28 Ottobre 1943 – RITORNO ALLE ORIGINI
di Alessandro Pavolini
Celebrare oggi il 28 ottobre 1922 significa – contro tutte le viltà, le calunnie e le diserzioni – rivendicare la propria qualità di fascisti come titolo di fierezza e di onore. Da che abbiamo iniziato questa nostra riscossa non sono certo mancate le anime buone a suggerirci: per carità, cercate di far dimenticare che siete fascisti. Fatevelo perdonare. Usate il meno possibile l’aggettivo “fascista”.
Ma noialtri, evidentemente pazzi e sconsigliati, fascisti ci siamo proclamati, fascisti ci proclamiamo. Sissignori. Siamo quelli che ventun anni fa marciavano su Roma: siamo quelli stessi. E siamo, anche, quelli che nei quarantacinque giorni di Badoglio non rinnegarono la loro fede, nell’alternativa della morte, della prigione, dell’esilio.
Oggi, nell’anniversario della Marcia su Roma, noi diciamo agli Italiani: volgete lo sguardo a ricordare: dalla rivoluzione dell’ottobre ’22 uscì un’Italia, che costituisce appunto la nostra indeclinabile fierezza. Un’Italia grande, prospera, rispettata. Italiani di buona fede, dite voi se non fu tale l’Italia degli anni tra il 1930 e il 1940. Italiani della terra, ricordate come si rasciugarono le paludi e come vi nacque il grano. Italiani dei porti, ripensate a quante navi vedeste scendere sul mare e portare alta e lontano, dappertutto, la nostra bandiera. Italiani che foste all’estero, ricordate quale era allora il vostro prestigio. Italiani che foste in Africa Orientale, in Libia, in Egeo, rammentate quali furono le nostre prove di colonizzatori e di costruttori. Italiani che combatteste per l’Impero ed in Spagna, ripensate quale era la nostra giovane, vittoriosa e ben organizzata potenza.
E voi, operai, se anche la nuova realtà non fu sempre pari alla vostra speranza, ebbene, ponetevi onestamente la domanda: è vero o no che dal 1922 alle grandi annate di costruzione e di lavoro del regime fascista il vostro livello di vita si elevò in misura considerevole? E’ vero o no che le provvidenze per malattie, infortuni, vecchiaia, raggiunsero un alto limite? E’ vero o no che i vostri figli crebbero in salute e in educazione? E ancora, Italiani delle città, pensate quale fu il loro rapido ampliarsi e fiorire. Italiani delle arti e della scienza, riconoscete che mai trovaste aiuto più generoso per le vostre attività. E voi tutti, infine, Italiani che in quegli anni di sole viaggiaste l’Italia, rievocate quale era la bellezza delle strade, la disciplina di tutti i traffici, l’ordine del Paese, il rigoglio perfino fisico della razza.
Potremmo a lungo continuare. Ma preferiamo concludere, chiedendo: o Italiani che conoscete la vostra Patria e la sua lunga storia – pochi o molti che siate – considerate se dai tempi di Augusto ad oggi l’Italia visse mai un periodo di unitario splendore, comparabile a quello che attraversò felicemente sotto la guida di Mussolini.
Tutto questo non si cancella. Il maresciallo del tradimento ha potuto far scalpellare i fasci littori dalle opera pubbliche, non distruggere le opere. Ha potuto aizzare contro i fascisti le cronache di una stampa immonda, non destituire il Fascismo dalla storia d’Italia. Ha potuto decretare lo scioglimento della Camicie Nere, non disperdere, nei sacrari, le mute assemblee dei nostri Morti. Il Fascismo è una fede che ha trovato a migliaia i suoi martiri, da Berta e Sonzini e Maramotti fino a Ricci e Pallotta e Giani. Fino ad Ettore Muti e agli squadristi giuliani, Caduti fronte al bolscevismo partigiano. E’ un credo che parlò alla mente di uomini quali Gabriele D’Annunzio e Guglielmo Marconi. E’ un’idea che ha fatto il giro del mondo. E’ la somma di energie di tutto un popolo, tese durante un ventennio con incomparabile fervore ai fini più nobili. Nelle settimane d’infamia si cambiò la copertina ai nostri codici: la sostanza delle nostre leggi rimase, intatta e incorruttibile. Si coprì sulle pareti del Ministero delle Corporazioni la Carta del Lavoro: rimase l’ordinamento sindacale e sociale del Fascismo, senza variazioni. Gli annali dell’umanità racconteranno in eterno come Mussolini trasse il suo Paese dal baratro e lo portò sulle vette, facendone per le genti un fato.
Ma, purtroppo, il 28 ottobre 1922 non segnò soltanto la vittoria di quella rivoluzione, che doveva avviarci a tanta ascesa. Non segnò soltanto la conquista dei poteri in Roma. Segnò anche, in Roma, l’incontro tra il Fascismo di Mussolini e la monarchia dei Savoia.
Ormai, al lume di quanto è avvenuto, tutto è chiaro. Chi un giorno scriverà la storia “vera” della dinastia nella storia italiana, documenterà come essa, ponendosi quale unica forza di carattere continuativo, abbia invariabilmente teso a far rientrare nel temporaneo tutte le altre forze che via via sorgessero dal popolo, liquidandole ad una ad una dopo averle sfruttate. L’abbandono o il tradimento dei patrioti nelle prima fasi del Risorgimento, l’esilio di Garibaldi a Caprera al termine delle sue imprese, le dimissioni di Cavour dopo Villafranca, il drammatico declino di Crispi, la costante politica per cui la monarchia favoriva esteriormente il partito prevalente, fosse esso la destra storica o il socialismo, e nel contempo ne allevava l’affossatore o il corruttore, fosse esso la sinistra o il giolittismo, tutti questi episodi diversi, fino alle cannonate contro i legionari di Fiume, non sono in realtà che il precedente uniforme di quanto è finalmente avvenuto nei confronti del Fascismo.
Il re, che all’esterno avallava in pieno la politica fascista, contemporaneamente favoriva e collegava attorno al trono tutti gli elementi che all’occasione avrebbero potuto inferire il colpo fatale al Regime del Duce.
Stato maggiore del regio esercito, ammiragliato della regia marina, comandi dei reali carabinieri, ecco alcuni fra gli ambienti dove a più riprese si ordì la congiura cui la Corona faceva da scudo. Occorre riflettere che nello Stato monarchico i comandi delle Forze Armate sembravano in qualche modo appartenere al demanio regio, un poco come le tenute di Sant’Anna di Valdieri o di San Rossore. A un certo punto ci si imbatteva nei cartelli di divieto: riserva, bandita. A chi si era messo verso la Corona in rapporti di servizio leale, non rimaneva che rispettosamente fermarsi, fidando in altrettanta lealtà. Né il settore militare era l’unico dove il sabotaggio antifascista si preparasse dietro lo schermo sabaudo. L’alleanza tra i generali badogliani massonici, la plutocrazia collegata con gli ebrei, la zona arricchita e corrota del gerarchismo, questo intrigo di collari dell’Annunziata e di nuovi duchi, conti, baroni e marchesi si realizzò anch’esso intorno al Quirinale ed ebbe nel ministro della real casa il suo sebretario losco e zelante.
Fu dunque – è questo un punto da fissare ben chiaro – fu dunque la monarchia che rese impossibile di prevenire e in parte di prevedere il tradimento, coprendolo per intero con la propria autorità allora indiscussa e suprema. Ed oggi, e per le stesse ragioni, è colpendo la monarchia a piè del tronco che si abbattono insieme tutte le forze oscure che hanno impedito la vittoria alla Patria in guerra e l’hanno trascinata giù dai vertici del benessere e del prestigio verso l’abisso della vergogna e della miseria.
Sì, la monarchia non esitò a portarci alla disfatta e alla capitolazione, pur di seppellire il Fascismo. Ma sarà invece il Fascismo, rinato repubblicano com’era nel profondo istinto del suo periodo originario, a seppellire la monarchia ed a riportare l’Italia alla resistenza e alla vittoria finale.
Un’altra volta, come nel remoto ottobre della nostra adolescenza, il Fascismo ha marciato su Roma. Fin dal giorno stesso della capitolazione, col pianto nella gola noi insorgemmo e gridammo: no! c’è un’altra Italia oltre a questa! c’è un’Italia che è stata tradita e che non sa tradire! Non ancora i camerati germanici avevano sviluppato la pronta reazione che doveva portarli a ristabilire il dominio della situazione militare, contro gli angloamericani. Non ancora Mussolini era stato liberato, e questo evento sembrava impossibile, fuorché alla nostra irragionata certezza. Ma ecco che nel nome di Lui proclamammo il nuovo governo e per la prima volta dopo 45 giorni gli Italiani riascoltarono la parola del Fascismo e le note di “Giovinezza”. Poi, per tutti noi, per quelli che in carcere non disperavano, per quelli che in armi rifiutarono gli ordini infami e continuarono il combattimento, per tutti gli uomini e le donne di carattere e di onore, la liberazione di Mussolini a opera di un pugno di arditissimi soldati del Führer fu il miracolo atteso, il miracolo che solo una mistica fede può attendersi.
E riudimmo il timbro inconfondibile dei suoi ordini. In immediata obbedienza, squadristi e combattenti, anziani e giovani riaprirono le nostre sedi, in tutta Italia, riaccesero la fiamma e la difesero. In una Roma che rigurgitava di truppe e di polizie dai comandi infeudati a Badoglio, e nei cui rioni il tradimento aveva sparso a piene mani, nel miraggio della sedizione, le armi sottratte all’Esercito e i milioni rubati nelle casse sindacali, risollevammo la nostra insegna e rinconquistammo all’Italia lo Stato.
Da allora, cioè dall’inizio effetivo della nostra attività di governo, poco più di un mese è strascorso. Solo chi sa in quali condizioni di disastrosa inefficienza fosse ridotta quella macchina statale che prima di Badoglio funzionava in ogni sua parte, può capire le difficoltà che si sono superate, nell’assillo dei mille problemi urgenti, e come le apparenti lentezze abbiano forse rappresentato il massimo della celerità possibile. Per confermare il carattere di città aperta a Roma, la capitale si è trasferita, mediante il trasporto alquanto complesso di tutti gli essenziali strumenti di governo. Sotto l’impulso di un soldato di razza la organizzazione delle Forze Armate repubblicane ha compiuto i primi e fondamentali passi in avanti. Nell’abolizione del “marco di occupazione” ha visibilmente culminato l’inizio della normalizzazione nei rapporti della vita civile.
Il Consiglio dei Ministri presieduto ieri dal Duce ha perfezionato l’immediata formazione degli speciali Tribunali che giudicheranno i colpevoli della sconfitta e del disonore, mandando a morte i traditori. A giustizia fatta, e quando anche l’opera della Commissione per gli illeciti arricchimenti avrà finito di discriminare il marcio dal sano e le denunzie dalle calunnie, allora sarà il caso di consacrare per sempre quanto già oggi, in questo anniversario di inobliabile storia, abbiamo affermato e affermiamo: essere stato il Fascismo, infinitamente al di sopra delle ondate di fango con cui il tradimento e la diffamazione tentarono invano di insozzarne l’architettura alta e perenne, un movimento ideale di portata storica e mondiale, a cui più di una generazione di Italiani ha già consacrato in assoluta purezza il fiore del suo sangue e dei suoi sacrifici.
La stessa disinteressata passione che li mosse attraverso l’agro nell’autunno del ’22 è quella che anima oggi i fascisti repubblicani. Per decisione del Duce, in una vicina riunione, il Partito preciserà le proprie direttive programmatiche sui più importanti problemi statali e sulle nuove realizzazioni da raggiungere nel campo del lavoro, le quali, più propriamente che sociali, non abbiamo alcuna peritanza a definire socialiste. Dopo di che, l’Assemblea Costituente darà alla Repubblica le leggi basiche.
La Repubblica nasce fra lo schianto degli esplosivi, nel disperato impeto vitale di una gente tradita la quale sa che per essa riconquistare la stima fa tutt’uno col riconquistare il diritto di esistere. La Repubblica nasce nella tragedia, ma nella purezza. E’ possibile che vi sia un giovane, dico giovane, il quale non senta il suo richiamo imperioso? il quale si attardi nella critica sofistica o nell’accidia incomprensiva?
La Repubblica chiama. Chiama alle armi, contro il nemico plutocratico che strazia le nostre città e vuole smembrare il nostro paese. Alle armi, per moltiplicare oggi la resistenza contro l’invasore e per cacciarlo domani. Alle armi, perché il prode soldato germanico che adesso quasi da solo sbarra gli accessi alle nostre case possa presto tornare a vedere in ciascuno di noi il camerata, pari a lui camerata nell’orgoglio sovrano di portare con dignità le proprie armi di uomo il quale sa di difendere la propria terra, come sempre è stata tradizione passata e recente dei soldati d’Italia.
Ai piedi della Repubblica, come su una soglia augusta, i fascisti, gli uomini dell’ottobre ’22 e del settembre ’43, depongono le loro peculiarità di gente di un movimento e di un programma. La Repubblica non è una parte politica, come non è una parte geografica. Essa comprende tutti gli Italiani degni del nome, in tutta la terra che è Italia. Essa è la Patria. E’ la razza. E’ lo Stato. E’ l’dea di Mazzini e di Mussolini.
E’ l’antico tricolore che in una lontana primavera nacque senza stemmi, sulla sua parte bianca, là dove noi idealmente iscriviamo, come su una pagina tornata vergine, una sola parola: ONORE.