LA GUERRA DI ROOSEVELT
Titolo originale:
President Roosevelt’s Campaign To Incite War in Europe: The Secret Polish Documents
di Marc Weber
Grandi cerimonie si sono svolte nel 1982 per celebrare il centenario della nascita di Franklin Delano Roosevelt. Con l’eccezione di Washington e Lincoln, fu glorificato ed elogiato come nessun altro presidente nella storia americana. Anche il presidente conservatore Ronald Reagan si è unito al coro di applausi. All’inizio del 1983, giornali e reti televisive ricordarono il cinquantesimo anniversario dell’insediamento di Roosevelt con numerosi omaggi elogiativi.
Eppure, ogni anno che passa vengono alla luce sempre più nuove prove che contraddicono l’immagine luminosa di Roosevelt rappresentata dai mass media e dai politici.
Molto è già stato scritto sulla campagna di inganni e vere e proprie menzogne di Roosevelt per convincere gli Stati Uniti ad intervenire nella seconda guerra mondiale prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbor nel dicembre 1941. L’aiuto di Roosevelt alla Gran Bretagna e all’Unione Sovietica in violazione della neutralità americana e del diritto internazionale, i suoi atti di guerra contro la Germania in Atlantico nel tentativo di provocare una dichiarazione di guerra tedesca contro gli Stati Uniti, la sua autorizzazione di una vasta campagna di “sporchi trucchi” contro cittadini statunitensi da parte di agenti dell’intelligence britannica in violazione della Costituzione, e le sue provocazioni e gli ultimatum contro il Giappone che hanno portato all’attacco contro Pearl Harbor – tutto questo è ampiamente documentato e ragionevolmente noto[1].
Non così nota è la storia dell’enorme responsabilità di Roosevelt per lo scoppio stesso della seconda guerra mondiale. Questo saggio si concentra sui maneggi segreti di Roosevelt per provocare la guerra in Europa prima dello scoppio delle ostilità nel settembre 1939. Si occupa in particolare dei suoi sforzi per spingere Gran Bretagna, Francia e Polonia alla guerra contro la Germania nel 1938 e nel 1939.
Franklin Roosevelt non solo ha coinvolto criminalmente l’America in una guerra che aveva già travolto l’Europa. Ha una grave responsabilità davanti alla storia per lo scoppio della guerra più distruttiva di tutti i tempi.
Questo saggio si basa molto su una raccolta poco conosciuta di documenti segreti polacchi che caddero nelle mani dei tedeschi quando Varsavia fu conquistata nel settembre 1939. Questi documenti dimostrano chiaramente il ruolo cruciale di Roosevelt nell’innescare la seconda guerra mondiale. Rivelano anche le forze che erano dietro il presidente e che hanno spinto per la guerra.
Sebbene alcuni storici abbiano citato frasi e persino paragrafi di tali documenti, la loro importanza non è stata pienamente apprezzata. Ci sono tre ragioni per questo, credo. In primo luogo, per molti anni la loro autenticità non è stata stabilita in modo indiscutibile. In secondo luogo, una raccolta completa dei documenti non era disponibile in inglese. E in terzo luogo, la traduzione in inglese di quei documenti fino ad allora disponibili è carente e inaccettabilmente scadente.
Quando i tedeschi presero Varsavia alla fine di settembre 1939, sequestrarono una massa di documenti dal Ministero degli Affari Esteri polacco. In una lettera dell’8 aprile 1983, il Dr. Karl Otto Braun di Monaco mi informò che i documenti erano stati sequestrati da una brigata delle SS guidata da Freiherr von Kuensberg, che Braun conosceva personalmente. Con un attacco a sorpresa, la brigata conquistò il centro di Varsavia precedendo l’esercito regolare tedesco. Von Kuensberg disse a Braun che i suoi uomini presero il controllo del ministero degli Esteri polacco proprio mentre i funzionari di quel ministero stavano bruciando i documenti incriminanti. Il dottor Braun è stato un funzionario del ministero degli Esteri tedesco tra il 1938 e il 1945.
Il ministero degli Esteri tedesco scelse Hans Adolf von Moltke, già ambasciatore del Reich a Varsavia, come capo di una speciale Commissione archivistica per esaminare la collezione e selezionare quei documenti che potevano essere adatti alla pubblicazione. Alla fine di marzo 1940, 16 di questi furono pubblicati in forma di libro con il titolo Polnische Dokumente zur Vorgeschichte des Krieges [“Documenti polacchi sugli antefatti della guerra”]. L’edizione del Foreign Office era sottotitolata “Libro bianco tedesco n. 3”. Il libro è stato subito pubblicato in varie edizioni in lingua straniera a Berlino e in alcune altre capitali europee. Un’edizione americana è stata pubblicata a New York da Howell, Soskin and Company come The German White Paper. Lo storico C. Hartley Grattan ha contribuito con una prefazione notevolmente cauta e riservata.[2]
La traduzione dei documenti per l’edizione americana del White Paper era imperdonabilmente pessima. Mancavano intere frasi e parti di frasi erano tradotte male e in modo grossolano. H. Keith Thompson mi ha spiegato il motivo durante una conversazione del 22 marzo 1983 e in una lettera del 13 maggio 1983. Una brutta prima bozza di traduzione in lingua inglese era stata preparata a Berlino e inviata in America. Era poi stata affidata a George Sylvester Viereck, un importante pubblicista americano filo-tedesco e consulente letterario della German Library of Information di New York. Thompson conosceva Viereck intimamente ed è stato il suo principale aiutante e correttore. Viereck aveva riformulato frettolosamente la traduzione pervenuta da Berlino in una prosa più leggibile, ma senza alcuna possibilità di confrontarla con il testo originale polacco (che comunque non poteva leggere) e nemmeno con la versione ufficiale in lingua tedesca.
La questione fu discussa anche durante una colazione offerta da Thompson a Lawrence Dennis nell’appartamento di Viereck all’Hotel Belleclaire di New York City nel 1956. Viereck spiegò di essere stato un consulente letterario ben pagato del governo tedesco, responsabile dell’effetto di propaganda delle pubblicazioni, e non poteva occuparsi del lavoro di base della traduzione normalmente svolto dagli impiegati. Anche la traduzione più attenta di documenti complicati è suscettibile di distorcere il significato originale, e la modifica letteraria lo farà sicuramente, disse Viereck. Thompson era d’accordo con questo punto di vista.
Nel preparare il testo in lingua inglese per questo saggio, ho esaminato attentamente la traduzione ufficiale tedesca e varie altre traduzioni, e le ho confrontate con i facsimili dei documenti originali polacchi.
EFFETTO MEDIATICO
Il governo tedesco considerava i documenti polacchi catturati di enorme importanza. Venerdì 29 marzo, il Ministero della Propaganda del Reich informò in via confidenziale la stampa quotidiana del motivo della divulgazione di tali documenti:
“Questi documenti straordinari, che potranno essere pubblicati a partire dalla prima edizione di sabato, creeranno un clamore politico di prim’ordine, poiché dimostrano inconfutabilmente il grado di responsabilità dell’America per lo scoppio della guerra attuale. La responsabilità dell’America non deve, ovviamente, essere sottolineata nei commenti; i documenti devono parlare da soli, e parlano piuttosto chiaramente.
Il Ministero della Propaganda chiede espressamente che venga riservato uno spazio sufficiente alla pubblicazione di questi documenti, che sono di somma importanza per il Reich e per il popolo tedesco.
Vi informiamo in via confidenziale che lo scopo della pubblicazione di questi documenti è rafforzare gli isolazionisti americani e mettere Roosevelt in una posizione insostenibile, soprattutto in considerazione del fatto che egli si candida alla rielezione. Tuttavia non è affatto necessario che si accenni alla responsabilità di Roosevelt: se ne occuperanno i suoi nemici in America” .[3]
Il ministero degli Esteri tedesco rese pubblici i documenti venerdì 29 marzo 1940. A Berlino, giornalisti di tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti, ricevettero copie in facsimile dei documenti polacchi originali e delle traduzioni in tedesco. Ai giornalisti fu permesso di esaminare essi stessi i documenti originali, insieme a un’enorme pila di altri documenti del ministero degli Esteri polacco.
La pubblicazione dei documenti creò una forte sensazione mediatica internazionale. I giornali americani dettero alla storia un’ampio risalto con titoli in prima pagina e la trascrizione di lunghi estratti dai documenti. Ma l’impatto fu molto inferiore a quanto sperato dal governo tedesco.
I principali responsabili del governo degli Stati Uniti non persero tempo nel dichiarare con veemenza che i documenti non erano autentici. Il Segretario di Stato Cordell Hull affermò: “Posso dire con enfasi che né io né alcuno dei miei collaboratori nel Dipartimento di Stato abbiamo mai sentito parlare di conversazioni come quelle presunte, né diamo loro il minimo credito. Le presunte dichiarazioni non rappresentano in alcun modo e in nessun momento il pensiero o la politica del governo americano”.
William Bullitt, l’ambasciatore Usa a Parigi particolarmente compromesso dai documenti, dichiarò: “Non ho mai reso a nessuno le dichiarazioni che mi vengono attribuite”. E il conte Jerzy Potocki, l’ambasciatore polacco a Washington i cui rapporti confidenziali a Varsavia sono stati i più rivelatori, disse: “Nego le accuse attribuite ai miei rapporti. Non ho mai avuto conversazioni con l’ambasciatore Bullitt sulla partecipazione dell’America alla guerra”[4].
Queste categoriche smentite pubbliche da parte dei più alti funzionari ebbero l’effetto di indebolire quasi completamente l’impatto previsto dei documenti. Va ricordato che ciò avvenne diversi decenni prima che le esperienze della guerra del Vietnam e del Watergate insegnassero a un’altra generazione di americani ad essere molto scettici nei confronti di tali smentite ufficiali. Nel 1940, la stragrande maggioranza del popolo americano riteneva che i propri capi politici dicessero loro la verità.
Dopo tutto, riconoscere come autentici i documenti rivelati al mondo dal governo tedesco avrebbe significato ammettere che il grande capo della democrazia americana era un uomo che aveva mentito al suo stesso popolo e aveva infranto le leggi del proprio paese, mentre il governo tedesco diceva la verità. Sarebbe stato aspettarsi troppo da qualsiasi nazione, ma soprattutto dall’ingenuo pubblico americano.
Il commento di Capitol Hill fece generalmente eco al punto di vista ufficiale espresso dal governo. Il senatore Key Pittman, presidente democratico del comitato per le relazioni estere, definì i documenti “falsità assoluta progettata per creare dissenso negli Stati Uniti”. Il senatore Claude Peper, democratico della Florida, dichiarò: “È propaganda tedesca e non dovrebbe influenzare minimamente le nostre politiche”. Solo pochi non furono convinti dalle smentite ufficiali. Il rappresentante Hamilton Fish di New York, membro repubblicano di rango della commissione per gli affari esteri della Camera, chiese un’indagine al Congresso e dichiarò in un discorso radiofonico: “Se queste accuse fossero vere, costituirebbero un atto di tradimento. Se il presidente Roosevelt è entrato in intese segrete o impegni con governi stranieri per coinvolgerci nella guerra, dovrebbe essere messo sotto accusa” [5].
I giornali americani sottolinearono le smentite ad alto livello nel riportare la pubblicazione dei documenti. Il titolo del New York Times recitava: GLI USA MARCHIANO COME FALSI I DOCUMENTI NAZISTI CHE CI ACCUSANO DI AVERE FAVORITO LA GUERRA IN EUROPA E PROMESSO DI UNIRCI AGLI ALLEATI SE NECESSARIO. Il Baltimore Sun titolava: I DOCUMENTI NAZISTI CHE CI ATTRIBUISCONO LA COLPA DELLA GUERRA SONO SCONFESSATI A WASHINGTON.[6]
Sebbene il libro dei documenti polacchi fosse etichettato come “prima serie”, non apparvero mai altri volumi. Di tanto in tanto il governo tedesco rendeva pubblici documenti aggiuntivi provenienti dagli archivi polacchi. Questi furono pubblicati in forma di libro nel 1943 insieme a numerosi altri documenti catturati dai tedeschi dal ministero degli Esteri francese e da altri archivi europei, con il titolo Roosevelts Weg in den Krieg: Geheimdokumente zur Kriegspolitik des Praesidenten der Vereinigten Staaten [“La via di Roosevelt verso la guerra: documenti segreti sulla politica di guerra del presidente degli Stati Uniti”].[7]
Un’importante domanda senza risposta è: dove sono oggi i documenti polacchi originali? A meno che non siano stati distrutti durante la guerra, presumibilmente caddero nelle mani degli americani o dei sovietici nel 1945. Alla luce della recente politica del governo degli Stati Uniti sul materiale d’archivio segreto, è molto improbabile che sarebbero ancora segreti oggi se fossero stati acquisiti dagli Stati Uniti. La mia ipotesi è che se non sono stati distrutti, ora si trovano a Mosca o negli archivi di stato centrale della Germania orientale a Potsdam.
È particolarmente importante tenere presente che questi rapporti segreti sono stati scritti da diplomatici polacchi di alto livello, cioè da uomini che, sebbene non fossero affatto amichevoli verso la Germania, comprendevano la realtà della politica europea molto meglio di coloro che facevano politica negli Stati Uniti.
Ad esempio, i diplomatici polacchi si resero conto che dietro tutta la loro retorica sulla democrazia e i diritti umani e le espressioni di amore per gli Stati Uniti, gli ebrei che si agitavano per la guerra contro la Germania in realtà non stavano facendo altro che promuovere spietatamente i propri interessi puramente settari. Molti secoli di esperienza nella convivenza con gli ebrei avevano reso i polacchi molto più consapevoli della maggior parte delle altre nazionalità del carattere speciale di questo popolo.
I polacchi vedevano l’assestamento stabilito a Monaco nel 1938 in modo molto diverso da Roosevelt e dalla sua cerchia. Il presidente aveva aspramente attaccato l’accordo di Monaco, che diede l’autodeterminazione ai tre milioni e mezzo di tedeschi della Cecoslovacchia e risolse una grave crisi europea, come una vergognosa e umiliante capitolazione al ricatto tedesco. Sebbene diffidente nei confronti della potenza tedesca, il governo polacco invece sostenne l’accordo di Monaco, anche perché un piccolo territorio polacco che aveva fatto parte della Cecoslovacchia contro la volontà dei suoi abitanti aveva fatto ritorno alla Polonia a seguito di quell’accordo.
I diplomatici polacchi disprezzavano gli artefici della politica estera americana. Il presidente Roosevelt era considerato un maestro nel plasmare l’opinione pubblica americana, ma assai ignorante della effettiva situazione europea. Come sottolineò l’ambasciatore polacco a Washington nei suoi rapporti a Varsavia, Roosevelt ha spinto l’America alla guerra per distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti come presidente in politica interna.
Va oltre lo scopo di questo scritto entrare nella complessità delle relazioni tedesco-polacche tra il 1933 e il 1939 e le ragioni dell’attacco tedesco contro la Polonia all’alba del primo giorno di settembre 1939. Tuttavia, va notato che la Polonia si era persino rifiutata di negoziare l’autodeterminazione per la città tedesca di Danzica e la minoranza etnica tedesca nel cosiddetto Corridoio Polacco. Hitler si sentì obbligato a ricorrere alle armi in risposta ad una crescente campagna polacca di terrore e di espropriazione contro il milione e mezzo di tedeschi etnici sotto il dominio polacco. A mio avviso, se mai un’azione militare fu giustificata, quella fu la campagna tedesca contro la Polonia nel 1939.
L’ostinato rifiuto della Polonia di negoziare fu reso possibile grazie a un fatidico assegno in bianco che le garantiva il sostegno militare della Gran Bretagna; un impegno che alla fine si rivelò del tutto disatteso per gli sfortunati polacchi. Considerando la fulminea rapidità della vittoriosa campagna tedesca, è difficile rendersi conto oggi che il governo polacco non temeva la guerra con la Germania. I leader polacchi credevano stupidamente che la potenza tedesca fosse solo un’illusione. Erano convinti che le loro truppe avrebbero occupato la stessa Berlino entro poche settimane e avrebbero aggiunto altri territori tedeschi a uno stato polacco allargato. È anche importante tenere presente che il conflitto puramente localizzato tra Germania e Polonia fu trasformato in una conflagrazione a livello europeo solo dalle dichiarazioni di guerra britanniche e francesi contro la Germania.
Dopo la guerra i giudici nominati dagli alleati presso il Tribunale militare internazionale organizzato a Norimberga rifiutarono di ammettere i documenti polacchi come prova per la difesa tedesca. Se questi elementi di prova fossero stati ammessi, l’impresa di Norimberga avrebbe potuto essere meno un processo farsa dei vincitori e più una corte di giustizia internazionale genuinamente imparziale.
AUTENTICITÀ INDISCUTIBILE
Ora non c’è assolutamente alcun dubbio che i documenti del ministero degli Esteri polacco a Varsavia resi pubblici dal governo tedesco siano autentici.
Charles C. Tansill, professore di storia diplomatica americana alla Georgetown University, li considerava autentici: “… Ho avuto una lunga conversazione con M. Lipsky, l’ambasciatore polacco a Berlino negli anni prebellici, e mi ha assicurato che i documenti del Libro bianco tedesco sono autentici”, scrisse.[8] Lo storico e sociologo Harry Elmer Barnes ha confermato questa valutazione: “Sia il professor Tansill che io abbiamo stabilito in modo indipendente la completa autenticità di questi documenti”.[9] In America’s Second Crusade, William H. Chamberlin riferì: “Sono stato informato privatamente da una fonte estremamente affidabile che Potocki, ora residente in Sud America, ha confermato l’esattezza dei documenti, per quanto lo riguardava” [10].
Ancora più importante, Edward Raczynski, l’ambasciatore polacco a Londra dal 1934 al 1945, ha confermato l’autenticità dei documenti nel suo diario, pubblicato nel 1963 con il titolo In Allied London . Nella sua annotazione del 20 giugno 1940, scrisse:
“I tedeschi hanno pubblicato in aprile un Libro bianco contenente documenti provenienti dagli archivi del nostro Ministero degli Affari Esteri, composto da rapporti di Potocki a Washington, Lukasiewicz a Parigi e del sottoscritto. Non so dove li abbiano trovati, poiché ci è stato detto che gli archivi erano stati distrutti. I documenti sono certamente autentici e i facsimili dimostrano che i tedeschi si impossessarono per lo più di originali e non solo di copie.
In questa ‘Prima Serie’ di documenti ho trovato tre rapporti di questa Ambasciata, due redatti da me e il terzo firmato da me ma scritto da Balinski. Li ho letti con una certa apprensione, ma non contenevano nulla che potesse compromettere me o l’Ambasciata o compromettere i rapporti con i nostri ospiti britannici”.[11]
Nel 1970 la loro autenticità fu riconfermata con la pubblicazione di Diplomat in Paris 1936-1939. Questo importante lavoro è costituito dai documenti ufficiali e dalle memorie di Juliusz Lukasiewicz, l’ex ambasciatore polacco a Parigi, autore di molti dei rapporti diplomatici segreti resi pubblici dal governo tedesco. La raccolta è stata curata da Waclaw Jedrzejewicz, un ex diplomatico polacco e membro del gabinetto, e in seguito professore emerito dei college di Wellesley e Ripon. Il professor Jedrzejewicz considerava assolutamente autentici i documenti resi pubblici dai tedeschi..
Anche il signor Tyler G. Kent ha garantito l’autenticità dei documenti. Afferma che mentre lavorava presso l’ambasciata americana a Londra nel 1939 e nel 1940, vide copie di messaggi diplomatici statunitensi negli archivi che corrispondevano ai documenti polacchi e che ne confermavano la veridicità.
DUE DIPLOMATICI CHIAVE
Due diplomatici americani che hanno svolto un ruolo particolarmente cruciale nella crisi europea del 1938-1939 sono citati spesso nei documenti polacchi. Il primo di questi fu William C. Bullitt. Sebbene la sua posizione ufficiale fosse quella di ambasciatore degli Stati Uniti in Francia, in realtà era molto di più. Era il “super inviato” e vice personale di Roosevelt in Europa.
Come Roosevelt, Bullitt “proveniva dai ricchi”. Nacque in un’importante famiglia di banchieri di Filadelfia, una delle più ricche della città. Il nonno di sua madre, Jonathan Horwitz, era un ebreo tedesco arrivato negli Stati Uniti da Berlino.[12] Nel 1919 Bullitt fu assistente del presidente Wilson alla conferenza di pace di Versailles. Nello stesso anno, Wilson e il primo ministro britannico Lloyd George lo mandarono in Russia per incontrare Lenin e stabilire se il nuovo governo bolscevico meritasse il riconoscimento da parte degli alleati. Bullitt incontrò Lenin e altri massimi leader sovietici e al suo ritorno sollecitò il riconoscimento del nuovo regime. Ma poi litigò con Wilson e lasciò il servizio diplomatico. Nel 1923 sposò Louise Bryant Reed, la vedova del leader comunista americano John Reed. In Europa Bullitt collaborò con Sigmund Freud per una biografia psicoanalitica di Wilson. Quando Roosevelt divenne presidente nel 1933, riportò Bullitt nella vita diplomatica.[13]
Nel novembre 1933, Roosevelt inviò Bullitt a Mosca come primo ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica. Il suo iniziale entusiasmo per il sistema sovietico lasciò il posto a una profonda sfiducia nei confronti di Stalin e del comunismo. Nel 1936 il Presidente lo trasferì a Parigi. Ha servito lì come diplomatico chiave di Roosevelt in Europa fino al 1940, quando l’ascesa al governo di Churchill in Gran Bretagna e la sconfitta della Francia resero superfluo il suo ruolo speciale.
Nella primavera del 1938, tutti i diplomatici statunitensi in Europa furono subordinati a Bullitt da una direttiva interna del Dipartimento di Stato.[14] Mentre la situazione europea peggiorava nel 1939, Roosevelt parlava spesso al telefono con il suo uomo a Parigi, a volte quotidianamente, dandogli spesso istruzioni dettagliate e ultra riservate su come condurre la politica estera americana. Nemmeno il Segretario di Stato Cordell Hull era al corrente di molte delle lettere e delle comunicazioni tra Bullitt e Roosevelt.
In Francia, ha osservato il New York Times, Bullitt “è stato acclamato lì come ‘l’ambasciatore dello Champagne’ a causa della sontuosità delle sue feste, ma era molto più che l’inviato a Parigi: era l’intimo consigliere del presidente Roosevelt per gli affari europei, con accesso telefonico al presidente a qualsiasi ora.” [15]
Bullitt e Roosevelt erano legati da una simpatia reciproca e vedevano con gli stessi occhi le questioni di politica estera. Entrambi erano aristocratici e scrupolosi internazionalisti che condividevano opinioni precise su come rifare il mondo e la convinzione di essere destinati a realizzare quella grande riorganizzazione.
“Tra questi compagni di squadra”, riferì il Saturday Evening Post nel marzo 1939,”c’è un’amicizia intima e cordiale e una forte affinità caratteriale. È risaputo che il presidente si affida così fortemente al giudizio di Bullitt che i rapporti dell’ambasciatore inviati per posta o telegrafati dall’estero sono integrati più volte alla settimana da una conversazione telefonica transatlantica. Inoltre, Bullitt torna negli Stati Uniti diverse volte all’anno per prendere parte a consigli presso la Casa Bianca, con dispiacere del Dipartimento di Stato, che lo considera una ‘primadonna’.
Nell’intero elenco del Dipartimento di Stato, il presidente non avrebbe potuto trovare un consigliere che fosse così affine alla sua personalità spumeggiante come Bullitt. Entrambi gli uomini, nati patrizi, hanno lo stesso entusiasmo fondamentale per il rimodellamento della società…”[16].
In Europa, Bullitt parlava con la voce e l’autorità dello stesso presidente Roosevelt.
Il secondo più importante diplomatico americano in Europa fu Joseph P. Kennedy, ambasciatore di Roosevelt presso la corte inglese. Come Bullitt era un ricco banchiere. Ma questo cattolico di Boston di origini irlandesi era per il resto un tipo di uomo molto diverso. Roosevelt inviò in Gran Bretagna Kennedy, importante figura del partito democratico e padre di un futuro presidente, per ragioni prettamente politiche. A Roosevelt non piaceva e diffidava di Kennedy, e questo sentimento crebbe man mano che Kennedy si opponeva sempre più con veemenza alle politiche di guerra del presidente. Inoltre, Kennedy disprezzava il suo omologo a Parigi. In una lettera alla moglie scrisse: “Parlo con Bullitt di tanto in tanto. È più squilibrato che mai. Il suo giudizio è patetico e ho paura della sua influenza su FDR perché la pensano allo stesso modo su molte cose“. [17]
I DOCUMENTI
Qui ora ci sono riportati ampi estratti dei documenti polacchi. Sono posti in ordine cronologico. Sono straordinariamente chiari per essere rapporti diplomatici e parlano in modo eloquente da soli.
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Il 9 febbraio 1938, l’ambasciatore polacco a Washington, il conte Jerzy Potocki, riferì al ministro degli Esteri a Varsavia sul ruolo degli ebrei nella conduzione della politica estera americana:
“La pressione degli ebrei sul presidente Roosevelt e sul Dipartimento di Stato si fa sempre più potente…
… Gli ebrei sono in questo momento i sono i più attivi nel fomentare una psicosi che farebbe precipitare il mondo intero nella guerra e provocherebbe una catastrofe generale. Questo stato d’animo sta diventando sempre più evidente.
Nel loro concetto di stato democratico, gli ebrei hanno anche creato un vero e proprio caos: hanno mescolato insieme l’idea di democrazia e di comunismo e soprattutto hanno alzato la bandiera dell’odio ardente contro il nazismo.
Questo odio è diventato una frenesia. Si propaga ovunque e con ogni mezzo: nei teatri, al cinema, sulla stampa. I tedeschi sono ritratti come una nazione che vive sotto lo strapotere di Hitler che vuole conquistare il mondo intero e annegare tutta l’umanità in un oceano di sangue.
Nelle conversazioni con i rappresentanti della stampa ebraica mi sono scontrato più volte con l’inesorabile e convinta opinione che la guerra è inevitabile. Questo ebraismo internazionale sfrutta ogni mezzo di propaganda per opporsi a qualsiasi tendenza verso qualsiasi tipo di accomodamento e intesa tra le nazioni. In questo modo, qui sta crescendo costantemente ma sicuramente nell’opinione pubblica la convinzione che i tedeschi e i loro satelliti, nella forma del fascismo, siano nemici che devono essere sottomessi dal ‘mondo democratico’”.
Il 21 novembre 1938, l’ambasciatore Potocki inviò un rapporto a Varsavia che discuteva in dettaglio di una conversazione tra lui e Bullitt, che si trovava di nuovo a Washington:
“L’altro ieri ho avuto una lunga conversazione con l’ambasciatore Bullitt, che è qui in vacanza. Ha iniziato osservando che esistevano relazioni amichevoli tra lui e l’ambasciatore [polacco] Lukasiewicz a Parigi, della cui compagnia godeva molto.
Poiché Bullitt informa regolarmente il presidente Roosevelt sulla situazione internazionale in Europa, e in particolare sulla Russia, grande attenzione viene data ai suoi rapporti dal presidente Roosevelt e dal Dipartimento di Stato. Bullitt parla in modo energico e interessante. Tuttavia, la sua reazione agli eventi in Europa assomiglia più al punto di vista di un giornalista che a quello di un politico…
Della Germania e del cancelliere Hitler ha parlato con grande veemenza e forte odio. Disse che solo la forza, e in definitiva una guerra, avrebbe posto fine al folle futuro espansionismo tedesco.
Alla mia domanda che gli chiedeva come immaginasse questa guerra imminente, ha risposto che soprattutto Stati Uniti, Francia e Inghilterra devono riarmarsi enormemente per essere in grado di opporsi alla potenza tedesca.
Solo allora, quando il momento sarà maturo, ha dichiarato ancora Bullitt, si sarà pronti per la decisione finale. Gli ho chiesto in che modo potrebbe sorgere un conflitto, dal momento che la Germania probabilmente non attaccherebbe prima l’Inghilterra e la Francia. Semplicemente non riuscivo a vedere il punto di connessione in tutta questa combinazione.
Bullitt ha risposto che i paesi democratici avevano assolutamente bisogno di altri due anni prima di essere completamente armati. Nel frattempo la Germania avrebbe probabilmente proseguito ad espandersi verso est. Sarebbe desiderio dei paesi democratici che il conflitto armato scoppiasse lì, a est, tra il Reich tedesco e la Russia. Poiché la forza potenziale dell’Unione Sovietica non è ancora nota, potrebbe accadere che la Germania si debba allontanare troppo dalle sue basi e sia costretta a condurre una lunga guerra che la e indebolirebbe. Solo allora i paesi democratici avrebbero dovuto attaccare la Germania, ha dichiarato Bullitt, e l’avrebbero costretta a capitolare”.
In risposta alla mia domanda se gli Stati Uniti avrebbero preso parte a una guerra del genere, ha detto: “Indubbiamente sì, ma solo dopo che la Gran Bretagna e la Francia avranno aperto per prime le ostilità!” Il risentimento negli Stati Uniti è così intenso contro il nazismo e l’hitlerismo, che già oggi prevale tra gli americani una psicosi simile a quella precedente alla dichiarazione di guerra dell’America contro la Germania nel 1917.
Bullitt non ha dato l’impressione di essere molto informato sulla situazione dell’Est Europa, e ha conversato in modo piuttosto superficiale.
Il rapporto dell’ambasciatore Potocki da Washington del 9 gennaio 1939 trattava in gran parte del discorso annuale del presidente Roosevelt al Congresso:
“Il presidente Roosevelt agisce partendo dal presupposto che i governi dittatoriali, soprattutto Germania e Giappone, capiscano solo la politica della forza. Pertanto ha deciso di reagire a eventuali colpi futuri abbinandoli. Lo dimostrano i più recenti provvedimenti degli Stati Uniti.
Il pubblico americano è soggetto a una propaganda sempre più allarmante che è sotto l’influenza ebraica e evoca continuamente lo spettro del pericolo di guerra. Per questo motivo gli americani hanno fortemente modificato le loro opinioni sui problemi di politica estera, rispetto allo scorso anno“.
Di tutti i documenti di questa raccolta, il più rivelatore è probabilmente il rapporto segreto dell’ambasciatore Potocki del 12 gennaio 1939 che trattava della situazione interna degli Stati Uniti. Questo rapporto è riportato qui per intero:
“Il sentimento ora prevalente negli Stati Uniti è caratterizzato da un crescente odio per il fascismo e, soprattutto, per il cancelliere Hitler e per tutto ciò che è connesso con il nazismo. La propaganda è principalmente nelle mani degli ebrei che controllano quasi il 100 per cento della radio, dei film, della stampa quotidiana e periodica. Anche se questa propaganda è estremamente grossolana e presenta la Germania il più nera possibile – soprattutto le persecuzioni religiose e i campi di concentramento sono sfruttati – questa propaganda è tuttavia estremamente efficace poiché il pubblico qui è completamente ignorante e non sa nulla della situazione in Europa.
In questo momento la maggior parte degli americani considera il cancelliere Hitler e il nazismo come il più grande male e il più grande pericolo che minaccia il mondo. La situazione qui offre un’ottima piattaforma per oratori pubblici di ogni tipo, per emigranti dalla Germania e dalla Cecoslovacchia che non risparmiano parole per incitare il pubblico con ogni tipo di calunnia. Lodano la libertà americana in contrasto con gli stati totalitari.
È interessante notare che da questa campagna estremamente ben pianificata, condotta soprattutto contro il nazionalsocialismo, la Russia sovietica è quasi completamente esclusa. Se mai menzionata, è solo in modo amichevole e le cose sono presentate come se la Russia sovietica stesse lavorando con il blocco degli stati democratici. Grazie all’abile propaganda, la simpatia del pubblico americano è completamente dalla parte della Spagna rossa.
Oltre a questa propaganda, si sta creando artificialmente una psicosi di guerra. Al popolo americano viene detto che la pace in Europa è appesa solo a un filo e che la guerra è inevitabile. Allo stesso tempo, al popolo americano viene detto inequivocabilmente che in caso di guerra mondiale, anche l’America deve prendere parte attiva per difendere i principi di libertà e democrazia nel mondo.
Il presidente Roosevelt fu il primo a esprimere odio contro il fascismo. In tal modo perseguiva due obiettivi: in primo luogo, voleva distogliere l’attenzione del popolo americano dai problemi politici interni, in particolare il problema della lotta tra capitale e lavoro. In secondo luogo, creando una psicosi di guerra e diffondendo voci sul pericolo che minacciava l’Europa, voleva far accettare al popolo americano un enorme programma di armamenti che superava le esigenze di difesa degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda il primo punto, va detto che la situazione interna del mercato del lavoro è in costante peggioramento. I disoccupati oggi sono già dodici milioni. Le spese federali e statali aumentano ogni giorno. Solo le ingenti somme, dell’ordine dei miliardi, che l’erario spende per progetti di lavoro d’emergenza, mantengono una certa tranquillità nel Paese. Finora ci sono stati solo i soliti scioperi e disordini locali. Ma non è possibile prevedere per quanto tempo questo tipo di aiuti governativi potranno essere mantenuti. L’eccitazione e l’indignazione dell’opinione pubblica, e il grave conflitto tra le imprese private e gli enormi trust da un lato, e il lavoro dall’altro, hanno creato molti nemici a Roosevelt e gli stanno causando molte notti insonni.
Per quanto riguarda il punto due, posso solo dire che il presidente Roosevelt, da abile attore politico ed esperto della mentalità americana, ha rapidamente distolto l’attenzione dell’opinione pubblica dalla situazione interna per fissarla sulla politica estera. Il modo per raggiungere questo obiettivo era semplice. Bisognava, da un lato, evocare una minaccia di guerra che incombeva sul mondo a causa del cancelliere Hitler e, dall’altro, creare uno spettro balbettando di un attacco degli stati totalitari contro gli Stati Uniti. Il patto di Monaco giunse al presidente Roosevelt come una manna dal cielo. Lo descrisse come una capitolazione di Francia e Inghilterra al bellicoso militarismo tedesco. Come si dice qui: Hitler soggiogò Chamberlain con la pistola puntata. Quindi, Francia e Inghilterra non avevano scelta e dovettero concludere una vergognosa pace.
L’odio prevalente contro tutto ciò che è in qualche modo connesso con il nazismo tedesco è ulteriormente acceso dalla brutale politica contro gli ebrei in Germania e dal problema degli emigrati. A questa azione parteciparono diversi intellettuali ebrei: ad esempio Bernard Baruch; il Governatore dello Stato di New York, Lehman; il nuovo giudice della Corte Suprema, Felix Frankfurter; il Segretario del Tesoro Morgenthau; e altri che sono amici personali del presidente Roosevelt. Vogliono che il presidente diventi il paladino dei diritti umani, della libertà di religione e di parola e l’uomo che in futuro punirà i piantagrane. Questi gruppi di persone che occupano le posizioni più alte nel governo americano e vogliono atteggiarsi a rappresentanti del “vero americanismo” e “difensori della democrazia” sono, in ultima analisi,legati indissolubilmente all’ebraismo internazionale.
Per questa internazionale ebraica, che si preoccupa soprattutto degli interessi della sua razza, dipingere il presidente degli Stati Uniti come il paladino ‘idealista’ dei diritti umani è stata una mossa molto intelligente. In questo modo hanno creato un pericoloso focolaio di odio e ostilità in questo emisfero e hanno diviso il mondo in due campi ostili. L’intero problema è risolto in modo magistrale. A Roosevelt sono state date le basi per l’attivazione della politica estera americana, e allo stesso tempo si è procurato enormi scorte militari per la prossima guerra, per la quale gli ebrei si stanno battendo molto consapevolmente. Per quanto riguarda la politica interna, è molto conveniente per distogliere l’attenzione pubblica dall’antisemitismo, che è in costante crescita negli Stati Uniti“.
Il 16 gennaio 1939, l’ambasciatore polacco Potocki riferì al ministero degli Esteri di Varsavia di un’altra lunga conversazione che ebbe con l’inviato personale di Roosevelt, William Bullitt:
“L’altro ieri, ho avuto una discussione più lunga con l’Ambasciatore Bullitt nell’Ambasciata dove mi ha fatto visita. Bullitt partirà il 21 di questo mese per Parigi, da dove è assente da quasi tre mesi. Sta viaggiando con un intero “baule” pieno di istruzioni, conversazioni e direttive del presidente Roosevelt, del Dipartimento di Stato e dei senatori che appartengono alla commissione per gli affari esteri.
Parlando con Bullitt ho avuto l’impressione che avesse ricevuto dal presidente Roosevelt una definizione molto precisa dell’atteggiamento assunto dagli Stati Uniti nei confronti dell’attuale crisi europea. Presenterà questo materiale al Quai d’Orsay [il ministero degli Esteri francese] e lo utilizzerà nelle discussioni con gli statisti europei. Il contenuto di queste direttive, così come me le spiegò Bullitt nel corso di una conversazione durata mezz’ora, era:
1. Il rilancio della politica estera sotto la guida del presidente Roosevelt, che condanna severamente e senza ambiguità i paesi totalitari.
2. I preparativi degli Stati Uniti per la guerra marittima, terrestre e aerea saranno effettuati a un ritmo accelerato e consumeranno la colossale somma di 1,25 miliardi di dollari.
3. È ferma opinione del Presidente che la Francia e la Gran Bretagna debbano porre fine a qualsiasi tipo di compromesso con i paesi totalitari. Non devono entrare in discussioni che mirano a qualsiasi tipo di cambiamento territoriale.
4. Esse debbono avere la certezza morale che gli Stati Uniti abbandoneranno la politica di isolamento e saranno pronti a intervenire attivamente a fianco della Gran Bretagna e della Francia in caso di guerra. L’America è pronta a mettere a loro disposizione tutto il suo patrimonio di denaro e di materie prime”.
L’ambasciatore polacco a Parigi, Juliusz (Jules) Lukasiewicz, all’inizio di febbraio 1939 inviò al ministero degli Esteri di Varsavia un rapporto top secret che delineava la politica statunitense nei confronti dell’Europa così come gli aveva spiegato William Bullitt:
“Una settimana fa, l’Ambasciatore degli Stati Uniti, William Bullitt, è tornato a Parigi dopo tre mesi di congedo in America. Nel frattempo ho avuto con lui due colloqui che mi permettono di informarvi del suo punto di vista sulla situazione europea e di fare un bilancio della politica di Washington.
La situazione internazionale è considerata dagli ambienti ufficiali estremamente grave e in costante pericolo di conflitto armato. Le autorità sono dell’opinione che se dovesse scoppiare la guerra tra Gran Bretagna e Francia da un lato, e Germania e Italia dall’altro, e se Gran Bretagna e Francia venissero sconfitte, i tedeschi metterebbero in pericolo i reali interessi degli Stati Uniti sul continente americano. Per questo motivo si può prevedere fin dall’inizio la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra al fianco di Francia e Gran Bretagna, naturalmente qualche tempo dopo lo scoppio della guerra. Come si espresse l’ambasciatore Bullitt: “Se dovesse scoppiare la guerra, certamente non vi prenderemo parte all’inizio, ma la finiremo”.
Il 7 marzo 1939, l’ambasciatore Potocki inviò al suo governo di Varsavia un rapporto straordinariamente lucido e perspicace sulla politica estera di Roosevelt. Questo documento fu reso pubblico per la prima volta quando i principali giornali tedeschi lo pubblicarono in traduzione tedesca, insieme a una riproduzione in facsimile della prima pagina dell’originale polacco, nelle loro edizioni del 28 ottobre 1940. Il principale quotidiano del partito nazionalsocialista, il Völkischer Beobachter, pubblicò la relazione dell’Ambasciatore con questa osservazione:
“Il documento stesso non ha bisogno di commenti. Non sappiamo, e non ci riguarda, se la situazione interna americana riportata dal diplomatico polacco sia corretta in ogni dettaglio. Questo deve essere deciso solo dal popolo americano. Ma nell’interesse della verità storica è importante per noi mostrare che le attività guerrafondaie della diplomazia americana, specialmente in Europa, sono ancora una volta rivelate e provate da questo documento. Resta ancora un segreto chi, e per quali motivi, abbia spinto la diplomazia americana su questa strada. In ogni caso, i risultati sono stati disastrosi sia per l’Europa che per l’America. L’Europa è stata immersa nella guerra e l’America ha attirato su di sé l’ostilità di grandi nazioni che normalmente non hanno contrasti con il popolo americano e, anzi, hanno vissuto per generazioni come amici e vogliono rimanere tali”.
Questo rapporto non era uno dei documenti polacchi pubblicati nel marzo 1940 come parte del “Libro bianco tedesco n. 3” (o Libro bianco tedesco ). Tuttavia, fu divulgato nel 1943 come parte della raccolta intitolata “La via di Roosevelt verso la guerra”. Il rapporto segreto dell’Ambasciatore Potocki del 7 marzo 1939 è qui riportato integralmente:
“La politica estera degli Stati Uniti in questo momento riguarda non solo il governo, ma anche l’intero pubblico americano. Gli elementi più importanti sono le dichiarazioni pubbliche del presidente Roosevelt. In quasi tutti i discorsi pubblici si riferisce più o meno esplicitamente alla necessità di attivare la politica estera contro il caos di opinioni e ideologie in Europa. Queste affermazioni vengono raccolte dalla stampa e poi abilmente filtrate nelle menti dell’americano medio in modo tale da rafforzare le sue opinioni già formate. Lo stesso tema viene costantemente ripetuto, vale a dire il pericolo della guerra in Europa e la necessità di salvare le democrazie dall’inondazione del fascismo nemico. In tutte queste dichiarazioni pubbliche c’è normalmente un solo tema, cioè il pericolo del nazismo e della Germania nazista per la pace nel mondo.
A seguito di questi discorsi, l’opinione pubblica è chiamata a sostenere il riarmo e la spesa di ingenti somme per la marina e l’aeronautica. L’idea inequivocabile è che in caso di conflitto armato gli Stati Uniti non possono starne fuori ma devono prenderne parte attiva. Come risultato degli efficaci discorsi del presidente Roosevelt, sostenuti dalla stampa, il pubblico americano viene oggi coscienziosamente manipolato per odiare tutto ciò che sa di totalitarismo e fascismo. Ma è interessante che l’URSS non sia inclusa in tutto questo. Il pubblico americano considera la Russia nel campo degli stati democratici. Questo è accaduto anche nel caso della guerra civile spagnola, quando i cosiddetti lealisti erano considerati difensori dell’idea democratica.
Il Dipartimento di Stato opera senza clamore, anche se è noto che il Segretario di Stato [Cordell] Hull e il Presidente Roosevelt giurano fedeltà alle stesse idee. Tuttavia, Hull mostra più riserve di Roosevelt, e ama fare una distinzione tra il nazismo e il cancelliere Hitler da un lato, e il popolo tedesco dall’altro. Considera questa forma di governo dittatoriale un “male necessario” temporaneo. Al contrario, il Dipartimento di Stato è incredibilmente interessato all’URSS e alla sua situazione interna e si preoccupa apertamente delle sue debolezze e del suo declino. La ragione principale dell’interesse degli Stati Uniti per i russi è la situazione in Estremo Oriente. L’attuale governo sarebbe lieto di vedere l’Armata Rossa emergere come vincitrice in un conflitto con il Giappone. Ecco perché le simpatie del governo sono chiaramente dalla parte della Cina, che di recente ha ricevuto ingenti aiuti finanziari pari a 25 milioni di dollari.
Particolare attenzione viene data a tutte le informazioni provenienti dalle sedi diplomatiche e agli emissari speciali del Presidente che servono come ambasciatori degli Stati Uniti. Il Presidente chiama spesso i suoi rappresentanti dall’estero a Washington per scambi personali di opinioni e per dare loro informazioni e istruzioni speciali. L’arrivo degli inviati e degli ambasciatori è sempre avvolto dal segreto e ben poco emerge sulla stampa circa i risultati delle loro visite. Il Dipartimento di Stato si preoccupa inoltre di evitare di fornire qualsiasi tipo di informazione sullo svolgimento di queste conversazioni. Il modo pratico in cui il Presidente fa la politica estera è assai efficace. Dà istruzioni personali ai suoi rappresentanti all’estero, la maggior parte dei quali sono suoi amici personali. In questo modo gli Stati Uniti vengono condotti su un pericoloso sentiero della politica mondiale con l’esplicito intento di abbandonare la comoda politica dell’isolamento. Il Presidente considera la politica estera del suo paese come un mezzo per soddisfare la propria ambizione personale. Ascolta attento e felice la sua eco nelle altre capitali del mondo. In politica interna come in quella estera, il Congresso degli Stati Uniti è l’unico oggetto che ostacola il presidente e il suo governo nel portare avanti le sue decisioni in modo rapido e ambizioso. Centocinquanta anni fa, la Costituzione degli Stati Uniti ha dato le più alte prerogative al parlamento americano, che può criticare o respingere la legge della Casa Bianca. La politica estera del presidente Roosevelt è stata recentemente oggetto di intense discussioni alla Camera bassa e al Senato, e questo ha suscitato clamore. I cosiddetti isolazionisti, di cui ce ne sono molti in entrambe le camere, si sono schierati con forza contro il presidente. I rappresentanti e i senatori sono rimasti particolarmente turbati dalle osservazioni del presidente, pubblicate sulla stampa, in cui affermava che i confini degli Stati Uniti si trovano sul Reno. Ma il presidente Roosevelt è un superbo attore politico e comprende perfettamente il potere del parlamento americano. Ha la sua gente lì e sa ritirarsi da una situazione scomoda al momento giusto.
Molto intelligentemente e abilmente lega insieme la questione della politica estera con le questioni del riarmo americano. Sottolinea in particolare la necessità di spendere ingenti somme per mantenere una pace difensiva. Dice in particolare che gli Stati Uniti non si stanno armando per intervenire o per andare in aiuto dell’Inghilterra o della Francia in caso di guerra, ma piuttosto per la necessità di mostrare forza e preparazione militare in caso di conflitto armato in Europa. A suo avviso questo conflitto sta diventando sempre più acuto ed è del tutto inevitabile.
Poiché la questione è presentata in questo modo, le camere del Congresso non hanno motivo di obiettare. Al contrario, esse hanno accettato un programma di armamento di oltre un miliardo di dollari. (Il budget normale è di 550 milioni, l’emergenza 552 milioni di dollari). Tuttavia, sotto il mantello di una politica di riarmo, il presidente Roosevelt continua a portare avanti la sua politica estera, che mostra ufficiosamente al mondo che in caso di guerra gli Stati Uniti si porranno dalla parte degli stati democratici con tutto il loro potenziale militare e finanziario.
In conclusione si può dire che la preparazione tecnica e morale del popolo americano alla partecipazione a una guerra – se questa dovesse scoppiare in Europa – sta precedendo rapidamente. Sembra che gli Stati Uniti verranno in aiuto di Francia e Gran Bretagna con tutte le loro risorse fin dall’inizio. Tuttavia, conosco il pubblico americano, i rappresentanti e i senatori che hanno tutti l’ultima parola, e sono dell’opinione che la possibilità che l’America entri in guerra come nel 1917 non è grande. Questo perché la maggior parte degli Stati del Midwest e dell’Ovest, dove predomina l’elemento rurale, vuole evitare a tutti i costi il coinvolgimento nelle dispute europee. Ricordano la dichiarazione del Trattato di Versailles e la famosa frase che la guerra doveva salvare il mondo con la democrazia. Né il Trattato di Versailles, né quella dichiarazione hanno riconciliato gli Stati Uniti con quella guerra. Per milioni rimane solo un retrogusto amaro a causa dei miliardi non pagati che gli stati europei devono ancora all’America”.
Juliusz Lukasiewicz, ambasciatore della Polonia in Francia, riferì a Varsavia il 29 marzo 1939 di ulteriori conversazioni con l’inviato statunitense Bullitt a Parigi. Lukasiewicz ha chiarito gli sforzi di Roosevelt per convincere sia la Polonia che la Gran Bretagna ad adottare una politica totalmente intransigente nei confronti della Germania, anche in contrasto con un forte sentimento di pace. Il rapporto si conclude con queste parole:
“… Ritengo mio dovere informarla di tutto quanto sopra perché ritengo che la collaborazione con l’Ambasciatore Bullitt in tempi così difficili e complicati possa risultarci utile. In ogni caso è assolutamente certo che egli condivide pienamente il nostro punto di vista ed è disposto alla più ampia amichevole collaborazione possibile.
Al fine di sostenere gli sforzi dell’ambasciatore americano a Londra [Joseph Kennedy], ho richiamato l’attenzione dell’ambasciatore Bullitt sul fatto che non è impossibile che gli inglesi possano valutare le intenzioni degli Stati Uniti con ben celato disprezzo. Mi ha risposto che probabilmente ho ragione, ma che in tal caso gli Stati Uniti hanno a disposizione i mezzi per fare veramente pressione sull’Inghilterra. Prenderebbe in seria considerazione l’attuazione di tali mezzi”.
L’ambasciatore polacco a Londra, il conte Edward Raczynski, riferì a Varsavia il 29 marzo 1939 sul perdurare della crisi europea e su un colloquio avuto con l’ambasciatore Joseph Kennedy, suo omologo americano. Le osservazioni di Kennedy a Raczynski confermarono la reputazione di Bullitt nei circoli diplomatici come un chiacchierone indiscreto:
“Ho chiesto a bruciapelo al signor Kennedy del colloquio che avrebbe dovuto avere prossimamente con [il primo ministro britannico] il signor Chamberlain riguardo alla Polonia. Kennedy fu sorpreso e dichiarò categoricamente che una conversazione di tale significato speciale non avrebbe mai avuto luogo. Allo stesso tempo, e quindi contraddicendo in una certa misura la sua stessa affermazione, Kennedy espresse dispiacere e sorpresa che i suoi colleghi di Parigi e Varsavia [William Bullitt e Anthony Biddle], che non sono, come lui, nella posizione di avere un chiaro quadro della situazione in Inghilterra, parlassero così apertamente di questa conversazione.
Il signor Kennedy – che mi ha fatto capire che le sue opinioni si basavano su una serie di colloqui con le più importanti autorità qui presenti – si è dichiarato convinto che se la Polonia si fosse pronunciata a favore della resistenza armata contro la Germania, soprattutto nei confronti di Danzica, avrebbe trascinato l’Inghilterra sulla sua scia”.
Questo conclude gli estratti dei rapporti polacchi.
* * * * *
IL PERCORSO VERSO LA GUERRA
Mentre i documenti polacchi da soli sono una prova conclusiva della perfida campagna di Roosevelt per provocare la guerra mondiale, è una fortuna per i posteri che esista una raccolta sostanziale di prove complementari inconfutabili che confermano la cospirazione registrata nei dispacci a Varsavia.
La politica segreta fu confermata dopo la guerra con il rilascio di un rapporto diplomatico riservato dell’ambasciatore britannico a Washington, Sir Ronald Lindsay. Durante i suoi tre anni di servizio a Washington, il veterano diplomatico aveva sviluppato poca considerazione per i governanti americani. Egli considerava Roosevelt una persona poco simpatica e suggestionabile e avvertì il Foreign Office britannico che non avrebbe dovuto dire a William Bullitt nulla oltre a ciò che non avrebbe avuto problemi a leggere in seguito su un giornale americano.[18]
Il 19 settembre 1938, cioè un anno prima dello scoppio della guerra in Europa, Roosevelt invitò Lindsay a un incontro segretissimo alla Casa Bianca. All’inizio della loro lunga conversazione, secondo il dispaccio confidenziale di Lindsay a Londra, Roosevelt “sottolineò la necessità dell’assoluta segretezza. Nessuno doveva sapere che l’avevo visto e lui stesso non avrebbe riferito a nessuno del colloquio: non ho invitato neppure il Dipartimento di Stato”. I due discussero alcune questioni secondarie prima che Roosevelt arrivasse al punto principale della conferenza. “Questa è la parte più segreta della sua comunicazione e nessuno deve conoscerla anche solo sotto forma di suggerimento”. Il Presidente ha disse all’Ambasciatore che se la notizia della conversazione fosse mai stata resa pubblica, ciò avrebbe potuto determinare la sua messa in stato d’accusa. E non c’è da stupirsi. Ciò che Roosevelt proponeva era un piano cinicamente spudorato e sconsiderato per violare la costituzione degli Stati Uniti e ingannare il popolo americano.
Il presidente disse che se la Gran Bretagna e la Francia “si fossero trovate costrette a fare la guerra” contro la Germania, alla fine anche gli Stati Uniti sarebbero intervenuti. Ma questo avrebbe richiesto alcune manovre intelligenti. Gran Bretagna e Francia avrebbero dovuto imporre un blocco totale contro la Germania senza dichiarare guerra ufficialmente e costringere altri stati (compresi i neutrali) a rispettarlo. Ciò avrebbe provocato certamente una sorta di risposta militare tedesca, ma avrebbe anche liberato la Gran Bretagna e la Francia dall’onere di dover dichiarare effettivamente guerra. Ai fini della propaganda, il “blocco deve essere basato sui più alti motivi umanitari e sul desiderio di condurre le ostilità con il minimo di sofferenza e la minor perdita possibile di vite umane e beni materiali, mettendo tuttavia in ginocchio il nemico”. Roosevelt ammise che ciò avrebbe comportato bombardamenti aerei, ma “il bombardamento aereo non era un’azione bellica che avrebbe causato una grande perdita di vite umane”.
Il punto importante era “chiamarlo misura difensiva o qualcosa del genere, evitando una vera e propria dichiarazione di guerra”. In questo modo, Roosevelt credeva di poter convincere il popolo americano a sostenere la guerra contro la Germania, comprese le spedizioni di armi a Gran Bretagna e Francia, insistendo sul fatto che gli Stati Uniti erano ancora tecnicamente neutrali in un conflitto non dichiarato. “Questo metodo di condurre la guerra per blocco, secondo lui [di Roosevelt], incontrerebbe l’approvazione degli Stati Uniti se il suo scopo umanitario fosse fortemente enfatizzato”, riferì Lindsay.[19]
L’ambasciatore americano in Italia, William Phillips, ammise nelle sue memorie del dopoguerra che l’amministrazione Roosevelt era già intenzionata ad entrare in guerra a fianco della Gran Bretagna e della Francia alla fine del 1938. “In questa e in molte altre occasioni”, scrisse Phillips, “io avrei voluto dirgli [al conte Ciano, ministro degli Esteri italiano] francamente che in caso di guerra europea, gli Stati Uniti sarebbero senza dubbio intervenuti dalla parte degli alleati. Ma vista la mia posizione ufficiale, non potevo fare correttamente una tale dichiarazione senza istruzioni da Washington, e queste non le ho mai ricevute”.[20]
Carl J. Burckhardt, l’Alto Commissario della Società delle Nazioni a Danzica, riferì nelle sue memorie del dopoguerra di una straordinaria conversazione tenutasi alla fine del 1938 con Anthony Drexel Biddle, l’ambasciatore americano in Polonia. Biddle era un ricco banchiere strettamente legato all’impero finanziario Morgan. Internazionalista convinto, la pensava esattamente come Roosevelt ed era un buon amico di William Bullitt. Burckhardt, un professore svizzero, prestò servizio come Alto Commissario tra il 1937 e il 1939.
Nove mesi prima dello scoppio del conflitto armato, il 2 dicembre 1938, Biddle disse a Burckhardt con grande compiacimento che i polacchi erano pronti a fare la guerra per Danzica. Avrebbero contrastato la forza motorizzata dell’esercito tedesco con un’agile manovra. «Ad aprile», dichiarò [Biddle], «scoppierà una nuova crisi. Dal siluramento del Lusitania [nel 1915] non regnava in America un odio così religioso contro la Germania come oggi! Chamberlain e Daladier [i leader britannici e francesi moderati] sarebbero stati spazzati via dall’opinione pubblica. Questa sarebbe stata una guerra santa!”.[21]
La fatidica garanzia britannica alla Polonia del 31 marzo 1939 di entrare in guerra contro la Germania in caso di conflitto polacco-tedesco non sarebbe stato data senza una forte pressione da parte della Casa Bianca.
Il 14 marzo 1939, la Slovacchia si dichiarò una repubblica indipendente, sciogliendo così lo stato noto come Cecoslovacchia. Lo stesso giorno, il presidente cecoslovacco Emil Hacha firmò un accordo formale con Hitler che istituiva un protettorato tedesco su Boemia e Moravia, la parte ceca della federazione. Il governo britannico inizialmente aveva accettato la nuova situazione, ma poi intervenne Roosevelt.
Nel loro editoriale a livello nazionale del 14 aprile 1939, i giornalisti di Washington Drew Pearson e Robert S. Allen, solitamente molto bene informati, riferirono che il 16 marzo 1939 Roosevelt aveva “inviato un ultimatum virtuale a Chamberlain” chiedendo che d’ora in poi il governo britannico si opponesse fermamente alla Germania. Secondo Pearson e Allen, che appoggiarono completamente la mossa di Roosevelt, “il presidente avvertì che la Gran Bretagna non poteva aspettarsi più sostegno, morale o materiale attraverso la vendita di aeroplani, se la politica di Monaco fosse continuata”. [22] Chamberlain cedette e il giorno dopo , 17 marzo, pose fine alla politica di cooperazione della Gran Bretagna con la Germania con un discorso a Birmingham che attaccava aspramente Hitler. Due settimane dopo il governo britannico si impegnò formalmente alla guerra in caso di ostilità tedesco-polacche.
La reazione di Bullitt alla creazione del protettorato tedesco su Boemia e Moravia fu quella di telefonare a Roosevelt e, con voce “quasi isterica”, sollecitarlo a fare una drammatica denuncia della Germania e chiedere immediatamente al Congresso di abrogare il Neutrality Act.[23]
In un telegramma confidenziale a Washington datato 9 aprile 1939, Bullitt riferì da Parigi di un’altra conversazione con l’ambasciatore Lukasiewicz. Aveva detto al diplomatico polacco che, sebbene la legge statunitense proibisse gli aiuti finanziari diretti alla Polonia, sarebbe stato possibile eluderne le disposizioni. L’amministrazione Roosevelt avrebbe potuto essere in grado di fornire aerei da guerra alla Polonia indirettamente, attraverso la Gran Bretagna:
“L’ambasciatore polacco mi ha chiesto se non fosse possibile per la Polonia ottenere aiuti finanziari e aeroplani dagli Stati Uniti. Ho risposto che ritenevo che il Johnson Act avrebbe vietato qualsiasi prestito dagli Stati Uniti alla Polonia, ma ho aggiunto che potrebbe essere possibile che l’Inghilterra compri aerei in contanti negli Stati Uniti e li consegni alla Polonia”.[24]
Il 25 aprile 1939, quattro mesi prima dello scoppio della guerra, Bullitt chiamò l’editorialista del quotidiano americano Karl von Wiegand, capo corrispondente europeo dell’International News Service, all’ambasciata americana a Parigi e gli disse:
“La guerra in Europa è stata decisa. La Polonia ha la certezza del sostegno di Gran Bretagna e Francia, e non cederà a nessuna richiesta della Germania. L’America entrerà in guerra subito dopo che Gran Bretagna e Francia vi saranno entrate”.[25]
In una lunga conversazione segreta ad Hyde Park il 28 maggio 1939, Roosevelt assicurò l’ex presidente della Cecoslovacchia, Dr. Edvard Benes, che l’America sarebbe intervenuta attivamente a fianco della Gran Bretagna e della Francia nella prevista guerra europea.[26]
Nel giugno 1939, Roosevelt propose segretamente agli inglesi che gli Stati Uniti istituissero “un pattugliamento sulle acque dell’Atlantico occidentale al fine di renderle inaccessibili alla marina tedesca in caso di guerra”. Il Ministero degli Esteri britannico registrò tale offerta, osservando che “sebbene la proposta fosse vaga, confusa e aperta a determinate obiezioni, abbiamo acconsentito ad essa in modo informale poiché il pattugliamento doveva essere svolto nel nostro interesse”. [27]
Molti anni dopo la guerra, Georges Bonnet, ministro degli Esteri francese nel 1939, confermò il ruolo di Bullitt come vice di Roosevelt nello spingere il suo paese alla guerra. In una lettera a Hamilton Fish del 26 marzo 1971, Bonnet scriveva:
“Una cosa certa è che Bullitt nel 1939 fece di tutto per far entrare in guerra la Francia“.[28]
Un’importante conferma del ruolo cruciale di Roosevelt e degli ebrei per spingere la Gran Bretagna alla guerra viene dal diario di James V. Forrestal, il primo Segretario alla Difesa degli Stati Uniti. Nella sua annotazione del 27 dicembre 1945 scrisse:
“Oggi ho giocato a golf con [l’ex ambasciatore] Joe Kennedy. Gli ho chiesto delle sue conversazioni con Roosevelt e [il primo ministro britannico] Neville Chamberlain dal 1938 in poi. Lui ha risposto che la posizione di Chamberlain nel 1938 era che l’Inghilterra non aveva nulla con cui combattere e che non poteva rischiare di entrare in guerra con Hitler. L’opinione di Kennedy era che Hitler avrebbe combattuto la Russia senza alcun successivo conflitto con l’Inghilterra se non fosse stato per l’esortazione di [William] Bullitt a Roosevelt nell’estate del 1939 affinché i tedeschi dovessero essere affrontati sulla questione polacca; né i francesi né gli inglesi avrebbero fatto della Polonia un casus belli se non fosse stato per i continui pungoli di Washington. Bullitt, ha aggiunto, continuava a dire a Roosevelt che i tedeschi non avrebbero combattuto; Kennedy che lo avrebbero fatto e che avrebbero invaso l’Europa. Chamberlain, affermava che l’America e gli ebrei internazionali avevano costretto l’Inghilterra a entrare in guerra. Nelle sue conversazioni telefoniche con Roosevelt nell’estate del 1939, il presidente continuava a dire a Bullit di mettere un po’ di pepe sul sedere di Chamberlain.[29]
Quando l’ambasciatore Potocki tornò a Varsavia al termine dal suo incarico a Washington, parlò con il conte Jan Szembek, sottosegretario del ministero degli Esteri polacco, del crescente pericolo di guerra. Nel suo diario del 6 luglio 1939, Szembek registrò lo stupore di Potocki per l’atmosfera calma in Polonia. In confronto alla psicosi di guerra che aveva attanagliato l’Occidente, la Polonia sembrava una casa di riposo.
“In Occidente – disse l’Ambasciatore a Szembek – ci sono tutti i tipi di elementi che spingono apertamente alla guerra: gli ebrei, i supercapitalisti, i trafficanti d’armi. Oggi sono tutti pronti per un grande affare, perché hanno trovato ciò che può causare l’incendio: Danzica; e una nazione che è pronta a combattere: la Polonia. Vogliono fare affari sulle nostre spalle. Sono indifferenti alla distruzione del nostro paese. Anzi, poiché tutto dovrà essere ricostruito in seguito, possono trarre profitto anche da questo”.[30]
Il 24 agosto 1939, appena una settimana prima dello scoppio delle ostilità, il più stretto consigliere di Chamberlain, Sir Horace Wilson, si recò dall’ambasciatore Kennedy con un appello urgente del primo ministro britannico per il presidente Roosevelt. Rimpiangendo che la Gran Bretagna si fosse inequivocabilmente obbligata a marzo nei confronti della Polonia in caso di guerra, Chamberlain si rivolse ora disperato a Roosevelt come ultima speranza di pace. Voleva che il presidente americano “facesse pressioni sui polacchi” affinché cambiassero rotta a quest’ora tarda e aprissero i negoziati con la Germania. Per telefono Kennedy disse al Dipartimento di Stato che gli inglesi “sentivano di non poter, dati i loro obblighi, fare qualcosa del genere ma che noi potevamo”. Di fronte a questa straordinaria opportunità di poter salvare la pace in Europa, Roosevelt rifiutò a priori l’appello disperato di Chamberlain. A quel punto, riferì Kennedy, il Primo Ministro perse ogni speranza. “L’inutilità di tutto ciò”, disse Chamberlain a Kennedy, “è una cosa spaventosa. Dopotutto, non possiamo salvare i polacchi. Possiamo semplicemente portare avanti una guerra di vendetta che significherà la distruzione di tutta l’Europa”.[31]
A Roosevelt piaceva presentarsi al popolo americano e al mondo come un uomo amante della pace. In misura considerevole, questa è ancora oggi la sua immagine. Ma Roosevelt rifiutò cinicamente le vere opportunità di agire per la pace quando si presentarono.
Nel 1938 rifiutò persino di rispondere alle richieste del ministro degli Esteri francese Bonnet dell’8 e 12 settembre di prendere in considerazione l’arbitrato della controversia ceco-tedesca.[32] E un anno dopo, dopo lo scoppio della guerra, un malinconico ambasciatore Kennedy implorò Roosevelt di agire con coraggio per la pace. “Mi sembra che questa situazione possa cristallizzarsi fino al punto in cui il presidente può essere il salvatore del mondo”, telegrafò Kennedy l’11 settembre da Londra. “Il governo britannico in quanto tale non può certamente accettare alcun accordo con Hitler, ma potrebbe esserci la possibilità per il presidente stesso di elaborare piani per la pace mondiale. Questa opportunità potrebbe non presentarsi mai più, ma come persona abbastanza esperta della vita, io ritengo che sia del tutto ragionevole che il presidente possa mettersi nell’ottica di salvare il mondo … “
Ma Roosevelt rifiutò a priori questa possibilità di salvare la pace in Europa. Con uno stretto amico politico, definì l’appello di Kennedy “il messaggio più sciocco che abbia mai ricevuto”. Si lamentò con Henry Morgenthau dicendo che il suo ambasciatore londinese non era altro che un rompiscatole: “Joe è stato un pacificatore e lo sarà sempre … Se la Germania e l’Italia facessero una buona offerta di pace domani, Joe inizierebbe a lavorare sul Re, la sua amica la Regina e via di seguito per convincere tutti ad accettarla.”[33]
Infuriato per gli ostinati tentativi di Kennedy di riportare la pace in Europa o almeno di limitare il conflitto scoppiato, l’11 settembre 1939 Roosevelt istruì il suo ambasciatore con un telegramma “personale” e “strettamente confidenziale” che qualsiasi tentativo americano di giungere alla pace era totalmente fuori discussione. Il governo Roosevelt, dichiarò, “non vede alcuna opportunità né occasione per avviare alcuna iniziativa di pace da parte del presidente degli Stati Uniti. Il popolo [sic] degli Stati Uniti non sosterrebbe alcun tentativo per la pace avviato da questo governo che consoliderebbe o renderebbe possibile la sopravvivenza di un regime di forza e di aggressione».[34]
HAMILTON FISH AVVERTE LA NAZIONE
Nei mesi precedenti lo scoppio del conflitto armato in Europa, forse la più vigorosa e profetica voce americana di monito contro la campagna del presidente Roosevelt per incitare alla guerra fu quella di Hamilton Fish, un importante membro del Congresso, repubblicano di New York. In una serie di discorsi radiofonici incisivi, Fish mobilitò una considerevole parte dell’opinione pubblica contro l’ingannevole politica di guerra di Roosevelt. Ecco solo alcuni estratti di alcuni di questi discorsi.[35]
Il 6 gennaio 1939 Fish disse a un pubblico radiofonico nazionale:
“Il messaggio provocatorio e sobillatore del Presidente al Congresso e al mondo [dato due giorni prima] ha allarmato inutilmente il popolo americano e creato, insieme a un bombardamento propagandistico messo in atto da alti funzionari del New Deal, un’isteria di guerra, pericolosa per la pace in America e nel mondo. L’unica conclusione logica che si trae da tali discorsi è la volontà di suscitare un’altra guerra combattuta oltremare dai soldati americani.
Tutte le nazioni totalitarie a cui fa riferimento il presidente Roosevelt… non hanno la minima intenzione di farci la guerra o di invadere l’America Latina.
Non intendo usare mezzi termini su una questione del genere, che riguarda la vita, la libertà e la felicità del nostro popolo. È giunto il momento di fermare i guerrafondai del New Deal, sostenuti da profittatori di guerra, comunisti e internazionalisti isterici, che vogliono mettere in quarantena il mondo con il sangue e jl denaro americani.
Egli [Roosevelt] evidentemente desidera scatenare una frenesia di odio e psicosi di guerra come falsa pista per distogliere le menti della nostra gente dai problemi interni irrisolti. Evoca fantasmi e crea nella mente del pubblico la paura di invasioni straniere che esistono solo nella sua fantasia”.
Il 5 marzo, Fish parlò al paese tramite la rete radiofonica della Columbia:
“I popoli di Francia e Gran Bretagna vogliono la pace, ma i nostri guerrafondai li incitano costantemente a ignorare il Patto di Monaco e a ricorrere al giudizio delle armi. Se solo smettessimo di intrometterci in terre straniere, le vecchie nazioni d’Europa comporrebbero le proprie dispute con accordi di pace, ma a quanto pare noi non glielo permetteremo“.
Il 5 aprile Fish si rivolse agli ascoltatori della rete della National Broadcasting Company con queste parole:
“I giovani d’America si stanno nuovamente preparando ad un altro bagno di sangue in Europa per rendere il mondo sicuro per la democrazia.
Se Hitler e il governo nazista riconquistano Memel o Danzica, tolte alla Germania dal Trattato di Versailles, e dove la popolazione è per il 90 per cento tedesca, perché è necessario lanciare minacce e denunce e incitare il nostro popolo alla guerra? Non sacrificherei la vita di un soldato americano per una mezza dozzina di Memel o Danzica. Abbiamo ripudiato il Trattato di Versailles perché era basato sull’avidità e sull’odio, e finché esisteranno le sue disuguaglianze e ingiustizie, ci saranno sicuramente guerre di liberazione.
Quanto prima alcune disposizioni del Trattato di Versailles vengono eliminate, tanto meglio è per la pace nel mondo.
Credo che se le aree che sono distintamente tedesche per popolazione vengono restituite alla Germania, ad eccezione dell’Alsazia-Lorena e del Tirolo, non ci sarà guerra nell’Europa occidentale. Potrebbe esserci una guerra tra nazisti e comunisti, ma se c’è non è la nostra guerra o quella della Gran Bretagna o della Francia o di una qualsiasi delle democrazie.
I portavoce del New Deal hanno trasformato l’isteria di guerra in una vera e propria frenesia. La macchina propagandistica del New Deal sta facendo gli straordinari per preparare alla guerra le menti del nostro popolo, che è già in preda di un pericoloso nervosismo per la guerra.
Il presidente Roosevelt è il guerrafondaio numero uno in America, ed è in gran parte responsabile della paura che pervade la Nazione che ha creato nervosismo nel mercato azionario e nel popolo americano.
Accuso l’amministrazione di istigare la propaganda di guerra e l’isteria per coprire il fallimento e il crollo delle politiche del New Deal, con 12 milioni di disoccupati e la fiducia delle imprese distrutta.
Credo che abbiamo molto più da temere dai nostri nemici dell’interno che quelli dell’esterno. Tutti i comunisti sono uniti nell’esortarci ad andare in guerra contro la Germania e il Giappone a vantaggio della Russia sovietica.
La Gran Bretagna si aspetta ancora che ogni americano faccia il suo dovere, preservando l’impero britannico e le sue colonie. I profittatori di guerra, i fabbricanti di armi e i banchieri internazionali sono tutti preparati per la nostra partecipazione a una nuova guerra mondiale“.
Il 21 aprile, Fish parlò nuovamente al paese tramite la radio nazionale:
“È dovere di tutti quegli americani che desiderano tenersi fuori dai problemi stranieri e dal marcio pasticcio e dalla follia della guerra in Europa e in Asia, smascherare apertamente l’isteria e la propaganda di guerra che ci stanno spingendo al conflitto armato.
Ciò di cui abbiamo bisogno in America è una crociata per fermare la guerra, prima di essere coinvolti in un conflitto che non ci riguarda dagli internazionalisti e dagli interventisti a Washington, che sembrano essere più interessati a risolvere i problemi del mondo piuttosto che i nostri”.
Nel suo discorso radiofonico del 26 maggio, Fish dichiarò:
“Egli [Roosevelt] dovrebbe ricordare che il Congresso ha il potere esclusivo di dichiarare guerra e formulare le politiche estere degli Stati Uniti. Il presidente non ha tale potere costituzionale. È semplicemente l’organo ufficiale per attuare le politiche decise dal Congresso.
Senza sapere nemmeno chi saranno i combattenti, siamo informati quasi quotidianamente dagli internazionalisti e dagli interventisti in America che dobbiamo partecipare alla prossima guerra mondiale”.
L’8 luglio 1939 Fish dichiarò sulla rete radiofonica della National Broadcasting Company:
“Se dobbiamo andare in guerra, che ciò sia per la difesa dell’America, ma non per l’interesse dei fabbricanti di armi, dei profittatori di guerra e dei comunisti o per coprire i fallimenti del New Deal o per fornire un motivo per un terzo mandato [al presidenziale di Roosevelt].
È bene che tutte le nazioni sappiano che non intendiamo combattere per Danzica, o per una politica di potenza, o per acquisire colonie straniere o per guerre imperialistiche in Europa o in qualsiasi parte del mondo”.
I POTERI DIETRO IL PRESIDENTE
Il presidente Roosevelt avrebbe potuto fare poco per incitare la guerra in Europa senza l’aiuto di potenti alleati. Dietro di lui c’erano gli egoistici interessi finanziari ed ebraici internazionali decisi a distruggere la Germania. La principale organizzazione che raccolse il sostegno pubblico per il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra europea prima dell’attacco di Pearl Harbor fu il “Committee to Defend America by Aiding the Allies” [Comitato per difendere l’America aiutando gli alleati]. A crearlo fu lo stesso presidente Roosevelt e gli alti funzionari dell’amministrazione si consultarono frequentemente con i capi del Comitato.[36]
Sebbene guidato per un certo periodo da un anziano editore di giornali di una piccola città del Kansas, William Allen White, il Comitato era in realtà sostenuto da potenti finanzieri che stavano per trarre enormi profitti dai prestiti alla Gran Bretagna sotto assedio e dagli oculati investimenti nelle gigantesche industrie belliche degli Stati Uniti. .
Alla fine del 1940, il senatore del West Virginia Rush D. Holt pubblicò una dettagliata indagine sul Comitato che rivelò i reali interessi che si celavano dietro i proclami dal suono idealistico:
“Il Comitato ha forti collegamenti con banche, compagnie assicurative, società di investimento finanziario e imprese industriali. Questi a loro volta esercitano un’influenza sui presidi e sui professori universitari, così come sui giornali, la radio e altri mezzi di comunicazione. La storia del Comitato è una sordida immagine del tradimento dell’interesse pubblico.
Il forte interesse di JP Morgan per le sue partecipazioni nell’impero britannico ha aiutato a pianificare l’organizzazione e ha donato i suoi primi finanziamenti”.
Alcune delle figure importanti attive nel Comitato sono state rivelate da Holt: Frederic R. Coudert, un propagandista di guerra pagato dal governo britannico negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale; Robert S. Allen del gruppo sindacale Pearson e Allen; Henry R. Luce, l’influente editore delle riviste Time , Life e Fortune ; Fiorello LaGuardia, il focoso sindaco per metà ebreo di New York; Herbert Lehman, governatore ebreo di New York con importanti partecipazioni finanziarie nelle industrie belliche; Frank Altschul, un dirigente della società di investimento ebraica di Lazard Freres avente vaste partecipazioni in industrie di armi e di forniture militari.
“Se il Comitato riuscisse a portare gli Stati Uniti in guerra”, avvertì Holt, “i ragazzi americani verseranno il loro sangue per profittatori, politici e corrotti. Se scoppia la guerra, le mani dei finanziatori del White Committee saranno sporche del sangue versato dagli americani uccisi in una guerra inutile”.[37]
Nel marzo 1941 fu reso pubblico un elenco della maggior parte dei finanziatori del Comitato, che rivelò la natura delle forze desiderose di trascinare l’America nella guerra europea. Potenti interessi bancari internazionali erano ben rappresentati. Sono stati elencati JP Morgan, John W. Morgan, Thomas W. Lamont e altri della grande casa bancaria Morgan. Altri nomi importanti del mondo finanziario di New York includevano Mr. e Mrs. Paul Mellon, Felix M. e James F. Warburg e J. Malcolm Forbes. Marshall Field, proprietario di un grande magazzino ed editore di Chicago, fu un collaboratore, così come William Averill Harriman, il milionario delle ferrovie e degli investimenti che in seguito servì come ambasciatore di Roosevelt a Mosca.
Naturalmente, i nomi ebraici costituivano una parte sostanziale del lungo elenco. C’era lo zar del cinema di Hollywood Samuel Goldwyn dei Goldwyn Studios, insieme a David Dubinsky, il capo dell’International Ladies Garment Workers Union. La William S. Paley Foundation, che era stata istituita dal capo del gigantesco Columbia Broadcasting System, contribuì a finanziare il Comitato. Nella lista figurava anche il nome della signora Edith Altschul Lehman, moglie del governatore di New York Herbert H. Lehman.[38]
Senza una comprensione dei suoi legami intimi con l’ebraismo organizzato, le politiche di Roosevelt hanno poco senso. Come ha osservato la storica ebrea Lucy Dawidowicz: “Roosevelt stesso ha portato nella sua cerchia immediata più ebrei di qualsiasi altro presidente prima o dopo di lui. Felix Frankfurter, Bernard M. Baruch e Henry Morgenthau erano i suoi stretti consiglieri. Benjamin V. Cohen, Samuel Rosenman e David K. Niles erano suoi amici e aiutanti fidati.”[39]
Questo forse non è così sorprendente alla luce del fatto che Roosevelt stesso aveva un ottavo di sangue ebraico. [40]
Nel suo diario del 1° maggio 1941, Charles A. Lindbergh, l’eroe aviatore americano e sostenitore della pace, inchiodò la coalizione che stava spingendo gli Stati Uniti alla guerra:
“La pressione per la guerra è alta e crescente. La gente è contraria, ma l’amministrazione sembra avere “il morso tra i denti” ed [è] decisa a fare la guerra. La maggior parte degli interessi ebraici nel paese spingono per la guerra e controllano gran parte della nostra stampa e radio e la maggior parte dei nostri film. Ci sono anche gli ‘intellettuali’, gli ‘anglofili’ e gli agenti britannici a cui è lasciato libero sfogo, gli interessi finanziari internazionali e molti altri”.[41]
Joseph Kennedy condivideva le apprensioni di Lindbergh riguardo al potere ebraico. Prima dello scoppio della guerra espresse in privato preoccupazione per “gli ebrei che dominano la nostra stampa” e per l’ebraismo mondiale in generale, che considerava una minaccia per la pace e la prosperità. Poco dopo l’inizio delle ostilità, Kennedy si lamentò “della crescente influenza ebraica sulla stampa che chiedeva a Washington la continuazione sulla strada della guerra”.[42]
TRADIMENTO, FALLIMENTO, DELIRIO
Gli sforzi di Roosevelt per portare Polonia, Gran Bretagna e Francia in guerra contro la Germania ebbero totale successo. Il risultato fu morte, miseria e distruzione indicibili. Quando iniziarono i combattimenti, come Roosevelt aveva inteso e pianificato, i governanti polacchi e francesi si aspettavano che il presidente americano almeno mantenesse le sue assicurazioni di sostegno in caso di guerra. Ma Roosevelt non aveva tenuto conto della profondità del sentimento di pace della stragrande maggioranza degli americani. Quindi, oltre a ingannare la sua stessa gente, Roosevelt ha deluso anche coloro in Europa ai quali aveva promesso sostegno.
Raramente nella storia americana le persone erano state così concordi nelle loro opinioni come lo erano alla fine del 1939 sullo stare fuori dalla guerra in Europa. Quando iniziarono le ostilità nel settembre 1939, il sondaggio Gallup mostrò che il 94% del popolo americano era contrario al coinvolgimento nella guerra. Quella cifra salì al 96,5% a dicembre prima di iniziare a diminuire lentamente fino a circa l’80% nell’autunno del 1941. (Oggi, non c’è quasi un problema su cui anche il 60 o il 70% delle persone sia d’accordo).[43]
Roosevelt era, ovviamente, abbastanza consapevole dell’intensità del sentimento popolare su questo tema. Questo è il motivo per cui ha mentito ripetutamente al popolo americano sul suo amore per la pace e sulla sua determinazione a tenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra, mentre allo stesso tempo ha fatto tutto ciò che era in suo potere per far precipitare l’Europa e l’America nella guerra.
In un importante discorso della campagna elettorale per la rielezione del 1940, Roosevelt rispose ai crescenti timori di milioni di americani che sospettavano che il loro presidente avesse segretamente promesso il sostegno degli Stati Uniti alla Gran Bretagna nella sua guerra contro la Germania. Questi fondati sospetti si basavano in parte sulla pubblicazione a marzo dei documenti polacchi sequestrati. Il discorso del 23 ottobre 1940 fu trasmesso da Filadelfia alla nazione su una rete radiofonica. Col linguaggio più enfatico possibile, Roosevelt negò categoricamente di avere promesso in qualche modo la partecipazione degli Stati Uniti a qualche guerra straniera:
“Dò a voi e al popolo di questo paese questa solenne assicurazione: non c’è nessun trattato segreto, nessuna intesa segreta in nessuna forma, diretta o indiretta, con nessun governo o altra nazione in nessuna parte del mondo, per coinvolgere questa nazione in qualsiasi guerra o per qualsiasi altro scopo”.[44]
Ora sappiamo, ovviamente, che questa pia dichiarazione era solo un’altra delle tante spudorate bugie dette da Roosevelt al popolo americano.
Le politiche di Roosevelt erano più che disoneste: erano criminali. La Costituzione degli Stati Uniti concede l’autorità solo al Congresso di decidere tra la guerra e la pace. E il Congresso aveva approvato diverse leggi importanti per assicurare specificamente la neutralità degli Stati Uniti in caso di guerra in Europa. Roosevelt violava continuamente il suo giuramento di presidente di osservare la Costituzione. Se le sue politiche segrete fossero state conosciute, la richiesta pubblica per la sua messa in stato d’accusa sarebbe stata molto probabilmente inarrestabile.
L’episodio del Watergate ha reso molti americani profondamente consapevoli del fatto che i loro presidenti possono agire in modo criminale. Quella vicenda ha costretto Richard Nixon a dimettersi dalla presidenza, ed egli è ancora ampiamente considerato un criminale. Nessuna scuola è a lui intitolata e il suo nome non riceverà mai il rispetto che normalmente va a ogni presidente americano. Ma i crimini di Nixon appaiono insignificanti rispetto a quelli di Franklin Roosevelt. Cosa erano le bugie di Nixon rispetto a quelle di Roosevelt? Cos’è un insabbiamento per un furto con scasso rispetto a una campagna illegale e segreta per provocare una grande guerra?
Coloro che difendono l’operato di Roosevelt sostengono che egli abbia mentito per il bene del popolo americano, che abbia infranto la legge per nobili principi. Il suo inganno è considerato accettabile perché la scopo era nobile, mentre un simile inganno dei presidenti Johnson e Nixon, per citarne due, non lo era. Questo è, ovviamente, un doppio peso ipocrita. E l’argomento non parla molto bene per il sistema democratico. Implica che le persone sono troppo stupide per capire quali sono i propri reali interessi. Suggerisce inoltre che la migliore forma di governo è una sorta di benevola dittatura liberal-democratica.
L’odio di Roosevelt per Hitler era profondo, veemente, passionale, quasi personale. Ciò era dovuto in gran parte a una persistente invidia e gelosia radicate nella grande differenza tra i due uomini, non solo nei loro caratteri personali ma anche nella loro ascesa a capi nazionali.
Superficialmente, cinque aspetti pubblici di Roosevelt e Hitler erano sorprendentemente simili. Entrambi assunsero la guida dei rispettivi paesi all’inizio del 1933. Entrambi affrontarono l’enorme sfida della disoccupazione di massa durante una catastrofica depressione economica mondiale. Ciascuno divenne un potente capo di una vasta alleanza militare durante la guerra più distruttiva della storia. Entrambi morirono mentre erano ancora in carica a poche settimane l’uno dall’altro nell’aprile 1945, poco prima della fine della seconda guerra mondiale in Europa.
Ma le enormi differenze nelle vite di questi due uomini erano ancor più notevoli.
Roosevelt nacque in una delle famiglie più ricche d’America. La sua fu una vita assolutamente priva di preoccupazioni materiali. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale da un ufficio di Washington come Sottosegretario alla Marina. Hitler, invece, nacque in una modesta famiglia di provincia. Da giovane lavorò come misero operaio. Prese parte alla prima guerra mondiale come soldato in prima linea nell’inferno del campo di battaglia occidentale. Fu ferito molte volte e decorato al valore.
Nonostante i suoi modi affascinanti e la sua retorica rassicurante, Roosevelt si dimostrò incapace di vincere le grandi sfide che l’America doveva affrontare. Anche dopo quattro anni della sua presidenza, milioni di persone erano rimaste disoccupate, denutrite e mal alloggiate in una vasta terra riccamente dotata di tutte le risorse per offfrire una prosperità incomparabile. Il New Deal fu tormentato da aspri scioperi e sanguinosi scontri tra lavoro e capitale. Roosevelt non fece nulla per risolvere i profondi problemi razziali del paese che erano sfociati ripetutamente in rivolte e scontri armati. La situazione era molto diversa in Germania. Hitler radunò il suo popolo dietro un programma radicale che trasformò la Germania in pochi anni da una terra economicamente in rovina e sull’orlo della guerra civile nella maggiore potenza d’Europa. La Germania conobbe una rinascita sociale, culturale ed economica senza precedenti nella storia.
Eppure, sarebbe errato definire Roosevelt semplicemente come un politico cinico e un uomo di punta di potenti interessi stranieri. Certamente non si considerava un uomo malvagio. Credeva sinceramente di fare una cosa giusta e nobile spingendo la Gran Bretagna e la Francia alla guerra contro la Germania. Come Wilson prima di lui, e altri dopo, Roosevelt si sentiva qualificato in modo unico e chiamato dal destino a rimodellare il mondo secondo la sua visione di una democrazia egualitaria e universalista. Era convinto, come lo sono stati tanti leader americani, di poter salvare il mondo riformandolo sul modello degli gli Stati Uniti.
Presidenti come Wilson e Roosevelt vedevano il mondo non come un complesso di nazioni, razze e culture diverse che devono rispettare reciprocamente le proprie identità collettive per convivere in pace, ma piuttosto secondo una ipocrita prospettiva missionaria che divide il globo in paesi moralmente buoni e cattivi. In tale ottica, l’America è vista come la guida assegnata dalla Provvidenza alle forze della rettitudine. Non è però un caso che questa visione corrisponde agli interessi economici e politici di coloro che detengono il potere negli Stati Uniti.
LA GUERRA DEL PRESIDENTE ROOSEVELT
Nell’aprile 1941, il senatore Gerald Nye del Nord Dakota predisse profeticamente che un giorno la seconda guerra mondiale sarebbe stata ricordata come la guerra di Roosevelt:
“Se saremo mai coinvolti in questa guerra, essa sarà chiamata dai futuri storici con un solo titolo, ‘la guerra del presidente’, perché ogni suo passo dal suo discorso sulla quarantena di Chicago [del 5 ottobre 1937] è stato verso la guerra”.[45]
Il grande storico americano, Harry Elmer Barnes, riteneva che la guerra avrebbe probabilmente potuto essere evitata nel 1939 se non fosse stato per l’ingerenza di Roosevelt:
“In effetti, ci sono prove abbastanza conclusive che, se non fosse stato per la pressione del signor Roosevelt su Gran Bretagna, Francia e Polonia e i suoi impegni con loro prima del settembre 1939, specialmente con la Gran Bretagna, nonché le buffonate irresponsabili del suo agente provocatore, William C. Bullitt, probabilmente non ci sarebbe stata nessuna guerra mondiale nel 1939 e, forse, per molti anni dopo”.[46]
In “Revisionism: A Key to Peace”, Barnes ha scritto:
“Il presidente Roosevelt ha avuto una grande responsabilità, sia diretta che indiretta, per lo scoppio della guerra in Europa. Iniziò a esercitare pressioni sulla Francia affinché resistesse a Hitler già durante la rioccupazione tedesca della Renania nel marzo 1936, mesi prima di pronunciare i suoi discorsi fortemente isolazionisti nella campagna elettorale del 1936. Questa pressione sulla Francia, e anche sull’Inghilterra, continuò fino all’inizio della guerra nel settembre 1939. Essa acquistò volume e slancio dopo il discorso sulla quarantena dell’ottobre 1937. Con l’avvicinarsi della crisi tra Monaco e lo scoppio della guerra, Roosevelt spinse i polacchi a resistere a qualsiasi richiesta della Germania ed esortò gli inglesi e i francesi a sostenere i polacchi senza batter ciglio.
Vi sono seri dubbi sul fatto che l’Inghilterra sarebbe entrata in guerra nel settembre 1939 se non fosse stato per l’incoraggiamento di Roosevelt e le sue assicurazioni che, in caso di guerra, gli Stati Uniti vi avrebbero partecipato a fianco della Gran Bretagna non appena lui fosse riuscito a convincere l’opinione pubblica americana a sostenere l’intervento.
Roosevelt aveva abbandonato ogni parvenza di neutralità anche prima che scoppiasse la guerra nel 1939 e si era adoperato il più rapidamente ed attivamente possibile nei confronti dell’opinione pubblica americana anti-interventista per coinvolgere questo paese nel conflitto europeo”.[47]
Uno dei verdetti più incisivi sul ruolo di Franklin Roosevelt nella storia è venuto dalla penna del grande esploratore e scrittore svedese, Sven Hedin. Durante la guerra scrisse:
“La questione del modo in cui si arrivò a una nuova guerra mondiale non si spiega solo con le basi poste dai trattati di pace del 1919, o con la distruzione della Germania e dei suoi alleati dopo la prima guerra mondiale, o con il perdurare della le antiche politiche di Gran Bretagna e Francia. La spinta decisiva è arrivata dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.
Roosevelt parla di democrazia e la distrugge incessantemente. Calunnia come antidemocratici e antiamericani coloro che lo ammoniscono in nome della pace e della conservazione dello stile di vita americano. Ha fatto della democrazia una caricatura piuttosto che un modello. Parla di libertà di parola e mette a tacere chi non è della sua opinione. Parla di libertà di religione e si allea con il bolscevismo. Parla di libertà dalla miseria, ma non riesce a fornire lavoro, pane e riparo a dieci milioni di suoi connazionali. Parla della libertà dalla paura della guerra mentre lavora per la guerra, non solo per il suo popolo ma per il mondo, incitando il suo paese contro le potenze dell’Asse quando avrebbe potuto unirsi a loro, e in tal modo ha spinto milioni di persone alla morte. Questa guerra passerà alla storia come la guerra del presidente Roosevelt“.[48]
Gli elogi orchestrati ufficialmente per Roosevelt come un grande uomo di pace non possono nascondere per sempre il suo ruolo cruciale nello spingere l’Europa alla guerra nel 1939.
* * * * *
Sono trascorsi ormai più di quarant’anni da quando si sono verificati gli eventi qui descritti. Per molti sono una parte irrilevante di un passato che è meglio dimenticare. Ma la storia di come Franklin Roosevelt ha progettato la guerra in Europa è molto pertinente, in particolare per gli americani di oggi. Le lezioni del passato non sono mai state così importanti come in questa era nucleare. Infatti, salvo che almeno una minoranza consapevole non capisca come e perché si fanno le guerre, rimarremo impotenti a frenare i guerrafondai della nostra epoca.
Note
- Vedi, per esempio: Charles A. Beard, President Roosevelt and the Coming of the War 1941 (New Haven: Yale University Press, 1948); William Henry Chamberlin, La seconda crociata americana (Chicago: Regnery, 1952, 1962); Benjamin Colby, ‘Twas a Famous Victory (New Rochelle, NY: Arlington House, 1979); Frederic R. Sanborn, Design for War (New York: Devin-Adair, 1951); William Stevenson, Un uomo chiamato intrepido (New York: Ballantine Books, 1980); Charles C. Tansill, Back Door to War (Chicago: Regnery, 1952); John Toland, Infamy: Pearl Harbor e le sue conseguenze (New York: Doubleday, 1982).
- Saul Friedlander, Prelude to Downfall: Hitler and the United States 1939-1941 ( New York: Knopf, 1967), pp. 73-77; US, Congress, House, Special Committee on Investigation of Un-American Activities in the United States , 1940, Appendice, Parte II, pp. 1054-1059.
- Friedlander, pp. 75-76.
- New York Times , 30 marzo 1940, pag. 1.
- Ivi, p. 4, e 31 marzo 1940, p. 1.
- New York Times , 30 marzo 1940, pag. 1. Baltimore Sun , 30 marzo 1940, p. 1.
- Un’edizione in lingua francese fu pubblicata nel 1944 con il titolo Comment Roosevelt est Entre en Guerre .
- Tansill, “The United States and the Road to War in Europe”, in Harry Elmer Barnes (a cura di), Perpetual War for Perpetual Peace (Caldwell, Idaho: Caxton, 1953; ristampa eds., New York: Greenwood, 1969 e Torrance , California: Institute for Historical Review [integrato], 1982), p. 184 (nota 292). Tansill ha anche citato diversi documenti nel suo “Back Door to War”, pp. 450-51.
- Harry Elmer Barnes, The Court Historians Versus Revisionism (stampato privatamente, 1952), p. 10. Questo libretto è ristampato in Barnes, Selected Revisionist Pamphlets (New York: Arno Press & The New York Times, 1972), e in Barnes, The Barnes Trilogy (Torrance, California: Institute for Historical Review, 1979).
- Chamberlin, pag. 60.
- Edward Raczynski, In Allied London (Londra: Weidenfeld e Nicolson, 1963), p. 51.
- Orville H. Bullitt (ad.), Per il presidente: personale e segreto (Boston: Houghton Mifflin, 1972), p. x1v [prefazione biografica]. Cfr. anche Time , 26 ottobre 1936, p. 24.
- Biografia attuale 1940 , ed. Maxine Block (New York: HW Wilson, 1940), pag. 122 segg.
- Gisleher Wirsing, Der masslose Kontinent: Roosevelts Kampf um die Weltherrschaft (Jena: E. Diederichs, 1942), p. 224.
- Necrologio di Bullitt sul New York Times , 16 febbraio 1967, p. 44.
- Jack Alexander, “He Rose From the Rich”, Saturday Evening Post , 11 marzo 1939, p. 6. (Vedi anche la continuazione nel numero del 18 marzo 1939.) Le opinioni pubbliche di Bullitt sulla scena europea e quale dovrebbe essere l’atteggiamento dell’America nei suoi confronti si possono trovare nel suo Rapporto al popolo americano (Boston: Houghton Mifflin [Cambridge: Riverside Press] , 1940), il testo di un discorso da lui pronunciato, con la benedizione del Presidente, sotto gli auspici dell’American Philosophical Society nell’Independence Hall di Filadelfia poco dopo la caduta della Francia. Diffusa ai quattro venti con puro isterismo, questa polemica antitedesca difficilmente poteva essere superata, anche per le simili propensioni di molti altri interventisti nel governo e nella stampa in quei giorni.
- Michael R. Beschloss, Kennedy e Roosevelt (New York: Norton, 1980), pp. 203-04.
- Robert Dallek, Franklin D. Roosevelt e la politica estera americana 1932-1945 (New York: Oxford University Press, 1979), p. 31. Vedi anche pp. 164-65.
- Dispaccio n. 349 del 20 settembre 1938 del sig. R. Lindsay, Documenti sulla politica estera britannica (a cura di Ernest L. Woodward), terza serie, vol. VII (Londra, 1954), pp. 627-29. Vedi anche: Joseph P. Lash, Roosevelt e Churchill 1939-1941 (New York: Norton, 1976), pp. 25-27; Dallek, pp. 164-65; Arnold A. Offner, America and the Origins of World War II (Boston: Houghton Mifflin, 1971), p. 61.
- William Phillips, Ventures in Diplomacy (North Beverly, Massachusetts: pubblicazione privata, 1952), pp. 220-21.
- Carl Burckhardt, Meine Danziger Mission 1937-1939 (Monaco di Baviera: Callwey, 1960), p. 225.
- Drew Pearson e Robert S. Allen, “Washington Daily Merry-Go-Round”, Washington Times-Herald , 14 aprile 1939, p. 16. Una ristampa facsimile di questa colonna appare in Conrad Grieb (a cura di), American Manifest Destiny and The Holocausts (New York: Examiner Books, 1979), pp. 132-33. Vedi anche: Wirsing, pp. 238-41.
- Jay P. Moffat, The Moffat Papers 1919-1943 (Cambridge: Harvard University Press, 1956), p. 232.
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- Edvard Benes, Memoirs of Dr. Eduard Benes (London: George Allen & Unwin, 1954), pp. 79-80.
- Lash, pag. 64.
- Hamilton Fish, FDR: The Other Side of the Coin (New York: Vantage, 1976; Torrance, California: Institute for Historical Review, 1980), p. 62.
- James V. Forrestal (annunci Walter Millis e ES Duffield), The Forrestal Diaries (New York: Viking, 1951), pp. 121-22. Sono stato informato privatamente da un collega che ha esaminato il manoscritto originale dei diari di Forrestal che parecchi riferimenti molto critici verso gli ebrei sono stati cancellati dalla versione pubblicata.
- Jan Szembek, Journal 1933-1939 (Paris: Plan, 1952), pp. 475-76.
- David E. Koskoff, Joseph P. Kennedy: A Life and Times (Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1974), p. 207; Moffat, pag. 253; AJP Taylor, Le origini della seconda guerra mondiale (Londra: Hamish Hamilton, 1961; 2a ed. Greenwich, Conn.: Fawcett Premier [tascabile], 1965), p. 262; USA, Dipartimento di Stato, Relazioni estere degli Stati Uniti, 1939, Generale, vol. I (Washington: 1956), pag. 355.
- Dallek, pag. 164.
- Beschloss, pp. 190-91; Lash, pag. 75; Koskoff, pp. 212-13.
- Hull to Kennedy (n. 905), Stati Uniti, Dipartimento di Stato, Relazioni estere degli Stati Uniti , 1939, Generale, vol. I (Washington: 1956), pag. 424.
- Gli indirizzi radiofonici di Hamilton Fish qui citati furono pubblicati nel Congressional Record Appendice (Washington) come segue: (6 gennaio 1939) vol. 84, parte 11, pp. 52-53; (5 marzo 1939) stesso, pp. 846-47; (5 aprile 1939) vol. 84, Parte 12, pp. 1342-43; (21 aprile 1939) stesso, pp. 1642-43; (26 maggio 1939) vol. 84, Parte 13, pp. 2288-89; (8 luglio 1939) stesso, pp. 3127-28.
- Wayne S. Cole, Charles A. Lindbergh e la battaglia contro l’intervento americano nella seconda guerra mondiale (New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1974), pp. 128, 136-39.
- Congressional Record Appendice (Washington: 1941), (30 dicembre 1940) vol. 86, Parte 18, pp. 7019-25. Vedi anche: Appendice, vol. 86, Parte 17, pp. 5808-14.
- New York Times , 11 marzo 1941, pag. 10.
- Lucy Dawidowicz, “Gli ebrei americani e l’Olocausto”, The New York Times Magazine , 18 aprile 1982, p. 102.
- “FDR aveva una bisnonna ebrea’” Jewish Chronicle (Londra), 5 febbraio 1982, p. 3.
- Charles A. Lindbergh, The Wartime Journals of Charles A. Lindbergh (New York: Harcourt Brace Jovanovich, 1970), p. 481.
- Koskoff, pp. 282, 212. Il ruolo della stampa americana nel fomentare l’odio contro la Germania tra il 1933 e il 1939 è un argomento che merita una trattazione molto più approfondita. Charles Tansill fornisce alcune informazioni utili su questo in Back Door to War . Vale la pena consultare il saggio del professor Hans A. Muenster, “Die Kriegsschuld der Presse der USA” in Kriegsschuld und Presse , pubblicato nel 1944 dalla Reichsdozentenfuehrung tedesca.
- Un eccellente saggio che mette in relazione e contrappone i sondaggi dell’opinione pubblica americana con le mosse di politica estera di Roosevelt nel 1939-41 è Harry Elmer Barnes, Was Roosevelt Pushed Into War By Popular Demand in 1941? (stampato privatamente, 1951). È ristampato in Barnes, Selected Revisionist Pamphlets .
- Lash, pag. 240.
- New York Times , 27 aprile 1941, pag. 19.
- Harry Elmer Barnes, La lotta contro il blackout storico , 2a ed. (Np: pubblicato privatamente, ca. 1948), p. 12. Si veda anche la 9a, ultima edizione riveduta e ampliata (Np: pubblicata privatamente, ca. 1954), p. 34; questo opuscolo è ristampato in Barnes, Selected Revisionist Pamphlets .
- Harry Elmer Barnes, “Revisionismo: una chiave per la pace”, Rampart Journal of Individualist Thought vol. II, n. 1 (primavera 1966), pp. 29-30. Questo articolo è stato ripubblicato in Barnes, Revisionism: A Key to Peace and Other Essays (San Francisco: Cato Institute [Cato Paper No. 12], 1980).
- Sven Hedin, Amerika im Kampf der Kontinente (Leipzig: FA Brockhaus, 1943), p. 54.
Fonte: IHR – Tradotto dall’inglese