NEGARE LA STORIA
CARLO MATTOGNO
“NEGARE LA STORIA” E NEGARE LA VERITA’
LA FALSA “CONVERGENZA DI PROVE” DELL’ “OLOCAUSTO”
INTRODUZIONE
Michael Shermer e Alex Grobman hanno pubblicato negli Stati Uniti un libro intitolato “Denying History. Who Says the Holocaust never Happened and Why Do They Say it?” che è apparso alcuni mesi fa in traduzione italiana col titolo: “Negare la storia. L’Olocausto non è mai avvenuto: chi lo dice e perché” (1). Si tratta di una critica al revisionismo che ha l’ambizione di porsi – al di sopra dei polemisti precedenti – su un piano oggettivamente scientifico. Gli Autori si atteggiano a (moderati) difensori della libertà di parola e compilano pagine e pagine di filosofia della storia e di excursus vari che, oltre a ostentare erudizione, servono più banalmente da semplici riempitivi. Un lavoro “durato diversi anni” e che ha richiesto una trasferta dagli Stati Uniti in Europa per condurre “una ricerca nei campi, in particolare a Mauthausen, Majdanek, Treblinka, Sobibor, Belzec, Dachau, Auschwitz e Auschwitz-Birkenau [sic!]” (p. 176) – possiamo immaginare con quali spese per i finanziatori dell’impresa – non poteva infatti dare come frutto un opuscolo di alcune decine di pagine – a tanto si riduce infatti la loro opera senza tali orpelli.
“Negare la storia” ha grandi ambizioni confutatorie e probatorie:”controbattere, quasi punto su punto, le tesi dei negazionisti“, come avverte Daniele Fiorentino, che ne ha curato la Presentazione (p. 8), anzi, “tutte le tesi dei negazionisti” (p. 13); riprendere “punto per punto le posizioni di coloro che negano l’Olocausto confutandole fin nel più minimo dettaglio”, come ribadisce il prefattore Athur Hertzberg (pp. 26-27).
Giudizio chiaramente espresso dagli Autori: «A questo fine contestiamo nel dettaglio le tesi e le argomentazioni di coloro che negano l’Olocausto, presentiamo un’analisi approfondita delle loro motivazioni e della loro personalità e dimostriamo accuratamente, con solide prove, come facciamo a sapere che l’Olocausto ha avuto luogo» (p.37).
Gli Autori concludono sperando addirittura che la loro opera abbia fornito «un’esauriente e ragionata risposta a tutte le tesi di coloro che negano l’Olocausto» (p. 328).
Dunque essi avrebbero confutato “nel dettaglio” tutte le tesi di tutti i revisionisti. Ciò è assolutamente falso (2). Le pretese confutatorie degli Autori sono dunque già radicalmente inficiate da questa menzogna di fondo.
A siffatti precettori di menzogne ho già dedicato tre studi, nei quali ho confutato ad uno ad uno le loro false accuse:
– Olocausto: dilettanti allo sbaraglio. Edizioni di Ar, 1996, 322 pagine;
– L’”irritante questione” delle camere a gas ovvero da Cappuccetto Rosso ad Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty. Graphos, Genova 1998, 188 pagine;
– Olocausto: dilettanti a convegno. Effepi, Genova 2002, 182 pagine.
Nessuno ha mai risposto agli argomenti esposti in tali libri, però le tesi palesemente false, di cui ho dimostrato la palese falsità, di autori come Pierre Vidal-Naquet o Valentina Pisanty – tanto per fare due nomi -continuano ad essere citate di scritto in scritto “antinegazionista”, dando vita a una sequela di fonti incestuose, procedimento che gli Autori attribuiscono ovviamente alla storiografia revisionistica (p. 318).
Lungi dai vaneggiamenti su inconfessabili matrici antisemitiche e neonaziste delle opere revisionistiche, questo libro (come spiegherò successivamente) nasce dall’indignazione di fronte alle imposture di M. Shermer e di A. Grobman – tutte rigorosamente documentate – e, soprattutto, dal piacere di smascherarle come tali e di ristabilire la verità storica. Pur essendo ben consapevole che anche questo libro cadrà inevitabilmente nel silenzio catacombale della storiografia olocaustica, esso sarà utile alle persone oneste e libere da pregiudizi non soltanto perché vi adduco argomenti ed approfondimenti nuovi rispetto ai tre libri summenzionati, ma anche perché esso è la dimostrazione di come uno storico revisionista possa demolire in un paio di settimane un lavoro “durato diversi anni” con la collaborazione di tutto l’establishment olocaustico mondiale – e ciò, per gli storici che ne fanno parte, oltre ai solidi argomenti che provocano i loro imbarazzati silenzi, è indubbiamente la cosa più sconvolgente.[Requiescant in pace (nota di BW5a)]
CAPITOLO I
REVISIONISTI E METODI REVISIONISTICI
1) I revisionisti
A differenza dei loro predecessori, nella loro trattazione gli Autori vogliono porsi su un piano strettamente scientifico:
«Pensiamo che sia il momento di andare oltre gli insulti e di presentare le prove» (p. 52).
Con ciò essi dimostrano di conoscere bene la natura delle critiche al revisionismo precedenti: insulti e assenza di prove!
Essi fanno mostra perfino di rigettare i più logori pregiudizi antirevisionistici:
«Le sottigliezze e le complessità del movimento di negazione dell’Olocausto resistono alle etichette onnicomprensive quali “antisemita” o “neonazista“.
Fare ricorso alle etichette significa non comprendere ciò che sta realmente avvenendo e di conseguenza scagliarsi contro falsi bersagli» (p. 52).
Ma poi essi stessi non resistono alla tentazione di fare ricorso alle etichette di “antisemita” e di “neonazista”, asserendo che, secondo loro, nel revisionismo “il tema antisemita torna sempre” e che “difficilmente si può separare con chiarezza il movimento di negazione dell’Olocausto dai sentimenti antisemiti» (p. 131).
E, dulcis in fundo:
«Secondo noi coloro che negano l’Olocausto ritengono di acquisire potere [sic!] riabilitando coloro che ammirano e denigrando tutti quelli che a loro parere sminuiscono la loro ammirazione. [.]. La storia dell’Olocausto è un disonore per il nazismo. Se si nega la veridicità dell’Olocausto il nazismo comincia a perdere il suo stigma» (p. 319).
Questo è il vero significato della formula secondo la quale il revisionismo è “la riscrittura del passato per ragioni personali o politiche attuali” (p.36) della quale gli Autori si compiacciono! (cfr. p. 73 e 302). Ecco dunque rientrare dalla finestra le trite diffamazioni che gli Autori hanno finto di cacciare dalla porta. E rientrano anche gli insulti. Nessun individuo “sano di mente direbbe che l’Olocausto non è mai avvenuto“, ergo.
Senza contare che il revisionismo “è un affronto alla storia e al modo in cui la scienza della storia viene praticata” (p. 318), e “un mondo alla rovescia, dove il nero è bianco, l’alto è basso e le normali leggi della ragione non sono più valide” (p. 35).
Tuttavia gli Autori ammettono che i revisionisti «sono altamente motivati, piuttosto ben finanziati [magari!] e spesso molto ferrati negli studi dell’Olocausto. [.].
I negazionisti sanno molte cose sull’Olocausto» (pp. 53-54).
Anzi, essi hanno trovato perfino “relativamente gradevoli” i revisionisti americani che hanno incontrato, giudizio un po’ strano per dei presunti neonazisti antisemiti non “sani di mente”!
La realtà del revisionismo storico è ben altra cosa. Ogni pretesa di far rientrare a forza gli storici revisionisti nelle logore categorie dell’antisemitismo e del neonazismo viene avanzata unicamente “per ragioni personali o politiche attuali” ed è fallace, come è fallace il titolo stesso del libro degli Autori: ”Negare la storia”. Ciò che gli storici revisionisti negano, non è la “storia”, ma la distorta interpretazione della storia fornita dagli storici ufficiali. Lo stesso revisionismo è nato come negazione di questa distorsione, e dunque come riaffermazione della verità storica.
L’attività revisionistica di Paul Rassinier è cominciata infatti come negazione delle menzogne di cui era costellata la letteratura concentrazionaria del dopoguerra (3), come indignazione di fronte a tali menzogne e desiderio di ristabilire la verità. Questa è appunto una delle motivazioni più importanti che spingono gli storici revisionisti:
l’indignazione per le imposture degli storici ufficiali, che abusano delle loro posizioni di potere per ingannare i lettori ignari e che tali posizioni possono mantenere soltanto continuando ad ingannare i lettori ignari. E questa è anche l’origine di questo studio sulle imposture di “Negare la storia”: l’indignazione per le imposture storiche ordite dagli Autori e il desiderio di riaffermare la verità storica.
Come abbiamo visto nell’Introduzione, gli Autori pretendono di aver confutato “nel dettaglio” tutte le tesi di tutti gli storici revisionisti. A questo riguardo essi spiegano:
«Abbiamo cercato di verificare l’esattezza delle nostre ipotesi sui negazionisti attraverso incontri e interviste con gli esponenti principali del movimento di negazione dell’Olocausto, partecipazioni alle loro conferenze e ai loro incontri, e la lettura attenta delle loro pubblicazioni» (pp. 38-39).
Per loro, infatti, il revisionismo si esaurisce in M. Weber, D. Irving, R.Faurisson, B. Smith, E. Zündel e D. Cole (pp. 85-113).
Arthur Butz è già un osso troppo duro per i nostri Autori, perciò essi si limitano a liquidare il suo libro “The Hoax of the Twentieth Century” come “quella che è diventata la Bibbia del movimento” (p. 79), cosa che evidentemente vale soltanto per il loro angusto provincialismo, e questo è tutto; lo stesso dicasi per il loro giudizio su Mark Weber come “colui che ha la più vasta conoscenza della storia dell’Olocausto” dopo D. Irving (p.85).
Gli Autori, infatti, nella loro megalomania americocentrica, hanno dimenticato tre dettagli non propriamente irrilevanti:
1) essi hanno preso in considerazione soltanto una parte del revisionismo americano (ignorando ad esempio F. Berg, W.N. Sanning, S. Crowell, B. Renk, T. O’Keefe, W. Lindsey, M. Hoffman);
2) il revisionismo americano è soltanto una piccola parte del revisionismo mondiale;
3) il revisionismo americano, con tutto il rispetto per la sua storia, per quanto riguarda la ricerca, è ben lungi dall’essere la parte più importante del revisionismo mondiale, la quale è rappresentata dal revisionismo europeo. Ma per gli Autori questo significa soltanto Robert Faurisson, delle cui argomentazioni hanno preso in esame soltanto una parte assolutamente insignificante, per di più, come vedremo nel paragrafo seguente, travisandole spudoratamente!
La realtà è che, attualmente, revisionismo significa la rivista “Vierteljahrshefte für freie Geschichtsforschung” (PO Box 118, Hastings TN34 3ZQ, Inghilterra), il suo fondatore, Germar Rudolf, e i suoi collaboratori; revisionismo significa Jürgen Graf, J.M. Boisdefeu, Enrique Aynat, Henri Roques, Pierre Marais, Serge Thion, P. Guillaume, Udo Walendy, I. Weckert, H.J. Nowak, W. Rademacher e chi scrive, per citare i più noti. Nella “bibliografia revisionistica essenziale” che nel 1996 ho esposto nel libro già citato “Olocausto: dilettanti allo sbaraglio” (pp. 308-309) figuravano 33 titoli: gli Autori ne hanno presi in esame 4 di cui 3 americani!
E, sebbene abbiano selezionato questa modesta sezione del revisionismo, gli Autori hanno dovuto faticare per anni per ottenere una parvenza di risposta fondata:
«Questo problema è sorto alla nostra attenzione parlando con i principali studiosi mondiali dell’Olocausto. In parecchi casi abbiamo dovuto fare molti sforzi nel corso di questo progetto, durato diversi anni, per ottenere risposte alle nostre domande» (p. 36)(corsivo mio).
Cioè “i principali studiosi mondiali dell’Olocausto” non sapevano che cosa replicare neppure agli argomenti revisionistici minori accuratamente scelti dagli Autori!
Figuriamoci se – secondo le loro fallaci promesse – avessero dovuto rispondere veramente a tutte le argomentazioni essenziali del revisionismo: il loro “progetto” sarebbe durato interi decenni!
2) Il vero metodo storico e i presunti metodi dei revisionisti
Nel capitolo 9 gli Autori presentano un lungo excursus su “Lo stupro di Nanchino” – presunto crimine di guerra durante l’invasione giapponese della città cinese di Nanchino nel dicembre 1937 – la cui “ricostruzione [storica] culminò il 3 maggio 1946, quando il Tribunale militare internazionale per l’Estremo Oriente aprì quello che divenne poi noto come il processo di Tokyo per i crimini di guerra” (pp. 299-300). In altri termini, il presunto fatto fu “ricostruito” per dimostrare l’immane ferocia giapponese e giustificare moralmente le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e i bombardamenti a tappeto di Tokio da parte degli Americani.
Dopo questo diversivo, gli Autori ritornano finalmente al loro tema, esponendo i dieci cardini della metodologia storiografica scientifica:
«1. Quanto è affidabile la fonte da cui ha origine la tesi? I negazionisti possono sembrare abbastanza affidabili quando citano fatti e cifre, ma un esame più attento spesso rivela che questi dettagli sono stati distorti o estrapolati dal contesto.
- La fonte ha presentato altre tesi chiaramente esagerate? Se un individuo è noto per avere travisato i fatti in precedenza, ciò chiaramente mina la sua credibilità. [.].
- La tesi è stata verificata da un’altra fonte? In genere i negazionisti fanno affermazioni che non sono state verificate, o lo sono state soltanto da un altro negazionista. [.] Una verifica esterna è cruciale per una buona scienza e una buona storia.
- Come si adatta la tesi a ciò che sappiamo del mondo e di come funziona?[.].
- Qualcuno, compreso soprattutto il suo sostenitore, ha fatto di tutto per confutare la tesi, o sono state cercate solo prove di conferma? Questo è noto come “pregiudizio della conferma”, la tendenza a cercare prove di conferma e rigettare le prove che smentiscono la tesi. [.].
- In assenza di prove chiaramente definite, la preponderanza delle prove converge sulla conclusione del sostenitore della tesi o su una conclusione diversa? I negazionisti non cercano prove che convergano su una conclusione; cercano prove che si adattino alla loro ideologia. Esaminando i vari resoconti di testimoni oculari dell’uccisione con il gas ad Auschwitz, ad esempio, troviamo che le storie hanno un solido nucleo che porta a una teoria forte di ciò che è accaduto. I negazionisti, invece, selezionano delle discrepanze minori nei resoconti dei testimoni oculari e le gonfiano fino a renderle anomalie che smentiscono la teoria. Invece di passare in rassegna le prove nel loro insieme, si concentrano su qualunque dettaglio che sostenga il loro punto di vista.
- Il sostenitore della tesi sta utilizzando le regole condivise della ragione e gli strumenti della ricerca o soltanto quelli che conducono alla conclusione desiderata? [.].
- Il sostenitore della tesi ha fornito una diversa spiegazione per il fenomeno osservato, o ha solo negato la spiegazione esistente? [.].
- Se il sostenitore della tesi ha offerto una nuova spiegazione, questa dà conto di altrettanti fenomeni di [sic] quanti ne chiariva la vecchia spiegazione? [.].
«10. Le conclusioni sono una conseguenza delle convinzioni personali e dei pregiudizi del sostenitore della tesi o è vero il contrario?» (pp. 314-317).Ed ecco il presunto comportamento dei revisionisti di fronte a questi principi metodologici:
«I negazionisti di solito sono inaffidabili nella loro selezione dei fatti storici. Spesso fanno affermazioni oltraggiose. Le affermazioni sono raramente verificate con altre fonti, e quando lo sono queste fonti sono spesso incestuose. I negazionisti non tentano quasi mai di smentire le proprie tesi e cercano piuttosto solo prove di conferma. Solitamente non giocano secondo le regole condivise dello studio della storia, non offrono una teoria alternativa per dare conto dei dati storici, e quindi non possono fare appello a nessuna convergenza di prove per la loro teoria inesistente [sic]. Infine, come abbiamo dimostrato con abbondanza di prove, sono le convinzioni personali e i pregiudizi di coloro che negano l’Olocausto a dettare le loro conclusioni» (p. 318).
In questo studio dimostrerò “con abbondanza di prove” che qui gli Autori hanno delineato un ritratto perfetto di sé stessi e dei loro metodi. Ma prima di entrare nel vivo della discussione, voglio premettere qualche osservazione generale.
Per cominciare, è fin troppo facile rilevare che l’intera opera degli Autori contravviene in modo plateale al punto 1 del loro decalogo metodologico, in quanto essa è basata su una selezione preliminare di autori e argomenti revisionisti, amputandone e distorcendone in tal modo il quadro argomentativo.
Nella loro opera gli Autori hanno adottato una formula magica, la “convergenza di prove“, presuntivamente adottata dagli storici ufficiali e presuntivamente negletta dagli storici revisionisti. La formula fu inventata da R.J. Van Pelt nella sua perizia di parte per il processo Irving-Lipstadt nota come “The Pelt Report”. Non esistendo alcuna “prova” della realtà dello sterminio ebraico in camere a gas omicide, Van Pelt raccolse tutti gli “indizi” disponibili (inclusi quelli di J.-C. Pressac), li promosse abusivamente al grado superiore di “prove” e inventò una “convergenza di prove” che non è altro che impostura scientifica.
Esaminiamo ad esempio la “convergenza di prove” addotta dagli Autori per Auschwitz. Le testimonianze oculari avrebbero tutte un “nucleo solido” che convergerebbe verso la realtà delle gasazioni omicide. Gli storici revisionisti, dal canto loro, si attaccherebbero a “discrepanze minori” e a “qualunque dettaglio” per demolire l’intera testimonianza.
E’ vero esattamente il contrario. Tanto per cominciare, gli Autori stessi e la maggior parte degli storici ufficiali ignorano il testo integrale di queste testimonianze oculari, che conoscono soltanto da poche crestomazie (4) realizzate selezionando attentamente i passi delle testimonianze in modo da creare una illusoria “convergenza” ed epurando tutte le enormità e le contraddizioni che esse contengono.
Un tipico esempio di questa “convergenza” ci è offerta da G. Reitlinger.
Descrivendo le presunte gasazioni omicide a Birkenau, egli si appella:
- a) a Ada Bimko per i “carrelli” per il trasporto dei cadaveri ai forni;
- b) a Miklos Nyiszli per il processo di gasazione;
- c) a Charles Sigismud Bendel per l’evacuazione delle camere a gas (5).
A leggere la narrazione di Reitlinger, sembra che tutti i testimoni descrivano le medesime strutture e i medesimi fatti, ma la realtà è ben diversa.
Ada Bimko non ha mai messo piede in un crematorio. Ella ha inventato la storia alquanto fantasiosa di una sua visita ad un crematorio in cui “vide” una camera a gas equipaggiata con “due enormi contenitori metallici che contenevano il gas” e con rotaie che da essa portavano direttamente alla sala forni (6). La sprovveduta testimone “oculare” credeva infatti che le presunte gasazioni omicide venissero fatte con un gas simile al metano (perciò inventò i due serbatoi) e che, secondo il cosiddetto rapporto Vrba-Wetzler, un binario a scartamento ridotto andasse dalle “camere a gas” alle sale forni (7). In realtà in nessuno dei crematori di Birkenau i locali cui la storiografia ufficiale attribuisce la funzione di camere a gas omicide erano collegati alle rispettive sale forni da rotaie e vagoncini. Si tratta dunque una volgare falsa testimonianza (8).
- Nyiszli e C.S. Bendel, due sedicenti membri del cosiddetto “Sonderkommando” (9) di Birkenau che vissero presuntivamente negli stessi luoghi e nello stesso tempo, tanto per non approfondire troppo, descrissero le presunte camere a gas dei crematori II e III di Birkenau, che misuravano metri 30 x 7 ed erano alte m 2,41, come locali lunghi 200 metri il primo (10), come locali lunghi 10 metri, larghi 4 e alti 1,60 il secondo (11).
Ora, che ad un locale di 30 metri venga attribuita da due testimoni diversi una lunghezza di 200 e di 10 metri è un semplice “dettaglio”?
E che dire del fatto che M. Nyiszli inventò e fece pubblicare sul giornale ungherese “Világ” una serie di articoli che riportavano la sua testimonianza al processo IG-Farben puramente inventata? (12). Un altro “dettaglio”? E delle innumerevoli falsificazioni storiche che ho messo in evidenza in uno studio apposito? (13) Ancora “dettagli”?
Un altro esempio di falsa “convergenza” è la descrizione dei testimoni oculari F. Müller e M. Nyiszli del processo di gasazione: ma il primo ha plagiato il secondo (utilizzando la traduzione tedesca del suo libro apparsa nella rivista “Quick” di Monaco nel 1961 col titolo “Auschwitz. Tagebuch eines Lagerarztes”), il quale ha inventato la scena che ha descritto sul presupposto – errato – che lo Zyklon B impiegato per le gasazioni omicide fosse a base di cloro e che conseguentemente avesse una densità molto maggiore dell’aria (14). Qui dunque abbiamo sì una “convergenza”, ma nella menzogna. Un’altra “convergenza” nella menzogna è la storiella dei congegni di rete metallica per l’introduzione dello Zyklon B nelle presunte camere a gas dei crematori II e III, pretesamente fabbricato da M. Kula e “visto” da H. Tauber, congegni che non sono mai esistiti! (15).
Ecco come si fabbrica la conclamata “convergenza di prove”! In questo studio ne addurrò altri esempi significativi.
Il punto 2 del decalogo metodologico degli Autori recita, come abbiamo visto che, “se un individuo è noto per avere travisato i fatti in precedenza, ciò chiaramente mina la sua credibilità”. In parole semplici, se un individuo ha mentito una volta, non ha più alcuna credibilità”. Giustissimo, ma gli storici ufficiali si guardano bene dall’applicare questo principio ai loro testimoni oculari! Per restare ad Auschwitz, si può affermare con certezza e senza timore di smentita che nessuno di essi – e sottolineo nessuno – ha detto la verità sui forni crematori di Birkenau, ma tutti – e sottolineo tutti – hanno mentito spudoratamente sulla conduzione e sulla capacità di cremazione di questi impianti, fino agli apici ineguagliati del ridicolo e dell’assurdo di D. Paisikovic (la cremazione durava 4 minuti!) (16), di S.Jankowski alias A. Feinsilber (in ogni muffola si potevano cremare 12 cadaveri alla volta!) (17) e di M. Nyiszli (capacità dei crematori di Birkenau di 20.000 cadaveri al giorno!) (18).
E che dire della verifica delle fonti? In un’opera di oltre 350 pagine che pretende non solo di confutare tutte le argomentazioni di tutti i revisionisti, ma perfino di dimostrare che il presunto Olocausto è realmente avvenuto, gli Autori, tranne che per un paio di casi, si affidano sempre a fonti di seconda mano per quanto riguarda le testimonianze, e la stessa cosa vale per i documenti. Essi menzionano infatti, in tutto, quattro documenti.
Poiché il decalogo metodologico summenzionato impone anche agli Autori la verifica accurata delle fonti, dobbiamo presumere che essi abbiano controllato almeno i relativi riferimenti. Verifichiamo.
A p. 153 essi menzionano l’SS-Standartenführer Paul Blobel in connessione con la cosiddetta “Aktion 1005″ (sulla quale ritornerò nel § 3 del capitolo III) e citano il documento PS-3197 (nota 20 a p. 339); il riferimento corretto è NO-3947, dichiarazione giurata di Paul Blobel del 18 giugno 1947.
A p. 232 essi scrivono:
«Il 26 novembre 1945, al primo processo di Norimberga, il medico nazista dottor Wilhelm Hoettel [sic] testimoniò.».
In realtà Wilhem Hoettl non testimoniò affatto al processo di Norimberga; gli Autori prendono per una “testimonianza” un semplice “affidavit” redatto, appunto, il 26 novembre 1945 (documento PS-2738, come da essi indicato a p.344, nota 5).
A p. 245 gli Autori riportano un passo di un discorso di Hans Frank, il governatore del Generalgouvernement (Governatorato generale), del 7 ottobre 1940. Il riferimento da essi addotto è PS-3363 (nota 28 a p. 345).
In realtà il discorso (sul quale ritornerò nel § 7/1 del capitolo III) fu tenuto il 20 dicembre 1940 e il documento è il PS-2233!
Infine, a p. 253 gli Autori citano un rapporto di Himmler per Hitler del 29 dicembre 1942 con il riferimento “N.D. [= documento di Norimberga] 1120, reperto dell’accusa 237” (nota 47 a p. 345). In realtà di tratta del documento NO-511.
Come si vede, gli Autori hanno rispettato perfettamente il dovere metodologico della verifica delle fonti!
Come esempio dell’inosservanza da parte revisionistica del punto 4 del loro decalogo metodologico, gli Autori adducono «le elaborate teorie della cospirazione dei negazionisti su come gli Ebrei avrebbero congegnato la storia dell’Olocausto per ottenere riparazioni dalla Germania e sostegno americano a Israele» (p. 315).
Già in precedenza gli Autori avevano scritto che “alcuni negazionisti”affermano che
«ci fu una cospirazione dei sionisti affinché si esagerassero le condizioni degli Ebrei durante la guerra, per finanziare lo Stato di Israele con i risarcimenti di guerra» (p. 151).
Come fonte di questa sciocca storiella, che nessuno storico revisionista si sognerebbe mai di sottoscrivere, gli Autori adducono la seguente indicazione:
«Vedi P. Rassinier, Debunking the Genocide Myth: A Study of the Nazi Concentration Camps and the Alleged Extermination of European Jewry (19), Los Angeles, Noontide Press, 1978» (nota 13 a p. 338).
Il riferimento non menziona la pagina, perché la storiella è stata inventata dagli Autori; essa non è altro che un loro travisamento di un passo del prefattore del libro, Pierre Hofstetter, che ha menzionato in realtà «l’intero establishment sionista che ha costruito lo Stato di Israele sul “mito dei sei milioni”» (20), ossia i sionisti hanno sfruttato, non creato,questo “mito”.
A R. Faurisson gli Autori riservano un trattamento ancora più disonesto…
A p. 100 essi scrivono:
«In una pubblicazione del 1987, ad esempio, [Faurisson] sosteneva che Martin Gilbert, storico britannico dell’Olocausto, aveva sbagliato a riferire la grandezza di una camera a gas per farla corrispondere con il numero di morti di cui aveva parlato un testimone oculare in un’occasione specifica.
Faurisson non ha preso in considerazione il semplice fatto che i dettagli forniti dai testimoni oculari possono inavvertitamente essere imprecisi (in questo caso forse anche esagerati) e che quindi può darsi che la fonte di Gilbert si sbagliasse».
Come vedremo subito, questa sarebbe “una cantonata” di Faurisson.Verifichiamo, secondo i dettami del decalogo metodologico degli Autori.
Nella sua relazione del 6 maggio 1945, Kurt Gerstein ha scritto che 700-800 persone si trovavano in una camera a gas di 25 metri quadrati e 45 metri cubi (21), c’erano dunque 28-32 persone per metro quadrato!
Martin Gilbert,nel 1979, ha citato questo stesso passo così: «Circa settecento-ottocento persone in un’area di circa cento metri quadrati (in an area of about hundred square metres)» (22).
Dunque M. Gilbert non ha “sbagliato” a riferire la superficie della presunta camera a gas, ma ha falsificato il dato contenuto nel documento originale perché era assurdo. Quanto agli Autori, sono proprio essi ad aver preso una enorme “cantonate”, perché anzitutto non hanno verificato la fonte di M. Gilbert e in secondo luogo hanno inventato la storiella di una diversa fonte da lui utilizzata!
Proseguiamo nella lettura:
«Una cantonata analoga l’ha presa nella sua analisi del famoso documento Gerstein. Kurt Gerstein, un ufficiale delle SS coinvolto nell’ordinazione di gas Zyklon-B che veniva usato sia per la disinfestazione che per lo sterminio, prima di morire in prigione, dopo la guerra, lasciò una testimonianza sull’uso omicida del gas. Faurisson e altri hanno cercato contraddizioni interne nella sua deposizione sostenendo, ad esempio, che il numero di vittime stipato nelle camere a gas non ci sarebbe entrato fisicamente. Si è scoperto che Faurisson basava le sue stime sul numero di persone che entrano comodamente in un vagone della metropolitana; da allora ci sono state altre persone (tra cui dei negazionisti) che hanno smentito le sue affermazioni» (pp. 100-101).
Il riferimento è al libro di P. Vidal-Naquet “Gli assassini della memoria” [Editori Riuniti, Roma 1993] (nota 65 a p. 335), ovviamente senza indicazione della pagina. Infatti questa pagina non esiste, perché questa faceta storiella è stata inventataadagli Autori. Essi non si sono neppure accorti che questa loro “cantonata” riguarda lo stesso passo dello stesso documento della loro citazione precedente! Ora, per dimostrare l’impossibilità che nella presunta camera a gas si trovassero 28-32 persone per metro quadrato c’è bisogno del raffronto con un vagone della metropolitana? M. Gilbert e lo storico ebreo L. Poliakov l’hanno capito intuitivamente, tanto è vero che hanno entrambi falsificato il dato di K.Gerstein! (23).
Ma i metodi degli avversari del revisionismo non sono aberranti soltanto in campo ermeneutico. Ecco un paio di esempi offertici dagli Autori stessi. Essi raccontano che il 27 febbraio 1993 Mark Weber è stato
«vittima di un’operazione del centro Simon Wiesenthal in cui il ricercatore Yaron Svoray, assumendo il nome di Ron Furey, ha incontrato Weber in un caffè per discutere di The Right Way, una rivista inventata per ingannare i neonazisti e identificarli»(pp. 85-86, corsivo mio).
Ecco dunque il prestigioso centro Wiesenthal dedito all’ inganno e alla menzogna! Per una singolare coincidenza, uno degli Autori, Alex Grobman, è “direttore e fondatore del Simon Wiesenthal Annual” (quarta di copertina)!
Il secondo caso riguarda l’ex revisionista ebreo David Cole. Nel 1998 Robert J. Newman pubblicò un annuncio sulla pagina web della famigerata Jewish Defence League dal titolo “David Cole: Monstrous Traitor” (David Cole:traditore mostruoso) che era formulato come una taglia sulla sua vita. David Cole lo capì benissimo (“aveva molta paura per la sua vita, che qualcuno lo potesse trovare e sparargli”) e si affrettò a ritrattare tutto (pp.113-115).
Alla menzogna e all’inganno si aggiungono dunque anche le minacce, e non da parte di teppisti da strada, ma ad opera di due prestigiosi [!] istituti ebraici!
CAPITOLO II
LE “PROVE CONVERGENTI” DELLE CAMERE A GAS
1) I sei ordini di “prove convergenti”
Nel capitolo sesto, dedicato principalmente ad Auschwitz, ma anche a Majdanek e a Mauthausen, gli Autori espongono le “prove dell’uso delle camere a gas e dei forni crematori per il genocidio” (p. 175). Essi presentano sei elementi di prova che, a loro dire, “convergono su questa conclusione” (p. 177).
Esaminiamo queste “prove”:
«1. Documenti scritti: ordinazioni di Zyklon B (il nome commerciale dell’acido cianidrico, che viene incastonato [sic!] in granuli di farina fossile), piante architettoniche e ordinazioni di materiali da costruzione per le camere a gas e i forni crematori.
2.Tracce di Zyklon B [sic!] sui muri delle camere a gas in diversi campi.
- Testimonianze oculari: testimonianze dei sopravvissuti, diari dei Sonderkommando ebrei e confessioni delle guardie e dei comandanti.
- Fotografie sul terreno, non solo dei campi ma anche dei corpi che bruciano (foto scattate di nascosto e portate fuori da Auschwitz clandestinamente).
- Fotografie aeree, che mostrano prigionieri che vengono spostati verso i complessi di camere a gas e forni crematori, e corrispondono alle fotografie sul terreno che confermano la struttura delle camere a gas e dei forni crematori.
- Le rovine tuttora esistenti dei campi, esaminate alla luce delle fonti di prova citate sopra» (pp. 176-177).
Prima di confutare in dettaglio, punto per punto, queste presunte prove convergenti per quanto riguarda Auschwitz, Majdanek e Mauthausen, è opportuno esporre qualche chiarimento generale circa la loro natura e il loro valore.
Sulle ordinazioni di Zyklon B gli Autori non dicono nulla. Essi si limitano a ripetere a p. 185 la frase “ordinazioni di gas Zyklon-B” e in ciò consiste la loro “prova convergente”. Ma anche se essi avessero articolato meglio l’argomento (cosa che evidentemente non erano in grado di fare), questa “prova” sarebbe soltanto una macroscopica sciocchezza. Poiché lo Zyklon B fu usato notoriamente in tutti i campi di concentramento tedeschi a scopo di disinfestazione, come si potrebbe dedurre dalle ordinazioni di questo insetticida che esso fu usato a scopo omicida? Ad esempio, per ritornare a Kurt Gerstein, che fu “coinvolto nell’ordinazione di gas Zyklon B” (p. 100), egli esibì 12 fatture della Degesch a suo nome relative alla fornitura di
2.370 kg di Zyklon B dal 16 febbraio al 31 maggio 1944,
1.185 kg per Auschwitz e
1.185 kg per Oranienburg (24).
Da che cosa si può desumere che la fornitura di Zyklon B ad Auschwitz sia la “prova” di uno sterminio in massa, dato che a Oranienburg (Sachsenhausen) non fu attuato alcuno sterminio in massa in camere a gas omicide a Zyklon B ?
Gli Autori non dicono nulla neppure su “piante architettoniche e ordinazioni di materiali da costruzione per le camere a gas e i forni crematori”, frase volutamente capziosa, perché insinua che esistano documenti sulle camere a gas, il che è falso. Quanto ai forni crematori, su di essi esiste una documentazione abbondante, ma nessuna prova che furono usati per la cremazione dei presunti gasati. Anzi, dal loro studio emerge con certezza proprio la conclusione contraria: né le forniture di coke né la durata della muratura refrattaria delle muffole avrebbero consentito la cremazione di un numero di cadaveri superiore a quello effettivo dei detenuti immatricolati morti di morte naturale (25), e questa è una delle prove convergenti dell’irrealtà delle camere a gas omicide, ovviamente taciuta dagli Autori.
Sulle “tracce di gas Zyklon-B” ritornerò sotto.
Ho già mostrato vari esempi sul modo in cui la storiografia ufficiale crea la “convergenza” delle testimonianze: anzitutto estrapolando singoli passi da testimonianze, tacendo sulle palesi assurdità che contengono e che, secondo il punto 2 del decalogo metodologico esposto dagli Autori – minano la loro credibilità e le rendono inattendibili; in secondo luogo, passando sotto silenzio le enormi contraddizioni reciproche su questioni essenziali che tali testimonianze presentano. Vedremo successivamente un altro caso di questa falsa “convergenza” riguardo alle “fosse di cremazione”.
Le “fotografie sul terreno”, anche quelle che mostrano “dei corpi che bruciano”, non provano assolutamente nulla riguardo al presunto sterminio in massa in camere a gas omicide, perché, come ho dimostrato altrove (26), la pratica dell’arsione all’aperto a Birkenau fu attuata quando i crematori erano momentaneamente fuori uso e quando mancava il coke necessario per il funzionamento dei forni crematori. Non a caso essi poi lasciano cadere anche questa “prova”.
Le fotografie aeree saranno esaminate sotto.
Per quanto riguarda, infine, “le rovine tuttora esistenti dei campi”, esse dimostrano meno che nulla riguardo alle presunte gasazioni omicide, argomento reso ancora più inconsistente dalla singolare ignoranza degli Autori al riguardo.
Ciò premesso, passiamo all’esame particolareggiato delle loro “prove”.
2) Le camere a gas di Auschwitz
1) LE “TRACCE DI ZYKLON-B”
La trattazione di queste “prove” comincia con un paragrafo intitolato “Tracce di Zyklon-B” (p. 17). Come ho rilevato più volte, questa definizione è insensata ed è la conseguenza dell’ignoranza dei termini più elementari della questione. Ovviamente le “tracce di Zyklon-B” sono in realtà le tracce di cianuri, che è cosa ben diversa. In questo campo, la più grande autorità – e non solo revisionistica – è Germar Rudolf, chimico di professione, autore di una minuziosa perizia scientifica sulle “camere a gas” di Auschwitz (27) che esamina le questioni della struttura degli impianti di disinfestazione di Auschwitz (capitolo 1), della formazione e stabilità del blu di Prussia (ferrocianuro ferrico)(capitolo 2), del procedimento delle gasazioni disinfestazione con acido cianidrico (capitolo 3). G. Rudolf ha inoltre prelevato vari campioni di muratura dalle camere a gas di disinfestazione e dalle presunte camere a gas omicide di Birkenau, dalla cui analisi chimica sono risultati fino a un massimo di 13.500 mg/kg per le prime (camera a gas del BW 5b) e di 6,7 mg/kg per le seconde (Leichenkeller 1 del crematorio II). Questi risultati sono riportati nel capitolo 6, insieme ai risultati di tutte le perizie chimiche effettuate precedentemente. Dopo le conclusioni (capitolo 6), lo studio di Germar Rudolf espone una esauriente critica delle controperizie dei sostenitori della realtà delle camere a gas omicide (capitolo 6).
Ora, gli Autori liquidano questo studio fondamentale con un paio di citazioni irrilevanti, deformando perfino il cognome di Rudolf, che chiamano “Rudolph”. Essi infatti, dovendo scegliere tra uno studio preliminare che presenta inevitabilmente molti aspetti dubbi (quello di F. Leuchter) e quello essenziale che ha un valore scientifico indiscutibile, si concentrano sul primo e passano sotto silenzio il secondo, cioè selezionano ciò “che conviene alla loro tesi”. Ma anche discutendo il rapporto Leuchter gli Autori espongono argomenti che fanno trasalire chiunque abbia una sia pur minima competenza in materia.
A p. 181 gli Autori scrivono quanto segue:
«Faurisson fa notare che c’erano tracce di Zyklon-B [sic] negli edifici generali esposti al fumo oltre che nelle camere a gas; conclude quindi che le tracce di Zyklon-B [sic] non dimostrano nulla sull’uso omicida delle camere a gas. Ma secondo Jean-Claude Pressac, farmacista ed esperto di campi di sterminio, la difesa di Faurisson non ha senso visto che per disinfettare gli edifici e gli obitori vengono normalmente usati antisettici solidi (calce, cloruro di calce), liquidi (candeggina, creosolo) o gassosi (formaldeide, anidride solforosa)» (p. 181, corsivo mio).
Se qui c’è qualcosa che “non ha senso”, è proprio una tale risposta, perché Faurisson ha parlato sì di “camere a gas di disinfezione“, ma intendeva chiaramente “camere a gas di disinfestazione“, e su questo gioco di parole gli storici ufficiali hanno costruito una presunta “prova” confutatoria!
Nella costruzione di una tale “prova” non manca una certa dose di malafede,perché, ad esempio, anche il “Kalendarium” di Auschitz di Danuta Czech usa il termine “Desinfektion”” (disinfezione) per indicare la disinfestazione con lo Zyklon B (28), ma nessuno storico ufficiale ha mai rilevato che ciò “non ha senso”!
2) LA PRESUNTA SOLUBILITÀ DEL BLU DI PRUSSIA
A p. 182 gli Autori affermano che le rovine delle presunte camere a gas omicide sono “completamente esposte all’ambiente da più di mezzo secolo”, perciò – lasciano intendere – il blu di Prussia che si era formato sulle loro pareti si è sciolto. Essi riportano poi un argomento di D. Cole, il quale
«riconosce che le rovine esistenti sono state esposte all’ambiente ma si domanda poi perché le macchie di Zyklon-B rimangono all’esterno della camera a gas in mattoni di Majdanek, un muro contro cui i nazisti battevano il vestiario e le coperte per rimuovere i residui di gas» (p. 182).
Gli autori commentano:
«Queste macchie blu non si sarebbero dovute dissolvere a causa degli agenti atmosferici come è successo ad Auschwitz? La sua domanda sembra ragionevole, ma quando abbiamo visitato Majdanek abbiamo potuto appurare che le macchie blu sui mattoni esterni sono minime. Inoltre, una tettoia ha protetto i mattoni dalla pioggia e dalla neve, quindi i mattoni a Majdanek sono molto lontani dall’essere logorati dal clima quanto le macerie esposte di Auschwitz»(p. 182).
Ora, che le tracce di blu di Prussia sui muri esterni delle due camere di disinfestazione situate dietro alla baracca “Bad und Desinfektion I” di Majdanek siano esigue, è vero; ma che su tale muro i nazisti avessero battuto il vestiario e le coperte per rimuovere i residui di gas è non soltanto falso, ma anche contraddittorio, perché gli Autori affermano che questi due locali “avevano lo scopo esplicito di uccidere i prigionieri con il gas” (p. 219).
Sulla questione ritornerò successivamente. E’ inoltre falso che il muro in questione fu protetto – per decenni, lasciano intendere gli autori, altrimenti il loro argomento sarebbe insulso – da una tettoia. Questa tettoia era infatti già in fase di smantellamento alla liberazione del campo (luglio 1944) e il muro in questione era già esposto alle intemperie (29), e così è rimasto fino ad oggi.
Ma, nella risposta degli Autori, ciò che è più sorprendente non è tanto ciò che dicono, ma ciò che tacciono. Essi tacciono il fatto che proprio a Birkenau, a poco più di 300 metri dalle rovine dei crematori II e III, le due pareti esterne (nord e sud) della camera a gas di disinfestazione del Bauwerk 5b presentano vaste e intense macchie di blu di Prussia (in misura minore nei muri della camera a gas del BW 5a), già osservate da Pressac, che le ha anche fotografate! (30). Dunque qui gli Autori non solo occultano deliberatamente le prove che smentiscono le loro ipotesi infondate, ma tentano di confermarle con prove fasulle.
3) PORTE SCOMPARSE E “SERRATURE”
A p. 183 gli Autori, anticipando la loro trattazione della presunta camera a gas omicida di Mauthausen, scrivono:
«Quando una domanda o una proposizione non ha prove su cui poggiare, diventa soltanto uno strumento retorico e non esige una risposta. Considerate, come ulteriore esempio, l’affermazione di Cole secondo cui a Mauthausen la porta della camera a gas non ha la serratura. E’ vero, la porta che c’è attualmente non ha la serratura, ma è un fatto irrilevante, non essendo la porta originale. Per scoprirlo non è stato necessario far altro che chiedere».
Successivamente essi aggiungono che “la porta originale della camera a gas adesso è in un museo” (p. 225).
Dunque “la” porta della camera a gas non è originale: quella originale si trova “in un museo” e per sapere tutto ciò “basta chiedere“! Come si vede, gli Autori, che disquisiscono tanto sull’affidabilità delle fonti revisionistiche, qui adducono fonti assolutamente affidabili!
Bisogna inoltre notare che lo spirito di osservazione degli Autori non è propriamente acuto, dato che, pur avendo visitato la presunta camera a gas di Mauthausen (di cui pubblicano anche una loro fotografia), non si sono accorti che il locale ha due porte: ma allora che senso ha affermare che “la” porta del locale non è originale?
Ecco un tipico esempio di un’affermazione che “non ha prove su cui poggiare”e che diventa perciò “soltanto uno strumento retorico”!
Uno strumento che denota inoltre la singolare ignoranza degli Autori, in perfetta sintonia con quella di D. Cole, che credono seriamente che una camera a gas avesse una “serratura”! In realtà le porte a tenuta di gas si chiudevano con leve ad incastro su piastre saldate nel telaio metallico della porta, come è ben visibile in tutte le camere di disinfestazione di Majdanek. Anche gli Autori le hanno viste, e le hanno perfino fotografate (fotografia 16 a p. 222), ma, non hanno capito niente del loro funzionamento.
4) LA “RICOSTRUZIONE” DEL CREMATORIO I DI AUSCHWITZ
Ancora a p. 183 gli autori scrivono:
«Che dire delle “prove” che effettivamente Cole, Leuchter e Faurisson presentano, ad esempio la loro “scoperta” che il residuo di Zyklon-B [sic] nella camera a gas del crematorio I di Auschwitz (il campo originale convertito da una caserma polacca) non raggiungeva livelli tanto alti da consentire lo sterminio? Significativamente, nei loro scritti non fanno menzione del fatto che questo edificio è stato ricostruito utilizzando sia materiali originali che quelli provenienti da altri edifici. Chissà che cos’è che hanno realmente “analizzato” nella loro ricerca?».
Qui gli Autori ricorrono ad una pia menzogna: come tutti sanno, il crematorio I non è mai stato demolito e non è mai stato ricostruito. La fonte da essi invocata, il libro di Deborah Dwork e di Robert Jan Van Pelt (nota 34 a p. 341), dice infatti che il crematorio I fu sì “reconstructed”,ma chiarisce che si trattò di una presunta restituzione allo stato originario con la ricostruzione del camino, di due forni crematori e con la realizzazione di quattro aperture per l’introduzione dello Zyklon B sul soffitto della camera mortuaria (la presunta camera a gas) (31), che non è mai stata distrutta. Per evitare che qualcuno scoprisse la pia menzogna, gli Autori hanno poi commesso un pio “errore” nel riferimento della pagina dell’opera summenzionata, scrivendo “pp. 274-278″ invece di p. 364!
5) UNA “CAMERA A GAS” ORIGINALE, ANZI, RICOSTRUITA!
Ed ecco la pseudo argomentazione finale, degna conclusione di quelle precedenti:
«Nel video documentario della sua visita ad Auschwitz, David Cole proclama con enfasi di essere riuscito a far “confessare” al direttore del museo che la camera a gas è ricostruita, ed è quindi una “bugia” imposta a un pubblico ignaro. Questa ci sembra una classica iperbole negazionista e una chiamata alle armi ideologica. Nessuno ad Auschwitz – dalle guide fino al direttore – nega che la camera a gas sia una ricostruzione. Il visitatore non deve far altro che chiedere» (p. 183).
Ciò può anche essere vero, ma si riferisce a quando gli Autori hanno visitato il campo, cioè alla fine degli anni Novanta, ma non era certamente vero nel 1992, quando David Cole si recò ad Auschwitz. Naturalmente gli Autori lo sanno benissimo, perché nel video documentario in questione D. Cole “non fece altro che chiedere” ad una guida, di nome Alicia. Ecco la parte essenziale della loro conversazione:
«Here, in front of the gas chamber, I asked Alicia about the authenticity of that building.
Cole: Now, let’s start again talking about this building here.
Alicia: This is a crematorium/gas chamber.
Cole: But this is a reconstruction?
Alicia: It is in [its] original state.
Now there Alicia has very clearly represented the gas chamber as being in its original state. Once inside, I asked her specifically about the holes in the ceiling.
Cole: Are these the original four holes in the ceiling?
Alicia: It is original. Through this chimney was dropped Zyklon B» (32).
Ancora nel 1995, Krystyna Oleksy, funzionario della direzione del Museo, riguardo alla presunta camera a gas dichiarò al giornalista Éric Conan:
«”Pour l’instant, on la laisse en l’état et on ne précise rien au visiteur. C’est trop compliqué» (33).
Cioè le guide non dovevano dire ai visitatori che il locale è stato (malamente) ristrutturato per far credere che fosse una camera a gas omicida allo stato originale!
Qui dunque non ci troviamo di fronte ad una “classica iperbole negazionista”, ma a un classico argomento menzognero degli Autori.
6) I DOCUMENTI
Passiamo alle presunte “conferme dai documenti e dalle fotografie sul terreno” (p. 183).
Gli Autori riportano la famosa lettera del 29 gennaio 1943 dello “Sturmbannführer” Bischoff a “Heinz” Kammler (p. 185). Ma il grado di Karl Bischoff – il capo della Zentralbauleitung der Waffen-SS und Polizei Auschwitz – che appare nella lettera (34) è “SS-Hauptsturmführer” (capitano), mentre Kammler, capo dell’Amtsgruppe C dell’SS-WVHA, si chiamava Hans.
Essi riportano poi uno stralcio del testo della lettera, in cui il tedesco “Öfen” (forni) viene tradotto con “fornaci”(!) e, quel che è molto peggio, “Vergasungskeller” (scantinato di gasazione) viene reso con “stanza sotterranea per le esecuzione con gas”, traduzione che è una vera e propria falsificazione. Come fonte gli Autori adducono quanto segue: “Citato in G. Reitlinger, La soluzione finale: il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa, 1939-1945, Milano, il Saggiatore, 1965″. Essi non indicano il numero della pagina, e il motivo di ciò è ben evidente, perché a p. 182 del libro summenzionato, il termine “Vergasungskeller”, che è riportato tra parentesi, viene reso con “locale di gassazione”. Ciò è conforme all’edizione originale del libro di Reitlinger, dove si parla di “gassing cellar (Vergasungskeller)” (35).
Dunque gli Autori non solo si sono affidati ad una fonte di seconda mano (ad una traduzione!), ma l’hanno perfino falsificata!
Per quanto riguarda il termine “Vergasungskeller”, pretendere che esso, in sé e per sé, designi una camera a gas omicida, secondo il giudizio di Jean-Claude Pressac, è “irresponsabile“, perché, «sebbene “camera a gas” sia corretto, non c’era alcuna prova che essa fosse “omicida“» (36).
A p. 185 gli Autori scrivono inoltre:
«Il 6 marzo 1943, Bischoff fa riferimento a una porta a prova di gas per il crematorio III, simile a quella del crematorio II, che avrebbe dovuto comprendere uno spioncino in vetro spesso».
In realtà il documento originale (37) reca la data del 31 marzo 1943. Indi essi ne riportano uno stralcio, ma falsificando la traduzione del termine “Leichenkeller I”, “camera mortuaria seminterrata I”, che diventa un semplice “sotterraneo I”. La fonte che appare nella nota 38 a p. 342 è “citato in Pressac, Le macchine dello sterminio”, ma in questo libro non appare alcuna traduzione del documento in questione. L’errore è indubbiamente dei curatori della traduzione italiana del libro di M. Shermer e A. Grobman. La fonte effettiva è il primo studio su Auschwitz di J.C. Pressac, che riporta i documenti originali (38).
Alla fine gli Autori commentano:
«A che cosa gli sarebbe servito uno spioncino di vetro spesso se non avveniva altro che la disinfestazione dei vestiti nella stanza? Anche se di per sé l’esistenza degli spioncini non “prova” nulla, è una scoperta che coincide con l’idea che queste stanze venissero usate per uccidere delle persone».
Ora, questa fallace conclusione è smentita inequivocabilmente proprio dal libro stesso da cui essi traggono il documento summenzionato. Pressac ha infatti pubblicato una fotografia della porta a tenuta di gas della camere di disinfestazione ad acido cianidrico del cosiddetto “Kanada I” (il Bauwerk 28, “Entlausungs- und Effektenbaracken”) con questo commento:
«La porta a tenuta di gas della camera di disinfestazione del Kanada I. La sua costruzione, dai DAW [= Deutsche Ausrüstungswerke], è molto rudimentale. Essa ha uno spioncino, una maniglia per aprirla e due barre di ferro.» (39).
Pressac presenta perfino un ingrandimento di questo spioncino (40). E uno spioncino si trovava anche nella porta a tenuta di gas della camera di disinfestazione del Block 1 del campo di Auschwitz, di cui Pressac pubblica sei fotografie (41). Qui dunque gli Autori non solo non tentano di smentire le loro tesi cercando piuttosto solo prove di conferma, ma ignorano deliberatamente le prove che smentiscono la loro falsa conclusione selezionando nel libro di Pressac solo ciò che conviene alla loro tesi!
7) LE “TESTIMONIANZE OCULARI”
Un’altra “prova” convergente è costituita da “testimonianze oculari dell’omicidio di massa” (p. 186). Gli Autori menzionato la famosa “confessione” di Pery Broad – da lui redatta il 13 luglio 1945 e consegnata ai servizi segreti britannici – riguardo al quale scrivono:
«Nell’aprile 1959 fu chiamato a testimoniare al processo di alcuni membri delle SS di Auschwitz che erano stati catturati, e riconobbe la paternità del memoriale, ne confermò la validità e non ritrattò nulla» (p. 186).
Ma al processo Auschwitz di Francoforte, P. Broad dichiarò:
«Nel 1945 scrissi un rapporto su Auschwitz e lo consegnai agli Inglesi nel campo britannico di Musterlager. Lì fu fatta una copia del mio rapporto. Ho dato un’occhiata alla fotocopia che mi è stata presentata qui. Qualcosa è mio, qualcosa può essere stato aggiunto da altri, qualcosa è perfino falso. Mi meraviglio che tali cose debbano provenire da me» (42).
Dopo la lettura del rapporto, Broad disse:
«Riconosco singole parti come ineccepibilmente mie, ma non il documento nella sua interezza» (43).
E’ certamente vero che Broad riconobbe come autentiche le parti del rapporto che parlano delle gasazioni (44), ma egli si trovava al processo non già come imputato, ma come testimone, e se avesse osato contestare l’autenticità anche di queste parti, si sarebbe trasformato immediatamente in imputato.
Secondo gli Autori, gli storici revisionisti hanno rilevato che la durata della gasazione omicida era di quattro minuti per P. Broad e di venti minuti per R. Höss, e concludono, incredibile ma vero, così:
«A causa di tali discrepanze secondarie i negazionisti rigettano l’intero resoconto di Broad» (p. 187).
La realtà è che tale documento è considerato dubbio persino da un Pierre Vidal-Naquet e da un Jean-Claude Pressac.
Il primo ha scritto:
«Nella documentazione su Auschwitz esistono testimonianze che danno l’impressione di adottare interamente il linguaggio dei vincitori. E’ il caso, ad esempio, della SS Pery Broad, che nel 1945 redasse per gli inglesi un memoriale su Auschwitz, dove era stato attivo come membro della Politische Abteilung, cioè della Gestapo. Egli parla di sé in terza persona» (45).
E Pressac ha rilevato:
«Storicamente, questo racconto non è utilizzabile nella sua versione attuale, malgrado la sua atmosfera “vera” e anche troppo “impressionante”, poiché è stato riscritto da e per i Polacchi e diffuso esclusivamente da essi» (46).
Pressac afferma poi che il Museo di Auschwitz non è in possesso del documento originale, che non si sa dove sia.
Nel suo secondo studio su Auschwitz, Pressac ha affermato:
«[P. Broad] si consegna ai britannici in maggio [1945] mettendosi al loro servizio. Appoggiandosi ai suoi ricordi, redige per loro un rapporto su Auschwitz la cui strana formulazione sarebbe stata consigliata da un’altra persona, probabilmente un polacco di Londra in contatto con lui a Munsterlager. Liberato nel 1947, continua a lavorare per gli inglesi. Denunciando tutti per salvarsi la pelle, rende testimonianza a Norimberga e ad Amburgo, nel processo di Bruno Tesch» (47).
Gli Autori, dunque, che esigono (giustamente) dagli storici revisionisti l’affidabilità delle fonti, qui si affidano ad un documento di cui nessuno ha mai visto l’originale, che è scritto in tono apologetico polacco e che è stato riconosciuto quantomeno interpolato perfino dal presunto autore: e questa per loro è una fonte affidabile!
Indi gli Autori invocano la “prova” convergente delle “confessioni” di Rudolf Höss. Essi affermano che «Höss ha fatto la sua deposizione il 5 aprile 1946 e, probabilmente non era a conoscenza del memoriale di Pery Broad (e viceversa)» (p. 187, corsivo mio).
Essi ci informano che:
«dopo essere stato dichiarato colpevole e condannato a morte, Höss redasse un manoscritto autobiografico di 250 pagine che conferma sia la sua testimonianza precedente che la deposizione di Broad» (p. 188).
In realtà la sentenza del processo Höss fu pronunciata il 2 aprile 1947 ed egli fu giustiziato il 16 aprile, ma le sue annotazioni risalgono al periodo dal novembre 1946 al febbraio 1947. E’ veramente incredibile che gli Autori ignorino dati così elementari della storiografia olocaustica.
Essi dimenticano poi di riferire che R. Höss aveva già fatto una prima “confessione” agli Inglesi, riguardo alla quale egli, nelle annotazioni stilate durante la carcerazione in Polonia, scrisse:
«Il mio primo interrogatorio si concluse con una confessione, dati gli argomenti più che persuasivi usati contro di me. Non so che cosa contenga la deposizione, sebbene l’abbia firmata. Ma l’alcool e la frusta furono troppo,anche per me» (48).
Martin Broszat, l’editore della versione originale tedesca delle annotazioni di R. Höss, avverte in nota:
«Si tratta di un protocollo dattiloscritto di 8 pagine che Höss firmò il 14.3.1945 (documento di Norimberga NO-1210). Riguardo al contenuto, esso non differisce sensibilmente in nessun punto da ciò che Höss dichiarò o scrisse a Norimberga o a Cracovia» (49).
La prima “confessione” di R. Höss, quella che contiene gli elementi essenziali di tutte le altre “confessioni” successive, fu dunque redatta dagli inquirenti inglesi!
Gli Autori dimenticano inoltre di riferire un altro argomento essenziale contrario alla loro tesi: il fatto che R. Höss sia stato torturato dagli Inglesi, è ormai storicamente accertato (50), essendo stato ammesso anche dal torturatore (Bernard Clarke) ed accettato come vero da J.-C. Pressac (“fermato dagli inglesi nel marzo 1946, viene più volte violentemente picchiato e malmenato, fino a sfiorare la morte”) (51) e da Fritjof Meyer (“dopo tre notti insonni, torturato, picchiato ad ogni risposta, nudo e costretto a bere alcool.”) (52).
Infine gli Autori si appellano al diario del dott. Johann Paul Kremer (p.189), le cui “Sonderaktionen” (azioni speciali), come ho spiegato altrove (53), non avevano nulla a che vedere con azioni di sterminio. Gli Autori richiamano l’attenzione sul fatto che “nel dicembre 1947, a Cracovia, al processo della guarnigione di [sic] campo di Auschwitz”, il dott. Kremer chiarì che “azione speciale” significava gasazione omicida. Segue un brano di un interrogatorio del dott. Kremer che non avvenne “nel dicembre” 1947, ma il 18 agosto. Considerata la sorprendente ignoranza della storiografia olocaustica da parte degli Autori, non si può imputare loro a malafede il fatto che abbiano taciuto che, nell’ atto di accusa (akt oskarenia) del processo della guarnigione del campo di Auschwitz, la Procura del Tribunale Popolare Supremo di Varsavia aveva già stabilito che “azione speciale” fosse sinonimo di “gasazione”:
«Nel corso della sua breve permanenza ad Auschwitz, l’imputato Kremer prese parte 14 volte a uccisioni (gasazione). Tra il 2 e il 28 settembre partecipò a 9 simili “Sonderaktionen”» (54).
In tali circostanze, se il dott. Kremer avesse osato smentire la Procura sarebbe stato considerato un criminale nazista irriducibile e condannato a morte e giustiziato. Kremer scelse di assecondare la Procura, e fu una mossa tattica vincente: egli fu inevitabilmente condannato a morte (egli aveva pur partecipato alle “selezioni” dei detenuti), ma graziato e rimesso in libertà nel 1958.
Ed ecco la singolare conclusione degli Autori:
«La convergenza dei resoconti di Broad, Höss e Kremer è un’ulteriore prova che i nazisti usavano le camere a gas e i crematori per lo sterminio di massa» (p. 189).
Dunque :
un rapporto scritto o rimaneggiato dai Servizi Segreti britannici e dai Polacchi di cui non si è mai visto il testo originale, “confessioni” redatte dai Servizi Segreti britannici e imposte con la tortura e infine ammissioni già “accertate” da una Procura polacca e opportunisticamente fatte proprie da un imputato, per gli Autori costituiscono, incredibilmente, delle “prove convergenti”!
In fatto di “convergenza”, gli Autori affermano che gli storici revisionisti «hanno comunque il problema di spiegare perché i due resoconti [di Broad e di Höss] coincidano così perfettamente» (p. 188).
Lasciando da parte il fatto che le due testimonianze sono molto lungi dal “coincidere perfettamente”, il fatto che esse coincidano nel pretendere che ad Auschwitz sia stato perpetrato uno sterminio in camere a gas non è affatto un “problema”. I Servizi Segreti britannici già durante la guerra conoscevano i fantasiosi rapporti dei vari movimenti di resistenza polacchi che venivano passati ad essi dai Servizi Segreti della Delegatura (il governo polacco in esilio a Londra). Subito dopo la fine della guerra, con la creazione delle varie Commissioni nazionali di indagini sui crimini di guerra nazisti, cominciò la raccolta e la classificazione sistematica delle testimonianze, che cominciavano già a delineare i primi tratti della storia dello sterminio ad Auschwitz.
Inoltre il rapporto della Commissione sovietica di inchiesta su Auschwitz, pubblicato sulla Pravda il 7 maggio 1945, apparve lo stesso giorno anche in traduzione inglese col titolo “The Oswiecim Murder-Camp” (55), perciò i Servizi Segreti britannici disponevano anche di questa fonte, che all’epoca rappresentava lo strumento conoscitivo migliore per sapere che cosa i nazisti catturati dovessero “confessare”.
Ecco quale fu la vera origine della “convergenza” delle testimonianze di P. Broad e di R. Höss sulle presunte gasazioni omicide ad Auschwitz!
8) LE FOTOGRAFIE AEREE
Gli autori passano poi ad una altro presunto elemento di prova, le fotografie aeree, che a loro dire, come abbiamo visto sopra, “confermano la struttura delle camere a gas e dei forni crematori”.
Niente di più falso per quanto riguarda “la struttura delle camere a gas”.
Essi pubblicano alcune fotografie che fornirebbero una “convergenza di prove” del presunto sterminio, ma che in realtà non dimostrano nulla. Esaminiamo le fotografie più importanti.
«3. Fotografia aerea scattata il 25 agosto 1944 che mostra chiaramente il secondo forno crematorio [sic] (compresa la lunga ombra della ciminiera [sic]) e l’adiacente camera a gas (in basso, al centro, ad angolo retto rispetto al crematorio). Sul tetto della camera a gas si possono notare quattro ombre scalari, le aperture attraverso le quali, secondo il resoconto dei testimoni oculari, venivano fatti cadere i granuli di Zyklon-B» (p.195).
Come è già stato rilevato da altri autori (56), nella fotografia del 25 agosto 1944 le macchie sul soffitto del Leichenkeller 1 del crematorio II sono lunghe 3-4 metri, quelle sul soffitto del Leichenkeller 1 del crematorio III hanno una superficie minima di 3 metri quadrati; ma i presunti camini di introduzione dello Zyklon B sporgevano dal suolo di 40-50 centimetri (57). D’altra parte il camino del crematorio II, che era alto circa 16 metri, getta sul terreno un’ombra di circa 20 metri, perciò i presunti camini avrebbero proiettato un’ombra di circa 60 centimetri.
Ma non basta. Tutte le macchie hanno l’asse in direzione nord-sud, mentre l’asse dell’ombra dei camini ha direzione nord-est – sud-ovest. Infine, nella fotografia aerea del 31 maggio 1944 il Leichenkeller 1 del crematorio II (58), appare una sola macchia scura sul bordo ovest della copertura (59).
L’interpretazione delle quattro macchie come aperture di introduzione per lo Zyklon-B è tanto inconsistente che il migliore specialista dell’argomento tra i sostenitori della realtà delle camere a gas omicide, Charles D.Provan, ha scritto al riguardo:
«Qualunque cosa si pensi dell’autenticità delle macchie, che siano autentiche o no, è impossibile considerarle come “aperture”» (60).
Passiamo alla fotografia 4 a p. 196:
«Subito al di sotto della ciminiera [sic] del secondo forno crematorio [sic] sono visibili due dei lati della struttura rettangolare della camera a gas sotterranea che emerge leggermente sul livello del suolo. Sul tetto della camera a gas vi sono quattro piccole strutture che coincidono con le ombre della fotografia aerea nella figura 2».
Una tale “coincidenza” esiste solo nella fantasia degli Autori. Come ha dimostrato Jean-Marie Boisdefeu coll’aiuto di un diagramma, gli oggetti che appaiono sulla copertura della presunta camera a gas sono 3 e non 4 (il quarto si trovava al di fuori della sua superficie) e tutti e 3 si trovano raggruppati nella metà sud della copertura, il che è in contraddizione sia con la posizione delle macchie nella fotografia aerea del 25 agosto 1944, sia con le testimonianze (61). Dunque i tre oggetti in questione non sono camini di introduzione dello Zyklon-B.
A questa conclusione è giunto anche C.D. Provan, che ha tracciato a sua volta il diagramma della fotografia, con il seguente risultato:
«Perciò gli oggetti non sono camini per il gas tossico» (62).
La fotografia 5 a p. 197 mostra lo scarico di deportati ebrei ungheresi da un treno. Le fotografie 6 e 7 sono ingrandimenti di tre fotografia aeree scattate in rapida successione il 25 agosto 1944. Le due immagini della fotografia 6 sono stampate al contrario! Un gruppo di persone cammina tra i Bauwerke 5a e 5b (a sinistra) e le due baracche cucina antistanti, sulla linea di confine tra i settori BIa e BIb di Birkenau (ma queste cose elementari gli Autori non le sanno). La colonna percorre la strada che tagliava in direzione est-ovest il settore BI del campo, perciò dovevano avere i BW 5a e 5b a destra e le cucine a sinistra. Nelle fotografie in questione, invece, avviene il contrario, perciò esse sono state stampate al contrario. La fotografia 7 mostra, in tre immagini, tre gruppi di persone che camminano all’estremità est del settore BIa: un gruppo si trova tra la baracca 27 e la recinzione del campo; un secondo gruppo percorre la strada tra le baracche 24-30 (a destra) e 22-28 (a sinistra); un terzo gruppo cammina in parte parallelo al secondo, in parte percorre la curva a destra tra le baracche 24-30. Naturalmente gli Autori non sanno neppure questo, come non sanno che le tre immagini sono stampate al contrario rispetto a tutte le piante di Birkenau, ossia con i crematori in basso e la recinzione est in alto.
Tutte queste fotografie dimostrano soltanto che a Birkenau c’erano colonne di detenuti in movimento, nient’altro.
La fotografia 8 (p. 200) è invece interpretata dagli Autori in modo un po’ più pretenzioso:
«Infine, la figura 8 sembra rappresentare un gruppo di persone che si muove verso il crematorio V, offrendo un importante ulteriore elemento concreto di prova diretta, che conferma le altre prove che indicano la realtà dell’omicidio di massa (vedi anche la figura 9)» (p. 202).
Rilevo subito che anche le due immagini della fotografia 8 sono stampate al contrario rispetto alle piante di Birkenau: I crematori IV e V vi appaiono in basso, invece che in alto. Ma la cosa più grave è che gli Autori confondono incredibilmente il crematorio V con il crematorio IV! Basta capovolgere il libro per ristabilire il normale orientamento e vedere I crematori IV e V in alto e le baracche dell’ “Effektenlager” (il cosiddetto “Kanada”) a sinistra. Le zone evidenziate con un rettangolo nelle due mostrano una colonna di persone. Questa colonna si trova sulla strada che divideva l’”Effektenlager” (a sinistra) dal crematorio IV (a destra) e precisamente davanti alle baracche 2-8. A destra la strada fiancheggiava un boschetto di betulle, situato a ovest del crematorio V, nel quale c’era un laghetto antincendio.
Contrariamente a ciò che pensano gli Autori, questa fotografia non dimostra assolutamente nulla riguardo alla “realtà dell’omicidio di massa”. Se avessero studiato un po’ la materia, gli Autori saprebbero che il cosiddetto Album di Auschwitz mostra appunto gruppi di persone che stazionano nel boschetto, davanti al laghetto (63).
Ho già dimostrato altrove che l’ipotesi che queste persone attendessero la morte per gasazione non è più fondata dell’ipotesi che esse attendessero di ripartire dal campo (come si desume dal fatto che portavano con sé grossi zaini, bisacce e pentole) (64).
Nel suo libro di memorie, Elisa Springer, che fu deportata ad Auschwitz all’inizio di agosto del 1944, racconta che cosa accadde dopo che il trasporto fu sceso dal treno:
«Giunti a uno spiazzo erboso, davanti a una boscaglia di betulle, ci costrinsero a sdraiarci per terra, e lì rimanemmo tutta la notte, tremanti e abbandonati nel fango. [.]. Al mattino presto, delle SS, con alcuni detenuti con la divisa a strisce, ci ordinarono di alzarci alla svelta e di dirigerci oltre il bosco».
Indi il dottor Mengele selezionò i detenuti abili e inabili al lavoro e il primo gruppo (tra cui Elisa Springer) fu diretto alla Zentralsauna per il bagno e la disinfestazione (65). La testimone non dice che il gruppo degli inabili fu “gasato”, lo lascia solo intendere, ma ciò fa parte del bagaglio orrorifico delle testimonianze, come la storiella dei camini dei crematori che vomitavano fiamme (66).
L’ultima fotografia presentata dagli Autori sarebbe una «fotografia da terra del quinto forno crematorio [sic], con la camera a gas all’estremità più lontana dell’edificio e le due ciminiere [sic] del forno» (p. 201).
La fotografia in questione rappresenta invece il crematorio IV visto da ovest. Ovviamente, che esso contenesse “la camera a gas all’estremità più lontana dell’edificio” non risulta minimamente dalla fotografia, sicché essa non dimostra nulla.
9) L’INTERPRETAZIONE DELLE FOTOGRAFIE AEREE
Gli Autori dedicano poi un paragrafo alla “interpretazione delle fotografie aeree” (p. 202) in cui essi manifestano di nuovo una preoccupante carenza di conoscenza perfino degli elementi basilari della storiografia olocaustica.
Essi affermano che nel maggio 1944, in preparazione della deportazione ad Auschwitz di “mezzo milione di Ebrei” (per l’esattezza, il numero dei deportati fu di 437.402, di cui almeno 39.000 furono deportati in località diverse da Auschwitz (67)), Werner Jothann, Obersturmführer (tenente colonnello) (68)” ordinò, tra l’altro, che venissero installati “degli ascensori nei crematori II e III per spostare i corpi dalla camera a gas ai crematori” (p. 203), il che è invece smentito dalla loro fonte più importante (69). Essi pretendono inoltre che le fotografie aeree non possono mostrare prove del presunto sterminio per queste ragioni:
«La svestizione, l’esecuzione con il gas e la cremazione avvenivano tutte all’interno degli edifici con i forni crematori. Era altamente improbabile che un aereo alleato li sorvolasse nel momento in cui stava uscendo del fumo dai camini o da una fossa all’aria aperta in cui venivano bruciati i corpi» (p. 204, corsivo mio).
Ora, tanto per rinfrescare la memoria agli Autori, il quadro ufficiale del presunto sterminio degli Ebrei ungheresi delineato da una delle loro fonti principali, Franciszek Piper, è il seguente:
«Per esempio, nelle fasi iniziali dello sterminio di Ebrei ungheresi il crematorio V dovette essere chiuso a causa del danneggiamento dei camini. Perciò alcuni corpi furono cremati nel crematorio IV. I restanti furono cremati a un ritmo di 5.000 cadaveri in 24 ore nelle fosse di cremazione presso i crematori. Lo stesso numero fu cremato nelle fosse del Bunker 2, che fu rimesso in funzione nella primavera del 1944» (70).
Ma le testimonianze sono ancora più devastanti per la tesi degli Autori.
Durante la deportazione degli Ebrei ungheresi, nel cortile nord del crematorio V esistevano 5 “fosse di cremazione” secondo H. Tauber (71) e F.Müller, che di due fornisce le misure (m 40-50 x 8) (72), 3 fosse secondo P.Bendel (di m 12 x 6) (73); per M. Nyiszli queste fosse non sono mai esistite. Il cosiddetto “Bunker 2″ possedeva 4 camere a gas e 4 fosse di cremazione secondo F. Müller (74), 2 fosse di cremazione di m 50 x 6, in cui venivano cremati 5.000-6.000 cadaveri al giorno, ma nessuna camera a gas per M Nyiszli (75). Un altro mirabile esempio di “concordanza di prove”!
Ricapitoliamo. Nel periodo in questione, dovevano esistere e dovevano apparire nelle fotografie aeree 3 o 4 “fosse di cremazione” nel cortile nord del crematorio V e 2 o 4 fosse nell’area del cosiddetto “Bunker 2″ (all’esterno del campo, a circa 200 metri a ovest della Zentralsauna).
Gli Autori ci informano che si sono rivolti “al dottor Nevin Bryant, supervisore delle applicazioni cartografiche e dell’elaborazione di immagini del Jet Propulsion Laboratory (gestito dal Californian Institute of Technology) della Nasa, a Pasadena, California” e hanno fatto analizzare le fotografie aeree di Birkenau “con una tecnologia digitale”, e aggiungono:
«I negativi fotografici sono stati convertiti in informazioni digitali dal computer, quindi ingranditi con i programmi software utilizzati dalla Nasa per la produzione di immagini aeree e satellitari» (p. 193).
Tuttavia, nonostante questa sofisticata tecnologia, gli Autori non dicono nulla circa la presenza di “fosse di cremazione” di massa nelle fotografie aeree, pur avendo dedicato ben 7 ingrandimenti alla documentazione di colonne di persone in marcia nel campo!
Evidentemente gli esperti della Nasa non ne hanno trovato alcuna traccia; in caso contrario, gli Autori si sarebbero affrettati a pubblicare i relativi ingrandimenti come “prova concordante” del presunto sterminio ad Auschwitz.
In realtà nelle fotografie del 31 maggio 1944 un’area fumante appare proprio nel cortile nord del crematorio V, ma una sola area fumante e con una superficie di circa 40-50 metri quadrati!
Tuttavia, come ho dimostrato nell’articolo già citato «Risposta supplementare a John C. Zimmerman sulla “Body disposal at Auschwitz”» (76), se la tesi dello sterminio in massa degli Ebrei ungheresi fosse vera, nelle fotografie del 31 maggio 1944, data l’impossibilità di cremare i cadaveri nei forni crematori, dovrebbero apparire “fosse di cremazione” per una superficie complessiva di 7.200 metri quadrati, contro i 40-50 metri quadrati effettivi!
Da ciò risulta chiaro per quale ragione gli Autori abbiano preferito tacere sulla questione delle “fosse di cremazione”, essendo impossibile che quest’area fumante sia sfuggita agli esperti della Nasa: le fotografie del 31 maggio 1944 smentiscono non solo le testimonianze, ma anche la realtà oggettiva del presunto sterminio in massa degli Ebrei ungheresi.
Infatti – secondo la storiografia ufficiale – dal 16 al 31 maggio arrivarono ad Auschwitz almeno 184.000 Ebrei ungheresi, di cui il 91% (77), o circa 167.400, furono “gasati” e cremati in 16 giorni, in media circa 10.500 al giorno. La cifra minima degli arrivati il 30 maggio è di circa 9.050, di cui circa 8.200 sarebbero stati “gasati” e cremati (78).
Gli Autori, che non conoscono o fingono di non conoscere questi dati, appellandosi al “Calendario” di Auschwitz, affermano che il 31 maggio 1944 giunse ad Auschwitz un solo trasporto di Ebrei, dal quale ne furono selezionati 100 per il lavoro, mentre altri furono gasati, e commentano:
«Per questa giornata non sappiamo quanti Ebrei siano stati uccisi nella camera a gas, a che ora furono uccisi e se la cremazione avvenne il giorno stesso o il giorno successivo» (p. 205).
Qui essi dimenticano il secondo trasporto di Ebrei ungheresi registrato in tale data dal “Calendario”, da cui furono immatricolati 2.000 deportati e i restanti “furono uccisi nelle camere a gas” (79).
Essi aggiungono poi una spiegazione veramente incredibile:
«Si riporta che tra il 16 e il 31 maggio le SS ricavarono ottantotto libbre d’oro e di lega bianca da denti falsi, quindi è possibile che i corpi non venissero cremati fino a che non si portasse a termine questo processo, cioè il 31 maggio, per coloro che erano arrivati quel giorno» (p. 205).
Qui gli Autori non adducono alcuna fonte, e la cosa è perfettamente comprensibile. Tale informazione è ripresa infatti da un articolo pubblicato in una delle loro fonti principali in cui si legge:
«Secondo un rapporto segreto fatto uscire di nascosto dal campo all’inizio dello sterminio degli Ebrei ungheresi nel maggio 1944, le SS presero in consegna 40 kg (80 libbre) di oro e di “metallo bianco” (probabilmente platino)» (80).
Dunque che questa pretesa raccolta di metallo prezioso (non attestata da alcun documento) sia avvenuta “tra il 16 e il 31 maggio” è una illazione arbitraria degli Autori. Se avessero verificato la fonte, secondo quanto prescrive il loro decalogo metodologico, essi avrebbero saputo che il rapporto in questione è datato 15 giugno 1944 e si riferisce al periodo 25 maggio-15 giugno 1944 (81).
Con ciò il piccolo trucco architettato dagli Autori non serve più a niente.
Ma, quand’anche la raccolta di denti artificiali fosse vera e il periodo fosse quello indicato dagli Autori, come si potrebbe dedurre seriamente dall’estrazione dei denti d’oro ai cadaveri il fatto che i cadaveri delle vittime non fossero stati cremati fino al 31 maggio? Con quale logica distorta si può pensare seriamente che i cadaveri non potessero essere cremati man mano che venivano estratti loro i denti d’oro, che è poi esattamente ciò che afferma la storiografia ufficiale? (82). Al cospetto di una tale logica la loro rivendicazione dell’impiego delle “regole condivise della ragione” suona pateticamente ridicolo.
Secondo i documenti sulla deportazione degli Ebrei ungheresi, dal 28 al 31 maggio furono deportati 33.187 Ebrei ungheresi, cifra che rappresenta la differenza tra i 217.236 deportati fino al 31 maggio (83) e i 184.049 deportati fino al 28 maggio (84).
Come ho dimostrato altrove (85), per gli arrivi ad Auschwitz nei giorni che ci interessano ci sono due possibilità: o il 30 maggio sono arrivati, in cifra tonda, 12.900 Ebrei e il giorno 31 9.050, o viceversa. Nel migliore dei casi per la tesi degli Autori, il 31 maggio arrivarono 9.050 Ebrei e ne furono gasati e cremati (9.050 x 0,91 =) circa 8.200. Poiché la capacità dei crematori di Birkenau (nell’ipotesi che fossero cremati anche corpi di bambini) era di circa 1.040 cadaveri in 24 ore (86), ne consegue che il 31 maggio, in cifra tonda, circa 7.150 cadaveri sarebbero stati cremati all’aperto, il 30 maggio sarebbero stati uccisi (12.900 x 0,91 =) circa 11.700 Ebrei, di cui circa 10.700 sarebbero stati cremati all’aperto. Poiché fino al 28 maggio erano stati deportati 184.049 Ebrei, dal 16 (arrivo del primo trasporto) al 31 (considerando una durata del viaggio di tre giorni), in 16 giorni – secondo la storiografia ufficiale – erano state gasate (184.049 x 0,91 =) circa 167.500 persone, di cui (1.040 x 16 =) circa 16.600 erano state cremate nei crematori e (167.500 – 16.600 =) circa 150.900 all’aperto, in media (150.900 : 16 =) circa 9.400 al giorno. Ora, perfino a voler prendere sul serio la tecnica di cremazione all’aperto descritta da F.Müller (1.200 cadaveri in tre strati in una fossa di 320 metri quadrati e profonda 2 metri (87), insensata sia perché la falda freatica, all’epoca, era più alta (88), sia perché tale tecnica è inefficiente (in quanto i due strati di cadaveri superiori ostacolerebbero l’afflusso dell’aria al primo strato), per cremare all’aperto mediamente 9.400 cadaveri sarebbe stata necessaria una superficie ardente di circa ([9.400 x 320] : 1.200 =) 2.500 metri quadrati!
In realtà, oltre 9.000 metri quadrati!
Tornando alle fotografie del 31 maggio 1944, se la storia dello sterminio degli Ebrei ungheresi fosse vera, esse dovrebbero mostrare i seguenti elementi stabili:
– almeno 2.500 metri quadrati di “fosse di cremazione”;
– almeno 5.000 metri cubi di terra scavata dalle fosse (89);
– almeno 1.800 tonnellate (90) di legna per i 9.050 cadaveri da cremare il giorno 31, senza contare le scorte per i giorni successivi.
Che cosa mostrano invece queste fotografie? Secondo gli Autori, solo colonne di persone in movimento nel campo! Inoltre la superficie fumante di 40-50 metri quadrati da essi prudentemente taciuta!
Una superficie 50 volte inferiore a quella richiesta in base alle false testimonianze, oltre 180 volte inferiore a quella necessaria per cremare all’aperto un quantitativo così enorme di cadaveri.
Ecco dunque un bell’esempio di “prove convergenti” contro lo sterminio in massa prudentemente taciute dagli Autori!
Proseguiamo. A p. 212 gli Autori presentano una fotografia di una sezione della copertura di cemento armato del Leichenkeller 1 (presunta camera a gas omicida) del crematorio II di Birkenau, e commentano:
«Lo squarcio ancora visibile su quel che resta della camera a gas potrebbe essere una delle aperture attraverso le quali le SS facevano cadere i granuli di Zyklon-B».
In realtà, come ho dimostrato in uno studio specifico, questo squarcio non ha nulla a che vedere con le presunte aperture di introduzione dello Zyklon-B, che non sono mai esistite (91).
10) LA VISITA DI HIMMLER AD AUSCHWITZ
Concludo questo paragrafo con un’altra finta “prova convergente” addotta dagli Autori:
«Le esecuzioni con il gas [ad Auschwitz] cominciarono nel 1941, e Himmler presenziò alla sua prima esecuzione con il gas il 18 luglio 1942» (p. 203).
Ecco un altro classico esempio di fonti incestuose! La pretesa che Himmler avesse assistito ad una gasazione omicida ad Auschwitz il 18 luglio 1942 si basa esclusivamente sulla “testimonianza” di Rudolf Höss – e abbiamo già visto in quali condizioni gli fu estorta e quale valore abbia. Ora, sebbene gli Autori pretendano (giustamente) dagli storici revisionisti l’accurata verifica delle fonti e la ricerca di prove contro le proprie tesi, in questo caso, come nella quasi totalità degli altri, né essi, né alcuno storico ufficiale si è mai preoccupato di verificare questa affermazione di R. Höss: egli ha detto una cosa utile per la comune causa olocaustica e ciò sta bene a tutti. Esistono tuttavia parecchi documenti – a cominciare dal diario stesso di Himmler – che permettono accertare la verità. E la verità è che Himmler non solo non ha assistito ad alcuna gasazione omicida, ma non avrebbe potuto assistervi, perché i tempi delle sua visita ad Auschwitz sono del tutto inconciliabili con quelli dell’arrivo dei trasporti ebraici e delle presunte gasazioni omicide! (92).
3) Le camere a gas di Majdanek
Gli Autori dedicano un paragrafo a “La storia contingente di Majdanek” in cui si occupano delle presunte camere a gas omicide di questo campo.
Naturalmente essi ignorano completamente lo studio su Majdanek da me scritto in collaborazione con Jürgen Graf (93), nel quale ho trattato il tema delle camere a gas in un lungo capitolo (94), in cui ho dimostrato, in base ai documenti, che le presunte camere a gas omicide furono progettate e costruite come “impianto di disinfestazione secondo il sistema della disinfestazione con acido cianidrico” (Entwesungsanlage nach dem System der Blausäure-Entwesung) (95) e che non furono mai impiegate come camere a gas omicide (96). Poiché senza una conoscenza precisa degli impianti si rischia di non capire gli argomenti degli Autori e le mie risposte, premetto i dati essenziali sulle presunte camere a gas omicide di Majdanek secondo la perizia polacco-sovietica del 4-23 agosto 1944:
[Lo specchietto riassuntivo non fa parte del testo originale.BW5a]
La camera VII si trova nel crematorio. J.-C. Pressac ha scritto al riguardo che la direttrice aggiunta del Museo gli riferì che questa camera a gas “era servita pochissimo, ma davvero pochissimo”, il che, secondo lo storico francese, “significa in termini chiari che non è servita affatto” (97). Per far credere che questo locale fosse una camera a gas omicida, infatti, i Polacchi hanno praticato una rozza apertura quadrata sul soffitto senza alcun dispositivo di chiusura e senza neppure tagliare i tondini di ferro dell’armatura di cemento armato! (98).
Gli Autori tralasciano questo locale e cominciano la loro esposizione con i due locali della baracca 28 (le camere V e VI). Essi scrivono:
«Le prime due camere a gas, che a quanto pare usavano sia lo Zyklon-B che il monossido di carbonio, erano costruite al centro del campo vicino a una lavanderia e un crematorio, e installate in una baracca di legno» (p. 217).
L’informazione è tratta dall’articolo di J.-C. Pressac già menzionato, il quale però giunge al riguardo alla seguente conclusione:
«E’ verosimile che queste due camere a gas di fortuna siano servite alla disinfestazione dei vestiti con Zyklon-B (acido cianidrico). La vicinanza della biancheria è un argomento supplementare a favore di questa interpretazione» (99).
Gli Autori citano poi una “analisi” dello storico M. Tregenza, il quale afferma che queste camere “usavano sia il gas HCN [Zyklon-B] che il CO [monossido di carbonio], anche se questo non è stato confermato ufficialmente“, ma conclude:
«Le teorie attuali, però, tendono a preferire l’ipotesi secondo cui queste camere erano solo strutture in cui avveniva la disinfestazione.» (p. 217).
Gli Autori commentano:
«Ma questa teoria non spiega l’uso del monossido di carbonio che è inutile contro i pidocchi. Il suo unico uso plausibile è contro gli esseri umani» (p. 218).
In realtà non esiste nessun documento e nessuna testimonianza sull’uso di questi due locali a scopo omicida. Secondo le testimonianze, le uccisioni venivano effettuate colpendo alla nuca le vittime con una spranga di ferro in un apposito locale del primo crematorio.
D’altra parte, secondo la storiografia ufficiale, nelle camere V e VI non fu mai impiegato il monossido di carbonio, ma soltanto lo Zyklon B. Nell’opera più completa sul campo di Majdanek, Czeslaw Rajca, che si occupa dello “Sterminio diretto” dei detenuti, dedica una sola riga (!) alle camere V e VI, affermando che, prima dell’ottobre 1941 “i detenuti venivano uccisi con lo Zyklon B in una camera a gas di legno che si trovava in prossimità del bagno (100)” (101). La storia delle gasazioni omicide nella baracca 28 fu inventata dalla Commissione di inchiesta polacco-sovietica che, pur avendo accertato che essa serviva da asciugatoio per la vicina lavanderia, dedusse che “in realtà” i due locali erano camere a gas omicide perché sul tetto presentavano due camini di disaerazione muniti di coperchio per l’evacuazione dell’aria calda! I due camini divennero immediatamente le aperture di introduzione dello Zyklon B, come recita la didascalia della ben nota fotografia che mostra un soldato sovietico davanti a uno di essi, con il coperchio nelle mani (102).
Gli Autori ammettono che la camera IV, che si trova nella baracca attualmente denominata “Bad und Desinfektion I” non era una camera a gas omicida:
«La costruzione originale misura 9,2 metri per 3,62 per 2,05 metri di altezza. Un’ispezione superficiale della grande stanza con la camera a gas mostra che veniva usata per la disinfestazione di vestiario e coperte e non per lo sterminio di massa, dato che le porte si chiudono verso l’interno, non si chiudono a chiave, e che c’è una grande finestra di vetro (circa 30 x60 centimetri) che poteva essere infranta facilmente. La cornice della finestra sembra essere originale, dato che il legno con cui è costituita è pieno di macchie blu di Zyklon-B [sic](come il resto della stanza)» (p.218).
Tuttavia, ancora nel 1997, in questa stanza c’era un cartello in cinque lingue che informava:
«Camera a gas sperimentale per uccidere i detenuti con Zyklon B. Questo veniva versato attraverso le aperture nel soffitto» (103).
Ora, se basta “un’ispezione superficiale” per capire che questo locale non era una camera a gas omicida, perché è stata spacciata per decenni per una camera a gas omicida?
D’altra parte gli argomenti degli Autori erano già stati esposti da me – e in modo ben più incisivo – nel 1998. Nello studio su Majdanek menzionato sopra, infatti, ho pubblicato le piante e i documenti relativi a questa camera a gas e ho esposto i risultati dell’ispezione sul posto, incluso il fatto che il telaio della finestra presenta tracce di blu di Prussia (104).
Ma la mia dimostrazione, essendo quella di un “negazionista”, è stata completamente ignorata, mentre quella – superficiale e parzialmente errata (105) – degli Autori, farà indubbiamente testo.
Come camere a gas omicide restano dunque soltanto le camere I, II e III dell’impianto che si trova a est della baracca “Bad und Desinfektion I”, riguardo alle quali gli Autori scrivono:
«In seguito le SS costruirono due camere più piccole in cemento, con porte in ferro (sul retro dell’edificio, e all’epoca separate dalle stanze), e queste aggiunte, a nostro parere, avevano lo scopo esplicito di uccidere i prigionieri con il gas. Per quale altro motivo le SS avrebbero costruito queste nuove stanze munite di spioncini e porte che si chiudevano a chiave, elementi che non si ritrovano in nessuna camera per la disinfestazione? [.]. Infine, sappiamo che nelle camere a gas di Bad und Desinfektion I veniva utilizzato il monossido di carbonio, un segno del loro uso per l’omicidio in massa» (p. 219).
Qualche pagina dopo gli Autori, commentando la fotografia che appare a p.222 del loro libro (si tratta della camera III, quella a sinistra venendo dalla baracca “Bad und Desinfektion I”), scrivono:
«Questa comprende una porta in acciaio con chiavistello, spioncino e rivelatore di gas, e la stanza stessa presenta macchie di Zyklon-B [sic] dal pavimento al soffitto. [.]. Parlando di questa camera a gas e dell’altra affine, Tregenza osserva che “queste due camere erano anch’esse adattate all’uso con il gas CO, che può essere usato soltanto a scopo di sterminio. Il CO è inutile per la disinfestazione, ed è letale solo per gli animali a sangue caldo”. Ciò che vediamo quindi è una stanza dove il gas veniva utilizzato sulle persone, non sui vestiti» (p. 224).
Eccoci dunque pretesamente di fronte a due vere camere a gas omicide!
La realtà è ben diversa. Contrariamente a ciò che credono gli Autori – che, qui più che mai, secondo ciò che essi stessi attribuiscono agli storici revisionisti, utilizzano fonti incestuose -, l’impianto in questione fu progettato e costruito come impianto di disinfestazione.
Il progetto originario, di cui si è conservato un disegno redatto successivamente – il disegno della Bauleitung “K.G.L. Lublin Entwesungsanlage Bauwerk XIIA ” dell’ agosto 1942 – mostra un blocco rettangolare di m 10,76 x 8,64 x 2,45 contenente 2 camere di disinfestazione (Entlausungskammern) di m 10 x 3,75 x 2 (altezza) ciascuna, con due porte di m 0,95 x 1,80 situate una di fronte all’altra, sicché ciascuno dei lati minori presenta una coppia di porte poste una accanto all’altra alla distanza di 3 metri (106).
Riassumo brevemente la storia iniziale di questo impianto nella seguente cronologia:
27 maggio 1942: l’Amt IIB del WVHA richiede un “Entwesungsanlage” per il “Begkleidungswerk Lublin”;
19 giugno 1942: il Chef des Amtes Zentrale Bauinspektion dell’SS-WVHA, SS-Sturmbannführer Lenzer, comunica alla Bauinspektion der Waffen-SS und Polizei Generalgouvernment la richiesta summenzionata “per la costruzione di un impianto di disinfestazione secondo il sistema della disinfestazione con acido cianidrico (zum Bau einer Entwesungsanlage nach dem System der Blausäure-Entwesung);
10 luglio 1942: il capo della Zentralbauleitung invia alla Bauinspektion der Waffen-SS und Polizei Generalgouvernment la documentazione amministrativa sull’ “impianto di disinfestazione” (Entwesungsanlage);
10 luglio 1942: redazione del “rapporto esplicativo per la costruzione di un impianto di disinfestazione per lo stabilimento per il pellame e il vestiario di Lublino” (Erläuterungsbericht zur Errichtung einer Entwesungsanlage für die Pelz- und Bekleidungswerkstätte Lublin);
10 luglio 1942: redazione del “preventivo di costo per la costruzione di una baracca di disinfestazione per lo stabilimento per il pellame e il vestiario di Lublino (Kostenanschlag über Errichtung einer Entwesungsbaracke für die Pelz- und Bekleidungswerkstätte Lublin);
agosto 1942: redazione del disegno “campo per prigionieri di guerra di Lublino. Impianto di disinfestazione. Cantiere XIIA” (K.G.L. Lublin. Entwesungsanlage. Bauwerk XIIA).
11 settembre 1942: la Zentralbauleitung ordina due “apparati di riscaldamento dell’aria” (Heissluftapparate) alla ditta Theodor Klein -Maschinen- und Apparatebau Ludwigshafen, Rhein Knollstrasse 26, per l’”impianto di disinfestazione” (Entwesungsanlage);
22 ottobre 1942: nella lista dei cantieri (Bauwerke) già completati appare la “realizzazione di un impianto di disinfestazione” (Erstellung einer Entwesungsanlage) per il laboratorio per il pellame e il vestiario di Lublino (Pelz- und Bekleidungswerkstätte Lublin).
Successivamente la camera situata a est (a destra venendo dalla baracca Bad und Desinfektion I) fu divisa a metà da un tramezzo centrale.
Nessun documento e nessuna testimonianza dimostrano che questo impianto fu usato a scopo omicida. Quanto alle “prove” in tal senso addotte dagli Autori, il fatto che le porte di queste camere si chiudano “a chiave” è falso e ridicolo. Altrove ho mostrato le immagini e spiegato il funzionamento dei congegni di chiusura di queste porte (107). La presenza dello spioncino sulle porte, come ho già spiegato riguardo ad Auschwitz, non dimostra nulla, perché ne erano dotate anche le porte delle camere di disinfestazione. Parlando di un presunto “rivelatore di gas” in una porta (!) (108), gli Autori dimostrano tutta la loro tragica ignoranza in materia di camere di disinfestazione (e di presunte camere a gas omicide). La porta in oggetto (fotografia a p. 222) ha infatti due leve di chiusura a sinistra, una in alto, l’altra in basso, e una maniglia in mezzo; un foro per l’inserimento del termometro a bacchetta, al centro, uno spioncino (sotto il foro) e una piastra metallica in basso a destra (109).
4) Ma che dire dell’impianto a monossido di carbonio?
Rilevo anzitutto che nessuno storico ufficiale ha mai spiegato per quale motivo, pur disponendo di due presunte camere a gas omicide a Zyklon B dotate di riscaldatori dell’aria, le SS del campo avrebbero diviso in due parti la camera II, adibendo solo il primo locale (di circa 17 metri quadrati) a camera a gas a monossido di carbonio e dotando la camera I, che funzionava a Zyklon B, di un impianto a monossido di carbonio: eppure nel campo di Majdanek lo Zyklon B non è mai mancato. Secondo la relativa documentazione – completa – dal giugno del 1942 al giugno 1944, esso ricevette complessivamente 6.961 kg di Zyklon B (110).
Ma c’è un altro argomento ben più importante: non esiste nessuna prova che le tubature installate nei due locali summenzionati servissero per l’immissione in essi di monossido di carbonio. Al riguardo non c’è nessun documento e nessuna testimonianza. L’unica “prova” al riguardo è costituita da due bombole di acciaio situate in uno stanzino attiguo. Un cartello in cinque lingue avverte che
“da qui veniva regolato l’afflusso del monossido di carbonio in due camere”.
Ma che prova c’è che le due bombole contenessero effettivamente monossido di carbonio? Nessuna. Sulle due bombole è infatti ancora leggibile la seguente incisione:
«Dr. Pater Victoria Kohlensäurefabrik Nussdorf Nr 6196 Full. 10 kg [illeggibile] und Fluid Warszawa Kohlensäure [illeggibile] Fluid Warszawa Lukowski. Pleschen 10,1 kgCO2 gepr.» (111).
Le due bombole non contenevano dunque ossido di carbonio (CO), ma anidride carbonica (CO2), che, come è noto, non è un gas tossico.
Naturalmente né gli Autori, né la loro fonte Tregenza, né nessun altro storico ufficiale si è mai accorto di questo piccolo dettaglio non certo irrilevante, ma tutti, citandosi incestuosamente l’un l’altro, continuano a ripetere falsamente che le due bombole contenevano monossido di carbonio!
5) La camera a gas di Mauthausen
Gli Autori si occupano poi della camera a gas di Mauthausen. Vediamo quali siano le “prove concordanti” da essi addotte.
Allo stato attuale, questo locale, che misura metri 3,59 x 3,87 (= 13,89 metri quadrati) ed è alto metri 2,42 (112), possiede:
– due porte metalliche a tenuta di gas con spioncino,
– una conduttura idrica con 16 docce,
– un tombino di scarico dell’acqua con griglia metallica,
– un calorifero costituito da 5 tubi orizzontali,
– un rivestimento di piastrelle fino a un metro e mezzo circa,
– una piastra metallica rotonda che chiude un’apertura rotonda praticata sul soffitto.
Gli Autori definiscono il locale “una finta doccia” (p. 225) e parlano di “finti bulbi di doccia“, il che è falso, perché la doccia è vera ed era funzionante. L’acqua che si raccoglieva sul pavimento usciva dall’apposito tombino. La loro affermazione non si basa sull’impianto doccia che esiste nel locale, ma su una semplice deduzione:
«Ha poco senso sostenere (come fanno i negazionisti) che l’adiacente camere a gas (figura 19) fosse una stanza delle docce o una camera per la disinfestazione. Innanzitutto, esistevano già una doccia e una camera per la disinfestazione all’ingresso del campo (dove ci si aspetterebbe di trovarle), in secondo luogo, perché i nazisti avrebbero collocato le docce vicino a una stanza delle autopsie e a un crematorio?» (p. 229).
Dunque, secondo la singolare logica degli Autori, poiché all’ingresso del campo esisteva una doccia, in nessun altro locale del campo poteva esistere un’altra doccia! Con la stessa logica si potrebbe affermare che a Birkenau, poiché esistevano già due impianti doccia nei Bauwerke 5a e 5b (che non si trovavano affatto “all’ingresso del campo”), le 50 docce della Zentralsauna erano finte!
Ciò vale ovviamente anche per “camera per la disinfestazione”. In questo caso la deduzione degli Autori è ancora più insensata, perché ciò che essi chiamano, appunto, “camera per la disinfestazione” e che mostrano nella fotografia a pagina 226, è in realtà un’autoclave, che, come dice il nome stesso – Dampf-Desinfektionapparat (apparato per la disinfestazione per mezzo del vapore) – funzionava a vapore, non a Zyklon B, perciò l’esistenza di quest’autoclave esclude ancora meno la possibilità dell’esistenza altrove di una camera a gas di disinfestazione a Zyklon B. Ecco un altro esempio di come gli Autori utilizzino le “regole condivise della ragione”!
Gli Autori richiamano poi l’attenzione sul calorifero, le cui tubature sono simili a quelle presenti “in un ufficio di Auschwitz” (p. 228 e 229) e dichiarano:
«Sembra che le tubature nella camera a gas fossero state installate per riscaldare la stanza al fine di accelerare l’evaporazione rapida dell’acido cianidrico dai granuli di Zyklon-B» (p. 229).
Le fonti menzionate nella nota 85 a p. 343 sono l’opera classica di Hans Marálek (che essi scrivono “Marszalek, confondendolo con Józef Marszaek, autore polacco di un libro su Majdanek) su Mauthausen, insieme ad altri cinque titoli su Majdanek, e ciò in una trattazione relativa al funzionamento della camera a gas di Mauthausen.
Naturalmente il riferimento al libro di H. Marálek non reca il numero della relativa pagina, come al solito per scoraggiare eventuali lettori curiosi che volessero controllare l’esattezza di ciò che essi scrivono. E infatti ciò che essi scrivono non corrisponde affatto alla fonte, nella quale si legge:
«In questa camera [il locale attiguo alla camera a gas] c’erano un tavolo, una maschera antigas e un apparato per il versamento del gas, dal quale una tubatura portava nella camera a gas. Il mattone caldo veniva messo sul fondo dell’apparato per il versamento del gas; esso serviva ad affrettare la trasformazione dei cristalli [sic] dello Zyklon-B in gas liquido [in flussiges Gas]» (113).
In un opuscolo dedicato alle presunte gasazioni omicide a Mauthausen, Hans Marálek ha spiegato in modo dettagliato il funzionamento della camera a gas: nel locale attiguo alla camera a gas c’era un apparato per il versamento del gas (una specie di cassa metallica con coperchio a tenuta di gas) collegato ad un tubo metallico lungo un metro – che aveva una fessura lunga 80 centimetri e larga mezzo centimetro – disposto all’interno della camera a gas. Le SS mettevano un mattone in una muffola del vicino forno crematorio e, quando era diventato incandescente, lo prendevano e lo mettevano sul fondo dell’apparato per il versamento del gas, indi vi versavano sopra il contenuto di un barattolo di Zyklon B e chiudevano il coperchio del dispositivo (114). In tal modo l’acido cianidrico evaporava immediatamente e i suoi vapori entravano nella camera a gas attraverso la suddetta fessura. L’evacuazione della miscela gasosa avveniva per mezzo di un ventilatore collocato sul soffitto, in un angolo del locale.
Dunque il calorifero non aveva alcuna funzione per la presunta attività omicida della camera a gas, ma allora perché vi fu installato? E perché vi furono installate docce funzionanti?
Come ho dimostrato altrove (115), la camera a gas di Mauthausen non poteva funzionare nel modo descritto; essa era infatti originariamente una camera di disinfestazione ad acido cianidrico dotata di un impianto Degesch di ricircolo dell’aria (Degesch-Kreislauf-Apparat) adattato al locale identico a quello della camera di disinfestazione (e presunta camera a gas omicida) di Sachenhausen, che possedeva parimenti un vero impianto docce.
Dunque entrambe le camere a gas potevano essere usate anche come docce.
Gli autori chiedono con simulata ingenuità perché “perché i nazisti avrebbero collocato le docce vicino a una stanza delle autopsie e a un crematorio”. Appunto per l’igiene del personale addetto alla manipolazione dei cadaveri! Chi più di coloro che toccavano cadaveri di detenuti spesso morti di malattie infettive avevano bisogno di una doccia? E ciò vale anche per la disinfestazione dei loro vestiti (senza ovviamente escludere che la camera di disinfestazione servisse per tutto il campo).
Dopo di che gli Autori hanno l’ardire di concludere: «Tutte le testimonianze fornite da queste fonti differenti [sic!] puntano verso questa macabra conclusione»! (p. 229).
Indi aggiungono: «Non basta che i negazionisti escogitino una spiegazione alternativa che consiste solo nella confutazione di singoli elementi di prova. Devono presentare una teoria che non solo spieghi tutte le testimonianze, ma che lo faccia in maniera superiore alla teoria attuale. Questo non lo hanno fatto. La nostra conclusione si fonda su questa base di verità storica» (p. 229).
Questo è precisamente ciò che ho fatto in questo capitolo, dimostrando da un lato la totale inconsistenza storica delle teorie degli Autori e ristabilendo dall’altro la verità storica su base documentaria.
CAPITOLO III
LE “PROVE DOCUMENTARIE CONVERGENTI” DELL’OLOCAUSTO
1) La definizione di “Olocausto”
Per esporre correttamente le tesi revisionistiche bisogna anzitutto dare una definizione corretta di “Olocausto”. Al riguardo gli Autori scrivono:
«Quando gli storici parlano di “Olocausto” nell’accezione più generale si riferiscono al fatto che circa sei milioni di Ebrei sono stati uccisi in modo intenzionale e sistematico dai nazisti, con l’utilizzo di un certo numero di mezzi diversi, comprese le camere a gas. Secondo questa definizione dell’Olocausto, ampiamente accettata, ciò che i cosiddetti revisionisti dell’Olocausto di fatto stanno facendo è negarlo, poiché ne negano le trecomponenti fondamentali: l’uccisione di sei milioni di persone, le camere a gas e l’intenzionalità» (p. 28).
Questa definizione può essere condivisa, con la precisazione che i fattori essenziali sono le camere a gas e l’intenzionalità (ossia l’uccisione pianificata e sistematica di Ebrei in quanto tali). Il fattore numerico è il meno rilevante, perché – in via di principio – i sei milioni non dimostrano la realtà di un piano di sterminio pianificato e attuato in camere a gas.
Come dicono giustamente gli Autori, ma con opposto significato,«se siano stati cinque milioni o sei milioni è fondamentale per le vittime, ma è irrilevante se la questione è stabilire se l’Olocausto abbia effettivamente avuto luogo» (p. 231).
Ciò che conta non è il numero dei morti, ma se si tratta di assassinati secondo un piano governativo di sterminio in massa in camere a gas. Sulla questione ritornerò nel § 4.
2) La liberazione dei campi
Gli Autori però fingono poi di dimenticarsi di questa definizione e gettano nel calderone dell’Olocausto di tutto.
Così a p. 230, dopo aver riportato la descrizione di G.M. Gilbert delle “reazioni dei capi nazisti a un film sui campi di concentramento liberati dagli americani”, dichiarano:
«Questa descrizione cruda emersa al processo di Norimberga dello sgomento e dell’orrore di alcuni capi nazisti di fronte alla portata e le proporzioni dell’Olocausto ci dà qualche indicazione di quanto lo sterminio di massa abbia superato l’immaginazione persino di chi lo perpetrò».
Così la situazione della primavera del 1945, quando la Germania era nel caos totale, quando nei campi infuriavano epidemie che decimavano i detenuti, diventa una “prova” dell’Olocausto, una “prova” dello “sterminio di massa” intenzionale!
L’infondatezza di questo argomento e la malafede di chi lo espone sono fin troppo evidenti. Come è noto, nei campi di concentramento occidentali gli apici della mortalità dei detenuti furono tragicamente raggiunti dopo la fine del presunto programma di sterminio in massa.
Ad esempio, a Buchenwald, dei 32.878 decessi di detenuti registrati nella statistica dell’ospedale, ben 12.595 si verificarono nel 1945, in tre mesi e mezzo, 20.283 nei sei anni precedenti (116);
a Dachau vi furono 27.839decessi, di cui 15.385 nei primi cinque mesi del 1945e 12.455 nei quattro anni precedenti (117);
a Mauthausen, degli 86.024 decessi registrati, 36.043si verificarono dal gennaio al maggio 1945 e 49.981 nei sette anni precedenti (118);
a Sachsenhausen, dei 19.900 decessi registrati,4.821 si ebbero nei primi quattro mesi del 1945 e 15.079 nei cinque anni precedenti (119).
Ora, secondo la storiografia ufficiale, il presunto ordine di Himmler che poneva fine al presunto programma di sterminio ebraico risalirebbe all’ottobre 1944 (120), sicché, in pratica, i detenuti cominciarono a morire in massa dopo la fine dello sterminio in massa.
3) Gli Einsatzgruppen
Parimenti infondata è l’affermazione degli Autori che “gli Einsatzgruppen dimostrano che l’Olocausto ha avuto luogo” (p. 241). In effetti, le fucilazioni degli Einsatzgruppen non dimostrano affatto l’esistenza di un piano di sterminio degli Ebrei in quanto Ebrei, né esse sono negate dal revisionismo.
Riguardo al primo punto, la concomitante politica nazionalsocialista riguardo agli Ebrei occidentali esclude che gli Einsatzgruppen obbedissero ad un ordine generale di sterminio degli Ebrei in quanto tali. Al riguardo Christopher R. Browning, con riferimento al presunto ordine di sterminio di tutti gli Ebrei russi,ha scritto:
«Tuttavia la politica ebraica dei nazisti non ne fu immediatamente trasformata. Si continuò a parlare di emigrazione, di espulsione e di piani per un reinsediamento futuro» (121).
L’emigrazione degli Ebrei occidentali fu infatti proibita solo il 23 ottobre 1941 (122) e, come vedremo successivamente, la conferenza di Wannsee fu programmata per il 9 dicembre (123) proprio per informare le autorità competenti di questo fatto e delle sue implicazioni.
Passiamo al secondo punto. Ciò che il revisionismo contesta è:
- a) che gli Einsatzgruppen avessero l’ordine di sterminare gli Ebrei in quanto Ebrei;
- b) l’entità delle fucilazioni realmente effettuate.
Nello studio su Treblinka che ho realizzato in collaborazione con Jürgen Graf ho esposto validi argomenti a sostegno di queste due tesi (124). Ad esempio, la “Braune Mappe” (giugno 1941) dice che dovevano essere fucilati i “Sowjetjuden“ (cioè gli Ebrei boscevichi), ma non il resto della popolazione ebraica, che doveva essere ghettizzata. E il paragrafo “Richtlinien für die Behandlung der Judenfrage” (Direttive per la trattazione della questione ebraica) di questo documento si apre con le seguenti parole:
«Tutte le misure riguardanti la questione ebraica nei territori orientali occupati saranno prese in base al presupposto che la questione ebraica dopola guerra troverà una soluzione generale per tutta l’Europa [die Judenfrage nach dem Kriege für ganz Europa generell gelöst werden wird]».
Nello studio summenzionato ho inoltre addotto varie prove dell’inattendibilità delle cifre riportate nei rapporti degli Einsatzgruppen. Ad esempio, nel rapporto riepilogativo sull’ attività dell’Einsatzgruppe A (16 ottobre-31 gennaio 1942), il numero degli Ebrei presenti in Lettonia all’arrivo delle truppe tedesche è di 70.000, ma il numero degli Ebrei fucilati in loco è di 71.184! Per di più, altri 3.750 Ebrei si trovano, vivi, in campi di lavoro!
In Lituania c’erano 153.743 Ebrei, di cui 136.421 furono fucilati e 34.500 furono rinchiusi nei ghetti di Kaunas, Wilna e Schaulen, ma, sommando queste due cifre, si ottiene un totale di 170.921 Ebrei!
I 34.500 Ebrei dei ghetti – stando a questo rapporto – erano persone abili al lavoro (tutti gli inabili al lavoro essendo stati fucilati), ma, secondo il censimento effettuato alla fine di maggio del 1942, nel ghetto di Wilna c’erano 14.545 Ebrei, i cui nomi (insieme alla data di nascita, alla professione e all’indirizzo) sono stati pubblicati dal Museo Ebraico di Vilnius. Da quest’opera risulta che, dei 14.545 Ebrei censiti, ben 3.693 (il 25,4 % del totale) erano bambini! Fucilati redivivi?
Il Tätigkeits- und Lagebericht Nr. 6 der Einsatzgruppen der Sicherheitspolizei und des SD in der UdSSR relativo al periodo 1-31 ottobre 1941 menziona la fucilazione di 33.771 Ebrei a Kiev (Babi Yar) il 29 e 30 settembre 1941, ma un tale massacro non è mai avvenuto e la storia delle immani arsioni in massa è completamente falsa. L’unica “prova” che i Sovietici trovarono sul posto furono un paio di scarpe rotte e qualche straccio che fotografarono diligentemente e descrissero così nel loro album fotografico relativo a Babi Yar: “Resti di scarpe e vestiti di cittadini sovietici fucilati dai Tedeschi”!
Per non parlare della fantomatica “azione 1005″, menzionata dagli Autori a p. 153, cioè la presunta esumazione e arsione dei cadaveri delle fosse comuni sotto il comando di Paul Blobel, riguardo alla quale – nonostante la presunta attività a dir poco immane: 2.100.000 cadaveri esumati da migliaia di fosse comuni e bruciati in centinaia di località disseminate in un territorio vasto oltre 1.200.000 chilometri per tredici mesi! – non esiste né un indizio documentario né una prova materiale!
4) I 6 milioni
Nel paragrafo “Quanti Ebrei morirono e come facciamo a saperlo?” (pp.231-236) gli Autori espongono il trito argomento capzioso dei 6 milioni:
«Per sfidare i negazionisti cominciamo con una domanda semplice: se non morirono, che fine hanno fatto sei milioni di Ebrei?»(p. 232).
Ma che siano scomparsi 6 milioni di Ebrei è tutto da dimostrare.
A questo scopo gli Autori si appellano anzitutto all’affidavit di Wilhelm Hoettl del 26 novembre 1945 di cui ci siamo già occupati sopra, nel quale egli dichiarò che Eichmann gli aveva riferito che il numero degli Ebrei uccisi “doveva essere superiore ai sei milioni” (p. 232).
Tuttavia una semplice affermazione di seconda mano, in campo storico, non vale nulla e gli Autori se ne rendono ben conto. Essi invocano perciò la “conferma” dello storico tedesco Wolfgang Benz, editore dello studio statistico “Dimension des Völkermords. Die Zahl der jüdischen Opfer des Nationalsozialismus” (125), di cui gli Autori riescono anche a sbagliare la casa editrice (nota 6 a p. 344).
Non c’è bisogno di dire che gli Autori non nominano neppure il migliore studio statistico revisionistico, quello di Walter N. Sanning, che pure è apparso negli Stati Uniti! (126).
In uno studio comparativo dei metodi di lavoro dell’opera edita da W. Benz e del libro di W.N. Sanning, Germar Rudolf (127) ha dimostrato che delle 6.277.441 vittime ebree di W. Benz ben 533.193 sono completamente inventate(128), in quanto risultano da un doppio conteggio, mentre il numero degli Ebrei scomparsi calcolato da W.N. Sanning è di 1.113.153 (129). Non meno importante è il fatto che, delle presunte 6.277.441 di W. Benz, ai presunti campi di sterminio – dunque all’Olocausto in senso stretto – spettano meno di 3.000.000, e W. Benz non è in grado di spiegare come sarebbero morti i quasi 3.300.000 Ebrei restanti (130).
Raul Hilberg, lo storico ufficiale più autorevole, calcola un totale di 5.100.000 vittime ebree, di cui solo 2.700.000 riguarderebbero i presunti campi di sterminio (131). Nella loro tabella a p. 177 gli Autori stessi arrivano a 3.062.000 Ebrei uccisi nei “campi di sterminio“, ma non considerando che – secondo F. Piper – la cifra di 1.100.000 morti ad Auschwitz attualmente in auge contiene circa 100.000 non Ebrei (132), sicché il totale effettivo è di 2.962.000.
Quanto siano serie le statistiche ufficiali e gli Autori che le sostengono risulta da questa loro affermazione:
«Spesso per esempio [i “negazionisti”] citano il fatto che Franciszek Piper,direttore del dipartimento di studi sull’Olocausto del museo statale di Auschwitz-Birkenau, ha portato il numero di coloro che sono stati uccisi ad Auschwitz da quattro milioni a poco più di un milione, e sostengono che questa sia una prova a favore della loro tesi. Ma evitano di rilevare che nel contempo i dati sono stati aggiornati verso l’alto, a causa per esempio del numero di Ebrei assassinati dagli Einsatzgruppen durante e dopo l’invasione dell’Unione Sovietica. La somma totale del numero di Ebrei morti – all’incirca sei milioni – non è cambiata» (p. 29).
Esaminiamo la questione in termini numerici.
Poiché, dei 6 milioni, 4 spettavano ad Auschwitz e poiché questi 4 milioni si sono poi ridotti a un milione, i 3 milioni restanti sono da attribuire agli Einsatzgruppen, e di conseguenza la somma totale di 6 milioni “non è cambiata”.
Questa è una sciocca menzogna.
Nel libro edito da W. Benz citato sopra appare una statistica comparata dei dati di G. Wellers, di G. Reitlinger, di R. Hilberg e dell’Enciclopedia dell’Olocausto.
Riguardo all’Unione Sovietica (attività degli Einsatzgruppen) in essa figura una cifra minima di 750.000 (G. Reitlinger) e una cifra massima di 2.100.000 (W. Benz) (133). E’ dunque vero che, dal 1953, il numero delle vittime attribuito agli Einsatzgruppen è stato “aggiornato verso l’alto”, ma solo di 135.000 vittime: e le restanti
(3.000.000 – 135.000 =) 2.865.000 finte vittime di Auschwitz a chi devono essere attribuite?
Queste 2.865.000 finte vittime sarebbero dovute scomparire dalla somma totale dei 6 milioni, ma, con un colpo di bacchetta cabbalistica, tale somma “non è cambiata”!
Non meno singolare è come, dalle medesime fonti relative all’Unione Sovietica, alcuni studiosi, come W. Benz, desumano un totale di 2.100.000 morti e altri meno della metà. R. Hilberg scrive infatti:
«Il deficit così corretto si situa dunque ancora tra 850.000-900.000, e bisogna detrarre da questa cifra almeno cinque categorie di vittime non attribuibili all’Olocausto: 1) i soldati ebrei dell’Armata Rossa morti in combattimento, 2) i prigionieri di guerra ebrei morti in prigionia e non identificati come Ebrei, 3) gli Ebrei morti nei campi di lavoro sovietici durante il periodo 1939-59, 4) i civili ebrei morti nella zona di combattimento, in particolare durante l’assedio di Leningrado e Odessa, 5) gli Ebrei morti di privazioni tra coloro che erano fuggiti o erano stati evacuati per ragioni diverse dalla paura delle azioni tedesche antiebraiche» (134).
Secondo Hilberg, in queste cinque categorie rientrano circa 100.000-200.000 Ebrei, sicché le vittime dell’Olocausto in Unione Sovietica sarebbero tra 650.000 e 800.000, cioè da 1.300.000 a 1.450.000 meno della cifra di W.Benz!
Le cause di morte non olocaustiche addotte da Hilberg, insieme ad altre ancora (ad esempio, gli Ebrei morti come partigiani e l’eccedenza della mortalità), valgono in buona parte anche per gli Ebrei occidentali, in particolare per quelli polacchi. Secondo il rapporto Korherr, soltanto in Germania, Austria e Boemia-Moravia, fino al 31 dicembre 1942 si verificò una diminuzione della popolazione ebraica per eccedenza della mortalità di 82.776 persone (135). Che cosa accadde allora su scala europea e fino al 1945? Un’ultima osservazione sull’attendibilità delle statistiche ufficiali.
Dopo la seconda guerra mondiale, su quale base fu definita la categoria dei superstiti ebrei?
In Francia furono considerati tali coloro che si presentarono nel 1945 al Ministero degli ex combattenti! (136).
In Polonia la lista generale dei superstiti ebrei fu compilata il 15 giugno 1945 (137) ed è chiaro che, per esservi registrati, anch’essi avevano dovuto presentarsi a qualche ministero.
E si può ritenere fondatamente che una tale prassi fosse consueta in tutta l’Europa. Ma quanti superstiti preferirono non rientrare nel loro paese di origine? E quanti preferirono non andare a dichiarare che erano vivi?
E come si può essere certi che le prime statistiche e i censimenti successivi non siano stati manipolati?
La questione numerica non è dunque così semplice come vogliono far credere gli Autori e comunque, come concedono essi stessi, è irrilevante per sapere se l’Olocausto ha avuto luogo.
Perciò passiamo ad altre presunte “prove convergenti”.
5) Il protocollo di Wannsee
Gli Autori si appellano al cosiddetto protocollo di Wannsee come “ulteriore prova che Hitler ordinò la soluzione finale” (p. 276).
Nella pretesa dimostrazione di questo assunto essi impiegano tutto l’arsenale di quegli artifizi pseudostorici che attribuiscono agli storici revisionisti.
Essi riassumono anzitutto le quattro parti in cui il documento (138) è suddiviso. La prima parte elenca i funzionari che parteciparono alla conferenza.
La seconda parte è un resoconto delle attività svolte fino ad allora per la “soluzione finale della questione ebraica europea”. Di questa parte gli Autori forniscono un riassunto del tutto tendenzioso, ponendo l’accento sulla “cacciata degli Ebrei” dallo spazio vitale tedesco, ma omettendo omertosamente i modi e le cifre di questa cacciata:
«Per attuare questi obiettivi è stata iniziata sistematicamente e intensificata, come unica possibilità provvisoria di soluzione, l’accelerazione dell’emigrazione degli Ebrei dal territorio del Reich. Per ordine del Maresciallo del Reich [Göring], nel gennaio 1939 è stata istituita una Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica la cui direzione è stata affidata al Capo della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza. Essa aveva in particolare il compito di:
- a) prendere tutti i provvedimenti per la preparazione di una emigrazione ebraica intensificata;
- b) dirigere l’ondata di emigrazione;
- c) accelerare la realizzazione dell’emigrazione nei casi singoli.
Lo scopo di questo incarico era quello di ripulire in modo legale degli Ebrei lo spazio vitale tedesco» (139).
In conseguenza di tale politica, continua il documento, dal 30 gennaio 1933 al 31 ottobre 1941, nonostante varie difficoltà, circa 537.000 Ebrei erano emigrati dal Vecchio Reich, dall’Austria e dal Protettorato di Boemia e Moravia, e precisamente:
– dal 30.1.1933 dal Vecchio Reich: circa 360.000 Ebrei
– dal 15 marzo 1938 dall’Ostmark (Austria): circa 147.000 Ebrei
– dal 15.3.1939 dal Protettorato di Boemia e Moravia: circa 30.000 Ebrei (140).
Poiché questi dati sono in totale contraddizione con la presunta volontà omicida di Hitler nei confronti degli Ebrei e con le tesi preconcette degli Autori, essi semplicemente li tacciono!
Ciò che gli Autori scrivono riguardo alla terza parte del documento è un vero capolavoro di travisamento scientifico:
«Nella terza parte scorgiamo una pistola fumante. Eichmann annuncia che è stato messo a punto un nuovo piano: “L’emigrazione ora è stata sostituita da un’altra possibile soluzione del problema, cioè l’evacuazione all’est“.
“Evacuazione” è una parola in codice, neanche troppo velata, per dire “mandarli a morte nei campi orientali“. Perché facciamo questa congettura?
Eichmann ha appena descritto i primi due tentativi di risolvere la questione ebraica, e li dichiara ambedue inadeguati, seguiti da “un’altra soluzione”» p. 280).
La nuova soluzione, per gli Autori, sta nel noto passo del documento sulla deportazione ebraica all’est che si conclude così:
«Per coloro che dovessero eventualmente rimanere si richiederà un trattamento adeguato; perché non c’è dubbio che rappresenteranno la parte più resistente, il risultato di una selezione naturale [natürliche Auslese], che potrebbe, se liberata, diventare la cellula germinativa di un nuovo rinascimento ebraico (come testimonia l’esperienza della storia» (p. 281).
Gli Autori commentano:
«L’”evacuazione degli Ebrei” descritta da Eichmann non può voler dire la semplice deportazione per farli vivere altrove, dato che i nazisti avevano già messo in atto la deportazione degli Ebrei a est e Eichmann la indica come inadeguata. Quella che tratteggia è invece una soluzione nuova. La spedizione a est significherà, per coloro che sono abili al lavoro, il lavoro fino alla morte (come sappiamo da altre fonti), per coloro che non sono abili al lavoro, la morte immediata. E per quanto riguarda chi è abile al lavoro e non soccombe alla morte? “Per coloro che dovessero eventualmente rimanere si richiederà un trattamento adeguato”. Un trattamento adeguato può voler dire soltanto l’assassinio» (p. 281).
L’intero ragionamento è viziato da un volgare trucco interpretativo.
Con riferimento ai compiti della Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica menzionati sopra, il documento dice:
«L’obiettivo era di ripulire in modo legale (auf legale Weise) lo spazio vitale tedesco dagli Ebrei. Tutti gli uffici erano consapevoli degli inconvenienti (Nachteile) che una tale emigrazione forzata (Auswanderungsforcierung) comportava» (141).
Il documento non parla dunque dei “primi due tentativi di risolvere la questione ebraica“, perché si riferisce soltanto all’emigrazione forzata in altri Stati, né “li dichiara ambedue inadeguati”, ma dice che l’emigrazione forzata presentò degli “inconvenienti” e che vari fattori, a cominciare dalle difficoltà finanziarie, la “resero difficoltosa” (erschwerten) (142).
Indi, con un’ardita impostura, gli Autori dichiarano che “i nazisti avevano già messo in atto la deportazione degli Ebrei a est e Eichmann la indica come inadeguata”, trasformando l’emigrazione forzata in altri Stati in “deportazione degli Ebrei all’est” e appioppando a questa pretesa deportazione la falsa qualifica di “inadeguata“!
La “congettura” secondo cui «”evacuazione” è una parola in codice» è un’affermazione arbitraria e infondata smentita da documenti (a cominciare dal promemoria di Martin Luther, capo del dipartimento Deutschland del Ministero degli esteri tedesco, del 21 agosto 1942 (143) (ovviamente neppure menzionato dagli Autori) e dai numerosi trasporti ebraici da Vecchio Reich, Austria, Protettorato e Slovacchia che, dal marzo 1942, furono inviati nel distretto di Lublino (144).
La pretesa che “evacuazione” significasse mandare a morte gli Ebrei “nei campi orientali” (cioè Belzec, Sibibor e Treblinka) è inoltre assurda, perché all’epoca della conferenza non esisteva ancora nessuno di questi campi.
Passiamo al “trattamento adeguato” (entsprechend behandelt = trattati in modo adeguato). Anche in questo caso gli Autori possono pretendere che esso significasse assassinio soltanto distorcendo il senso del testo, che è questo:
se coloro che resteranno dopo la “diminuzione naturale” (natürliche Verminderung) saranno liberati (bei Freilassung = in caso di liberazione), essi costituiranno la cellula germinale di una rinascita ebraica, dunque non devono essere liberati. L’interpretazione degli Autori presuppone invece che, in luogo di “in caso di liberazione” (bei Freilassung), il testo dica “in caso che continuino a vivere”, e proprio qui sta il loro trucco.
Occupiamoci infine delle altre gravi omissioni degli Autori operate ad arte per occultare al lettore il significato del documento e poterlo distorcere a loro arbitrio.
Prima ho già segnalato quella relativa alla politica di emigrazione ebraica e ai 537.000 Ebrei emigrati dai territori sotto giurisdizione tedesca dal 1933 all’ottobre 1941. Qui ne aggiungo altre tre.
Lo scopo della conferenza era di comunicare alle autorità interessate la fine dell’emigrazione forzata in altri Stati e l’inizio della deportazione all’est:
«”Frattanto il Reichsführer-SS e Capo della Polizia tedesca [Himmler], in considerazione dei pericoli di una emigrazione durante la guerra e in considerazione delle possibilità dell’Est, ha proibito l’emigrazione degli Ebrei. Al posto dell’emigrazione, come ulteriore possibilità di soluzione (als weitere Lösungsmöglichkeit) con previa autorizzazione del Führer, è ormai subentrata l’evacuazione degli Ebrei all’Est.
Tuttavia queste azioni devono essere considerate unicamente delle possibilità di ripiego (Ausweichmöglichkeiten), qui però vengono già raccolte quelle esperienze pratiche che sono di grande importanza in relazione alla futura soluzione finale della questione ebraica (die im Hinblick auf die kommende Endlösung der Judenfrage von wichtiger Bedeutung sind)» (145)
Per ordine del Führer, dunque, l’emigrazione degli Ebrei era sostituita dalla loro evacuazione nei territori orientali occupati, ma soltanto come possibilità di ripiego, ed è chiaro che uno sterminio biologico non può sensatamente essere definito possibilità di ripiego! Ed ecco perché gli Autori hanno ritenuto conveniente tacere su questo passo.
Passiamo alla seconda omissione:
«Gli Ebrei evacuati vengono anzitutto portati incessantemente in cosiddetti ghetti di transito (Durchgangsghettos) per essere trasportati da lì ancora più a est» (146).
Se l’evacuazione ebraica significava l’invio alla “morte nei campi orientali”, che cos’erano i ghetti di transito? Un’altra parola “in codice”?
Sulla questione ritornerò alla fine di questo paragrafo.
La terza omissione riguarda un passo che smentisce sfacciatamente l’infondata “congettura” degli Autori. Se essa fosse vera, le prime vittime dell’ “evacuazione” avrebbero dovuto essere gli inabili al lavoro, in particolare i vecchi. Ma che cosa dichiara a loro riguardo il documento?
Questo:
«Non ci si propone di evacuare gli Ebrei di età superiore a 65 anni, ma di trasferirli in un ghetto per anziani – è previsto Theresienstadt [Es ist beabsichtig, Juden im Alter von über 65 Jahren nicht zu evakuieren, sondern sie einem Altersghetto – vorgesehen ist Theresienstadt – zu überstellen]» (147).
Ecco dunque un eccellente esempio di imposture e omissioni concordanti degli Autori per distorcere il significato di un documento e ingannare i loro lettori!
Prima di concludere, riprendiamo la questione dei ghetti di transito. A p.264 gli Autori riportano la traduzione tedesca di una lettera di Himmler al Gauleiter Arthur Greiser datata 18 settembre 1941. Il documento dice apertamente che Himmler, per esaudire i voleri di Hitler, si impegnava a trasportare gli Ebrei del Vecchio Reich e del Protettorato nei territori orientali (Ostgebiete) conquistati dai Tedeschi due anni prima, e ciò “come prima fase” (als erste Stufe) e, possibilmente, entro il 1941, per poi deportarli la primavera successiva ancora più a oriente (noch weiter nach dem Osten abzuschieben). Himmler manifesta l’intenzione di trasferire 60.000 Ebrei del Vecchio Reich e del Protettorato al ghetto di Lodz “per l’inverno”(für den Winter), in attesa, appunto, di deportarli ancora più a est nella primavera successiva (p. 264) (148), perciò Lodz doveva fungere da ghetto di transito, il che dimostra ulteriormente che i Durchgangsghettos del protocollo di Wannsee erano appunto e semplicemente dei ghetti di transito.
Ecco dunque un documento (uno dei tanti!) che descrivono inequivocabilmente l’evacuazione ebraica all’est come vera evacuazione, senza alcuna finalità omicida (nel settembre 1941 i presunti campi di sterminio orientali non esistevano), ma – cosa inaudita – per gli Autori esso diventa una “prova”,ovviamente “convergente”, della decisione di Hitler di attuare lo sterminio in massa degli Ebrei europei, e ciò nella piena consapevolezza dell’assurdità di tale congettura:
«Witte conclude: “Questa terminologia in pratica già rappresenta una condanna a morte per gli Ebrei in attesa di deportazione, al di là del fatto che in quel momento non ci fossero campi di sterminio pronti» (p. 265).
Questa conclusione è un affronto alla storia e alle “regole condivise della ragione”.
6) “Ausrottung” e “Vernichtung”
Come “prove convergenti” della realtà dell’Olocausto gli Autori presentano inoltre il solito campionario di citazioni estrapolate dei principali capi nazisti nelle quali il valore probatorio sarebbe assicurato dalla presenza di termini come “vernichten- Vernichtung” (annientare-annientamento) e “ausrotten-Ausrottung” (sterminare-sterminio). Gli Autori dedicano un apposito paragrafo (“Ausrotten gli Ebrei”, p. 265) al tentativo di dimostrare che questi termini, che facevano parte della truce retorica nazista, significassero sterminio biologico.
Come è noto, il punto di partenza obbligato di questa fallace interpretazione della storiografia ufficiale è l’estrapolazione della cosiddetta “profezia” di Hitler del discorso del 30 gennaio 1939:
«Oggi voglio essere di nuovo un profeta: Se l’ebraismo finanziario internazionale dentro e fuori l’Europa dovesse riuscire a precipitare ancora una volta i popoli in una guerra mondiale, il risultato non sarà la bolscevizzazione della terra e con ciò la vittoria dell’ebraismo, ma l’annientamento della razza ebraica in Europa (sondern die Vernichtung der jüdischen Rasse in Europa)» (149).
Nessuno di questi valenti estrapolatori cita mai il seguito del discorso,che spiega perfettamente i termini della minaccia:
«Poiché il tempo in cui i popoli non ebrei erano indifesi di fronte alla propaganda volge alla fine. La Germania nazionalsocialista e l’Italia fascista posseggono quelle istituzioni che permettono, se necessario, di spiegare al mondo l’essenza di una questione che molti popoli conoscono istintivamente e che non è chiara loro solo scientificamente» (150).
Dunque l’ “annientamento della razza ebraica in Europa” consisteva semplicemente nell’ additare agli altri popoli le istituzioni tedesche e fasciste che promuovevano la conoscenza scientifica della “questione ebraica”.
Nel discorso del 30 gennaio 1941 Hitler disse:
«E non vorrei dimenticare il monito che ho già fatto una volta, il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939], al Reichstag tedesco.Il monito,cioè, che, se il resto del mondo sarebbe stato precipitato dall’ebraismo in una guerra generale, l’intero ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa!(das gesamte Judentum seine Rolle in Europa ausgespielt haben wird!)» (151).
Se dunque l’ebraismo avrebbe cessato di svolgere il suo ruolo in Europa, la “Vernichtung” del 1939 era un “annientamento” puramente politico.
Ciò è confermato dalle parole di Hitler nel discorso che tenne allo Sportpalast il 30 gennaio 1942:
«Ci rendiamo conto che questa guerra potrebbe terminare soltanto così, o i popoli ariani saranno sterminati (ausgerottet werden), o l’Ebraismo scomparirà dall’Europa (das Judentum aus Europa verschwindet). Il 1°settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939] , al Reichstag tedesco, ho già detto – ed io mi guardo dalle profezie avventate – che questa guerra non si concluderà come immaginano gli Ebrei, cioè che i popoli ariani europei saranno sterminati (ausgerottet werden), ma che il risultato di questa guerra sarà l’annientamento dell’Ebraismo (die Vernichtung des Judentums). […]. E verrà l’ora in cui il peggiore nemico mondiale di tutti i tempi avrà di nuovo cessato il suo ruolo almeno, forse, per un millennio» (152).
Bisogna concludere che Hitler credesse alla lettera che la guerra, se fosse stata perduta, si sarebbe conclusa con lo sterminio biologico dei “popoli ariani”?
Questa citazione conferma inoltre che la “Vernichtung” della razza ebraica in Europa del discorso del 30 gennaio 1939 non era uno sterminio biologico, perché qui si parla, in caso di vittoria, di scomparsa ebraica “dall’Europa”, che, insieme alla cessazione del ruolo politico dell’ebraismo in Europa, si spiega soltanto con i piani di deportazione degli Ebrei nei territori orientali occupati, che erano considerati extra-europei.
Il 24 febbraio 1942 il Führer ritornò sull’argomento. Dopo aver affermato che la “cospirazione” (Verschwörung) del mondo plutocratico e del Cremlino miravano ad un solo e identico fine – “lo sterminio (die Ausrottung) dei popoli e delle razze ariani” – precisò:
«Oggigiorno le idee della nostra rivoluzione nazionalsocialista e di quella fascista hanno conquistato grandi e potenti Stati, e si adempirà la mia profezia che con questa guerra non verrà annientata l’umanità ariana, ma sarà sterminato l’Ebreo (nicht die arische Menschheit vernichtet, sondern der Jude ausgerottet wird)» (153).
Il 21 luglio 1942, al suo quartier generale, Hitler ribadì:
«Infatti – poiché con la [sua] fine questa guerra avrà buttato fuori dall’Europa (aus Europa hinausgeforfen) anche l’ultimo Ebreo – sarebbe sterminato totalmente (mit Stumpf und Stiel ausgerottet (154))» (155).
Questo significato figurato del verbo “ausrotten” appare – coll’uso del corrispondente sostantivo – anche nel discorso del 30 settembre 1942, in cui Hitler disse:
«Il 1° settembre 1939 [recte: il 30 gennaio 1939] a quella seduta del Reichstag ho detto due cose. In primo luogo.e, in secondo luogo, che, se l’ebraismo avesse mai provocato una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) dei popoli ariani d’Europa, non sarebbero stati sterminati (ausgerottet werden) i popoli ariani, ma l’ebraismo» (156).
Nel discorso dell’8 novembre 1942 Hitler parafrasò così la sua “profezia” del 30 gennaio 1939:
«Vi ricorderete ancora della seduta del Reichstag nella quale dichiarai: se l’ebraismo si illude di poter provocare una guerra mondiale internazionale per lo sterminio (zur Ausrottung) delle razze europee, il risultato non sarà lo sterminio (die Ausrottung) delle razze europee, ma lo sterminio (die Ausrottung) dell’ebraismo in Europa!» (157).
Hitler spiega poi di nuovo il senso di questa “Ausrottung”: il riconoscimento del pericolo ebraico da parte dei popoli europei e l’introduzione da parte di essi di una legislazione antiebraica simile a quella tedesca:
«In Europa questo pericolo è stato riconosciuto e gli Stati aderiscono uno dopo l’altro alla nostra legislazione» (158).
Infine, nel discorso del 24 febbraio 1943 Hitler ribadì:
«Questa lotta perciò non finirà, come si immagina, coll’annientamento (mit der Vernichtung) dell’umanità ariana, ma con lo sterminio (mit der Ausrottung) dell’ebraismo in Europa» (159).
Con ciò abbiamo anche la perfetta equivalenza dei termini “Vernichtung” e “Ausrottung”, entrambi applicati ai popoli europei.
Ricapitolando: o Hitler credeva ad uno sterminio biologico non dei soli Tedeschi, ma di tutti i popoli europei (!) in caso di sconfitta della Germania – ipotesi decisamente grottesca – oppure egli usava i termini “Vernichtung” e “Ausrottung” in senso figurato anche nei confronti dell’ebraismo, il che è pienamente confermato dalle varie citazioni e dal loro contesto.
E che questa sia l’interpretazione corretta – se ci fosse bisogno di una ulteriore conferma – è dichiarato esplicitamente da uno storico insospettabile come Joseph Billig, già ricercatore presso il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Parigi:
«Il termine “Vernichtung” (annientamento, distruzione) indicava la volontà assolutamente negativa riguardo alla presenza ebraica nel Reich. In quanto assoluta, questa volontà si annunciava come pronta, se fosse stato necessario, a tutti gli estremi. Il termine in questione non significava che si era già arrivati allo sterminio e neppure l’intenzione deliberata di arrivarvi. Alcuni giorni prima del discorso citato [il discorso del 30 gennaio 1939], Hitler riceveva il ministro degli Esteri della Cecoslovacchia. Egli rimproverava al suo ospite la mancanza di energia del governo di Praga nei suoi sforzi di intesa con il Reich e gli raccomandava,in particolare, un’azione energica contro gli Ebrei. A questo proposito, egli dichiarò a titolo di esempio: “Presso di noi, vengono sterminati” (bei uns werden vernichtet). Bisogna credere che Hitler, nel corso di una conversazione diplomatica messa per iscritto negli archivi del Ministero degli affari esteri abbia fatto la confidenza di un massacro nel III Reich, il che, per di più, non era esatto a quell’epoca? Due anni dopo, il 30 gennaio 1941, Hitler rievocò la sua “profezia” del 1939. Ma, questa volta,ne precisò il senso come segue:” … e non voglio dimenticare l’indicazione che ho già data una volta davanti al Reichstag, cioè che se il resto del mondo (andere Welt) sarà precipitato in una guerra, il Giudaismo avrà terminato completamente il suo ruolo in Europa…”. Nella sua conversazione con il Ministro cecoslovacco, Hitler evocò l’Inghilterra e gli Stati Uniti, che, secondo lui, potevano offrire delle regioni di insediamento agli Ebrei.
Nel gennaio 1941 egli indica che il ruolo degli Ebrei in Europa sarà liquidato e aggiunge che questa prospettiva si realizzerà, perché gli altri popoli ne comprenderanno la necessità presso di loro. In quest’epoca si credeva alla creazione di una riserva ebraica. Ma essa per Hitler era ammissibile soltanto fuori d’Europa. Abbiamo appena rilevato che il 30 gennaio 1941 Hitler annunciò semplicemente la liquidazione del ruolo degli Ebrei in Europa» (160).
7) Le citazioni estrapolate
Dopo questo necessario inquadramento storico e contestuale, passiamo all’esame delle citazioni estrapolate degli Autori.
1) Hans Frank
“Hans Frank dimostra che l’Olocausto ha avuto luogo” (p. 245).
Gli Autori riportano un discorso di H. Frank del 7 ottobre 1940 in cui appare questa frase:
«Non ho potuto eliminare [ausrotten] tutti i pidocchi e gli Ebrei in un anno solo» (p. 245).
In realtà il discorso fu tenuto il 20 dicembre 1940, il termine “ausrotten” è stato inventato dagli Autori (il testo tedesco dice “hinaustreiben” =espellere) e il riferimento del documento, come ho già segnalato, è errato (si tratta del PS-2233 e non del PS-3363) (161): dunque una falsificazione e due errori in un colpo solo! Il discorso cui gli Autori attribuiscono la data del 13 dicembre 1941 fu tenuto il 16 dicembre e ad esso appartiene anche il brano da essi citato successivamente, di cui riportano il testo tedesco (nota 30 a p. 345) ma non la fonte, che è parimenti il PS-2233 (162):
«Attualmente ce ne sono nel Governatorato generale circa 2,5 milioni, e insieme a chi ne è amico e parente e connesso in ogni modo possibile, abbiamo quindi 3,5 milioni di Ebrei. Non possiamo fucilare questi 3,5 milioni di Ebrei, né possiamo avvelenarli, eppure dovremo adottare misure che in qualche modo portino all’obiettivo dell’annientamento, e questo sarà fatto in congiunzione con le grandi misure che dovranno essere discusse insieme al Reich (163). Il territorio del Governatorato generale deve essere liberato dagli Ebrei, come è avvenuto per il Reich. Dove e come questo avverrà è una questione di mezzi che devono essere utilizzati e creati, e sulla cui efficacia vi informerò a tempo debito» (pp. 245-246).
Gli Autori commentano:
«Se la soluzione finale significava solamente la deportazione dal Reich, perché Frank fa riferimento al raggiungimento dell’”obiettivo dell’annientamento” degli Ebrei con mezzi diversi dalla fucilazione e l’avvelenamento? La frase “die irgendwie zu einem Vernichtungsergolg führen” sottolinea le intenzioni omicide» (p.246).
Quand’anche questa interpretazione fosse corretta – ma non lo è – il passo dimostrerebbe, appunto, soltanto “intenzioni omicide”, mentre gli Autori lo adducono come “prova” del fatto che “l’Olocausto ha avuto luogo”! Cioè da presunte intenzioni essi desumono la realtà di un fatto!
Ma questa interpretazione è infondata. La citazione si inquadra infatti proprio nella politica di deportazione ebraica perseguita dal regime nazionalsocialista e va considerato alla luce di altre dichiarazioni – ovviamente taciute dagli Autori – che ne fanno comprendere il vero significato.
Nel Dienst-Tagebuch di H. Frank in data 17 luglio 1941 appare la seguente annotazione:
«Il signor governatore generale non desidera più una ulteriore creazione di ghetti, perché, secondo una esplicita dichiarazione del Führer del 19 giugno c.a. gli Ebrei in un tempo non troppo lontano saranno allontanati dal Governatorato generale e il Governatorato generale dovrà essere, per così dire, soltanto un campo di transito» (164).
Il 13 ottobre 1941 H. Frank e il Reichsminister Rosenberg ebbero un colloquio nel quale discussero anche sulla deportazione degli Ebrei dal Governatorato generale:
«Il governatore generale passò poi a parlare della possibilità dell’espulsione della popolazione ebraica del Governatorato generale nei territori orientali occupati. Il Reichsminister Rosenberg osservò che tali aspettative gli erano già state espresse dall’amministrazione militare di Parigi (165). Al momento però egli non vede ancora alcuna possibilità per l’attuazione di tali piani di trasferimento. Tuttavia per il futuro egli si è dichiarato pronto a favorire l’emigrazione ebraica all’Est, tanto più in quanto c’è già l’intenzione di mandare nei territori orientali scarsamente popolati soprattutto gli elementi asociali che ci sono all’interno del territorio del Reich» (166).
D’altra parte, secondo il passo citato dagli Autori, il Governatorato generale doveva diventare “libero da Ebrei” (judenrei) “come lo è il Reich” (wie es das Reich ist), ma il grande Reich – come abbiamo visto – era diventato (parzialmente) “judenrei” solo in virtù dell’emigrazione (Auswanderung) in altri paesi di circa 537.000 Ebrei. È dunque chiaro che H.Frank non ha fatto altro che riprendere la terminologia “annientatrice” di Hitler con il medesimo significato.
2) Joseph Goebbels
“Joseph Goebbels dimostra che l’Olocausto ha avuto luogo” (p. 246).
Gli Autori adducono due citazioni in cui pretendono di dimostrare “che l’Olocausto ha avuto luogo” in base alla semplice presenza del termine “Vernichtung”!
La prima citazione è tratta da un’annotazione del 19 agosto 1941 in cui Goebbels, richiamando la “profezia” di Hitler del 30 gennaio 1939, dice che “se l’ebraismo riuscisse di nuovo a provocare una guerra, questa si concluderebbe con il loro annientamento [Vernichtung]” (p. 246).
Abbiamo già visto che l’interpretazione degli Autori è completamente infondata. Essa si basa su una sorta di superstizione della parola avulsa dal contesto, la cui prova più significativa è da loro offerta a p. 274, dove la spiegazione scritta di Albert Speer – che egli per “Billigung” intendeva “guardare dall’altra parte, non essere a conoscenza di un ordine o della sua esecuzione. Il primo atto è grave quanto il secondo” – viene da essi contestata così: ”Ma a detta del nostro dizionario tedesco-inglese, Billigung in realtà vuol dire approvazione.” (p. 274). Dunque, il dizionario al di sopra di tutto!
Ovviamente questa superstizione serve soltanto a travisare il significato delle citazioni estrapolate, e, naturalmente, per completare l’inganno, gli Autori tacciono le altre prove contrarie alla loro interpretazione.
Per tornare a Goebbels, il 20 agosto 1941, dopo una visita al quartier generale del Führer, Göbbels annotò nel suo diario:
«Inoltre il Führer mi ha promesso che potrò espellere all’Est gli Ebrei di Berlino appena finita la campagna orientale» (167).
Il 24 settembre 1941 Göbbels ebbe un colloquio con Heydrich al quartier generale del Führer; il giorno dopo annotò nel suo diario che all’Est gli Ebrei «alla fine devono essere trasportati tutti nei campi costruiti dai bolscevichi» (168).
Queste considerazioni valgono anche per l’annotazione di Goebbels che gli Autori attribuiscono al 24 febbraio 1942, ma che si riferisce invece al 14 febbraio, nella quale sarebbe scritto che gli Ebrei “vivranno il loro stesso annientamento insieme alla distruzione dei nostri nemici” (p. 247). Qui gli Autori ricorrono ad un trucco di traduzione. Il testo originale dice: ”Sie werden mit der Vernichtung unserer Feinde auch ihre eigene Vernichtung erleben” (169), cioè: “Essi vivranno insieme all’annientamento del nostro nemico anche il loro proprio annientamento”. E’ chiaro che l’ “annientamento del nemico” non implica necessariamente lo sterminio biologico totale di tutti i nemici, e ciò gli Autori lo hanno capito tanto bene che hanno tradotto la “Vernichtung” riferita al nemico con “distruzione”!
Il riferimento al discorso di Goebbels del 23 settembre 1942 che segue è una riprova dell’uso di fonti spurie e incontrollate praticato dagli Autori in oltraggio alle direttive del loro decalogo metodologico sull’attendibilità e sulla verifica delle fonti. Il discorso in questione fu infatti «trascritto e consegnato dalla Resistenza polacca al ministero degli esteri britannico nel maggio 1943» (p. 247).
- Irving ne ha trovato “le autentiche origini polacche, e le persone che lo hanno prodotto, il servizio segreto polacco” (pp. 247-248), ma, nonostante ciò, secondo gli Autori, “questo non invalida il succo del discorso”! (p.248). Ora, poiché in questo discorso appare l’espressione “sterminio fisico” (p. 247), per perseguire le loro ragioni personali o politiche, gli Autori sono disposti a chiudere gli occhi alla critica e alla ragione:
non c’è alcuna prova che il discorso sia mai stato tenuto;
non c’è alcuna prova che, se il discorso è stato tenuto, Goebbels abbia usato quella espressione; non c’è nessuna certezza che, se il discorso è stato tenuto e Goebbels vi ha parlato degli Ebrei, la traduzione inglese della traduzione polacca delle parole di Goebbels corrispondano correttamente a quelle da lui proferite, ma, nonostante ciò, per gli Autori “questo non invalida il succo del discorso”!
Come ho dimostrato sopra, essi stessi hanno falsificato una citazione di Hans Frank sostituendo il termine “ausrotten” a “hinaustreiben”, ma, evidentemente, una tale procedura truffaldina, per loro, “non invalida il succo del discorso”!
Segue la ben nota citazione dell’annotazione di Gobbels del 27 marzo 1942:
«A partire da Lublino, adesso si stanno deportando gli Ebrei a est del Governatorato generale. La procedura è molto barbara, va al di là di qualsiasi descrizione, e non è rimasto granché degli Ebrei. Parlando per approssimazione si può probabilmente dire che il sessanta per certo dovrà essere liquidato, mentre solo il quaranta per cento può essere messo a lavorare» (p. 249).
Gli Autori commentano:
«Il 7 marzo 1942 Goebbels annotò nel suo diario che c’erano ancora undici milioni di Ebrei in Europa. Se, come annota venti giorni più tardi, il sessanta per cento di questi “dovrà essere liquidato”, abbiamo una buona approssimazione della cifra di sei milioni, da parte di uno dei dirigenti di grado più alto nella gerarchia del regime nazista» (p. 249).
Cominciamo dal commento. E’ vero che nell’annotazione del 7 marzo Goebbels fa riferimento a undici milioni di Ebrei, ma gli Autori si guardano bene dallo spiegare in quale contesto. L’annotazione dice infatti:
«La questione ebraica deve essere ora risolta nel quadro di tutta l’Europa. In Europa ci sono ancora 11 milioni di Ebrei. Essi devono essere anzitutto concentrati all’Est. Eventualmente, dopo la guerra (nach dem Kriege), deve essere assegnata loro un’isola, forse il Madagascar. Comunque non ci sarà pace in Europa se gli Ebrei non saranno completamente estromessi (ausgeschaltet) dal territorio europeo.» (170).
Osservo anzitutto che la concentrazione all’Est di questi 11 milioni di Ebrei non implicava affatto il loro sterminio biologico, dato che, dopo la guerra, doveva essere assegnata loro un’isola.
In secondo luogo, la cifra di 11 milioni è tratta dalla statistica che appare a p. 6 del protocollo di Wannsee, dunque Goebbels era bene al corrente dell’inizio della nuova politica di deportazione ebraica nei territori orientali comunicata da Heydrich nel corso della conferenza.
Ciò premesso, esaminiamo l’annotazione del 27 marzo 1942. Non c’è dubbio che essa si riferisca a tale politica di deportazione all’est, tuttavia le affermazioni specifiche di Goebbels non solo non trovano alcun riscontro documentario, ma sono smentite dai fatti. Anzitutto, che il 27 marzo 1942 non fosse rimasto “granché degli Ebrei” (“von Juden selbst nicht meht viel übrig”) (171) è falso non solo in riferimento al Governatorato generale, ma perfino in riferimento al ghetto di Lublino. Da questo ghetto infatti, che contava circa 34.000 Ebrei, ne furono deportati 30.000 a Belzec dal 17 marzo al 20 aprile (172), perciò fino al 27 marzo erano stati evacuati solo una parte degli abitanti del ghetto.
In secondo luogo, le deportazioni degli Ebrei polacchi ai confini orientali del distretto di Lublino erano già cominciate all’inizio di gennaio (173).
Uno dei primi rapporti noti risale al 6 gennaio 1942 e riguarda il “trasferimento (Aussiedlung) di 2.000 Ebrei da Mielec”. Il testo dice:
«1.000 Ebrei arrivano nella circoscrizione di Hrubieszow, stazione finale(Zielstation) Hrubieszow. 1.000 Ebrei arrivano nella circoscrizione di Cholm, di cui 400 stazione finale Wlodawa, 600 stazione finale Parczew. Pronti per l’accoglimento dal 15 gennaio 1942» (174).
Un rapporto successivo su questo trasferimento avvertiva le autorità locali:
«La prego di provvedere assolutamente che gli Ebrei [giunti] nella stazione finale siano accolti e adeguatamente diretti dove da Lei stabilito e non accada come in altri casi che gli Ebrei arrivino nella stazione finale senza sorveglianza e si sparpaglino per il territorio» (175).
Le direttive dell’ufficio governativo incaricato del trasferimento, trasmesse in allegato alle autorità locali dal consigliere amministrativo superiore distrettuale Weirauch, prescrivevano:
«L’Ufficio del distretto di Lublino, Sezione amministrazione interna e Sezione affari relativi alla popolazione e previdenza, è responsabile di fronte a me che gli Ebrei da trasferire ricevano in assegnamento nella misura del possibile alloggi sufficienti. Agli Ebrei da trasferire si deve permettere di poter portare con sé lenzuola e coperte. Si possono inoltre portare 25 kg a persona di altri bagagli e suppellettili domestiche. Gli Ebrei, dopo l’arrivo nei loro nuovi territori di insediamento (Siedlungsgebieten) devono essere sottoposti ad osservazione medica per tre settimane. Ogni caso di malattia sospetto di febbre petecchiale dev’essere comunicato immediatamente al competente medico distrettuale» (176).
Il 22 marzo fu eseguito un trasferimento di Ebrei da Bilgoraj a Tarnogrod, un paesino situato a 20 km a sud di questa città. Il relativo rapporto informa:
«Il 22 marzo è avvenuta una evacuazione di 57 famiglie ebraiche con complessive 221 persone da Bilgoraj a Tarnogrod. Ogni famiglia ha ricevuto un veicolo per portare con sé il mobilio necessario e i letti. Il controllo e la sorveglianza sono stati assicurati dalla Polizia polacca e dal commando del Servizio speciale. L’azione si è svolta secondo i piani senza infortuni. Gli evacuati sono stati alloggiati il giorno stesso a Tarnogrod» (177).
E questa sarebbe una procedura “molta barbara”?
Quanto alla suddivisione dei deportati tra un 40% impiegabile nel lavoro e un 60% che “dovrà essere liquidato” (“liquidiert werden müssen”), ciò è in contrasto sia con la tesi della storiografia ufficiale sui “campi di sterminio orientali”, in cui sarebbe stato attuato lo sterminio totale degli Ebrei, abili al lavoro inclusi (178), sia con i progetti tedeschi per Belzec del marzo 1942.
Il 17 marzo 1942 Fritz Reuters, un impiegato dell’Abteilung Bevölkerungswesen und Fürsorge dell’ufficio del governatore del distretto di Lublino, redasse una nota in cui riferì su un colloquio che aveva avuto il giorno prima con l’SS-Hauptsturmführer Höfle, incaricato del trasferimento ebraico nel distretto di Lublino. Riguardo a Belzec, il documento dice:
«Infine egli ha dichiarato che può accogliere 4-5 trasporti al giorno di 1.000 Ebrei con stazione finale Belzec. Questi Ebrei andranno oltre il confine e non ritorneranno più nel Governatorato generale» (179).
Da questo documento risulta che:
1) Era prevista la suddivisione tra Ebrei abili e inabili al lavoro.
2) Era previsto l’impiego a scopo lavorativo degli Ebrei abili al lavoro.
3) Belzec doveva essere un campo di smistamento degli Ebrei abili al lavoro catalogati “col sistema degli schedari secondo le loro professioni”. Questo progetto è evidentemente inconciliabile con la tesi del campo di sterminio totale.
4) Gli Ebrei inabili al lavoro sarebbero stati inviati tutti a Belzec. Il campo avrebbe potuto “accogliere 4-5 trasporti al giorno di 1.000 Ebrei”, evidentemente di Ebrei inabili al lavoro, che sarebbero stati deportati “oltre il confine” e non sarebbero più ritornati nel Governatorato generale.
Per questo Belzec viene chiamata “l’estrema stazione di confine della circoscrizione di Zamosc”. Questa frase ha senso solo in funzione di un trasferimento oltre frontiera.
Dunque la “liquidazione” del 60% degli Ebrei deportati era la loro evacuazione nei territori orientali. In questa annotazione di Goebbels la “liquidazione” ha dunque il medesimo significato della “Vernichtung” e della “Ausrottung” di Hitler.
3) Heinrich Himmler
“Heinrich Himmler dimostra che l’Olocausto ha avuto luogo” (p. 250).
Questa presunta “dimostrazione” consta di tre citazioni. La prima risale al gennaio 1937. Himmler parla degli “imperatori romani che sterminarono [ausrotteten] i primi cristiani”. Da ciò gli Autori desumono che “ausrotten significava assassinare” (p. 250), dunque, dovunque Himmler parli di “Ausrottung” si deve intendere l’assassinio. Ecco un altro brillante esempio di superstizione della parola estrapolata dal contesto!
Con la stessa logica si può affermare che, poiché un commercialista ha scritto che un assassino ha liquidato la sua vittima – e dunque “liquidare” significa assassinare – tutte le volte che egli parla di liquidazione di operai intende il loro assassinio!
La seconda citazione è – cosa inaudita! – il presunto discorso di Himmler al cospetto di Rudolf Höss, della cui realtà e del cui contenuto il comandante di Auschwitz è l’unico garante!
Si tratta della nota fandonia nella quale R. Höss (ovvero i suoi carcerieri britannici) pretende che Himmler abbia dichiarato che, nell’estate 1941! – esistevano già i presunti “campi di sterminio orientali“:
«I centri di sterminio attualmente esistenti a Oriente non sono assolutamente in condizione di far fronte alle grandiose azioni previste» (180).
Inutile dire che gli Autori si guardano bene dal citare questo passo, che da solo rende assolutamente inattendibile l’intera storiella “raccontata” da Rudolf Höss.
Il terzo passo è l’immancabile brano del discorso di Posen, nel quale, in un paragrafo intitolato “Die Judenevakuierung” (L’evacuazione ebraica), questo termine viene equiparato a “Ausrottung”:
«Ich meine jetzt die Judenevakuierung, die Ausrottung des jüdischen Volkes (Mi riferisco ora all’evacuazione ebraica, allo sterminio del popolo ebraico)» (181).
E poiché nel gennaio 1937 Himmler ha usato il verbo “ausrotten” nel senso di “assassinare”, ne consegue la la “Ausrottung” dell’ottobre 1943 significa necessariamente “assassinio”!
Naturalmente nessuno di questi sedicenti specialisti di metodologia storiografica si è mai chiesto se per caso non sia “Ausrottung” che significhi “Evakuierung”, invece del contrario. In effetti, nei discorsi di Hitler esaminati sopra la “Vernichtung” o “Ausrottung” del popolo ebraico era semplicemente il suo sterminio politico mediante deportazione o evacuazione nei territori orientali extra-europei.
Quanto al riferimento a 100, 500 o 1.000 cadaveri, esso si concilia poco la presunta politica di sterminio ebraico, perché i presunti campi di sterminio orientali rendevano presuntamente parecchie migliaia di cadaveri al giorno.
Le cifre menzionate si adattano invece alle attività repressive tedesche come quella della rivolta del ghetto di Varsavia, durante la quale furono uccisi circa 7.500 Ebrei. Dal ghetto di Varsavia gli Ebrei erano ufficialmente sottoposti ad una “Judenevakuierung” nei territori orientali (182).
Ovviamente il trucco della citazione estrapolata può avere speranze di riuscita solo a patto di non menzionare le citazioni che non rientrano nei pregiudizi ideologici o politici degli Autori, come la seguente dichiarazione di Himmler a Bad Tölz il 23 novembre 1942:
«Anche la questione ebraica in Europa è cambiata completamente. Il Führer disse una volta in un discorso al Reichstag: Se l’ebraismo dovesse mai provocare una guerra per lo sterminio dei popoli ariani, non sarebbero sterminati i popoli ariani, ma l’ebraismo. L’Ebreo è evacuato dalla Germania, egli ora vive all’Est [lebt im Osten] e lavora alle nostre strade, ferrovie, ecc. Questo processo è stato attuato coerentemente, ma senza crudeltà» (183).
4) Adolf Hitler
A p. 259 gli Autori, discutendo la vecchia tesi di D. Irving secondo cui Hitler non era a conoscenza del presunto sterminio ebraico, scrivono:
«A riprova di questa affermazione [D. Irving, nel libro “Hitler’s War”] porta una citazione di Hitler, di cui prese nota l’aiutante di Bormann, Heinrich Heim, nella tarda giornata del 25 ottobre 1941:
“Dalla tribuna del Reichstag ho profetizzato all’ebraismo che se la guerra non si fosse potuta evitare, gli Ebrei sarebbero scomparsi dall’Europa. Quella razza di criminali aveva già sulla coscienza i due milioni di morti della Grande Guerra, e adesso ne ha centinaia di migliaia di altri. Che a nessuno sia permesso di dirmi che nonostante questo non possiamo parcheggiarli nelle zone paludose della Russia! Anche le nostre truppe sono lì, e chi si preoccupa di loro? Per inciso: non è una cosa negativa che le voci pubbliche ci attribuiscano un piano di sterminio degli Ebrei» (p. 259) (184).
Gli Autori definiscono “fallacia dell’istantanea” la presentazione e la richiesta di D. Irving di singoli documenti a favore o contro la sua tesi e proseguono:
«In Hitler’s War Irving riproduce gli appunti telefonici di Himmler del 30 novembre 1941, dopo la richiesta di Hitler di un incontro con lui, che dimostrano che il capo delle SS telefonò a Reinhard Heydrich (capo dell’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich) alle 13.30 “dal bunker di Hitler a Wolfschanze, ordinando di ‘non liquidare’ gli ebrei (vedi figura 20 [a p. 260]“. Prendendo questa “istantanea” fuori dal suo contesto storico, Irving conclude:”Il Führer aveva ordinato che gli Ebrei non fossero liquidati”. Ma guardiamo di nuovo questa istantanea nella sequenza di fotogrammi che la circondano. Come fa notare Raul Hilberg, una traduzione più accurata dell’appunto è: ”Trasporto di Ebrei da Berlino. Nessuna liquidazione”. Il altre parole, Himmler si riferisce a un convoglio particolare, non a tutti gli Ebrei. E, ironicamente, dice Hilberg (e Irving in Hitler’s War concorda), “quel convoglio fu liquidato! Quell’ordine fu ignorato, oppure giunse troppo tardi. Il convoglio era già arrivato a Riga e non sapevano cosa fare con questo migliaio di persone, quindi le fucilarono quella sera stessa”» (pp. 259-261).
L’annotazione si riferisce al trasporto ebraico che partì da Berlino il 27 novembre 1941 alla volta di Riga.
In realtà sono gli Autori che evitano accuratamente di inserire queste “istantanee” nel loro contesto. Da un lato, infatti, essi tacciono sulle altre dichiarazioni di Hitler riguardo al trasferimento degli Ebrei Europei in altri Paesi extra-europei, ad esempio nel Magagaskar (185), o genericamente in Africa (186), o in Russia (187); essi tacciono sulla sua intenzione di “evacuare tutti gli Ebrei d’Europa dopo la guerra” espressa già nell’agosto 1940 (188), nonché la dichiarazione di Hitler espressa “ripetutamente” che egli “voleva rinviare la soluzione della questione ebraica a dopo la guerra” (die Lösung der Judenfrage bis nach dem Kriege zurückstellt wissen wolle) (189). Dunque l’invio degli Ebrei “nelle zone paludose della Russia” menzionato nella dichiarazione di Hitler del 25 ottobre 1941 si inquadra in questo contesto, come la frase “non è una cosa negativa che le voci pubbliche ci attribuiscano un piano di sterminio degli Ebrei” – che significa che un tale piano non esisteva – si inquadra nel contesto storico della politica di emigrazione ebraica. Ecco dunque una bella concordanza di prove contro la tesi degli Autori.
Passiamo all’annotazione di Himmler del 30 novembre 1941. A prima vista, l’interpretazione sembrerebbe ineccepibile, ma la “sequenza di fotogrammi” in cui essi hanno inserito questa “istantanea” è artefatta. Il vero contesto storico è questo.
Il “Rapporto generale dal 16 ottobre 1941 al 31 gennaio 1942″ (Gesamtbericht vom 16. Oktober 1941 bis 31. Januar 1942″) dell’ Einsatzgruppe A (presunta artefice dello sterminio dei trasporti ebraici dal Reich, incluso quello partito da Berlino il 27 novembre 1941) comprende un intero paragrafo intitolato “Juden aus dem Reich” (Ebrei dal Reich) nel quale si dice:
«Dal dicembre 1940 [recte: 1941] arrivarono trasporti ebraici dal Reich a brevi intervalli. 20.000 Ebrei furono diretti a Riga e 7.000 Ebrei a Minsk. I primi 10.000 Ebrei evacuati a Riga furono alloggiati parte in un campo di raccolta provvisorio, parte in un nuovo campo baracche costruito nei pressi di Riga. Gli altri trasporti sono stati insediati principalmente in una parte separata del ghetto di Riga.
La costruzione del campo baracche viene proseguita coll’impiego di tutti gli Ebrei abili al lavoro in modo tale che, coloro che supereranno l’inverno, potranno essere insediati in questo campo.
Degli Ebrei provenienti dal Reich solo una esigua parte è abile al lavoro.Circa il 70-80% sono donne e bambini nonché vecchi inabili al lavoro. Il tasso di mortalità cresce continuamente, anche a causa dell’inverno straordinariamente rigido.
Le prestazioni dei pochi Ebrei provenienti dal Reich abili al lavoro sono soddisfacenti. Essi come mano d’opera, per la loro lingua tedesca e la loro pulizia relativamente più accurata, sono preferiti agli Ebrei russi.
La capacità di adattamento degli Ebrei, con la quale cercano di conformare la loro vita alle circostanze, è straordinaria. L’accalcamento degli Ebrei in un piccolissimo spazio che si verifica in tutti i ghetti suscita naturalmente un grande pericolo di epidemie, contro il quale si agisce nel modo più ampio coll’impiego di medici ebrei. In singoli casi Ebrei contagiosi, col pretesto di portarli in un ospizio o un ospedale ebraico, furono selezionati e giustiziati» (190).
Dunque tra gli Ebrei deportati a Riga dal Reich – inclusi quelli del trasporto del 27 novembre 1941 – vi furono soltanto uccisioni di singoli malati contagiosi (“im einzelnen Fällen”), non misure generali di sterminio in massa!
CONCLUSIONE
Dopo questa enorme mole di imposture convergenti nella negazione della verità, gli Autori hanno l’ardire di concludere con la speranza che il loro libro
«abbia fornito non soltanto un’esauriente e ragionata risposta a tutte le tesi di coloro che negano l’Olocausto, ma abbia anche chiaramente presentato la convergenza di prove che dimostrano come sappiamo che l’Olocausto (o qualunque evento della storia) sia avvenuto» (p. 328).
Ciò che gli Autori hanno realmente fornito, è una risposta dilettantesca e confusa di una piccola parte delle argomentazioni di una piccola parte degli studiosi revisionisti, e ciò che essi hanno chiaramente presentato è soltanto una convergenza di forzature, omissioni e interpretazioni capziose che dimostrano la totale inconsistenza delle “prove” relative all’Olocausto.
E ciò che gli Autori pretendono di aver confutato non è il revisionismo storico, ma una ridicola parodia del revisionismo storico. Essi hanno fatto scempio del loro stesso decalogo metodologico, essendosi dimostrati inaffidabili nella loro selezione dei fatti storici, utilizzando fonti non verificate e incestuose, non cercando mai di smentire le proprie tesi, ma cercando soltanto prove di conferma e occultando le prove contrarie, facendo appello ad una “convergenza di prove” puramente fittizia, e infine assoggettando le loro conclusioni alle loro convinzioni personali e ai loro pregiudizi.
In una cosa gli Autori hanno perfettamente ragione, quando esprimono la convinzione (p. 53) che “la verità prevale sempre quando le prove vengono messe a disposizione e sono accessibili a tutti”.
Ciò vale soprattutto per gli Autori stessi, che, come tutti i loro congeneri, puntano tutto sull’ignoranza dei propri lettori: una volta messe a disposizione e rese accessibili a tutti le prove delle loro imposture, la verità non può che prevalere.
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NOTE
- Editori Riuniti, Roma, settembre 2002. Cito il libro indicando tra parentesi le relative pagine.
- Vedi capitolo I.
- Vedi al riguardo P. Rassinier, La menzogna di Ulisse. Graphos, Genova 1996, pp. 153-256.
- Ad esempio, il libro di G. Wellers “Les chambres à gas ont existé”(Gallimard, Paris 1981) e l’opera collettiva “Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas” (S. Fischer Verlag, Frankfurt/Main 1983).
- G. Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli Ebrei d’Europa 1939-1945. Il Saggiatore, Milano 1965, pp. 182-183.
- Trial of Josef Kramer and Forty-four Others (The Belsen Trial), edited by Raymond Philips. William Hodge and Company Limited, London-Edinbourgh-Glasgow 1946, pp. 66-78.
- Il rapporto, molto fantasioso, contiene una descrizione dei crematori II e III di Birkenau con relativo disegno completamente inventati: Vrba e Wetzler pongono la presunta camera a gas omicida (il Leichenkeller 1), che era seminterrata, allo stesso livello della sala forni e la collegano a questa con un binario a scartamento ridotto che non è mai esistito; essi descrivono inoltre 9 forni disposti intorno al camino, mentre i crematori suddetti avevano 5 forni a 3 muffole installati in linea! Vedi il disegno dei crematori e la vera pianta di essi nel mio studio Olocausto: dilettanti allo sbaraglio, op. cit., pp. 293-294.
- Vedi al riguardo il mio studio “Auschwitz: due false testimonianze”.Edizioni La Sfinge, Parma 1986, pp. 19-25.
- Il termine non ha alcuna base documentaria. Nessun documento noto designa “Sonderkommando” il personale addetto ai crematori, viveversa a Birkenau esistevano almeno almeno 11 “Sonderkommandos” che non avevano alcuna relazione con i crematori. Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato. Edizioni di Ar, 2001, pp. 138-141.
- M. Nyiszli, Medico ad Auschwitz. Longanesi, Milano 1976, pp. 37 e 39.
- NI-11593, pp. 2 e 4.
- Vedi Olocausto: dilettanti a convegno, op. cit., p. 51.
- “Medico ad Auschwitz”: anatomia di un falso. Edizioni La Sfinge, Parma 1988.
- Vedi al riguardo il mio opuscolo Auschwitz: un caso di plagio. Edizioni La Sfinge, Parma 1986.
- Vedi al riguardo il mio articolo “Keine Löcher, keine Gaskammer(n)”.Historisch-technische Studie zur Frage der Zyklon B-Einwurflöcher in der Decke des Leichenkellers I im Krematorium II von Birkenau, in: “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”, 6. Jg., Heft 3, settembre 2002, pp. 292-293 e 301-302.
- Rijksinstituut voor Oorlogsdocumentatie, Amsterdam, c[21]96 : (“die Leichen verbrannten in etwa 4 Minuten”); cfr. L. Poliakov, Auschwitz.Julliard, Paris 1964, p. 162.
- Inmitten des grauenvollen Verbrechens. Handschriften von Mitgliedern des Sonderkommandos. Verlag des Staatlichen Auschwitz-Birkenau Museum, 1996, p.37 (“in einer dieser Öffnungen konnten 12 Leichen Platz finden”).
- M. Nyiszli, Medico ad Auschwitz, op. cit., p. 44 (“In tutto ventimila persone passano ogni giorno per le camere a gas e di lì nei forni d’incinerazione”).
- Si tratta della traduzione americana di Le Mensonge d’Ulysse (trad it.La menzogna d’Ulisse. Graphos, Genova 1996).
- Vedi il testo in: http://aaargh.vho.org/engl/RassArch/…bunkIntro.html
- PS-2170, p. 5.
- M. Gilbert, Final Journey: The Fate of the Jews in Nazi Europe. London 1979, p. 91.
- Anche L. Poliakov ha falsificato i 25 metri quadrati del documento originale portandoli a 93. Breviaire de la haine. Calmann-Lévy, Paris 1979,p. 223.
- PS-1553.
- Vedi al riguardo C. Mattogno, F. Deana, The Crematoria Ovens of Auschwitz and Birkenau, in: Ernst Gauss (ed.), Dissecting the Holocaust. The Growing Critique of “Truth” and “Memory”. Theses and Dissertations Press,Capshaw (Alabama), 2000, pp. 373-412.
- Vedi il mio articolo Risposta supplementare a John. C. Zimmerman sulla “Body disposal at Auschwitz” nella mia pagina web del sito www.russgranata.com
- Rüdiger Kammerer-Armin Solms (Hg), Das Rudolf Gutachten. Gutachten über die Bildung und Nachweisbarkeit von Cyanidverbindungen in den “Gaskammern” von Auschwitz. Cromwell Press, London 1993. Edizione ampliata e corretta: Das Rudolf Gutachten. Gutachten über die “Gaskammern” von Auschwitz. Castle Hill Publishers, Hastings 2001.
- Vedi al riguardo il mio studio già citato Olocausto: dilettanti allo sbaraglio, pp. 154-155.
- Vedi l’album fotografico “Majdanek”.Krajowa Agencja Wydawnicza, Lublin 1985, fotografia 67.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers.The Beate Klarsfeld Foundation, New York 1989, pp. 59-60.
- D. Dwork, R.J. van Pelt, Auschwitz 1270 to the present. W.W. Norton &Company, New York, London 1996, p. 364.
- David Cole Interviews Dr. Franciszek Piper, Director, Auschwitz State Museum. Transcript © 1992 David Cole & Bradley Smith.http://jeffsarchive.com/David-Cole-V…-Interviews-Dr ..-Franciszek-Piper.html
- É. Conan, Auschwitz: la mémoire du mal, in: “L’Express”, 19 gennaio1995, p. 57. Testo in: http://www.fpp.co.uk/Auschwitz/docs/Conan.html.
- APMO (Archivio del Museo di Stato di Auschwitz-Birkenau), BW 30/34, p.100.
- G. Reitlinger, The Final Solution. The Attempt to Exterminate the Jews of Europe 1939-1945. Vallentine, Mitchell, London 1953, p. 150.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chamber, op. cit., p. 503.
- APMO, BW 30/34, p. 49.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers, op. cit., pp. 452-453.
- Idem, p. 46.
- Idem, fotografia 15.
- Idem, pp. 28-29.
- H. Langbein, Der Auschwitz-Prozess. Eine Dokumentation. Europa Verlag, Wien 1965, p. 537.
- Idem, p. 539.
- Ibidem.
- P. Vidal-Naquet, Gli assassini della memoria. Editori Riuniti, Roma 1993, p. 27.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers,op. cit., p. 162.
- J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945.Feltrinelli Editore, Milano 1994, p. 150.
- Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss.Einaudi, Torino 1985, pp. 158-159.
- Kommandant in Auschwitz. Autobiographische Aufzeichnungen des RudolfHöss. Herausgegeben von Martin Broszat, DTV, München 1981, p. 149, nota 1.
- R. Faurisson, Comment les Britanniques ont obtenu les aveux de Rudplf Höss, commandant d’Auschwitz, in: “Annales d’Histoire Révisionniste”, n. 1,1987, pp. 137-152.
- J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, op.cit., p. 149.
- F. Meyer, Die Zahl der Opfer von Auschwitz. Neue Erkenntnisse durch neue Archivfunde, in: “Osteuropa. Zeitschrift für Gegenwartsfragen des Ostens”,n. 5, maggio 2002, p. 639.
- “Sonderbehandlung” ad Auschwitz. Genesi e significato, op. cit., pp.101-116.
- GARF (Gosudarstvenni Archiv Rossiskoi Federatsii : Archivio di Stato della Federazione Russa), Mosca, 7021-108-39, p. 67.
- M. Gilbert, Auschwitz & the Allies. The politics of rescue. Arrow Books Limited, London 1984, p. 338.
- Ernst Gauss, Vorlesungen über Zeitgeschichte. Strittige Fragen im Kreuzverhör. Grabert Verlag, Tübingen 1993, pp. 104-107. Jean-Marie Boisdefeu, La controverse sur l’extermination des Juifs par les Allemands. Vrij Historisch Onderzoek, Anvers 1996, Tome I, pp. 162-165.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers,op. cit., p. 253.
- Mission: 60 PRS/462 SQ. Exposure : 3056. Can : D 1508, 31 maggio 1942,NA.
- Vedi al riguardo il mio articolo “Keine Löcher, Keine Gaskammer(n)”.Historisch-technische Studie zur Frage der Zyklon-B-Einwurflöcher in der Decke des Leichenkellers 1 im Krematorium II von Birkenau, cit., pp.284-304. La fotografia del 31 maggio 1944 è pubblicata a p. 287. Le fotografie aeree sono esaminate alle pp. 287-288.
- “No Holes? No Holocaust? A Study of the Holes in the Roof of Leichenkeller 1 of Krematorium 2 at Birkenau. Printed by : Zimmer Printing, 410 West Main Street, Monongahela, PA 15063. © 2000 by Charles D. Provan.,p. 13.
- J.-M. Boisdefeu, La controverse sur l’extermination des Juifs par lesAllemands, op. cit., pp. 166-170.
- C.D. Provan, “No Holes? No Holocaust? A Study of the Holes in the Roof of Leichenkeller 1 of Krematorium 2 at Birkenau, op. cit., p. 33. Vedi anche p. 18.
- L’Album d’Auschwitz. Éditions du Seuil, Paris 1983, pp. 194, 198-203.
- Vedi il mio articolo Die Deportation ungarischer Juden von Mai bis Juli 1944. Eine provisorische Bilanz, in: “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”, 5. Jg., Heft 4, dicembre 2001, pp. 388-389.
- E. Springer, Il silenzio dei vivi. Marsilio, Venezia 1997, pp. 67-70.
- Vedi al riguardo il mio articolo “Una testimone dell’ultima ora: Elisa Springer”, in: Olocausto: dilettanti a convegno, op. cit., pp. 138-139.
- C. Mattogno, Die Deportation ungarischer Juden von Mai bis Juli 1944.Eine provisorische Bilanz, art. cit., p.387.
- L’SS-Obersturmführer (tenente, non tenente colonnello!) Werner Jothann era il capo della Zentralbauleitung di Auschwitz. Egli era succeduto al comandante precedente, l’SS-Sturmabannführer Bischoff, il 1° ottobre 1943.
- J.-C. Pressac, Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, op.cit., p. 100.
- F. Piper, Gas Chambers and Crematoria, in: Y. Gutman/M. Berenbaum Editors, Anatomy of the Auschwitz Death Camp. Indiana University Press,Bloomington-Indianapolis 1994, p. 173.
- J.-C. Pressac, Auschwitz: Technique and operation of the gas chambers,op. cit., p. 500.
- F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz. Verlag Steinhausen, München 1979, p. 207 e 211.
- Trial of Josef Kramer and Forty-four Others (The Belsen Trial), op.cit., p. 131.
- F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 231.
- M. Nyiszli, Medico ad Auschwitz, op. cit., pp. 71-75.
- Pubblicato nella mia pagina web del sito http://www.russgranata.com/
- Secondo R.L. Braham, il numero degli uccisi fu di 400.000 su circa 435.000, ossia circa il 91%. The Politics of Genocide. The Holocaust in Hungary. Columbia University Press, New York 1981, vol. 2, p. 676. Questa percentuale è stata ripresa anche da J. C. Zimmerman.
- Risposta supplementare a John C. Zimmerman sulla “Body disposal at Auschwitz, art. cit.
- D. Czech, Kalendarium der Ereignisse im Konzentrationslager Auschwitz-Birkenau 1939-1945. Rowohlt Verlag, Reinbeck bei Hamburg 1989, p.789.
- A. Strzelecki, The Plunder of Victims and Their Corpses, in: Anatomy of the Auschwitz Death Camp, op. cit., p. 258.
- Sprawozdanie okresowe /od 25 V 1944 – 15 VI 1944/. APMO, D-RO/91, tomo VII, p. 446.
- Vedi ad es. F. Piper, Gas Chambers and Crematoria, op. cit., p. 173.
- NG-5623.
- T-1319.
- Auschwitz. Holocaust revisionist Jean-Claude Pressac. The “Gassed” People of Auschwitz: Pressac’s New Revisions. Granata, 1995, pp. 16-17.
- Dissecting the Holocaust. The Growing Critique of “Truth” and “Memory,op. cit., p. 398.
- F. Müller, Sonderbehandlung. Drei Jahre in den Krematorien und Gaskammern von Auschwitz, op. cit., p. 207 e 219.
- Vedi al riguardo il mio articolo “Verbrennungsgruben” und Grundwasserstand in Birkenau, in: “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”, 6. Jg., Heft 4, dicembre 2002, pp. 421-424.
- In realtà il volume sarebbe maggiore, perché la terra scavata aumenta di volume di circa il 25%. G. Colombo, Manuale dell’ingegnere. Hoepli, Milano 1916, p. 190.
- In ragione di circa 200 kg per ogni cadavere. Vedi lo studio sulla presunta cremazione in massa a Treblinka in: C. Mattogno, J. Graf,Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager? Castle Hill Publishers,Hastings, Inghilterra, 2002, pp. 180-192, in particolare p. 185.
- Vedi il mio articolo “Keine Löcher, keine Gaskammer(n)”.Historisch-technische Studie zur Frage der Zyklon B-Einwurflöcher in der Decke des Leichenkellers I im Krematorium II von Birkenau, cit., pp.284-304.
- Vedi al riguardo il mio studio “Sonderbehandlung” ad Auschwitz: Genesi e significato, op. cit., pp. 18-29 (La visita di Himmler ad Auschwitz ) e i relativi documenti alle pp.147-155.
- J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie. Castle Hill Publishers, Hastings, Inghilterra, 1998.
- Idem, cap. VI, “Die Gaskammern”, pp. 119-159.
- Idem, § 2, “Planung, Bau und Zweck der Gaskammern”, pp. 129-137.
- Idem, § 3, “Die Verwendung der Gaskammern zum Zweck der Menschentötung”,pp. 137-154.
- Idem, p. 153. La citazione è tratta dall’articolo di J.-C. Pressac Les carences et incohérences du rapport Leuchter, in: “Journal J”, dicembre 1988, p. IX.
- Idem, fotografia XXI a p 313.
- Vedi nota 97.
- In realtà si trattava della lavanderia.
- Cz. Rajca, Eksterminacja bezporednia, in: T. Mencel (editore), Majdanek 1941-1944. Wydawnictwo Lubelskie, Lublino 1991, p. 270.
- J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, op. cit., fotografia X a p. 307.
- Cartello visto e fotografato da me nel giugno 1997.
- J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, op. cit., pp. 149-152.
- Una sola delle due porte si chiude verso l’interno (quella del lato sud), inoltre, come ho già rilevato, le porte a tenuta di gas non avevano “serrature”, ma leve ad incastro (ciascuna porta della camera IV ne ha tre). Vedi le relative fotografie a colori nell’inserto fuori testo del libro KL Majdanek. Eine historische und technische Studie.
- La pianta è riprodotta in: J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, op. cit., documento 31, p. 290.
- Vedi le fotografie a colori delle porte di questi locali nel mio articolo “Auschwitz. La “bomb shelter thesis” di Samuel Crowell: un’ ipotesi storicamente infondata” pubblicato nella mia pagina web del sito www.russgranata.com
- L’apparato di prova del gas residuo per lo Zyklon B, che si chiamava Gasrestnachweisgerät für Zyklon B, era un apparato chimico costituito da reagenti e cartine reattive. Vedi la descrizione e la fotografia di un tale apparato nel mio studio Auschwitz: fine di una leggenda. Edizioni di Ar,1994, pp.80 e 96.
- La porta è stata ispezionata e fotografata dall’autore nel 1997. Una fotografia a colori è riprodotta nell’articolo citato nella nota precedente, immagine 8 (e 9, ingrandimento).
- J. Graf, C. Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, op. cit., cap. VIII, “Die Zyklon-B Lieferungen an das KL Majdanek”,pp. 195-210. Vedi in particolare la tavola riassuntiva a p. 205.
- Idem, p. 145. Ispezione dell’autore sul posto e lettera di conferma della Direttrice dell’archivio del Museo di Majdanek inviata all’autore in data 30.1.1998.
- Misurazioni dell’autore sul posto.
- H. Marálek, Die Geschichte des Konzentrationslager Mauthausen.Dokumentation. Österreichische Lagergemeinschaft Mauthausen, Wien 1980, p.211.
- H. Marsàlek, Die Vergasungsaktionen im Konzentrationslager Mauthausen.Österreichische Lagergemeinschaft Mauthausen, Wien 1988, p. 10.
- KL Sachsenhausen: Stärkemeldungen und “Vernichtungsaktionen” 1940 bis 1945, in: “Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung”,
- 1937 e 1940-1944. Konzentrationslager Buchenwald. Bericht des internationalen Lagerkomitees Buchenwald. Weimar, s.d., pp. 84-85.
- G. Neuhäusler, Cosa avvenne a Dachau? Karmel Heilig Blut Dachau,München,5a, s.d., p. 26.
- H. Marsalek, Mauthausen. La Pietra, Milano 1977, pp. 121-123.
- KL Sachsenhausen: Stärkemeldungen und “Vernichtungsaktionen” 1940 bis1945, art. cit.
- G. Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 555.
- C.B. Browning, La décision concernant la solution finale, in:L’Allemagne nazie et le génocide juif. Gallimard-Le Seuil, Paris 1985, p.198.
- T-1209.
- PS-709; NG-2586-F.
- Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op. cit., cap. VII,pp. 253-289.
- R. Oldenbourg Verlag, München 1991.
- The Dissolution of Eastern European Jewry. Institute for Historical Review, Torrance, California, 1983.
- G. Rudolf, Holocaust Victims: A Statistical Analysis. W. Benz and W.N.Sanning – A Comparison, in: Dissecting the Holocaust. The Growing Critique of “Truth” and “Memory”, op. cit., pp. 183-216
- Idem, p. 203.
- Ibidem.
- Idem, pp. 205-206.
- R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei europei. Einaudi, Torino 1995,p. 1318.
- F. Piper, Die Zahl der Opfer von Auschwitz. Verlag des Staatliches Museum in Owicim, 1993, p. 202.
- W. Benz, Dimension des Völkermords, op. cit., p. 16.
- R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei europei, op. cit., p.1317.
- NO-5196, p. 4.
- S. Klarsfeld, Le mémorial de la déportation des Juifs de France. Edité et Publié par Beate et Serge Klarsfeld, Paris 1978, p. 10 (numerazione mia).
- Statystyka ludnoci ydowskiej w Polsce, in: “Biuletyn Gównej Komisji Badania Zbrodni Niemieckich w Polsce”, I, 1946, p. 203.
- NG-2586-G. Fotocopia dell’originale in: R.M. Kempner, Eichmann und Komplizen. Europa Verlag, Zürich, Stuttgart,Wien 1961, pp. 133-147.
- Idem, p. 3 dell’originale.
- Idem, p. 4 dell’originale.
- Idem, p. 4 dell’originale.
- Ibidem.
- Vedi C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op. cit., cap. VI, Die nationalsozialistiche Politik der Judenauswanderung, pp. 223-251.
- Idem, pp. 302-306.
- NG-2586-G, p. 5 dell’originale.
- Idem, p. 8 dell’originale.
- Ibidem.
- Per il testo del documento e il suo inquadramento storico vedi : C.Mattogno, J. Graf, Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op.cit., pp. 241-242 e seguenti.
- Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945. R. Löwit -Wiesbaden 1973, Band II, Erster Halbband, p. 1058.
- Ibidem.
- Idem, Band II – Zweiter Halbband, p. 1663.
- Idem, Band II – Zweiter Halbband, p. 1828-1829.
- Idem, p. 1844.
- Questa locuzione significa “sradicare, estirpare totalmente”.
- H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier.Wilhelm GoldmannVerlag, München 1981, p. 449.
- Max Domarus, Hitler Reden und Proklamationen 1932-1945, op. cit., Band II, Zweiter Halbband, p. 1920.
- Idem, p. 1937.
- Ibidem.
- Idem, p. 1992.
- Joseph Billig, La solution finale de la question juive. Edité par Serge et Beate Klarsfeld, Paris 1977, p. 51.
- Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem internationalen Militärgerichtshof, Nürnberg 1948, vol. XXIX, pp.415-416.
- Idem, p. 503.
- Recte: “dal Reich” (“vom Reich her”).
- Martin Broszat, Hitler und die Genesis der “Endlösung”. Aus Anlass der Thesen von David Irving, in: “Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte”, Nr. 25/4, 1977, p. 748-749.
- Una chiara allusione alla proposta dell’SS-Sturmbannführer Carltheo Zeitschel del 22 agosto 1941 – poi approvata dal Führer – di risolvere la “questione ebraica” deportando gli Ebrei sotto giurisdizione tedesca nei territori orientali occupati (CDJC [Centre de Documentation Juive Contemporaine], V-15). Vedi al riguardo: C. Mattogno, J. Graf, Treblinka.Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op. cit., pp. 228-230.
- Faschismus – Getto – Massenmord, Röderberg-Verlag, Frankfurt/Main 1960,p. 252.
- M. Broszat, Hitler und die Genesis der “Endlösung”. Aus Anlass der Thesen von David Irving, art. cit., p. 750.
- Idem, p. 751.
- Idem, p. 758.
- R. Manvell-H.Fraenkel, Goebbels eine Biographie. Verlag Kiepenheuer & Witsch, Köln-Berlin 1960, p.256 (trad. it.: Vita e morte del dottor Goebbels. Milano 1961, p. 240).
- Testo tedesco dell’annotazione di Goebbels in: M. Broszat, Hitler und die Genesis der “Endlösung”. Aus Anlass der Thesen von David Irving, art. cit., 762.
- H. Jäckel, P. Longerich, J.H. Schoeps (Hg.), Enzyklopädie des Holocaust. Die Verfolgung und Ermordung der eupopäischen Juden. Argon Verlag, Berlin 1993, vol. II, p. 906.
- Vedi al riguardo C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op. cit., pp. 291-306.
- Dr. Józef Kermisz, Dokumenty i materiay do dziejów okupacij niemieckiej w Polsce, Tom II, “Akcje” i “Wysiedlenia”. Warszawa-ód-Kraków, 1946, p. 10.
- Idem, p. 11.
- Idem, p. 15.
- Idem, p. 46.
- Ad eccezione di poche migliaia di Ebrei “selezionati” per il funzionamento dei campi stessi.
- Idem, pp. 32-33.
- Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., p. 171.
- PS-1919. Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem internationalen Militärgerichtshof, Nürnberg 1948, vol. XXIX, p. 145.
- C. Mattogno, J. Graf, Treblinka. Vernichtungslager oder Durchgangslager?, op. cit., cap. IX, “Durchgangslager Treblinka”, pp. 341-372. Secondo il rapporto Stroop, durante l’insurrezione del ghetto di Varsavia (aprile 1943) furono uccisi sul posto 7.564 resistenti ebrei. Idem,pp. 352-353.
- Bradley F.Smith, Agnes F.Peterson (Hrsg.), Heinrich Himmler.Geheimreden 1933 bis 1945 und andere Ansprachen. Propyläen Verlag, Frankfurt/Main 1974, p. 200.
- Vedi: D. Irving, La guerra di Hitler. Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2001, pp. 539-540.
- H. Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, op. cit., p. 189 (24 luglio 1942).
- Idem, p. 340 (29 maggio 1942).
- W. Jochmann editore, Adolf Hitler. Monologe im Fuhrerhauptquartier 1941-1944. Die Aufzeichnungen. Albrecht Knaus, Hamburg 1980, p. 241 (“L’Ebreo deve andarsene dall’Europa! La cosa migliore è che se ne vadano in Russia”)(27 gennaio 1942).
- Documents on German Foreign Policy 1918-1945, Series D, Vol. X, London 1957, p. 484.
- PS-4025.
- RGVA (Rossiiskii Gosudarstvennii Vojennii Archiv:Archivio russo di Stato della guerra), 500-4-92, p. 64.
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