorno e notte.
Avrei peccato contro la missione affidatami dalla Provvidenza se avessi fallito nel mio tentativo di ricongiungere il mio paese natale e il mio popolo tedesco dell’Ostmark al Reich (8) e quindi alla comunità nazionale del popolo tedesco. Così facendo, inoltre, ho cancellato la pagina più vergognosa del Trattato di Versailles. Ho ristabilito il diritto all’autodeterminazione e ho abolito l’oppressione di sette milioni e mezzo di tedeschi da parte dei paesi democratici. Ho tolto il divieto che impediva loro di votare sul proprio destino e ho portato avanti uno storico referendum. Il risultato non è stato solo quello che mi aspettavo io, ma anche esattamente quello che si aspettavano i democratici oppressori di Versailles. Perché altrimenti avrebbero proibito un referendum sulla questione dell’Anschluss?
Due. Boemia e Moravia. Quando nel corso delle migrazioni dei popoli le comunità etniche germaniche iniziarono, per ragioni a noi inspiegabili, a migrare fuori dal territorio che oggi è la Boemia e la Moravia; un popolo slavo straniero si fece strada in questo territorio, e si stabilì tra i restanti tedeschi. Da quel momento il territorio occupato da questo popolo slavo è stata racchiuso sotto forma di ferro di cavallo dai tedeschi.
Dal punto di vista economico un’esistenza indipendente è, alla lunga, impossibile per queste terre se non nel contesto di uno stretto rapporto con la nazione tedesca e l’economia tedesca. Ma a parte questo, in questo territorio della Boemia e della Moravia vivevano quasi quattro milioni di tedeschi. Una politica di annientamento nazionale che si instaurò, in particolare dopo il Trattato di Versailles, sotto la pressione della maggioranza ceca, unita anche alle condizioni economiche e all’ondata crescente di miseria, portò a una certa emigrazione di quei tedeschi, così che quelli rimasti nel territorio si ridussero a circa 3.700.000. La popolazione ai margini del territorio è uniformemente tedesca, ma ci sono anche grandi enclavi linguistiche tedesche all’interno.
La nazione ceca è nella sua origine estranea a noi, ma nei mille anni in cui i due popoli hanno convissuto fianco a fianco, la cultura ceca è stata significativamente formata e plasmata dalle influenze tedesche. L’economia ceca è il risultato della sua connessione con il più vasto sistema economico tedesco. La capitale di questo paese [Praga] è stata per un certo periodo una città imperiale tedesca e ha la più antica università tedesca (9). Numerose cattedrali, municipi e residenze di nobili e cittadini testimoniano l’influenza culturale tedesca.
Lo stesso popolo ceco ha alternato nel corso dei secoli rapporti stretti e più lontani con il popolo tedesco. Ogni stretto contatto determinava un periodo in cui fiorivano sia la nazione tedesca che quella ceca; ogni allontanamento era disastroso nelle sue conseguenze.
Conosciamo i meriti e i valori della nazione tedesca, ma anche la nazione ceca, con la somma totale della sua abilità e capacità, la sua operosità, la sua diligenza, il suo amore per la sua terra natale e per la sua eredità nazionale, merita il nostro rispetto. In effetti, ci sono stati periodi in cui questo rispetto reciproco per le qualità dell’una e dell’altra nazione era una cosa ovvia.
I pacificatori democratici di Versailles possono rivendicare il merito di aver assegnato al popolo ceco il ruolo speciale di stato satellite, che potrebbe essere usato contro la Germania. A tal fine assegnarono arbitrariamente la proprietà di terre straniere allo stato ceco, che era assolutamente incapace di sopravvivere con la sua sola forza. Cioè, hanno fatto violenza ad altre nazionalità per garantire una base ad uno stato che doveva essere una minaccia latente per la nazione tedesca nell’Europa centrale.
Perché questo stato [la Cecoslovacchia], in cui il cosiddetto elemento nazionale predominante era in realtà una minoranza, poteva essere mantenuto solo mediante la brutale violazione delle identità nazionali che costituivano la maggioranza della popolazione (10). Questa violazione era possibile solo nella misura in cui protezione e assistenza gli erano concesse dalle democrazie europee. Questa assistenza poteva naturalmente essere attesa solo a condizione che questo stato fosse disposto ad adottare lealmente e svolgere il ruolo che gli era stato assegnato alla nascita. Ma lo scopo di questo ruolo non era altro che impedire il consolidamento dell’Europa centrale, fornire un ponte in Europa all’aggressione bolscevica e soprattutto agire come un mercenario delle democrazie europee contro la Germania.
Tutto poi è seguito automaticamente. Quanto più questo stato cercava di adempiere al compito che gli era stato assegnato, tanto maggiore fu la resistenza opposta dalle minoranze nazionali. E quanto più grande era questa resistenza, tanto più gli diventava necessario ricorrere all’oppressione. Questo inevitabile acuirsi delle contraddizioni interne portò a sua volta a una maggiore dipendenza dai fondatori democratici europei e dai benefattori dello Stato, poiché essi soli erano in grado di mantenere a lungo termine l’esistenza economica di questa creazione innaturale e artificiale. La Germania era principalmente interessata solo a una cosa, vale a dire liberare i quasi quattro milioni di tedeschi dalla loro situazione intollerabile in questo paese e rendere possibile il loro ritorno alla loro madrepatria, il Reich millenario.
Era naturale che questo problema sollevasse immediatamente tutti gli altri aspetti del problema delle nazionalità. Era anche naturale che il ritiro dei diversi gruppi nazionali privasse ciò che restava dello Stato di ogni capacità di sopravvivenza, un fatto di cui quelli che lo avevano creato erano ben consapevoli quando lo progettarono a Versailles. Proprio per questo avevano deciso di fare violenza alle altre minoranze, costringendole contro la loro volontà a far parte di questo Stato costruito in modo artificiale.
Non ho, inoltre, mai lasciato dubbi sulla mia opinione e sul mio atteggiamento in merito. È vero che, fintanto che la stessa Germania era impotente e indifesa, questa oppressione di quasi quattro milioni di tedeschi poteva essere eseguita senza che il Reich offrisse alcuna resistenza pratica. Tuttavia, solo un dilettante della politica avrebbe potuto credere che la nazione tedesca sarebbe rimasta per sempre nella condizione in cui si trovava nel 1919. Solo fintanto che i traditori internazionali, sostenuti dall’estero, mantenevano il controllo dello stato tedesco, si poteva essere sicuri che queste vergognose condizioni fossero pazientemente tollerate. Dal momento in cui, dopo la vittoria del nazionalsocialismo, questi traditori dovettero trasferire il loro domicilio nel luogo da cui avevano ricevuto i loro sussidi, la soluzione di questo problema fu solo una questione di tempo. Inoltre, si trattava esclusivamente di una questione che coinvolgeva le nazionalità interessate e non riguardava l’Europa occidentale.
Era certamente comprensibile che l’Europa occidentale fosse interessata allo stato artificiale che era stato creato per i suoi interessi. Ma che le nazioni che circondano questo stato dovessero considerare quegli interessi come un fattore per loro determinante era una conclusione assurda, di cui alcuni forse si sarebbero pentiti. Nella misura in cui tali interessi riguardavano solo l’assetto finanziario di quello Stato, la Germania non avrebbe avuto obiezioni. Ma quegli interessi finanziari erano, in ultima analisi, anche del tutto subordinati agli obiettivi geopolitici delle democrazie.
L’assistenza finanziaria data anche a questo stato era motivata da un’unica aspirazione, vale a dire l’esistenza di uno stato armato fino ai denti che potesse costituire un prezioso bastione che si protendesse all’interno del Reich tedesco, rappresentando una base per le operazioni militari vòlte alla invasione del Reich da ovest, o comunque fungere da base aerea.
Ciò che ci si aspettava da questo stato è dimostrato più chiaramente dall’osservazione del ministro dell’Aeronautica francese, M. Pierre Cot, il quale affermò esplicitamente (11) che la funzione di questo stato in caso di conflitto doveva essere quella di costituire una base aerea per l’atterraggio e il decollo di bombardieri, con i quali sarebbe stato possibile distruggere in poche ore i più importanti centri industriali tedeschi.
È quindi comprensibile che il governo tedesco, da parte sua, abbia deciso di distruggere questa base aerea per i bombardieri. Non è arrivato a questa decisione per odio verso il popolo ceco. Al contrario. Infatti, nel corso dei mille anni durante i quali i popoli tedesco e ceco hanno vissuto insieme, ci sono stati spesso periodi di stretta collaborazione durati centinaia di anni, interrotti, certo, solo da brevi periodi di tensione. In tali periodi di tensione le passioni delle persone in lotta tra loro sul fronte etnico possono molto facilmente offuscare il senso di giustizia, e quindi dare un quadro generale falso. Questa è una caratteristica di ogni guerra. Solo durante i lunghi periodi di convivenza in armonia i due popoli hanno convenuto di avere entrambi il diritto di rivendicare sacro il rispetto delle loro nazionalità.
In questi anni di lotta, il mio atteggiamento nei confronti del popolo ceco si è limitato esclusivamente alla tutela degli interessi nazionali del Reich, unita a sentimenti di rispetto per il popolo ceco. Una cosa è certa, comunque. Anche se le ostetriche democratiche di questo stato fossero riuscite a raggiungere il loro obiettivo finale, il Reich tedesco non sarebbe stato certamente distrutto, pur se avrebbe potuto subire pesanti perdite. No, il popolo ceco, a causa delle sue dimensioni limitate e della sua posizione, avrebbe dovuto presumibilmente subire conseguenze molto più terribili, e anzi – ne sono convinto – catastrofiche.
Sono lieto che sia stato possibile, anche se a discapito degli interessi democratici, evitare una simile catastrofe nell’Europa centrale, grazie alla nostra stessa moderazione e anche al buon senso del popolo ceco. Ciò per cui i cechi migliori e più saggi hanno lottato per decenni per ottenere, è ovviamente concesso a questo popolo dal Reich nazionalsocialista tedesco, vale a dire il diritto alla propria nazionalità e il diritto di promuovere questa nazionalità e di farla sopravvivere. La Germania nazionalsocialista non ha intenzione di tradire mai i principi etnico-razziali di cui essa è orgogliosa. Sono utili non solo per la nazione tedesca, ma anche per il popolo ceco. Ciò che esigiamo è il riconoscimento di una comune necessità storica ed economica.
Fino al mese di marzo 1938 credevo ancora che attraverso un’evoluzione graduale sarebbe stato possibile risolvere il problema delle minoranze in questo Stato e che, prima o poi, attraverso la mutua cooperazione, si potesse arrivare a un’intesa comune che sarebbe stata vantaggiosa per tutti, sia politicamente che economicamente.
Fu solo dopo che il signor Benes, che era completamente nelle mani dei suoi democratici finanziatori internazionali, trasformò il problema politico in un problema militare e scatenò un’ondata di repressione contro i tedeschi, tentando allo stesso tempo con quella mobilitazione di cui voi tutti sapete (12) per infliggere una sconfitta internazionale allo Stato tedesco e per danneggiare il suo prestigio, che mi è diventato chiaro che una soluzione pacifica non era più possibile. Perché la falsa notizia in quel momento di una mobilitazione tedesca fu ovviamente ispirata dall’estero e suggerita ai cechi allo scopo di produrre una perdita di prestigio al Reich tedesco.
Non ho bisogno di ripetere ancora una volta che nel maggio dello scorso anno la Germania non aveva mobilitato un solo uomo, sebbene tutti fossimo dell’opinione che la sorte del sig. Schuschnigg (13) avrebbe dovuto mostrare a tutti gli altri l’opportunità di lavorare con comprensione attraverso un trattamento più giusto delle minoranze nazionali.
Io, da parte mia, ero comunque disposto a tentare con pazienza questo tipo di sviluppo pacifico, anche se fosse stato necessario prolungare tale processo per alcuni anni. Tuttavia, è stato proprio tale atteggiamento pacifico a costituire una spina nel fianco degli agitatori nelle democrazie.
Essi odiano i tedeschi e preferirebbero sradicarci completamente. Cosa significano per loro i cechi? Non sono altro che mezzi per un fine. E cosa gli importa del destino di quella piccola e valorosa nazione? Che preoccupazione hanno per le vite delle centinaia di migliaia di coraggiosi soldati che sarebbero stati sacrificati per la loro politica?
Questi mercanti di pace dell’Europa occidentale non si preoccupavano di lavorare per la pace, ma di causare spargimenti di sangue in modo da mettere le nazioni l’una contro l’altra e quindi far scorrere ancora più sangue. Per questo hanno inventato la storia della mobilitazione tedesca e con essa hanno ingannato l’opinione pubblica praghese. Essa aveva lo scopo di fornire un pretesto per la mobilitazione ceca; e poi con tale mezzo speravano di poter esercitare l’auspicata pressione militare sulle elezioni nei Sudeti tedeschi (14) che non potevano più essere evitate.
A loro avviso rimanevano solo due alternative alla Germania: o accettare questa mobilitazione ceca e subire un vergognoso colpo al suo prestigio, o regolare i conti con la Cecoslovacchia. Ciò avrebbe significato una guerra sanguinosa, comportando verosimilmente la mobilitazione dei popoli dell’Europa occidentale, che non avevano alcun interesse in tali questioni, coinvolgendoli così nell’inevitabile bagno di sangue e precipitando l’umanità in una nuova catastrofe, in cui alcuni avrebbero avuto l’onere di perdere le loro vite e agli altri il piacere di realizzare profitti di guerra.
Conoscete, signori, le decisioni che ho preso rapidamente in quel momento:
- 1. Risolvere la questione entro il 2 ottobre 1938, al più tardi.
- 2. Preparare questa soluzione con tutti i mezzi necessari per non lasciare dubbi che qualsiasi tentativo di intervento sarebbe stato affrontato dalla forza unita dell’intera nazione tedesca.
Fu allora che decretai e ordinai il rafforzamento delle nostre fortificazioni occidentali (15). Il 25 settembre 1938 erano già in condizioni tali che la loro forza difensiva era da trenta a quaranta volte superiore a quella della vecchia “Linea Sigfrido” della [Prima] Guerra Mondiale. Ora i lavori sono pressoché completati e in questo momento vengono ampliati con le nuove linee di difesa fuori Aquisgrana e Saarbrücken, che ho ordinato in seguito. Anche queste sono in gran parte pronte per la difesa. Considerando le loro dimensioni, che le rendono le più grandi fortificazioni mai costruite, la nazione tedesca può sentirsi perfettamente certa che nessuna potenza al mondo riuscirà mai a sfondare quel fronte.
Quando il primo tentativo provocatorio di utilizzare la mobilitazione ceca non era riuscito a produrre il risultato sperato, si è aperta la seconda fase, in cui si sono fatte più evidenti le motivazioni che stavano alla base di una questione che in realtà riguardava solo l’Europa centrale.
Se oggi nel mondo si leva il grido di “Mai un’altra Monaco”, ciò conferma semplicemente il fatto che quei guerrafondai consideravano la soluzione pacifica del problema la cosa più perniciosa che poteva accadere. Sono dispiaciuti che non sia stato versato sangue – non il loro sangue, certo – perché questi agitatori, ovviamente, non si trovano mai dove vengono sparati i colpi, ma piuttosto dove si fanno soldi. No, sarebbe stato il sangue di molti soldati senza nome!
Peraltro, non ci sarebbe neppure stato bisogno della Conferenza di Monaco (16), perché quella conferenza fu resa possibile solo dal fatto che i paesi che avevano dapprima incitato gli interessati a resistere ad ogni costo, furono poi costretti, quando la situazione spinse per una soluzione in un modo o nell’altro, a cercare di assicurarsi una ritirata più o meno onorevole; perché senza Monaco, vale a dire senza l’interferenza dei paesi dell’Europa occidentale, una soluzione dell’intero problema, se fosse diventato così acuto, molto probabilmente sarebbe stata la cosa più facile da trovare.
La risoluzione di Monaco ha portato ai seguenti risultati:
- 1. Il ritorno al Reich delle parti più essenziali degli insediamenti di confine [etnici] tedeschi in Boemia e Moravia (17).
- 2. Il mantenere aperta la possibilità di una soluzione degli altri problemi di quello stato – vale a dire, un ritorno e una separazione, rispettivamente, delle minoranze [etniche] ungheresi e slovacche esistenti;
- 3. La questione della garanzia rimaneva ancora aperta. Per quanto riguardava la Germania e l’Italia, la garanzia [della continua esistenza di] quello Stato [la Cecoslovacchia] era stata subordinata, fin dall’inizio, al consenso di tutte le parti interessate confinanti con quello Stato, vale a dire, sull’effettiva soluzione dei problemi riguardanti le parti citate, che erano ancora irrisolti.
Restavano ancora aperti i seguenti problemi:
- 1. Il ritorno dei distretti magiari [etnici ungheresi] all’Ungheria;
- 2. Il ritorno dei distretti [etnici] polacchi alla Polonia;
- 3. La soluzione della questione slovacca;
- 4. La soluzione della questione [etnica] ucraina.
Come sapete, le trattative tra Ungheria e Cecoslovacchia erano appena state iniziate quando sia i negoziatori cecoslovacchi che quelli ungheresi fecero richiesta alla Germania e all’Italia, nazione che sta fianco a fianco con la Germania, di fungere da arbitri nel determinare i nuovi confini tra Slovacchia, Ucraina carpatica e Ungheria (18). I paesi interessati non si avvalsero dell’opportunità di appellarsi alle Quattro Potenze. Al contrario, hanno espressamente rinunciato a tale opportunità, cioè l’hanno rifiutata. E questo era abbastanza comprensibile. Tutte le persone che vivevano in questa zona desideravano pace e tranquillità. Italia e Germania erano pronte a rispondere alla chiamata. Né la Gran Bretagna, né la Francia hanno sollevato obiezioni a questo accordo, anche se costituiva una deroga formale all’accordo di Monaco. Né avrebbero potuto farlo.
La decisione arbitrale raggiunta da Germania e Italia non si è rivelata – come sempre accade in casi del genere – del tutto soddisfacente per nessuna delle parti. Fin dall’inizio la difficoltà era che doveva essere accettata volontariamente da entrambe le parti [interessate]. Mentre la decisione arbitrale veniva messa in atto, i due Stati hanno rapidamente sollevato forti obiezioni dopo averla accettata. L’Ungheria, spinta da interessi sia generali che specifici, rivendicava la regione carpatico-ucraina (19), mentre la Polonia chiedeva un confine comune con l’Ungheria. Era chiaro che, in tali circostanze, anche ciò che restava dello stato creato a Versailles era condannato.
In effetti, forse un solo paese era interessato alla conservazione della situazione precedente, ed era la Romania. L’uomo più legittimato a parlare a nome di quel Paese mi disse personalmente quanto sarebbe stato auspicabile un collegamento diretto con la Germania, magari attraverso l’Ucraina e la Slovacchia. Cito questo in riferimento alla sensazione di essere minacciato dalla Germania che il governo romeno – secondo i chiaroveggenti americani – avrebbe dovuto soffrire.
Era ormai chiaro che la Germania non poteva assumersi il compito di opporsi stabilmente allo sviluppo in atto, tanto meno di lottare per mantenere uno stato di cose di cui non ci saremmo mai potuti rendere responsabili. Così, giunse il momento in cui decisi di fare una dichiarazione a nome del governo tedesco, secondo cui non avevamo più intenzione di opporci alla volontà comune di Polonia e Ungheria riguardo alla i loro confini al solo scopo di tenere aperta una strada di avvicinamento della Germania alla Romania.
Poiché, inoltre, il governo ceco ricorreva ancora una volta ai suoi vecchi metodi, e anche la Slovacchia esprimeva il suo desiderio di indipendenza (20): l’ulteriore mantenimento del vecchio stato era ormai fuori questione.
La Cecoslovacchia costruita a Versailles aveva fatto il suo tempo. È crollata non perché la Germania desiderasse la sua disgregazione, ma perché a lungo andare è impossibile mantenere in vita stati creati artificialmente al tavolo di una conferenza, perché sono incapaci di sopravvivere (21).
Pochi giorni prima dello scioglimento di quello Stato, in risposta a una richiesta di Gran Bretagna e Francia in merito a una garanzia [dell’esistenza della Cecoslovacchia], la Germania rifiutò quindi di dare tale garanzia, perché tutte le condizioni per essa stabilite a Monaco non esistevano più.
Al contrario, dopo che l’intera struttura dello stato aveva cominciato a disgregarsi e si era già praticamente dissolta, anche il governo tedesco decise finalmente di intervenire. Lo ha fatto solo in adempimento di un ovvio dovere. A questo proposito, va notato quanto segue: In occasione della prima visita a Monaco del ministro degli Esteri ceco, signor Chvalkovsky (22), il governo tedesco espresse chiaramente le sue opinioni sul futuro della Cecoslovacchia. In quella circostanza io stesso assicurai al sig. Chvalkovsky che, a condizione che la numerosa minoranza [etnica] tedesca rimasta in Cechia fosse trattata in modo equo e a condizione che fosse raggiunto un accordo generale in tutto lo stato, la Germania avrebbe assunto un atteggiamento di sostegno non avrebbe creato ostacoli sulla strada di quello Stato.
Ma ho anche chiarito, al di là di ogni dubbio, che se la Cechia avesse intrapreso qualsiasi azione in linea con le politiche dell’ex presidente, il dottor Benes, la Germania non l’avrebbe tollerata, ma l’avrebbe stroncata sul nascere . Nello stesso tempo ho anche sottolineato che il mantenimento di un così enorme arsenale militare nell’Europa centrale, senza motivo o scopo, poteva essere considerato solo una fonte di pericolo.
Gli sviluppi successivi hanno dimostrato quanto fosse giustificato il mio avvertimento. Una marea sempre crescente di propaganda clandestina e una graduale tendenza dei giornali cechi a ricadere nei loro vecchi metodi rendevano ovvio anche a un cretino che il vecchio stato di cose sarebbe stato presto ripristinato. Il pericolo di un conflitto militare era tanto maggiore in quanto c’era sempre la possibilità che qualche pazzo potesse impadronirsi di quei vasti depositi di materiale bellico. Ciò comportava il pericolo di conflagrazioni di entità imprevedibile.
A riprova di ciò, sono costretto, signori, a darvi un’idea dell’estensione veramente gigantesca di questo arsenale internazionale nell’Europa centrale.
In seguito all’occupazione di questo territorio (23), sono stati trovati e neutralizzati i seguenti armamenti: Aeronautica: aeroplani 1582; cannoni antiaerei 501. Esercito: cannoni, leggeri e pesanti 2175, mortai da trincea 785, serbatoi 469, mitragliatrici 43.876, pistole 114.000, fucili 1.090.000. Munizioni di fanteria: più di 1.000.000.000 di colpi; granate e munizioni a gas: più di 3.000.000. Tutti i tipi di altri strumenti bellici, come attrezzature per la costruzione di ponti, rilevatori di aerei, proiettori, strumenti di misurazione della distanza, veicoli a motore e veicoli a motore speciali: in grandi quantità.
Credo che sia una benedizione per milioni e milioni di persone che, grazie all’intuizione dell’ultimo minuto di uomini responsabili dall’altra parte, sono riuscito a evitare una tale conflagrazione e ho trovato una soluzione che, ne sono convinto, ha finalmente eliminato questo problema come fonte di pericolo nell’Europa centrale. L’affermazione che tale soluzione sia contraria all’Accordo di Monaco non può essere né giustificata né sostenuta. In nessun caso quell’Accordo poteva essere considerato definitivo, perché si riferiva a problemi diversi, che richiedevano una soluzione e che avrebbero dovuto essere risolti.
Non ci si può giustamente lamentare per il fatto che le parti interessate – ed è questo il punto chiave – non si siano rivolte alle Quattro Potenze, ma solo all’Italia e alla Germania (24), né per il fatto che lo Stato in quanto tale sia finalmente crollato di propria iniziativa e che di conseguenza la Cecoslovacchia abbia cessato di esistere. Era invece del tutto comprensibile che, molto tempo dopo che i principi etnografici erano stati violati, la Germania prendesse le proprie misure per proteggere i suoi interessi millenari, che non sono solo politici, ma anche economici.
Il futuro mostrerà se la soluzione che la Germania ha trovato è giusta o sbagliata. Una cosa è certa, però, e cioè che questa soluzione non è soggetta a supervisione o critica britannica. Perché la Boemia e la Moravia, in quanto resti dell’ex Cecoslovacchia, non hanno più nulla a che fare con l’accordo di Monaco. Proprio come le misure britanniche, per esempio in Irlanda (25), che siano giuste o sbagliate, non sono soggette alla supervisione o alla critica tedesca, lo stesso principio vale anche per questi vecchi elettorati tedeschi.
Non riesco assolutamente a capire come l’accordo raggiunto tra il signor Chamberlain e me a Monaco (26) possa essere applicato a questo caso, poiché il caso della Cecoslovacchia è stato trattato alla Conferenza delle quattro potenze di Monaco per quanto poteva essere risolto a quel tempo. Oltre a ciò, era solo previsto che se le parti interessate non fossero riuscite a mettersi d’accordo, avrebbero avuto il diritto di appellarsi alle Quattro Potenze, le quali avevano convenuto che in tale eventualità esse si riunissero per ulteriori consultazioni dopo la scadenza di tre mesi. Tuttavia, quelle parti interessate non si appellarono affatto alle Quattro Potenze, ma solo alla Germania e all’Italia. Che ciò fosse pienamente giustificato, peraltro, è dimostrato dal fatto che né la Gran Bretagna né la Francia hanno sollevato obiezioni, ma hanno accettato esse stesse il lodo arbitrale di Germania e Italia.
No, l’accordo raggiunto tra il sig. Chamberlain e me non aveva nulla a che fare con questo problema, ma solo con questioni riguardanti i rapporti tra Gran Bretagna e Germania. Ciò è chiaramente dimostrato dal fatto che tali questioni dovranno essere affrontate in futuro nello spirito dell’accordo di Monaco e dell’accordo navale anglo-tedesco (27), cioè in uno spirito amichevole a titolo di consultazione. Se invece tale accordo dovesse essere applicato a ogni futura attività tedesca di natura politica, anche la Gran Bretagna non dovrebbe fare alcun passo – né in Palestina, né altrove – senza prima consultare la Germania. È ovvio che non ce lo aspettiamo; allo stesso modo, rifiutiamo qualsiasi aspettativa simile da parte nostra. Se ora il signor Chamberlain conclude da ciò che l’accordo di Monaco è diventato invalido perché lo abbiamo violato, ne prenderò nota e ne trarrò le necessarie conclusioni.
Durante tutta la mia attività politica ho sempre difeso l’idea di una stretta amicizia e cooperazione tra Germania e Gran Bretagna. Nel mio movimento ho trovato innumerevoli altri con la stessa idea. Forse si sono uniti a me per il mio atteggiamento al riguardo. Questo desiderio di amicizia e cooperazione anglo-tedesca è conforme non solo ai sentimenti basati sull’eredità [comune] dei nostri due popoli, ma anche sulla mia consapevolezza dell’importanza dell’esistenza dell’Impero britannico per l’intera umanità.
Non ho mai lasciato dubbi sulla mia convinzione che l’esistenza di questo impero sia un inestimabile fattore di valore per tutta la cultura umana e la vita economica. Con qualunque mezzo la Gran Bretagna abbia acquisito i suoi territori coloniali – e so che erano quelli della forza e spesso della brutalità – tuttavia so bene che nessun altro impero è mai nato in altro modo, e che, in ultima analisi, e dal punto di vista storico, non sono tanto i metodi che vengono presi in considerazione quanto il successo, e non il successo dei metodi in quanto tali, quanto piuttosto il bene generale che quei metodi producono.
Ora, non c’è dubbio che il popolo anglosassone abbia compiuto un immenso lavoro di colonizzazione nel mondo. Per questo lavoro nutro una sincera ammirazione. Il pensiero di distruggere quel lavoro mi sembrava e mi sembra tuttora, dal punto di vista più alto dell’umanità, nient’altro che una manifestazione della sfrenata volontà di distruzione umana. Tuttavia, il mio sincero rispetto per questo risultato non significa che trascurerò di assicurare la vita della mia stessa gente.
Considero impossibile raggiungere un’amicizia duratura tra i popoli tedesco e anglosassone se l’altra parte non riconosce che proprio come la conservazione dell’impero britannico globale è considerata dai britannici come uno scopo e un obiettivo vitale, allo stesso modo i tedeschi considerano la libertà e la conservazione del Reich tedesco. Un’amicizia genuina e duratura tra queste due nazioni è concepibile solo sulla base del rispetto reciproco.
Il popolo britannico governa un grande impero globale. Hanno costruito questo impero in un momento in cui il popolo tedesco era internamente debole. La Germania una volta era stata un grande impero. Un tempo governava l’Occidente. In sanguinose guerre e conflitti religiosi, e a seguito di divisioni politiche interne, declinò la potenza e la grandezza di quell’impero, che infine cadde in un sonno profondo. Ma quando quel vecchio Reich sembrava aver raggiunto la sua fine, i semi della sua rinascita stavano già germogliando. Dal Brandeburgo e dalla Prussia è sorta una nuova Germania, il Secondo Reich, e da esso è infine cresciuto il Reich del popolo tedesco.
Spero anche che tutti gli inglesi capiscano che non abbiamo il minimo sentimento di inferiorità nei loro confronti. Il nostro passato storico è troppo straordinario e se la Gran Bretagna ha dato al mondo molti grandi uomini, la Germania non è stata da meno. La dura lotta per mantenere la vita del nostro popolo è costata, nel corso di tre secoli, un sacrificio di vite che supera di gran lunga quello che altri popoli hanno dovuto sostenere per mantenere la propria esistenza.
Se la Germania, paese perennemente attaccato, non riuscì a conservare i suoi possedimenti e fu costretta a sacrificare molte delle sue province, ciò fu dovuto unicamente al suo cattivo sviluppo politico e all’impotenza che ne conseguì. Tale condizione è ora superata. Pertanto, noi tedeschi non ci sentiamo minimamente inferiori alla nazione britannica. La nostra autostima è grande quanto quella di un inglese. La storia della nostra gente nel corso di quasi duemila anni fornisce eventi e risultati sufficienti per riempirci di giustificato orgoglio.
Ora, se la Gran Bretagna non può comprendere il nostro punto di vista, pensando forse di considerare la Germania come uno stato vassallo, allora il nostro affetto e la nostra amicizia sono stati davvero sprecati. Non ci smarriremo, né ci scoraggeremo per questo, ma – facendo affidamento sulla consapevolezza della nostra forza e sulla forza dei nostri amici – troveremo modi e mezzi per garantire la nostra indipendenza senza intaccare la nostra dignità.
Ho preso atto della dichiarazione del primo ministro britannico secondo cui non può fidarsi delle assicurazioni tedesche (28). In queste circostanze ritengo ovvio che non dovremmo più aspettarci che lui o il popolo britannico accettino una situazione che è diventata gravosa per loro e che è sostenibile solo sulla base della fiducia reciproca.
Quando la Germania divenne nazionalsocialista (29) e aprì così la strada alla sua resurrezione nazionale, perseguendo la mia incrollabile politica di amicizia con la Gran Bretagna, di mia spontanea volontà feci una proposta per una restrizione volontaria degli armamenti navali tedeschi (30). Tale restrizione era tuttavia basata su una condizione, vale a dire la volontà e la convinzione che una guerra tra Gran Bretagna e Germania non sarebbe mai più stata possibile. Quella volontà e quella convinzione che ho ancora oggi.
Ora, tuttavia, sono costretto ad affermare che la politica della Gran Bretagna, sia ufficiosamente che ufficialmente, non lascia dubitare che una tale convinzione non sia più condivisa a Londra, e che, al contrario, vi prevalga l’opinione che a prescindere da quale conflitto la Germania potrebbe un giorno essere coinvolta, la Gran Bretagna dovrà sempre schierarsi contro la Germania. Pertanto la guerra contro la Germania è più o meno data da loro per scontata.
Mi rammarico profondamente per un tale sviluppo, poiché l’unica richiesta che abbia mai fatto e che continuerò a fare alla Gran Bretagna è la restituzione delle nostre colonie. Ma ho sempre messo in chiaro che questo non sarebbe mai diventato una causa di conflitto militare. Ho sempre sostenuto che gli inglesi, per i quali quelle colonie non hanno alcun valore, un giorno avrebbero compreso la situazione tedesca e avrebbero quindi valutato l’amicizia tedesca più importante del possesso di territori che, pur non recando loro alcun reale profitto, sono di grande interesse e importanza vitale per la Germania.
A parte questo, tuttavia, non ho mai avanzato un’affermazione che potesse in qualche modo interferire con gli interessi britannici o che potesse mettere in pericolo il loro Impero, e quindi potesse significare un danno per la Gran Bretagna. Mi sono sempre assicurato che tali richieste fossero sempre strettamente riguardanti il territorio vitale della Germania e la proprietà inalienabile della nazione tedesca.
Ora che la Gran Bretagna, sia sulla stampa che ufficialmente, esprime l’opinione che la Germania dovrebbe essere contrastata in ogni circostanza, e lo conferma attraverso la ben nota politica di accerchiamento, la base per il trattato navale [1935] è venuta meno. Ho quindi deciso di inviare oggi una comunicazione in tal senso al governo britannico.
Questa per noi non è una questione di importanza materiale primaria – perché spero che saremo ancora in grado di evitare una corsa agli armamenti con la Gran Bretagna – ma piuttosto una questione di rispetto per noi stessi. Se il governo britannico, tuttavia, desidera avviare nuovamente negoziati con la Germania su questo problema, nessuno sarà più felice di me di fronte alla prospettiva di poter, dopotutto, giungere a un’intesa chiara e diretta. Inoltre, conosco la mia gente e mi affido a loro. Non vogliamo nulla che prima non ci appartenesse, e nessuno stato sarà mai derubato da noi della sua proprietà; ma chi crede di poter attaccare la Germania si accorgerà che la nostra potenza e capacità di resistenza sono tali da considerare tracurabili quelle del 1914.
In relazione a ciò desidero parlare qui ed ora di quella questione che fu scelta come punto di partenza per la nuova campagna contro il Reich da quegli stessi ambienti che provocarono la mobilitazione della Cecoslovacchia. Vi ho già assicurato, signori, all’inizio del mio intervento, che mai, né nel caso dell’Austria, né nel caso della Cecoslovacchia, ho adottato nella mia vita politica atteggiamenti che non fossero compatibili con gli avvenimenti che si erano verificati.
Ho quindi fatto presente, in relazione al problema dei tedeschi di Memel, che se tale questione non fosse stata risolta dalla stessa Lituania in modo dignitoso e generoso, un giorno avrebbe dovuto essere risolta dalla Germania.
Sapete che anche il territorio di Memel fu un tempo strappato al Reich in modo del tutto arbitrario dal dettato di Versailles e che infine, nell’anno 1923, cioè nel pieno di un periodo di completa pace, quel territorio fu occupato dalla Lituania, e quindi da essa più o meno confiscato. Da allora il destino dei tedeschi è stato il puro martirio.
Nel corso della reincorporazione della Boemia e della Moravia nell’ambito del Reich tedesco mi è stato anche possibile giungere ad un accordo con il governo lituano che consentisse la restituzione di quel territorio alla Germania senza alcun atto di violenza e senza spargimento di sangue (31). Anche in questo caso, non ho chiesto un miglio quadrato in più di quello che possedevamo prima, ma solttanto quello che ci era stato rubato.
Ciò significa, quindi, che è tornato al Reich tedesco un territorio che ci era stato strappato dai pazzi che dettavano la pace a Versailles. Ma questa soluzione, ne sono convinto, si rivelerà solo vantaggiosa per quanto riguarda i rapporti tra Germania e Lituania. Questo perché la Germania, come ha dimostrato il nostro atteggiamento, non ha altro interesse che vivere in pace e amicizia con quel Paese e stabilire e coltivare con esso rapporti economici.
A questo proposito desidero chiarire accuratamente un punto. L’importanza degli accordi economici con la Germania risiede non solo nel fatto che la Germania è in grado, come esportatore, di soddisfare quasi tutte le esigenze industriali, ma anche che, essendo un consumatore molto grande, è allo stesso tempo anche un acquirente di numerosi prodotti che da solo consente ad altri paesi di partecipare al commercio internazionale.
A noi interessa non solo mantenere quei mercati economici, ma ancor di più promuoverli, perché l’esistenza della nostra gente dipende in larga misura da essi. I cosiddetti statisti democratici considerano un grande risultato politico escludere una nazione dai suoi mercati, ad esempio, mediante il boicottaggio, presumibilmente per farla morire di fame. Non ho bisogno di dirvi che in tali circostanze qualsiasi nazione preferirebbe sicuramente combattere piuttosto che morire di fame.
Per quanto riguarda la Germania, essa è comunque decisa a non permettere che certi mercati economicamente importanti le vengano sottratti con minacce o interventi violenti. E questo non solo per il nostro bene, ma anche nell’interesse dei nostri partner commerciali. Qui, come in ogni relazione d’affari, la dipendenza non è unilaterale ma reciproca.
Quante volte abbiamo avuto il piacere di leggere articoli dilettantistici di affari economici sui giornali delle democrazie che affermano la Germania, poiché mantiene stretti rapporti economici con un paese, rende quel paese dipendente da lei. Questa è una sciocchezza ebraica assolutamente assurda. Perché se oggi la Germania rifornisce di macchinari un paese agrario e ne riceve in pagamento derrate alimentari, il Reich, come consumatore di derrate alimentari, dipende dal paese agrario quanto, se non di più, quest’ultimo dipende da noi, che gli forniamo prodotti industriali in pagamento.
La Germania considera gli Stati baltici tra i suoi partner commerciali più importanti. Per questo motivo è nostro interesse che questi paesi conducano una propria vita nazionale indipendente e ordinata. A nostro avviso, questo è un prerequisito per lo sviluppo economico interno, che è a sua volta la condizione da cui dipende lo scambio di merci. Sono quindi lieto che siamo riusciti a risolvere anche la questione controversa tra Lituania e Germania. Ciò rimuove l’unico ostacolo sulla via di una politica di amicizia, che può dimostrare il suo valore – come sono convinto che accadrà – non in vuote parole politiche ma in concrete misure economiche.
È stato sicuramente ancora una volta un duro colpo per il mondo democratico il fatto che non ci sia stato spargimento di sangue, che 175.000 tedeschi siano stati in grado di tornare alla patria che amavano sopra ogni altra cosa senza che alcune centinaia di migliaia di altri dovessero essere uccisi per questo. Ciò addolorò profondamente gli apostoli dell’umanitarismo. Non c’è quindi da meravigliarsi se iniziarono immediatamente a cercare nuove possibilità per provocare ancora una volta un profondo turbamento del clima europeo. E così, come nel caso della Cecoslovacchia, ricorsero nuovamente all’affermazione che la Germania stava prendendo misure militari e che si prepararsse a mobilitare. Si diceva che quella mobilitazione fosse diretta contro la Polonia.
Voglio dire qualcosa sulle relazioni tedesco-polacche. Anche in questo caso, il trattato di pace di Versailles – di certo intenzionalmente – ferì gravemente la Germania. Il particolare modo in cui era delimitato il Corridoio, che dava alla Polonia l’accesso al mare, doveva soprattutto impedire per sempre l’instaurazione di un’intesa tra Polonia e Germania. Questo, come ho già sottolineato, è forse il più fastidioso di tutti i problemi della Germania.
Tuttavia, non ho mai smesso di sostenere il parere che la necessità di un libero accesso al mare [Baltico] per lo Stato polacco non può essere ignorata. Questo è un principio generale, valido anche in questo caso. Le nazioni che la Provvidenza ha destinato o – se si preferisce – condannato a vivere fianco a fianco, farebbero bene a non complicarsi ulteriormente la vita con mezzi artificiosi e inutili. Il defunto maresciallo Pilsudski, che era della stessa opinione, era quindi pronto ad affrontare la questione di rassenerare l’atmosfera delle relazioni tedesco-polacche e concludere infine un accordo (32) in base al quale Germania e Polonia esprimevano l’intenzione di rinunciare del tutto alla guerra come mezzo per risolvere le questioni che riguardavano entrambe.
Tale accordo conteneva un’unica eccezione, che era in effetti una concessione alla Polonia. Era stato stabilito che i patti di mutua assistenza già stipulati dalla Polonia – questo valeva per il patto con la Francia – non dovessero essere pregiudicati dall’accordo. Ma era ovvio che ciò poteva valere solo per il patto di mutua assistenza già concluso in precedenza, e non per eventuali nuovi patti che potessero essere conclusi in futuro. Sta di fatto che l’accordo tedesco-polacco ha determinato un notevole allentamento della tensione in Europa. Tuttavia, rimaneva aperta una questione tra la Germania e la Polonia che prima o poi, del tutto naturalmente, avrebbe dovuto essere risolta: la questione della città tedesca di Danzica (33).
Danzica è una città tedesca e desidera appartenere alla Germania. D’altra parte questa città ha contatti con la Polonia che, è pur vero, le sono stati imposti dai despoti della pace di Versailles. Inoltre, poiché la Società delle Nazioni, un tempo la più grande seminatrice di discordia, è ora rappresentata da un Alto Commissario – tra l’altro uomo di straordinario tatto – il problema di Danzica deve comunque essere messo in discussione, almeno prima che quella calamitosa Lega gradualmente raggiunga il suo scopo.
Ho considerato la soluzione pacifica di questo problema come un ulteriore contributo all’allentamento definitivo della tensione in Europa. Perché l’allentamento delle tensioni non può essere ottenuto attraverso il fermento di pazzi guerrafondai, ma solo attraverso la rimozione dei veri elementi di pericolo. Dopo che il problema di Danzica era già stato discusso più volte alcuni mesi fa, ho fatto un’offerta concreta al governo polacco. Vi faccio ora conoscere questa offerta, signori, e voi stessi potrete giudicare se essa non rappresentava la più grande concessione immaginabile nell’interesse della pace europea.
Come ho già evidenziato, ho sempre considerato la necessità di un accesso al mare per quel paese e ho quindi tenuto conto di tale necessità. Non sono uno statista democratico, ma un nazionalsocialista e un realista. Ho ritenuto necessario, tuttavia, chiarire al governo di Varsavia che, così come esso desidera l’accesso al mare, così la Germania ha bisogno dell’accesso alla sua provincia orientale (34).
Ora questi sono tutti problemi complicati. Non è però la Germania che ne è responsabile, bensì i giocolieri di Versailles che, o nella loro malvagità o nella loro sconsideratezza, hanno piazzato un centinaio di cariche esplosive in giro per l’Europa, tutte dotate di micce accese difficili da spegnere.
Questi problemi non possono essere risolti con idee antiquate. Penso piuttosto che dovremmo adottare nuovi metodi. L’accesso della Polonia al mare per mezzo del Corridoio da un lato, e una via tedesca attraverso il Corridoio dall’altro, non hanno alcuna rilevanza militare. La loro importanza è esclusivamente psicologica ed economica. Attribuire rilevanza militare a una via di traffico di questo tipo, significherebbe mostrarsi completamente ignoranti delle faccende militari.
Di conseguenza, ho fatto presentare al governo polacco le seguenti proposte:
- 1. Danzica rientra come Stato libero nell’ambito del Reich tedesco.
- 2. La Germania ottiene un passaggio e una linea ferroviaria attraverso il Corridoio con lo stesso status extraterritoriale che il Corridoio ha per la Polonia.
In cambio, la Germania è pronta a:
- 1 . Riconoscere tutti i diritti economici polacchi a Danzica.
- 2. Assicurare alla Polonia un porto franco a Danzica di qualsiasi dimensione essa desidera, con accesso completamente libero.
- 3. Accettare allo stesso tempo gli attuali confini tra Germania e Polonia e considerarli definitivi.
- 4. Concludere un trattato di non aggressione di venticinque anni con la Polonia; un trattato che si estenderebbe quindi ben oltre la durata della mia vita.
- 5. Stipulare una garanzia dell’indipendenza dello stato slovacco da parte di Germania, Polonia e Ungheria congiuntamente, il che significa in pratica, la rinuncia a qualsiasi egemonia tedesca esclusiva su questo territorio.
Il governo polacco ha rifiutato la mia offerta e si è dichiarato solo disposto a:
- 1. Negoziare sulla questione di un sostituto del Commissario della Società delle Nazioni.
- 2. Prendere in considerazione l’allentamento delle restrizioni al traffico di transito [tedesco] attraverso il Corridoio.
Questo atteggiamento incomprensibile del governo polacco è stato per me motivo di profondo rammarico. Ma non è tutto. Il peggio è che la Polonia, come la Cecoslovacchia un anno fa, sotto la spinta di una campagna internazionale di menzogne, ora crede di dover richiamare le truppe, anche se la Germania non ha convocato un solo uomo e non ha pensato di prendere alcuna misura militare contro la Polonia.
Come ho detto, questo è altamente deplorevole. I posteri un giorno decideranno se è stato davvero giusto rifiutare questa mia proposta. Come ho anche detto, è stato uno sforzo da parte mia risolvere, con un compromesso davvero unico, una questione che tocca intimamente il popolo tedesco – e risolverla a vantaggio di entrambi i paesi. Sono convinto che questa soluzione non avrebbe comportato alcuna perdita, ma solo un guadagno, da parte della Polonia, dal momento che non dovrebbe esserci ombra di dubbio che Danzica non diventerà mai polacca.
L’intenzione della Germania di attaccare militarmente era una pura invenzione della stampa internazionale. Ciò, come sapete, ha portato all’offerta delle cosiddette garanzie e all’obbligo del governo polacco di mutua assistenza. In determinate circostanze la Polonia sarebbe anche costretta da ciò a intraprendere un’azione militare contro la Germania in caso di conflitto tra la Germania e qualsiasi altra potenza, se tale conflitto coinvolgesse a sua volta la Gran Bretagna.
Questo obbligo è contrario all’accordo che ho fatto qualche tempo fa con il maresciallo Pilsudski, considerato che in tale accordo si fa riferimento esclusivamente agli obblighi esistenti, il che significava a quel tempo gli obblighi della Polonia nei confronti della Francia, di cui eravamo a conoscenza. La successiva estensione di questi obblighi è contraria ai termini del patto di non aggressione tedesco-polacco.
In queste circostanze non avrei stipulato quel patto. Perché quale può essere il valore di concludere patti di non aggressione se una delle parti fa una serie di eccezioni all’esecuzione di essi? Le alternative sono: o la sicurezza collettiva, che non è altro che insicurezza collettiva e continuo pericolo di guerra, oppure patti netti che escludano fondamentalmente qualsiasi uso delle armi tra le parti contraenti. Pertanto, ritengo che l’accordo che il maresciallo Pilsudski e io abbiamo concluso una volta sia stato violato unilateralmente dalla Polonia e quindi annullato.
Ho inviato una comunicazione in tal senso al governo polacco. Tuttavia, non posso che ribadire a questo punto che la mia decisione non costituisce una modifica di principio del mio atteggiamento nei confronti dei problemi che ho appena citato. Se il governo polacco desidera stipulare un nuovo accordo contrattuale che determini le sue relazioni con la Germania, non posso che accogliere con favore tale idea, a condizione, ovviamente, che tale accordo sia basato su obblighi assolutamente chiari che vincolano entrambe le parti allo stesso modo. La Germania è assolutamente disposta ad assumersi in qualsiasi momento tali obblighi, e anche ad adempierli.
Se queste cose hanno provocato lo scoppio di nuovi disordini in Europa nelle ultime settimane, è la nota propaganda dei guerrafondai internazionali ad esserne l’unica responsabile. Questa propaganda, condotta da numerosi organi degli Stati democratici, si sforza, accumulando costantemente tensioni nervose e inventando continue voci, di rendere l’Europa matura per una catastrofe, una catastrofe con la quale si spera di realizzare ciò che non è stato ancora realizzato, vale a dire, la distruzione della civiltà europea fa parte dei bolscevici.
L’odio di questi malfattori è tanto più comprensibile in quanto sono stati privati di uno dei punti di pericolo più critici d’Europa, grazie all’eroismo di un uomo e della sua nazione, e – posso dire – grazie anche ai volontari italiani e tedeschi. Nelle ultime settimane la Germania ha assistito alla vittoria della Spagna nazionalista con la più fervida simpatia e giubilo. Quando ho deciso di rispondere all’appello del generale Franco approvando l’assistenza della Germania nazionalsocialista nel contrastare il sostegno internazionale agli incendiari bolscevichi, quel passo della Germania è stato oltraggiosamente travisato e diffamato da quegli stessi agitatori internazionali.
All’epoca si sosteneva che la Germania intendesse stabilirsi in Spagna e che si stesse pensando di impadronirsi delle colonie spagnole; hanno persino inventato la clamorosa menzogna dello sbarco di 20.000 soldati in Marocco. Insomma, nulla è stato tralasciato per mettere in dubbio l’idealismo del nostro appoggio e dell’appoggio dell’Italia nel tentativo di trovare materiale per un rinnovato bellicismo.
Tra poche settimane, l’eroe vittorioso della Spagna nazionalista celebrerà il suo ingresso festoso nella capitale del suo paese. Il popolo spagnolo lo acclamerà come il suo liberatore da orrori indicibili e da bande di incendiari, che, si stima, abbiano più di 775.000 vite umane sulla coscienza, solo per esecuzioni e omicidi. Gli abitanti di interi villaggi e città furono letteralmente massacrati, mentre i loro benevoli protettori, gli apostoli umanitari democratici dell’Europa occidentale e dell’America, rimanevano in silenzio.
In questa sua trionfale parata, i volontari della nostra legione tedesca sfileranno, insieme ai loro camerati italiani, nei ranghi dei valorosi soldati spagnoli. La nostra speranza è di accoglierli presto a casa. La nazione tedesca allora saprà con quale coraggio anche i suoi stessi figli hanno svolto la loro parte su quel suolo, nella lotta per la libertà di un nobile popolo. Era una lotta per la salvezza della civiltà europea, perché se le forze subumane del bolscevismo fossero risultate vittoriose in Spagna, avrebbero potuto propagarsi in tutta l’Europa.
Di qui l’odio di coloro che sono delusi dal fatto che l’Europa non sia andata di nuovo in fiamme. Proprio per questo sono doppiamente ansiosi di non perdere occasione per seminare la sfiducia tra le nazioni e suscitare altrove il clima di guerra che tanto desiderano. Alcune delle dichiarazioni bugiarde fabbricate nelle ultime settimane da questi guerrafondai internazionali e pubblicate su numerosi giornali sono tanto infantili quanto maliziose. Il primo risultato – oltre a servire gli scopi politici interni dei governi democratici – è il dilagare di un’isteria nervosa che fa sembrare possibile persino lo sbarco dei marziani sulla terra (35). Il vero scopo, tuttavia, è quello di preparare l’opinione pubblica a considerare necessaria la politica di accerchiamento britannica e, di conseguenza, a sostenerla.
Il popolo tedesco, invece, può svolgere i propri affari in perfetta tranquillità. Le sue frontiere sono sorvegliate dal miglior esercito nella storia della Germania. Il cielo è protetto dalla più potente flotta aerea e le nostre coste sono rese inattaccabili da qualsiasi potenza nemica. Ad ovest è stata costruita la più forte opera difensiva di tutti i tempi.
Ma i fattori decisivi sono l’unità della nazione tedesca nel suo insieme, la fiducia reciproca di tutti i tedeschi nelle loro forze armate e – se posso dirlo – la fiducia di tutti nel loro governo.
Ma la fiducia nelle persone e nel loro governo dei nostri amici non è da meno. Primo tra questi è lo stato che ci è più vicino sotto ogni aspetto per effetto dei comuni destini che ci uniscono. Anche quest’anno l’Italia fascista ha mostrato la massima comprensione per i giusti interessi della Germania. Nessuno deve stupirsi se noi, da parte nostra, abbiamo gli stessi sentimenti per le necessità vitali dell’Italia. Il legame che unisce questi due popoli non può essere reciso. Tutti i tentativi di mettere in dubbio questo sono ridicoli. In ogni caso, ciò è meglio confermato da un articolo apparso pochi giorni fa su un importante quotidiano democratico, in cui si affermava che non si dovrebbe più ritenere possibile dividere l’Italia dalla Germania per distruggerle separatamente.
Pertanto il governo tedesco comprende e apprezza appieno la giustizia dell’azione intrapresa dall’amico italiano in Albania e l’ha, pertanto, accolta favorevolmente. Sì, è non solo diritto, ma anche dovere del fascismo assicurare all’Italia, nell’area che indiscutibilmente le è stata assegnata dalla natura e dalla storia, il mantenimento di un ordine che è evidentemente l’unica base di sicurezza per un’umanità veramente fiorente di. civiltà.
Dopotutto, ci può essere poco spazio per i dubbi nel resto del mondo sull’opera civilizzatrice del fascismo, così come su quella del nazionalsocialismo. In entrambi i casi i fatti indiscutibili sono in contrasto con le menzogne infondate e le affermazioni non dimostrate della parte avversa. Promuovere legami sempre più stretti tra Germania, Italia e Giappone è l’obiettivo costante del governo tedesco. Consideriamo l’esistenza e il mantenimento della libertà e dell’indipendenza di queste tre grandi potenze come il fattore più forte per il futuro, contribuendo alla conservazione di una cultura veramente umana, una civiltà pratica e un giusto ordine nel mondo.
Come ho detto all’inizio, il 15 aprile 1939, il mondo è stato informato del contenuto di un telegramma a me inviato, che io stesso ho visto solo più tardi. È difficile classificare questo documento o inserirlo in una categoria nota. Cercherò quindi, signori, di presentare a voi – e quindi a tutto il popolo tedesco – un’analisi del contenuto di questo straordinario scritto e a nome vostro e del popolo tedesco, di dare risposte adeguate ad esso.
1 – Il signor Roosevelt è dell’opinione che anch’io devo rendermi conto che in tutto il mondo centinaia di milioni di esseri umani vivono nella costante paura di una nuova guerra o addirittura di una serie di guerre. Questo, dice, preoccupa il popolo degli Stati Uniti, per il quale parla, come pure anche i popoli delle altre nazioni dell’intero emisfero occidentale.
Risposta: in merito a questo va detto in primo luogo che questa paura della guerra è indubbiamente esistita nell’umanità da tempo immemorabile, e giustamente.
Ad esempio, dopo il trattato di pace di Versailles, solo tra il 1919 e il 1938 furono condotte 14 guerre, in nessuna delle quali fu coinvolta la Germania, ma in cui furono certamente coinvolti gli stati dell’ “emisfero occidentale”, nel cui nome parla anche il presidente Roosevelt. Inoltre vi furono in quello stesso periodo 26 interventi violenti e sanzioni attuate con il sangue e la forza. La Germania non ha avuto alcun ruolo neanche in quelli. Dal 1918 solo gli Stati Uniti hanno effettuato interventi militari in sei casi. Dal 1918 la Russia sovietica si è impegnata in dieci guerre e azioni militari che hanno coinvolto la forza e lo spargimento di sangue. Ancora una volta, la Germania non era coinvolta in nessuno di questi, né era responsabile di nessuno di essi.
Sarebbe quindi a mio avviso un errore ritenere che la paura della guerra che riguarda le nazioni europee ed extraeuropee possa in questo momento essere ricondotta a veri e propri conflitti di cui la Germania potrebbe essere ritenuta responsabile. La ragione di questa paura sta tutta in un’agitazione sfrenata da parte della stampa, un’agitazione tanto mendace quanto vile – nella circolazione di vili pamphlet contro i capi di stati stranieri, e nell’artificioso dilagare del panico, che alla fine va così lontano che si credono possibili interventi da un altro pianeta, portando a scene di paura disperata (36).
Credo che non appena i governi responsabili impongono a se stessi e ai loro organi di informazione la necessaria moderazione e preoccupazione per la verità riguardo ai rapporti delle varie nazioni tra loro, e in particolare riguardo agli avvenimenti interni in altre paesi, la paura della guerra scomparirà immediatamente e diventerà possibile la tranquillità che tutti desideriamo tanto.
2 – Nel suo telegramma il sig. Roosevelt esprime la convinzione che ogni grande guerra, anche se limitata ad altri continenti, deve avere gravi conseguenze non solo finché dura, ma per le generazioni a venire.
Risposta: Nessuno lo sa meglio del popolo tedesco. Perché il trattato di pace di Versailles ha imposto al popolo tedesco oneri che non avrebbero potuto essere ripagati in cento anni, sebbene sia stato dimostrato in modo definitivo da studiosi di diritto internazionale, storici e professori di storia americani che la Germania non era più da responsabile di qualsiasi altra nazione per lo scoppio della guerra (37).
Ma non credo che ogni conflitto debba necessariamente avere conseguenze nefaste per il mondo intero, cioè per l’intero pianeta, purché non si sia trascinati artificialmente e sistematicamente in tali conflitti attraverso una rete di patti con obblighi nebulosi.
Dato che nei secoli scorsi e – come ho sottolineato in precedenza nella mia risposta – anche nel corso degli ultimi decenni, il mondo ha vissuto una serie continua di guerre, se la visione di Mr. Roosevelt è corretta, la somma totale dell’impatto di tutte queste guerre avrebbe già imposto all’umanità un fardello che avrebbe dovuto sopportare per milioni di anni a venire.
3 – Il sig. Roosevelt ha dichiarato di aver già fatto appello a me in una precedente occasione (38) per una soluzione pacifica dei problemi politici, economici e sociali, senza ricorrere alle armi.
Risposta: io stesso sono sempre stato un esponente di questa visione (39) e, come dimostra la storia, ho risolto i problemi politici, economici e sociali necessari senza la forza delle armi, senza neppure ricorrere alle armi. Purtroppo, però, questo metodo pacifico di soluzione è stato reso più difficile dall’agitazione di politici, statisti e personaggi della stampa che non erano né direttamente interessati né toccati dai problemi in questione.
4 – Il sig. Roosevelt crede che la “marea degli eventi” porti ancora una volta con sé la minaccia delle armi, e che se questa minaccia continua, gran parte del mondo è apparentemente condannata alla comune rovina.
Risposta: per quanto riguarda la Germania, non so nulla di questo tipo di minaccia ad altre nazioni, anche se ogni giorno leggo bugie su tale minaccia nei giornali democratici. Ogni giorno leggo di mobilitazioni tedesche, di sbarchi di truppe, di estorsioni; tutto questo in relazione a paesi con i quali non solo conviviamo assolutamente pacificamente, ma con i quali siamo anche, in molti casi, amici intimi.
5 – Il signor Roosevelt crede inoltre che in caso di guerra, le nazioni vittoriose, vinte e neutrali soffriranno tutte allo stesso modo.
Risposta: nel corso della mia carriera politica, durata vent’anni, sono stato un esponente di questa convinzione, in un momento in cui uomini di Stato responsabili in America, purtroppo, non riuscivano a mostrare la stessa comprensione riguardo al loro ruolo nella [prima] guerra mondiale e le sue conseguenze.
6 – Il signor Roosevelt crede che alla fine spetti ai capi delle grandi nazioni proteggere i loro popoli dal disastro imminente.
Risposta: se questo è vero, allora è negligenza colpevole, per non usare una parola più forte, se i capi delle nazioni al potere non riescono a controllare i loro mezzi d’informazionea che si agitano per la guerra, e quindi a salvare il mondo dalla minacciosa calamità di un conflitto armato. Inoltre, non riesco a capire perché questi capi responsabili, invece di coltivare relazioni diplomatiche tra le nazioni, le rendano più difficili e anzi le disturbino con azioni come il richiamo di ambasciatori senza motivo (40).
7 – Il signor. Roosevelt dichiara che l’esistenza indipendente di tre nazioni in Europa e una in Africa è terminata.
Risposta: non so quali tre nazioni in Europa egli intenda. Se si tratta delle province reincorporate nel Reich tedesco, devo attirare l’attenzione del sig. Roosevelt su un errore da parte sua circa la storia.
Queste nazioni non hanno sacrificato ora la loro esistenza indipendente in Europa, ma piuttosto nel 1918. A quel tempo, in violazione di solenni promesse, i loro legami logici furono strappati e furono trasformate in “nazioni” che non avrebbero mai voluto essere e non erano mai esistite. Furono costrette a un’indipendenza che non era indipendenza, ma al massimo poteva significare solo dipendenza da un mondo straniero internazionale che detestavano (41).
Inoltre, per quanto riguarda l’affermazione che una nazione in Africa ha perso la sua libertà, anche questo è un errore. Non si tratta di una nazione in Africa che ha perso la sua libertà (42). Al contrario, quasi tutti gli abitanti originari di quel continente hanno perso la loro libertà essendo stati assoggettati alla sovranità di altre nazioni con spargimento di sangue e violenza. Marocchini, berberi, arabi, negri e così via, sono tutti caduti vittime delle spade della potenza straniera, che, tuttavia, non erano contrassegnate come “Made in Germany” ma “Made by Democracies”.
8 – Il sig. Roosevelt parla poi di rapporti, che certamente non ritiene corretti, ma che affermano che sono contemplati ulteriori atti di aggressione contro altre nazioni indipendenti.
Risposta: considero ogni insinuazione così infondata come un attentato contro la tranquillità e la pace del mondo. Vedo anche in loro uno sforzo calcolato per allarmare le nazioni più piccole, o almeno per metterle all’erta. A questo proposito, se il signor Roosevelt ha davvero in mente qualche caso specifico, gli chiederei di nominare gli stati che sono minacciati di aggressione e di nominare l’aggressore in questione. Sarà quindi semplice confutare rapidamente queste assurde accuse generiche.
9 – Il sig. Roosevelt afferma che il mondo si sta chiaramente muovendo verso il momento in cui questa situazione deve finire in una catastrofe a meno che non si trovi un modo razionale di guidare gli eventi. Dichiara inoltre che ho ripetutamente affermato che io e il popolo tedesco non desideriamo la guerra e che, se questo è vero, non è necessario che ci sia la guerra.
Risposta: vorrei sottolineare ancora una volta, prima di tutto, che io non ho condotto alcuna guerra, e, in secondo luogo, che per anni ho espresso il mio orrore per la guerra e, non meno, per l’agitazione verso la guerra, e, terzo, che non so per quale motivo dovrei fare una guerra. Apprezzerei che il signor Roosevelt fornisse una spiegazione a questo proposito.
10 – Il sig. Roosevelt è inoltre dell’opinione che i popoli del mondo non possono essere persuasi che qualsiasi potere governativo abbia il diritto o la necessità di infliggere le conseguenze della guerra a se stesso o a qualsiasi altro popolo, se non per la causa evidente di difesa interna.
Risposta: Dovrei pensare che ogni essere umano ragionevole sia di questa opinione, ma mi sembra che in quasi tutte le guerre entrambe le parti affermino che il loro è un caso di insindacabile difesa interna. Non credo che ci sia un’autorità in questo mondo, incluso lo stesso presidente Roosevelt, che possa decidere in modo inequivocabile su questa questione.
Non c’è quasi alcun dubbio, ad esempio, che l’ingresso dell’America nella [prima] guerra mondiale non sia stato un caso di “ovvia difesa interna” (43). Al contrario, una commissione d’inchiesta sostenuta dallo stesso presidente Roosevelt esaminò le cause dell’entrata dell’America nella guerra mondiale, e concluse che essa avvenne principalmente per motivi legati esclusivamente a interessi capitalistici (44). Tuttavia, non ne sono state tratte conclusioni pratiche.
Speriamo, quindi, che almeno in futuro gli Stati Uniti agiscano secondo questo nobile principio e non entrino in guerra contro nessun paese se non per indiscutibile autodifesa.
11 – Il sig. Roosevelt dice inoltre che non parla per egoismo, debolezza o paura, ma con la voce della forza e dell’amicizia per l’umanità.
Risposta: se questa voce di forza e amicizia per l’umanità fosse stata sollevata dall’America al momento opportuno, e in particolare se avesse avuto un valore pratico, allora almeno quel trattato che sarebbe diventato la fonte del più grande sconvolgimento dell’umanità nella storia, il diktat di Versailles, avrebbe potuto essere evitato.
12 – Il sig. Roosevelt dichiara inoltre che gli è chiaro che tutti i problemi internazionali possono essere risolti al tavolo di una conferenza.
Risposta: teoricamente si dovrebbe credere a questa possibilità, poiché in molti casi il buon senso determinerebbe facilmente la giustizia delle richieste, da un lato, e l’imprescindibile necessità di accomodamento, dall’altro.
Ad esempio: in base al buon senso e ai principi generali di una superiore giustizia umana, anzi, secondo le leggi di una volontà divina, tutti i popoli dovrebbero avere una parte uguale dei beni del mondo. Non dovrebbe quindi accadere che un popolo abbia bisogno di tanto spazio per vivere da non potersi accontentare di 15 abitanti per chilometro quadrato, mentre altri sono costretti a sostenerne 140, 150 o anche 200 sulla stessa area. Ma in ogni caso questi popoli fortunati non dovrebbero ridurre lo spazio esistente concesso a coloro che già soffrono, derubandoli ad esempio delle loro colonie. Sarei quindi più che felice se questi problemi potessero davvero trovare una loro soluzione al tavolo di una conferenza.
Il mio scetticismo, però, si basa sul fatto che è stata proprio l’America a dare l’espressione più acuta della sua sfiducia nei confronti dell’efficacia delle conferenze. Perché la più grande conferenza di tutti i tempi è stata senza dubbio la Società delle Nazioni. Questo autorevole organismo, rappresentante di tutti i popoli del mondo, e creato secondo le intenzioni di un presidente americano, avrebbe dovuto risolvere i problemi dell’umanità al tavolo della conferenza (45). Il primo stato, però, che si ritirò da questa organizzazione furono gli Stati Uniti, perché già allora lo stesso presidente Wilson nutriva i maggiori dubbi sulla possibilità di poter davvero risolvere decisivi problemi internazionali a un simile tavolo di conferenza.
Rispettiamo la sua opinione, signor Roosevelt, ma contrariamente ad essa sta il fatto concreto che in quasi vent’anni di attività della più grande conferenza del mondo, la Società delle Nazioni, si è rivelato impossibile risolvere anche un solo problema internazionale veramente importante.
Contrariamente alla promessa del presidente Wilson, alla Germania è stato impedito per molti anni dal trattato di pace di Versailles di partecipare a questa grande conferenza mondiale. Nonostante l’esperienza più amara, c’è stato un governo tedesco che ha creduto che non fosse necessario seguire l’esempio degli Stati Uniti e che avrebbe dovuto quindi sedersi a questo tavolo della conferenza (46).
Fu solo dopo anni di inutile partecipazione che decisi di seguire l’esempio dell’America e allo stesso modo di lasciare la più grande conferenza del mondo. Da allora ho risolto i problemi del mio popolo, che, come tutti gli altri, purtroppo non sono stati risolti al tavolo della conferenza della Società delle Nazioni – e li ho risolti senza ricorrere alla guerra nemmeno in un solo caso. A parte questo, però, e come già accennato, negli ultimi anni numerosi altri problemi sono stati portati davanti alle conferenze mondiali senza che si sia trovata alcuna soluzione.
Se, tuttavia, signor Roosevelt, la sua convinzione che ogni problema può essere risolto al tavolo di una conferenza è vera, allora tutte le nazioni, inclusi gli Stati Uniti, sono state guidate negli ultimi sette o ottocento anni da ciechi o da criminali.
Perché nessun uomo di stato, compresi quelli degli Stati Uniti e in particolare i suoi più grandi (47) ha plasmato la storia in modo significativo al tavolo della conferenza, ma piuttosto applicando la forza del popolo della sua nazione. La libertà del Nord America non è stata raggiunta al tavolo della conferenza più di quanto non sia stato deciso lì il conflitto tra gli stati del Nord e del Sud. Non menzionerò gli innumerevoli conflitti che alla fine portarono alla sottomissione dell’intero continente nordamericano. Cito tutto questo solo per sottolineare che il suo punto di vista, signor Roosevelt, sebbene indubbiamente meritevole di tutto il rispetto, non è confermato dalla storia né del suo paese né del resto del mondo.
13 – Il signor Roosevelt afferma inoltre che non è una risposta all’appello per una discussione pacifica per una parte affermare che, a meno che non ricevano assicurazioni in anticipo che il risultato sarà suo, non deporrà le armi.
Risposta: lei crede, signor Roosevelt, che se il destino ultimo delle nazioni è in bilico, un governo o i capi di quel popolo deporranno le armi o le consegneranno prima di una conferenza, semplicemente nella cieca speranza che glj altri membri della conferenza saranno abbastanza saggi, o abbastanza perspicaci, da prendere una decisione simile?
Signor Roosevelt, c’è stato un solo paese e un solo governo che ha agito secondo la ricetta che lei esalta in termini così entusiastici: la Germania. La nazione tedesca, confidando nelle solenni assicurazioni del presidente americano Wilson e nella conferma di quelle assicurazioni da parte degli alleati, una volta deposte le armi si presentò inerme al tavolo della conferenza. Tuttavia, non appena la nazione tedesca ha deposto le armi, non ha ricevuto un invito al tavolo di una conferenza, ma piuttosto, e in violazione delle assicurazioni, è stata vittima della peggiore violazione di una promessa mai prima conosciuta. Invece di rimediare al più grande conflitto della storia al tavolo di una conferenza, il risultato fu il trattato più infame del mondo, che creò una discordia ancora più grande di quella che aveva determinato il conflitto stesso.
Ma i rappresentanti della nazione tedesca, che avevano deposto le armi, confidando nelle solenni assicurazioni di un presidente americano, e che per tale motivo vennero disarmati, non furono ricevuti, sebbene fossero giunti ad accettare i termini del trattato. Dopotutto, erano i rappresentanti di una nazione che per quattro anni aveva resistito con immenso eroismo contro un mondo intero nella lotta per la sua libertà e indipendenza.
Furono trattati in modo degradante, simile al trattamento che avrebbe potuto essere riservato ai capi delle tribù Sioux. I delegati tedeschi furono insultati dalla folla, furono lanciate contro di loro pietre e furono trascinati come prigionieri, non al tavolo della conferenza, ma piuttosto davanti al tribunale dei vincitori; e lì, con una pistola puntata contro di loro, furono costretti ad accettare la più vergognosa sottomissione e il più grande saccheggio della storia.
Posso assicurarle, signor Roosevelt, che sono fermamente determinato, con l’aiuto della Provvidenza, a fare in modo che non solo ora, ma anche in futuro, nessun tedesco possa mai più partecipare ad una conferenza indifeso, ma che ora e per sempre ogni rappresentante della Germania debba avere dietro di sé la forza unita dell’intera nazione tedesca.
14 – Il signor Roosevelt crede che in una sala di conferenze, così come in un tribunale, entrambe le parti debbano entrare in buona fede, con il presupposto che giustizia sarà effettivamente resa a entrambe le parti.
Risposta: I rappresentanti tedeschi non entreranno mai più in una conferenza che per loro è un tribunale. Perché chi deve essere il giudice lì? In un convegno non c’è nessun imputato e nessun pubblico ministero, ma due parti contendenti. Se il loro buon senso non porta a un accordo tra le due parti, non si arrenderanno mai al verdetto di altre potenze i cui interessi sono del tutto estranei ai loro.
Per inciso, gli stessi Stati Uniti si sono rifiutati di entrare nella Società delle Nazioni e di diventare vittima di un tribunale che ha il potere, solo a maggioranza, di pronunciare una decisione contraria agli interessi di una parte o dell’altra. Sarei grato se il signor Roosevelt mi spiegasse come deve essere organizzata la nuova Corte Mondiale. Chi sarebbero i giudici? Secondo quale procedura sarebbero selezionati? Su quale responsabilità agirebbero? E soprattutto, a quale autorità dovrebbero rendere conto?
15 – Il signor Roosevelt crede che la causa della pace mondiale sarebbe molto favorita se le nazioni del mondo facessero una franca dichiarazione relativa alla politica presente e futura dei loro governi.
Risposta: l’ho già fatta, signor Roosevelt, in innumerevoli discorsi pubblici. E nel corso di questa seduta del Reichstag tedesco, ho fatto di nuovo – per quanto possibile nell’arco di due ore – una dichiarazione di questo tipo.
Devo, tuttavia, rifiutarmi di dare una tale spiegazione a chiunque non sia tra le persone della cui esistenza e vita sono responsabile, e che, a loro volta, hanno il pieno diritto di esigere che io renda loro conto. In ogni caso, spiego pubblicamente la politica della Germania, in modo che anche il mondo intero possa ascoltarla. Ma queste spiegazioni sono prive di significato per il mondo esterno finché si consente alla stampa di falsificare e gettare sospetti su ogni affermazione, metterla in discussione o soffocarla con nuove menzogne.
16 – Il signor Roosevelt ritiene che, poiché gli Stati Uniti, in quanto una delle nazioni dell’emisfero occidentale, non sono direttamente coinvolti nelle controversie sorte in Europa, dovrei quindi essere disposto a fargli una tale dichiarazione politica come capo di una nazione così lontana dall’Europa.
Risposta: il signor Roosevelt crede quindi seriamente che la causa della pace internazionale verrebbe davvero promossa se le nazioni del mondo facessero dichiarazioni pubbliche sulle attuali politiche dei loro governi. Ma com’è che il presidente Roosevelt è stato spinto a scegliere il capo di stato tedesco per fare tale dichiarazione, senza invitare gli altri governi a fare una simile dichiarazione della loro politica?
Credo che non sia appropriato fare una simile dichiarazione al capo di uno Stato straniero, ma piuttosto che tali dichiarazioni dovrebbero essere fatte preferibilmente al mondo intero, in conformità con la proposta del presidente Wilson per l’abolizione della diplomazia segreta (48). Non solo io sono sempre stato disposto a farle, ma, come ho già detto, le ho fatte abbastanza spesso. Sfortunatamente, sono state proprio le dichiarazioni più importanti riguardanti gli scopi e le intenzioni della politica tedesca che, in molti stati cosiddetti democratici, sono state nascoste al popolo o sono state distorte dalla stampa.
Se però il Presidente Roosevelt ritiene di essere chiamato a rivolgere tale richiesta proprio alla Germania o all’Italia perché l’America è così lontana dall’Europa, noi potremmo, da parte nostra, con pari diritto, rivolgere al Presidente della Repubblica Americana un interrogativo sugli obiettivi della politica estera americana, e sugli scopi su cui si basa questa politica – per quanto riguarda, ad esempio, i paesi del Centro e Sud America. In tal caso, molto probabilmente il signor Roosevelt farebbe riferimento alla Dottrina Monroe e rifiuterebbe tale richiesta come un’ingerenza negli affari interni del continente americano (49). Noi tedeschi sosteniamo una dottrina simile per l’Europa – e, soprattutto, per il territorio e gli interessi del Grande Reich tedesco. Comunque, naturalmente non oserei mai rivolgere una tale sfida al Presidente degli Stati Uniti d’America, perché ritengo che tale presunzione sarebbe giustamente considerata priva di tatto.
17 – Il signor Roosevelt dichiara inoltre che avrebbe poi comunicato le informazioni da lui ricevute riguardanti gli obiettivi politici della Germania ad altre nazioni che ora sono preoccupate per il corso della nostra politica.
Risposta: come ha determinato il Sig. Roosevelt quali nazioni si considerano minacciate dalla politica tedesca e quali no? Oppure il signor Roosevelt è in grado, con l’enorme mole di lavoro che certamente deve affrontare nel suo stesso paese, di riconoscere tutti i pensieri e i sentimenti più intimi delle altre nazioni e dei loro governi?
18 – Infine, il signor Roosevelt chiede che gli vengano fornite assicurazioni che le forze armate tedesche non attaccheranno, e soprattutto non invaderanno, il territorio o i possedimenti delle seguenti nazioni indipendenti: Finlandia, Lettonia, Lituania, Estonia, Norvegia, Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Gran Bretagna, Irlanda, Francia, Portogallo, Spagna, Svizzera, Liechtenstein, Lussemburgo, Polonia, Ungheria, Romania, Jugoslavia, Russia, Bulgaria, Turchia, Iraq, Arabia, Siria, Palestina, Egitto e Iran.
Risposta: mi sono preso la briga di accertare dagli Stati menzionati, in primo luogo, se si sentono minacciati e, cosa più importante, in secondo luogo, se questa domanda del signor Roosevelt ci è stata rivolta su loro suggerimento, o almeno con il loro consenso.
La risposta è stata in tutti i casi negativa, in alcuni casi decisamente negativa. È vero che tra gli Stati e le nazioni citate ce n’erano alcuni ai quali non si potevano rivolgere queste richieste – la Siria, per esempio – perché attualmente non sono in possesso della loro libertà, ma sono tenuti sotto occupazione dalle forze militari di stati democratici e di conseguenza sono privati dei loro diritti.
A parte questo fatto, tuttavia, tutti gli stati confinanti con la Germania hanno ricevuto assicurazioni molto più vincolanti e, cosa più importante, proposte più vincolanti di quelle che il signor Roosevelt mi ha chiesto nel suo curioso telegramma.
Se ci fosse qualche dubbio sul valore di quelle affermazioni generali e specifiche che ho fatto così spesso, allora qualsiasi ulteriore affermazione di quel tipo, anche se rivolta al sig. Roosevelt, sarebbe ugualmente priva di valore. Perché in ultima analisi non è il valore che il signor Roosevelt dà a tali affermazioni che è decisivo, ma il valore dato a tali affermazioni dai paesi interessati.
Ma devo anche attirare l’attenzione del signor Roosevelt su uno o due errori di carattere storico. Cita l’Irlanda, ad esempio, e chiede una dichiarazione secondo cui la Germania non attaccherà l’Irlanda. Ora, ho appena letto un discorso tenuto dal primo ministro irlandese, de Valera, in cui stranamente, e contrariamente all’opinione del sig. Roosevelt, non accusa la Germania di opprimere l’Irlanda, ma rimprovera alla Gran Bretagna di sottoporre l’Irlanda a continue aggressioni (50).
Con tutto il dovuto rispetto per l’intuizione del sig. Roosevelt sulle necessità e le preoccupazioni di altri paesi, si può tuttavia presumere che il primo ministro irlandese abbia certamente più familiarità con i pericoli che minacciano il suo paese di quanta ne abbia il presidente della Repubblica americana.
Allo stesso modo è ovviamente sfuggito all’attenzione di Roosevelt il fatto che la Palestina è attualmente occupata non dalle truppe tedesche ma da quelle britanniche; che in essa la libertà è limitata dall’uso più brutale della forza, e tale paese viene derubato della sua indipendenza e subisce i più crudeli maltrattamenti a beneficio degli intrusi ebrei. Gli arabi che vivono in quel paese quindi non potrebbero certamente lamentarsi col sig. Roosevelt dell’aggressione tedesca, ma stanno lanciando un appello costante al mondo, deplorando i metodi barbari con cui la Gran Bretagna sta tentando di sopprimere un popolo che ama la sua libertà ed sta semplicemente cercando di difenderla.
Anche questo è forse un problema che, secondo il signor Roosevelt, dovrebbe essere risolto al tavolo della conferenza, cioè davanti a un giudice imparziale, e non con la forza brutale, metodi militari, esecuzioni di massa, villaggi incendiati, case fatte saltare in aria, e così via. Perché un fatto è s certo. In questo caso la Gran Bretagna non si sta difendendo da un minacciato attacco arabo, ma come un intruso non invitato sta cercando di stabilire il suo potere su un territorio straniero che non le appartiene (51).
Si potrebbero rilevare alcuni errori simili commessi dal sig. Roosevelt, a parte la difficoltà delle operazioni militari da parte della Germania in stati e paesi, alcuni dei quali sono a due o cinquemila chilometri di distanza da noi.
Infine, voglio affermare quanto segue:
Il governo tedesco è, nonostante tutto, disposto a dare a ciascuno degli stati nominati, purché esso la desideri, un’assicurazione del tipo richiesto dal sig. Roosevelt, a condizione di assoluta reciprocità, e rivolge esso stesso per la Germania una richiesta di tale garanzia, unitamente a proposte corrispondentemente accettabili.
Nel caso di alcuni degli stati menzionati dal signor Roosevelt, tale questione può probabilmente essere considerata già risolta, perché siamo già alleati con loro o almeno uniti da stretti legami di amicizia. Per quanto riguarda la durata di questi accordi, la Germania è felicemente disposta a raggiungere una intesa con ogni singolo stato secondo i suoi desideri.
E non voglio perdere l’occasione di dare al Presidente degli Stati Uniti un’assicurazione soprattutto su quei territori che, tutto sommato, gli darebbero più apprensione, ovvero gli Stati Uniti stessi e gli altri Stati del il continente americano.
E qui dichiaro solennemente che tutte le affermazioni che sono state in qualche modo fatte circolare su un previsto attacco o intervento tedesco contro il territorio americano sono frodi grossolane e grossolane menzogne, a prescindere dal fatto che esse, sotto l’aspetto militare, possono essere considerate solo il prodotto di stupide fantasie (52).
19 – Il signor Roosevelt prosegue poi dichiarando a questo proposito che egli considera la discussione sul modo più efficace e immediato per sollevare i popoli del mondo sollievo dal fardello schiacciante degli armamenti, come la questione più importante di tutte.
Risposta: il sig. Roosevelt forse non sa che questo problema, per quanto riguarda la Germania, era già stato una volta completamente risolto. Tra il 1919 e il 1923 il Reich tedesco si era già completamente disarmato, come espressamente confermato dalle commissioni alleate. Questa era la portata del disarmo:
Il seguente equipaggiamento militare era stato distrutto:
Il seguente equipaggiamento militare era stato distrutto:
- 59.000 pezzi di artiglieria,
- 130.000 mitragliatrici,
- 31.000 mortai da trincea,
- 6.000.000 fucili e carabine,
- 243.000 canne di mitragliatrici,
- 28.000 carri armati,
- 4.390 semoventi,
- 38.750.000 proiettili,
- 16.550.000 granate a mano e da fucile,
- 60.400.000 colpi di munizioni vere,
- 491.000.000 colpi di munizioni di piccolo calibro,
- 335.000 tonnellate di giacche impermeabili,
- 23.515 tonnellate di bossoli,
- 37.600 tonnellate di polvere da sparo,
- 79.000 bossoli vuoti di munizioni,
- 212.000 apparecchi telefonici,
- 1072 lanciafiamme,
E così via.
Furono ulteriormente distrutti: slitte, officine mobili, postazioni antiaeree, veicoli per servizi speciali, elmetti d’acciaio, maschere antigas, macchinari per l’industria delle munizioni e canne di fucile.
Il seguente equipaggiamento dell’aeronautica è stato distrutto:
- 15.714 aerei da combattimento e bombardieri,
- 27.757 motori per aeroplani.
Per quanto riguarda la marina, sono stati distrutti:
- 26 navi da battaglia di linea,
- 4 navi da difesa costiera,
- 4 incrociatori corazzati,
- 19 incrociatori leggeri,
- 21 navi da addestramento e altre navi speciali,
- 83 torpediniere,
- 315 sommergibili.
Inoltre, sono stati distrutti: veicoli di ogni tipo, gas tossici e alcuni dispositivi di protezione antigas, carburanti ed esplosivi, proiettori, mirini di armi, telemetri, dispositivi di misurazione della distanza e del suono, strumenti ottici di ogni tipo, imbracature e selle, e così via; tutte le strutture aeree militari e gli hangar dei dirigibili, e così via.
Secondo gli impegni solenni dati un tempo alla Germania, impegni confermati anche dal trattato di pace di Versailles, tutto ciò doveva essere una misura preventiva che avrebbe poi permesso al resto del mondo di disarmarsi senza pericolo (53).
Anche in questo caso, come in tutti gli altri, quando la Germania credeva che le promesse sarebbero state mantenute, essa fu vergognosamente ingannata. Come è noto, tutti i tentativi di indurre gli altri Stati al disarmo, perseguiti nei negoziati al tavolo della conferenza per molti anni, sono falliti. Quel disarmo sarebbe stato sensato e giusto, e inoltre avrebbe adempiuto agli impegni già presi.
Io stesso, signor Roosevelt, ho fatto una serie di proposte pratiche per la trattativa, e inoltre ho cercato di avviare dnegoziati per rendere possibile almeno una limitazione generale degli armamenti al livello più basso consentito (54).
Ho proposto una forza massima di 200.000 uomini per tutti gli eserciti, nonché l’abolizione di tutte le armi di offesa, degli aerei da bombardamento, dei gas velenosi eccetera. Sfortunatamente si è rivelato impossibile fare progressi su queste proposte con il resto del mondo, anche se la stessa Germania era all’epoca completamente disarmata.
Ho quindi proposto che gli eserciti avessero una forza massima di 300.000 uomini. Quella proposta ebbe lo stesso risultato negativo. Ho quindi fatto una serie di proposte dettagliate per il disarmo, ogni volta davanti al Reichstag tedesco e al mondo intero. Nessuno le ha mai menzionate. Invece, il resto del mondo iniziò ulteriori incrementi dei loro già enormi potenziali bellici.
Fu solo nel 1934, dopo il rifiuto dell’ultima delle mie ampie proposte tedesche di limitare gli eserciti a non più di 300.000 uomini, che diedi l’ordine per il riarmo tedesco, e questa volta su vasta scala. Tuttavia, non voglio essere un ostacolo a nessuna discussione sul disarmo a cui voi, signor Roosevelt, intendete partecipare. Vi chiedo però di non appellarvi prima a me e alla Germania, bensì agli altri. Ho alle spalle il vantaggio dell’esperienza reale e quindi tenderò ad essere scettico fino a quando la realtà non mi insegnerà il contrario.
20 – Il sig. Roosevelt ci assicura inoltre di essere pronto a prendere parte alle discussioni per considerare il modo più pratico di aprire vie del commercio internazionale con l’obiettivo di consentire a ogni nazione del mondo di acquistare e vendere a condizioni di parità nel mercato mondiale, nonché per avere la certezza dell’accesso alle materie prime e ai prodotti necessari per una pacifica vita economica.
Risposta: sono convinto, signor Roosevelt, che non si tratti tanto di discutere teoricamente questi problemi, quanto di rimuovere con i fatti le vere barriere che esistono nel commercio internazionale (55). Le peggiori barriere, tuttavia, risiedono nei singoli Stati stessi.
L’esperienza insegna, almeno finora, che le più importanti conferenze economiche mondiali sono fallite semplicemente perché i vari paesi non sono riusciti a mantenere l’ordine nei loro sistemi economici interni; oppure perché hanno portato incertezza nel mercato finanziario internazionale attraverso manipolazioni valutarie, e soprattutto provocando continue fluttuazioni del valore delle loro valute l’una rispetto all’altra.
È parimenti un onere intollerabile per le relazioni economiche mondiali il fatto che in alcuni paesi sia possibile, per una ragione ideologica o per l’altra, scatenare una selvaggia agitazione per il boicottaggio contro altri paesi e le loro merci, e quindi eliminarli praticamente dal mercato (56).
Sono convinto, signor Roosevelt, che sarebbe molto encomiabile da parte sua se lei, con la sua grande influenza, iniziasse negli Stati Uniti a rimuovere queste barriere a un commercio mondiale veramente libero. Perché è mia convinzione che se i capi delle nazioni non sono nemmeno in grado di mettere ordine nella produzione nei propri paesi, o di rimuovere i boicottaggi organizzati per motivi ideologici, che possono arrecare tanti danni alle relazioni commerciali internazionali, ci sono molte meno possibilità di compiere un passo realmente fruttuoso verso il miglioramento delle relazioni economiche mediante accordi internazionali. Non c’è altro modo per garantire l’uguale diritto di tutti di comprare e vendere sul mercato mondiale.
Inoltre, la nazione tedesca ha fatto proposte molto concrete a questo proposito, e apprezzerei se lei, signor Roosevelt, come uno dei successori del defunto presidente Wilson, usasse i suoi sforzi per fare in modo che le promesse, sulla base di cui la Germania una volta depose le armi e si pose nelle mani dei cosiddetti vincitori, fossero finalmente mantenute.
Penso meno agli innumerevoli milioni estorti alla Germania come cosiddette riparazioni che alla restituzione dei territori sottratti alla Germania. La Germania ha perso circa tre milioni di chilometri quadrati di territorio dentro e fuori l’Europa, anche se l’intero impero coloniale tedesco, a differenza delle colonie di altre nazioni, non è stato acquisito per mezzo di guerre ma esclusivamente attraverso trattati o acquisti.
Il presidente Wilson ha impegnato solennemente la sua parola che le rivendicazioni coloniali della Germania avrebbero ricevuto la stessa giusta considerazione di quelle di tutti gli altri (57). Al contrario, i possedimenti tedeschi furono dati a nazioni che avevano già i più grandi imperi coloniali della storia, mentre il nostro popolo era soggetto a grande miseria, allora come in futuro.
Sarebbe un atto nobile se il presidente Franklin Roosevelt rispettasse le promesse fatte dal presidente Woodrow Wilson. Ciò, soprattutto, sarebbe un contributo concreto al consolidamento morale del mondo e quindi al miglioramento delle sue condizioni economiche.
21 – il signor Roosevelt ha anche affermato in conclusione che i capi di tutti i grandi governi sono in questo momento responsabili del destino dell’umanità e che non possono non ascoltare le preghiere dei loro popoli per essere protetti dal prevedibile caos della guerra. E anch’io ne sarei ritenuto responsabile.
Signor Presidente! Capisco perfettamente che la vastità della vostra nazione e l’immensa ricchezza del vostro paese vi permettono di sentirvi responsabile del destino del mondo intero e del destino di tutte le nazioni. La mia sfera, signor Presidente, è notevolmente più piccola e modesta. Voi avete 135 milioni di persone su nove milioni e mezzo di chilometri quadrati. Avete un paese con enormi ricchezze e tutte le risorse naturali, abbastanza fertile da nutrire mezzo miliardo di persone e da fornire loro ogni necessità.
Io ho assunto la guida di uno stato che stava affrontando la completa rovina grazie alla sua fiducia nelle promesse del mondo esterno e al cattivo governo del suo stesso regime democratico. In questo stato ci sono circa 140 persone per chilometro quadrato, non 15 come in America. La fecondità del nostro paese non può essere paragonata a quella del vostro. Ci mancano innumerevoli risorse naturali, che la natura ha donato a voi in quantità illimitate.
Miliardi di risparmi tedeschi in oro e valuta estera accumulati durante molti anni di pace ci furono estorti e sottratti. Abbiamo perso le nostre colonie. Nel 1933 avevo nel mio paese sette milioni di disoccupati, diversi milioni di lavoratori a tempo parziale, milioni di contadini impoveriti, il commercio rovinato; insomma, uno sfacelo generale.
Da allora, signor Roosevelt, sono stato in grado di portare a termine completamente un solo compito. Non posso sentirmi responsabile del destino del mondo, perché quel mondo non si interessava al pietoso destino della mia stessa gente.
Mi sono considerato chiamato dalla Provvidenza a servire da solo il mio popolo e a liberarlo dalla sua terribile miseria. Così, negli ultimi sei anni e mezzo, ho vissuto giorno e notte per l’unico compito di risvegliare le capacità del mio popolo di fronte all’indifferenza del resto del mondo, di sviluppare queste capacità al massimo e di utilizzarle per la salvezza della nostra comunità.
Ho vinto il caos in Germania, ristabilito l’ordine, aumentato immensamente la produzione in tutti i campi della nostra economia nazionale; con strenui sforzi ho prodotto sostituti per numerosi materiali che ci mancano, preparato la strada a nuove invenzioni, sviluppato i trasporti, fatto costruire strade magnifiche, scavato canali e creato nuove gigantesche fabbriche. Non meno mi sono sforzato di tradurre in pratica gli ideali della comunità sociale e di promuovere l’educazione e la cultura del mio popolo.
Sono riuscito a trovare ancora una volta un lavoro utile per tutti i sette milioni di disoccupati, che mi stavano particolarmente a cuore, a mantenere il contadino tedesco sulla sua terra nonostante tutte le difficoltà, e a preservarla per lui, a far rifiorire il commercio tedesco e a promuovere al massimo i trasporti.
Per proteggerlo dalle minacce del mondo esterno, non solo ho unito politicamente il popolo tedesco, ma l’ho anche riarmato. Allo stesso modo ho cercato di liberarlo da quel Trattato, nei suoi 448 articoli, pagina dopo pagina, contiene la più vile oppressione che sia mai stata inflitta a uomini e nazioni.
Ho riportato al Reich le province rubateci nel 1919; ho ricondotto al loro paese natale milioni di tedeschi che ci erano stati strappati ed erano in miseria assoluta; Ho riunito i territori che sono stati tedeschi nel corso di mille anni di storia e, signor Roosevelt, ho cercato di realizzare tutto ciò senza spargimento di sangue e senza portare al mio popolo, o ad altri, la miseria della guerra.
Questo l’ho fatto, signor Presidente, con i miei sforzi, anche se 21 anni fa ero un lavoratore sconosciuto e un soldato del mio popolo e posso quindi rivendicare un posto nella storia tra quegli uomini che hanno fatto il massimo che può ragionevolmente e giustamente essere chiesto a un singolo individuo.
Voi, signor Roosevelt, avete un compito incommensurabilmente più facile in confronto. Voi siete diventato Presidente degli Stati Uniti nel 1933 quando io sono diventato Cancelliere del Reich. Così, fin dall’inizio, siete diventato capo di uno dei paesi più grandi e ricchi del mondo.
È vostra fortuna dover sostenere appena 15 persone per chilometro quadrato nel vostro paese. A vostra disposizione ci sono le risorse naturali più abbondanti del mondo. Il vostro paese è così vasto e i vostri campi così fertili, che potete assicurare a ogni singolo americano le cose buone della vita almeno dieci volte di più di quanto sia possibile in Germania. La natura almeno vi ha dato l’opportunità di farlo.
Sebbene la popolazione del vostro paese sia appena un terzo più grande di quella della Grande Germania, avete un territorio più di quindici volte più grande. E così avete tempo e svago – nella stessa enorme scala di cui avete tutto il resto – per dedicare la vostra attenzione ai problemi universali. Di conseguenza il mondo è indubbiamente così piccolo per voi che credete che il vostro intervento possa essere prezioso ed efficace ovunque. In questo modo, dunque, le vostre preoccupazioni e le vostre iniziative coprono un campo molto più vasto del mio.
Perché il mio mondo, signor Presidente, è quello che la Provvidenza mi ha assegnato, e per il quale è mio dovere lavorare. La mia area è molto più piccola. Comprende solo la mia gente. Ma credo di poter così servire al meglio ciò che è nel cuore di tutti noi: giustizia, benessere, progresso e pace per l’intera comunità umana.
Note
1. Il trattato di Versailles, firmato in Francia il 28 giugno 1919 (“Il trattato di pace tra le potenze alleate e associate e la Germania”).
2. I possedimenti coloniali della Germania nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, comprendevano un’area totale di 1.340.000 miglia quadrate, con 12 milioni di persone. In accordo con il Trattato di Versailles, tutte quelle terre furono sottratte alla Germania senza indennizzo. Furono consegnate a vari paesi, che dovevano amministrarli come “mandati” per conto della nuova Società delle Nazioni.
Le colonie e i paesi a cui erano assegnate erano le seguenti:
Africa orientale tedesca, 384.000 miglia quadrate. La maggior parte di questa vasta area fu assegnata alla Gran Bretagna e oggi è il paese della Tanzania. Una parte minore, assegnata al Belgio, è oggi dove si trovano due paesi, Ruanda e Burundi;
Africa sudoccidentale tedesca, 322.000 miglia quadrate. Questo è stato assegnato all’Unione del Sud Africa e oggi è il paese della Namibia;
Camerun, 305.000 miglia quadrate. Parte di questo territorio fu assegnata alla Francia e parte alla Gran Bretagna. Oggi la maggior parte del territorio è il paese del Camerun, mentre una piccola porzione fa ora parte della Nigeria;
Togo, 34.000 miglia quadrate. Assegnato a Francia e Gran Bretagna. La parte di questo territorio che fu assegnata alla Francia è oggi il paese del Togo, mentre una parte che fu assegnata alla Gran Bretagna è oggi parte del Ghana.
Nell’area dell’Oceano Pacifico: la Nuova Guinea tedesca, l’arcipelago di Bismarck e le Isole Salomone, 93.000 miglia quadrate, furono assegnate all’Australia; Samoa, 1000 miglia quadrate, furono assegnate alla Nuova Zelanda; le Isole Caroline, Marianne e Marshall, 1000 miglia quadrate, furono assegnate al Giappone. Gli ex possedimenti tedeschi dell’Oceano Pacifico fanno oggi parte di Papua Nuova Guinea, Palau, Nauru, Samoa, Isole Marshall, Stati Federati di Micronesia e Isole Marianne Settentrionali.
In Asia, l’unico possedimento della Germania era la concessione della baia di Kiautschou, 213 miglia quadrate, nella penisola dello Shandong in Cina. Comprendeva la città di Qingdao (Tsingtao).
3. La “Repubblica di Weimar”, 1918-1933.
4. The Economic Consequences of the Peace (1919), dell’economista britannico John M. Keynes, è la critica più nota e più influente dell’impatto economico del Trattato di Versailles.
5. Partito dei lavoratori tedeschi (Deutsche Arbeiterpartei), fondato il 5 gennaio 1919 a Monaco. Il 24 febbraio 1920 divenne il Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, NSDAP).
6. Guerra franco-prussiana, 1870-1871.
7. All’indomani della prima guerra mondiale, il territorio della Saar, ricco di carbone, fu separato dal resto del Reich tedesco e posto sotto l’amministrazione della nuova Società delle Nazioni. In accordo con il Trattato di Versailles, il 13 gennaio 1935 si tenne sotto gli auspici della Lega un plebiscito per determinare il futuro della regione. La popolazione votò il 90,4% per il ritorno in Germania. La regione tornò di conseguenza al Reich il 1 marzo 1935.
8. L’Unione o “Anschluss” dell’Austria con il Reich tedesco, 13 marzo 1938. In Austria, così come nel resto del Reich tedesco, l’approvazione dell’Anschluss – che si rifletteva in un referendum nazionale – fu quasi unanime. Anche gli osservatori stranieri hanno riconosciuto che il 99% di voti “sì” rifletteva il sentimento popolare.
9. Fondata a Praga nel 1348, l’Università Carlo è una delle università più antiche d’Europa.
10. Nel 1938 la popolazione della “Cecoslovacchia” era di 14.800.000. In questo stato multietnico, i cechi erano il gruppo singolo più numeroso, con circa il 46% della popolazione totale. I 3.200.000 tedeschi erano circa il 28%, superando in numero i due milioni di slovacchi, che erano il 13%. C’erano anche minoranze ungheresi, rutene/ucraine, ebree e polacche.
11. News Chronicle (Londra), 14 luglio 1938. Il giornale citava il ministro dell’aviazione francese Pierre Cot che affermava che in caso di conflitto con la Germania, la Cecoslovacchia sarebbe servita da “aeroporto per l’atterraggio e il decollo di bombardieri, da cui sarebbe possibile distruggere in poche ore i più importanti centri industriali tedeschi”. (Alfred M. de Zayas, The German Expellees [St. Martin’s Press, 1993], pp. 20-21.)
12. 21 maggio 1938.
13. Kurt Schuschnigg (1897-1977), fu Cancelliere d’Austria dal 30 luglio 1934 all’11 marzo 1938.
14. Nelle elezioni parlamentari del 1935, il Partito della Germania dei Sudeti ottenne il 68 per cento dei voti della popolazione etnica tedesca del paese, e divenne il singolo partito più numeroso nel parlamento della Cecoslovacchia. Il sostegno al partito è aumentato in seguito. Nelle elezioni locali nella regione dei Sudeti nel maggio e giugno 1938, il partito raccolse tra l’80 e quasi il 100 per cento dei voti.
15. Conosciuta in Germania come “Westwall”, questa vasta fortificazione difensiva è stata spesso chiamata “Linea Siegfried” in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
16. Alla Conferenza delle “Quattro Potenze” di Monaco, il 29 settembre 1938, parteciparono il cancelliere tedesco Adolf Hitler, il Duce italiano Benito Mussolini, il primo ministro britannico Neville Chamberlain e il primo ministro francese Edouard Daladier.
17. Etnicamente la popolazione della regione dei “Sudeti” era prevalentemente tedesca. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, circa tre milioni di abitanti della regione furono espulsi con la forza. La popolazione della zona è ora quasi interamente ceca.
18. Alla Conferenza di Vienna del 2 novembre 1938 parteciparono i ministri degli esteri di Cecoslovacchia, Ungheria, Germania e Italia. Su richiesta di Cecoslovacchia e Ungheria, i rappresentanti tedesco e italiano agirono come arbitri nel determinare il confine tra Cecoslovacchia e Ungheria, sulla base di principi etnografici.
19. Fino alla fine della prima guerra mondiale, la regione carpato-ucraina nella parte orientale della Repubblica cecoslovacca faceva parte del Regno d’Ungheria. La popolazione era etnicamente ucraina o “rutena”. Con la disintegrazione della Cecoslovacchia nel marzo 1939, la regione fu reincorporata nell’Ungheria. Alla fine della seconda guerra mondiale, la regione fu annessa all’Unione Sovietica. Oggi fa parte dell’Ucraina.
20. Il 14 marzo 1939, il parlamento slovacco a Bratislava approvò l’indipendenza della Slovacchia.
21. Alla fine della seconda guerra mondiale, circa tre milioni di tedeschi furono espulsi con la forza dal territorio della restaurata Cecoslovacchia. Anche la popolazione ungherese del paese fu espulsa e la regione orientale etnicamente ucraina dell’Ucraina carpatica fu annessa all’Unione Sovietica. Di conseguenza, la popolazione della Cecoslovacchia dopo il 1950 era prevalentemente ceca e slovacca. Dopo la fine della dominazione sovietica del paese nel 1989, i sentimenti separatisti sono cresciuti. Nel 1992 le due nazionalità hanno concordato un “divorzio”. Il 1 gennaio 1993, la “Cecoslovacchia” è scomparsa e sono emersi due nuovi paesi: la Repubblica Ceca (Cechia) e la Slovacchia.
22. 14 ottobre 1938
23. Le terre ceche di Boemia e Moravia divennero Protettorato del Reich il 15 marzo 1939.
24. Cfr. nota 18.
25. Durante gli anni ’20 e ’30, c’erano discordie in corso tra i governi irlandese e britannico. Una questione particolarmente controversa coinvolse la regione in gran parte protestante dell’Irlanda del Nord. Il governo irlandese a Dublino considerava il continuo controllo britannico di quella regione come un’occupazione illecita.
26. Il 30 settembre 1938, il giorno dopo la Conferenza di Monaco, il cancelliere tedesco Hitler e il primo ministro britannico Chamberlain firmarono e rilasciarono una dichiarazione congiunta. Dichiararono:
“Noi, il Führer e cancelliere tedesco e il primo ministro britannico, abbiamo avuto oggi un ulteriore incontro e siamo concordi nel riconoscere che la questione delle relazioni anglo-tedesche è di primaria importanza per i due Paesi e per l’Europa. Consideriamo l’accordo firmato ieri sera e l’accordo navale anglo-tedesco come un simbolo del desiderio dei nostri due popoli di non entrare mai più in guerra tra loro. Siamo decisi che il metodo della consultazione sarà quello adottato per affrontare qualsiasi altra questione che possa riguardare i nostri due paesi, e siamo determinati a continuare i nostri sforzi per rimuovere possibili fonti di divergenza e contribuire così ad assicurare la pace in ‘Europa”.
27. Il trattato navale anglo-tedesco fu firmato a Londra il 18 giugno 1935. Esso mise in atto una proposta della Germania di limitare la forza della flotta tedesca al 35 per cento di quella della flotta britannica. Questo accordo abrogò la disposizione del Trattato di Versailles del 1919 che vietava alla Germania di avere una forza navale significativa. Fu quindi un chiaro riconoscimento da parte del governo britannico che il Trattato di Versailles, o almeno quella parte di esso, non era più valido o vincolante. Con questo accordo del 1935, la Gran Bretagna in effetti ripudiò e “violò” il Trattato di Versailles. Le categorie di navi e armamenti furono definite dal Trattato del 1935, meglio precisate in un successivo accordo a Londra il 17 luglio 1937. La nota tedesca al governo britannico del 28 aprile 1939 dichiarava l’intenzione della Germania di non ritenersi più vincolata dalle condizioni quantitative del trattato, ma affermava anche che avrebbe continuato a osservare le clausole qualitative, al fine di evitare una corsa internazionale agli armamenti navali.
28. Discorso di Chamberlain a Birmingham, il 17 marzo 1939. In questo discorso, il Primo Ministro disse che la Germania ora sembrava decisa a dominare l’Europa e stava cercando di dominare il mondo con la forza. Fare affidamento sulle assicurazioni tedesche non era più possibile, aveva anche affermato.
Il resoconto di una riunione del gabinetto britannico del giorno successivo fu più esplicito: “Il Primo Ministro ha detto che fino a una settimana fa avevamo proceduto nel presupposto che avremmo potuto continuare con la nostra politica di stabilire rapporti migliori con i poteri del dittatore , e che sebbene quei poteri avessero degli obiettivi, essi erano limitati… Ora era giunto definitivamente alla conclusione che l’atteggiamento del signor Hitler rendeva impossibile continuare sulla vecchia base… Non si poteva fare affidamento su nessuna delle assicurazioni fornite dal capo nazista … ha considerato il suo discorso [a Birmingham del 17 marzo] come una sfida alla Germania sulla questione se la Germania intendesse o meno dominare l’Europa con la forza. Ne conseguiva che se la Germania avesse fatto un altro passo nella direzione di dominare l’Europa, avrebbe accettato la sfida”.
In un discorso del 31 marzo 1939, il Primo Ministro assicurò inoltre che se un’azione militare “minacciava l’indipendenza polacca”, alla quale la Polonia “si sentiva obbligata a resistere” militarmente, la Gran Bretagna avrebbe “immediatamente prestato al governo polacco tutto il sostegno in suo potere”. Ciò significava che la volontà della Gran Bretagna di influenzare la Polonia ad agire con prudenza era del tutto svanita, e che per quanto irragionevolmente la Polonia potesse agire nei confronti della Germania sulla questione di Danzica, o in qualsiasi altra disputa che avrebbe portato a un conflitto armato, la Gran Bretagna era obbligata ad entrare in guerra dalla parte della Polonia. Questo impegno fu rafforzato il 25 agosto 1939, con un accordo formale di mutua assistenza.
29. Dopo che Hitler divenne cancelliere il 30 gennaio 1933.
30. Cfr. nota 27.
31. Accordo del 22 marzo 1939 tra Germania e Lituania sul territorio di Memel.
32. Patto di non aggressione tedesco-polacco, 26 gennaio 1934.
33. Il territorio della “Città Libera” di Danzica aveva un’area di 731 miglia quadrate. La sua popolazione nel 1939 di circa 415.000 abitanti era per il 95% tedesca. Danzica fu separata dalla Germania dal Trattato di Versailles. I dettagli del suo status furono successivamente definiti dal Trattato di Parigi, 9 novembre 1920. Il territorio fu posto sotto la supervisione della Società delle Nazioni, che era rappresentata a Danzica da un Alto Commissario. Gli affari esteri della “Città Libera” erano gestiti dalla Polonia, con alcune restrizioni e il veto dell’Alto Commissario. La Polonia aveva l’uso del porto, che – insieme alle vie d’acqua – era gestito da un consiglio composto in parti uguali da polacchi e cittadini di Danzica. La Polonia controllava le ferrovie. Dopo il 1933, il governo di Danzica fu costituito dal Partito nazionalsocialista. Come risultato delle elezioni del 1933 il Volkstag [parlamento di Danzica] era tenuto dai nazionalsocialisti. Nel giugno 1938, i nazionalsocialisti occupavano 70 dei 72 seggi, con i restanti due seggi occupati dai polacchi. (Per inciso, l’Alto Commissario a cui si riferiva Hitler come un diplomatico di “straordinario tatto” era Carl J. Burckhardt, che scrisse un libro di memorie rivelatore sul suo ruolo, Meine Danziger Mission).
Con l’avanzata delle forze sovietiche tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945, molti fuggirono dalla città e dalla regione. Alla fine della seconda guerra mondiale, i restanti tedeschi furono espulsi con la forza. Danzica e l’area circostante furono incorporate nel nuovo stato polacco
34. Il “Corridoio” ha dato allo stato polacco l’accesso al Mar Baltico, ma ha anche tagliato la provincia della Prussia orientale dal resto della Germania
35. Questo è un riferimento alle notizie di panico diffuse tra il pubblico americano generato da una trasmissione radiofonica il 30 ottobre 1938, di un adattamento del romanzo “La guerra dei mondi”. La presentazione di un’ora fu diretta e narrata da Orson Welles. Secondo quanto riferito, molti ascoltatori allarmati credevano che navi spaziali ostili provenienti da Marte stessero effettivamente atterrando e devastando gli Stati Uniti.
36. Un altro riferimento al panico scatenato negli Stati Uniti dalla trasmissione “War of The Worlds” di Welles. Vedi nota 35.
37. Tra i più importanti e influenti di questi studiosi americani c’erano Sidney Bradshaw Fay, Harry Elmer Barnes, Charles Beard e Charles C. Tansill.
38. Si tratta di un riferimento a un telegramma del presidente Roosevelt al cancelliere Hitler del 26 settembre 1938. Il cancelliere tedesco rispose immediatamente con un lungo messaggio, al quale Roosevelt rispose con un altro telegramma, datato 27 settembre 1938.
39. Un’utile rassegna delle numerose proposte di Hitler per la pace, la riduzione degli armamenti e così via è: Friedrich Stieve. Ciò che il mondo ha rifiutato: la pace offerta da Hitler 1933-1939
( http://ihr.org/other/what-the-world-rejected.html )
40. Questo è un riferimento al richiamo da parte del presidente Roosevelt dell’ambasciatore statunitense a Berlino il 14 novembre 1938, presumibilmente “allo scopo di ottenere un quadro di prima mano della situazione in Germania”. Successivamente, gli Stati Uniti non hanno avuto relazioni diplomatiche a livello di ambasciatori in Germania.
41. Si tratta di un riferimento in particolare all’Austria e alla Cecoslovacchia.
42. Questo è un riferimento all’Etiopia. In una campagna militare dall’ottobre 1935 al febbraio 1937, le forze italiane presero il controllo del paese e lo incorporarono nell’ “Africa orientale italiana”. Durante la seconda guerra mondiale, le forze alleate cacciarono gli italiani e restaurarono l’ “impero” etiope.
43. Il 2 aprile 1917 il presidente Wilson invitò il Congresso degli Stati Uniti a dichiarare guerra alla Germania. Nel suo discorso al Congresso, non affermò che gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra per difendere il paese dall’aggressione tedesca o per proteggere vitali interessi americani. Invece, dichiarò che gli Stati Uniti si sarebbero uniti al conflitto globale per “combattere così per la pace definitiva del mondo e per la liberazione dei suoi popoli, compresi i popoli tedeschi, per i diritti delle nazioni grandi e piccole e il privilegio degli uomini ovunque, di scegliere il loro modo di vivere e di essere governati. Il mondo deveva essere reso sicuro per la democrazia”.
44. Il Comitato Nye, ufficialmente il “Comitato speciale per le indagini sull’industria delle munizioni”, era un comitato del Senato degli Stati Uniti (1934-1936), presieduto dal senatore Gerald Nye. Il comitato, sostenuto pubblicamente dal presidente Franklin Roosevelt, condusse un’indagine approfondita sul ruolo degli interessi finanziari, bancari e commerciali americani nel coinvolgimento del paese nella prima guerra mondiale. Documentò gli enormi profitti realizzati dai produttori di armamenti americani durante la guerra. Scoprì che l’industria delle armi aveva esercitato una grande influenza sulla politica estera degli Stati Uniti prima e durante la prima guerra mondiale. Scoprì che i banchieri di New York avevano fatto pressioni sul presidente Wilson affinché intervenisse nella guerra per proteggere i loro prestiti all’estero.
45. Il presidente Wilson chiese una “associazione generale delle nazioni” al numero 14 dei suoi “Quattordici punti”, come esposto in un discorso a una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti l’8 gennaio 1918. Il programma dei “Quattordici punti” fu accettato dai governi britannico e francese e fu sulla base delle sue solenni assicurazioni che la Germania accettò nel novembre 1918 un armistizio. Di conseguenza, la Società delle Nazioni fu istituita come previsto dal Trattato di Versailles.
46. Quando fu istituita la Società delle Nazioni nel 1919-20, alla Germania non fu permesso di aderirvi. Quel divieto fu successivamente abbandonato e la Germania si unì alla Lega nel 1926. Dopo che Hitler prese il potere, la Germania rimase membro per alcuni mesi. Lui e il suo governo speravano che gli altri paesi membri trattassero con la Germania su una base di equità e reciprocità. In particolare, il governo di Hitler invitò la Lega, e soprattutto la Gran Bretagna e la Francia come stati membri, ad accettare di ridurre gli armamenti e le forze militari della loro nazione, adempiendo così agli impegni precedenti, o a consentire alla Germania disarmata di costruire il proprio esercito per la difesa nazionale. Fu solo dopo che questa richiesta fu respinta e i governi britannico e francese chiarirono il loro rifiuto di trattare la Germania su base paritaria che il governo tedesco annunciò, il 14 ottobre 1933, la sua fuoriuscita dalla Lega.
47. Un apparente riferimento a George Washington e Abraham Lincoln.
48. Punto 1 dei “Quattordici punti” del presidente Wilson.
49. Secondo la “dottrina Monroe”, che ha a lungo ispirato la politica estera degli Stati Uniti, gli Stati Uniti si opponevano a qualsiasi interferenza di qualsiasi potenza europea negli affari di qualunque paese dell’emisfero occidentale. Durante la fine del 1900 e i primi decenni del 20° secolo, gli Stati Uniti citarono la Dottrina Monroe anche per giustificare l’egemonia degli Stati Uniti e l’intervento militare diretto nei Caraibi, nell’America centrale e nella parte settentrionale del Sud America, tutti considerati nella “sfera di influenza” americana.
50. Cfr. nota 25.
51. Anteriormente alla prima guerra mondiale, la terra conosciuta come Palestina faceva parte dell’Impero Ottomano. Nel 1916 i funzionari britannici e francesi elaborarono l’accordo “Sykes Picot” in base al quale queste due potenze imperialistiche si sarebbero spartite le terre arabe dell’Impero Ottomano. In accordo con quel trattato segreto, la Gran Bretagna prese il controllo della Palestina alla fine della guerra e ne rimase al controllo fino al 1948.
52. Durante questo periodo, gran parte dei media americani, compresi i principali giornali, riviste, commentatori radiofonici e società di cinegiornali, condussero una campagna ben organizzata raffigurando la Germania di Hitler come uno stato malvagio e oppressivo che rappresentava una grave minaccia per l’America e il mondo, e il suo cancelliere come un pazzo guidato dalla brama di guerra e di distruzione. Ad esempio, diversi mesi prima del discorso di Hitler, il settimanale illustrato più influente del paese, la rivista Life (31 ottobre 1938), pubblicò un importante articolo intitolato “L’America si prepara a combattere Germania, Italia, Giappone”. Ai lettori fu detto che la Germania e l’Italia “bramano … le ricche risorse del Sud America” e che “flotte e legioni fasciste possono sciamare attraverso l’Atlantico”.
53. I governi di Francia, Gran Bretagna e altri paesi che hanno approvato i “Quattordici punti” di Wilson avevano promesso “adeguate garanzie date e prese che gli armamenti nazionali sarebbero stati ridotti al punto più basso compatibile con la sicurezza nazionale”. Allo stesso modo, Francia, Gran Bretagna e le altre nazioni che hanno firmato il Trattato di Versailles avevano concordato in quel documento: “Al fine di rendere possibile l’inizio di una limitazione generale degli armamenti di tutte le nazioni, la Germania si impegna a osservare rigorosamente le clausole militari, navali e aeree che seguono”.
54. Cfr. nota 39.
55. Punto 3 dei “Quattordici punti” del presidente Wilson.
56. Dopo che Hitler e il Partito nazionalsocialista presero il potere, le principali organizzazioni ebraiche negli Stati Uniti e in altri paesi agirono rapidamente per organizzare un boicottaggio internazionale delle merci tedesche, con l’obiettivo di paralizzare l’economia tedesca e quindi fare pressione sul governo tedesco affinché abrogasse o modificasse le sue misure discriminatorie contro gli ebrei e forse incoraggiando il “cambio di regime” in Germania. A New York City, una serie di manifestazioni organizzate da ebrei attirò grandi folle e il sostegno di eminenti non ebrei. I giornali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri paesi chiarirono la portata e la serietà di questo ambizioso sforzo. A Londra, il Daily Express di grande tiratura, ad esempio, riferì della campagna internazionale in un ampio articolo in prima pagina intitolato “La Giudea dichiara guerra alla Germania”. In Germania, i nazionalsocialisti risposero con un boicottaggio di un giorno contro le imprese ebraiche. Negli anni successivi, la campagna di boicottaggio anti-tedesca ottenne un crescente sostegno, non solo da parte degli ebrei, ma anche di molti non ebrei che detestavano o si opponevano alla Germania nazionalsocialista. Negli Stati Uniti, gruppi ebraici insistettero su questa campagna fino al dicembre 1941, quando Stati Uniti e Germania entrarono ufficialmente in guerra.
57. Punto 5 dei “Quattordici punti” del presidente Wilson.
Fonte: IHR – Traduzione dall’inglese