IL MITO DELLO STERMINIO EBRAICO di Carlo Mattogno

 

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Introduzione storico-bibliografica alla storiografia revisionista

 

mattogno

 

 

Prima pubblicazione: Sentinella d’Italia, Via Buonarroti, 4, Monfalcone, Italia, 1985.

 

Parte prima

 

I — “NESSUN DOCUMENTO E’ RIMASTO, NE’ FORSE E’ MAI ESISTITO”

 

Ciò che più colpisce nello studio della vastissima letteratura consacrata allo “sterminio” degli ebrei, è l’enorme sproporzione che esiste tra un’accusa così grave e la fragilità delle prove addotte a sostegno di essa.

In effetti l’elaborazione e la realizzazione di un “piano di sterminio” così gigantesco avrebbe richiesto una organizzazione tecnica, economica e amministrativa assai complessa, come rileva Enzo Collotti: “Ma è facile comprendere che una così immane tragedia non poteva essere materialmente opera soltanto di poche centinaia o anche di poche migliaia di uomini, non poteva realizzarsi senza un’organizzazione capillare che attingesse aiuti e collaborazione nei settori più disparati della vita nazionale, praticamente in tutti i rami dell’amministrazione, senza cioè la connivenza di milioni di persone, che sapevano, che vedevano, che acconsentivano o che comunque, anche se non erano d’accordo, tacevano e il più delle volte lavoravano senza reagire a dare il loro contributo all’ingranaggio della persecuzione e dello sterminio”(1).

Gerald Reitlinger sottolinea che “nella Germania di Hitler abbiamo uno Stato poliziesco al massimo grado, che lasciò documenti a centinaia di tonnellate e testimoni preziosi a migliaia di unità”, sicché, in conclusione, “non vi è stato nulla, in verità, che questo avversario non abbia affidato alla carta”(2).

Alla fine della seconda guerra mondiale gli Alleati sequestrarono “tutti gli archivi segreti del governo tedesco, compresi i documenti del Ministero degli Esteri, dell’Esercito e della Marina, del Partito nazionalsocialista e della polizia segreta di Stato, di Heinrich Himmler”(3).

Tali “archivi furono vagliati dalle Potenze vincitrici in vista del processo di Norimberga:

(1) Enzo Collotti, La Germania nazista, Torino 1973, p. 146.

(2) GeraId Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa

1939-1945, Milano 1965, p. 593.

(3) William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Torino 1971, p. XIII.

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“Centinaia di migliaia di documenti tedeschi sequestrati furono raccolti in gran fretta a Norimberga per essere usati come prove nel processo contro i principali criminali di guerra nazisti”(4).

Gli Americani da soli esaminarono 1.100 tonnellate di documenti (5), tra i quali ne selezionarono 2.500 (6).

Ci si aspetterebbe dunque di essere sommersi da una marea di documenti comprovanti la realtà dello “sterminio” ebraico, ma le cose stanno assai diversamente, come ammette Léon Poliakov: “Gli archivi del Terzo Reich e le deposizioni e i racconti dei capi nazisti, ci permettono di ricostruire nei particolari la nascita e lo sviluppo dei piani di aggressione, delle campagne militari e di tutta la gamma di procedimenti con i quali i nazisti intendevano rifare a guisa loro il mondo.

Soltanto il piano di sterminio degli Ebrei, per quanto concerne la sua concezione, come per molti altri aspetti essenziali, rimane avvolto nella nebbia.”(5).

“Deduzioni e considerazioni psicologiche, racconti di terza o di quarta mano, ci permettono però di ricostruirne lo sviluppo con notevole approssimazione.

Molti particolari, tuttavia, resteranno per sempre sconosciuti. Per quanto riguarda la concezione propriamente detta del piano di sterminio totale, i tre o quattro principali responsabili non sono più in vita.

Nessun documento è rimasto, né forse è mai esistito. Di tanta segretezza i capi del Terzo Reich, millantatori e cinici come in altre circostanze (7), circondarono il loro crimine maggiore”(8).

Dal tempo della prima stesura dell’opera di Léon Poliakov(9) la situazione non è mutata:

“Malgrado la grande messe di documenti nazisti catturati dagli Alleati alla fine della guerra, ci mancano proprio i documenti che riguardano il processo di formazione dell’idea della “soluzione finale della questione ebraica” al punto che, fino ad ora, è difficile dire come quando e chi esattamente dette l’ordine di sterminare gli ebrei”(10).

Il “piano di sterminio totale” resta avvolto nel mistero anche dal punto di vista tecnico, economico e amministrativo:

“Il genio tecnico dei Tedeschi permise loro di organizzare nel giro di pochi mesi una industria della morte razionale ed efficace. Come ogni altra industria, anch’essa comportava studi di ricerca e di perfezionamento, servizi amministrativi, ed anche una contabilità e degli archivi.

(4) Idem, p. XV.

(5) Werner Maser, Nuremberg. A Nation on Trial, New York 1979, p. 305.

(6) Der Prozess gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem internationalen

Militärgerichtshof. Nürnberg 14. November 1945 — 1. Oktober 1946. Veröffentlicht in

Nürnberg, Deutschland 1947 (d’ora in avanti: IMG), vol. II, p. 169.

(7) Traduzione poco felice. Il testo originale dice: “aussi vantards et cyniques qu’ils aient

été à d’autres occasions.”, cioè: “sebbene in altre occasioni siano stati millantatori e

cinici” (Léon PoIiakov, Bréviaire de la haine. Le IIIe Reich et les Juifs, Paris 1979, p.

124).

(8) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino 1977, p. 153.

(9) Vedi nota 11.

(10) Liliana Picciotto Fargion, La congiura del silenzio, La Rassegna mensile d’Israel,

maggio-agosto 1984, p. 226.

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Diversi aspetti di queste attività ci restano ignoti, avvolti in un segreto senza confronto più impenetrabile di quello di altre industrie di guerra tedesche. I tecnici dei razzi e dei siluri tedeschi, i pianificatori dell’economia del Reich, sono sopravvissuti e hanno consegnato ai vincitori i loro piani e i loro procedimenti; i tecnici della morte sono scomparsi quasi tutti dopo aver distrutto i loro archivi. Campi di sterminio erano sorti, con istallazioni dapprima rudimentali, poi via via più perfezionate: chi curò questa perfetta efficienza? Essa rivela una profonda e sicura conoscenza della psicologia della folle, utilizzata al fine di rendere perfettamente docili gli uomini votati alla morte; chi ne furono i promotori? Tutte domande a cui non possiamo dare per il momento(11) che risposte frammentarie e talora ipotetiche”(12).

“Notizie frammentarie ci permettono di intravvedere la parte avuta dai tecnici dell’eutanasia nello sterminio degli Ebrei della Polonia. Ma molti punti restano ancora oscuri; in linea generale, della storia dei campi polacchi si ha una conoscenza molto imperfetta”(13).

Ma un “piano di sterminio” sistematico presuppone evidentemente un ordine specifico che, per forza di cose, non può non essere imputato al Führer. Inutile dire che questo fantomatico “Führerbefehl” (ordine del Führer) è immerso nella più impenetrabile oscurità:

“Fino ad oggi non è stato trovato un ordine scritto di Hitler di uccidere l’ebraismo europeo e con tutta probabilità non è mai esistito”(14).

“Non esiste cioè qualcosa come un ordine scritto, firmato da lui, per lo sterminio degli ebrei in Europa”(15).

“Il momento in cui Hitler ha dato l’ordine — senza dubbio mai redatto per iscritto — di sterminare gli ebrei, non si può datare esattamente”(16).

“Non sappiamo il momento preciso in cui l’idea dello sterminio fisico degli ebrei sì concretizzò nel cervello di Hitler”(17).

L’assoluta mancanza di prove consente alla fantasia degli storici di regime di sbizzarrirsi a piacimento.

Dopo aver insinuato che “fu senza dubbio Adolf Hitler a firmare la sentenza di morte degli Ebrei d’Europa”(18) Léon Poliakov prosegue:

(11) La prima edizione del libro di Poliakov è dei 1951. Nell’edizione del 1979 citata nella nota 7 egli dichiara:

“Questa edizione integrale del “Bréviaire de la haine” è conforme all’edizione originale del 1951-1960. Non è il caso di introdurvi importanti cambiamenti o complementi. In effetti, le conoscenze di cui si dispone sulla politica cosiddetta “razziale” del Terzo Reich mirante a sterminare gli ebrei e a ridurre il numero degli slavi per mezzo di procedimenti talvolta simili, non si sono sensibilmente arricchite dal 1951″ (p. XIII).

(12) Léon PoIiakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 248.

(13) Idem, p. 260.

(14) Walter Laqueur, Was niemand wissen wollte: Die Unterdrückung der Nachrichten

über Hitlers “Endlösung”, Frankfurt/M.-Berlin-Wien 1981, p. 190.

(15) Colin Cross, Adolf Hitler, Milano, 1977, p. 313.

(16) Adolf Hitlers Mein Kampf. Eine kommentierte Auswahl von Christian Zentner,

München, 1974, p. 168.

(17) Saul Friedländer, Kurt Gerstein o l’ambiguità del bene, Milano 1967, p. 75.

(18) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 153.

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“Tutto quel che possiamo affermare con certezza è che la decisione del genocidio venne presa da Hitler in un momento situabile tra la conclusione della campagna dell’Ovest, nel giugno 1940, e l’aggressione contro la Russia dell’anno successivo. Contrariamente alla relazione del dottor Kersten, ci pare più verosimile situarla qualche mese più tardi, cioè al principio del 1941. Entriamo qui nel gioco delle induzioni psicologiche, quelle cui siamo obbligati di fare appello per trovare risposta alla seconda e lancinante domanda: quali fattori pesarono sulla risoluzione hitleriana?”(19).

Dunque Poliakov afferma “con certezza” che la decisione dello “sterminio” fu presa nell’arco di tempo di un anno (giugno 1940 — giugno 1941)! Che qui egli metta largamente in opera “il gioco delle induzioni psicologiche”, è dimostrato dal fatto che, in un’altra opera, egli anticipa tranquillamente di un anno e mezzo la data della fatidica “decisione” del Führer:

“Il programma del partito nazionalsocialista esigeva l’eliminazione degli ebrei dalla comunità tedesca; tra il 1933 e il 1939 essi furono metodicamente maltrattati, spogliati, costretti ad emigrare; la decisione di ucciderli fino all’ultimo risale anchessa all’inizio della guerra”(20).

Al riguardo, Arthur Eisenbach dichiara:

“Oggi è un fatto accertato che i piani dello sterminio in massa della popolazione ebraica d’Europa erano stati preparati dal governo nazista prima dello scoppio della seconda guerra mondiale e furono poi attuati gradualmente secondo la situazione politica e militare europea”(21).

Secondo Helmut Krausnick, Hitler impartì l’ordine segreto di sterminare gli ebrei “al più tardi nel marzo del 1941″(22).

La motivazione 79 della sentenza del processo Eichmann di Gerusalemme asserisce invece che l’ordine di sterminio “fu dato da Hitler stesso poco prima dell’invasione della Russia”(23), mentre la sentenza del processo di Norimberga sancisce:

“Il piano di sterminio degli ebrei fu elaborato subito dopo l’aggressione all’Unione Sovietica”(24).

Pertanto, tutto ciò che gli storici di regime possono affermare “con certezza”, per riprendere l’espressione di Poliakov, è che la pretesa “decisione” del Führer fu presa — e il preteso “ordine di sterminio” fu impartito — nell’arco di tempo di quasi due anni!

Altrettanto fantomatico è il preteso ordine di Himmler che avrebbe posto fine allo “sterminio” ebraico.

Kurt Becher, ex SS-Standartenführer, asserì che Himmler decretò tale ordine “tra la metà di settembre e la metà di ottobre del 1944″(25), il che è in contraddizione con la testimonianza di Reszö Kastner, secondo il quale Kurt Becher gli aveva riferito che Himmler il 25 (26) o il 26 novembre(27) aveva ordinato di far distruggere i crematori e le “camere a gas” di Auschwitz e di sospendere lo “sterminio” ebraico.

(19) Idem, p. 155.

(20) Léon Poliakov, Auschwitz, Paris 1973, p. 12.

(21) Arthur Eisenbach, Operation Reinhard, Mass extermination of Jewish population in

Poland, in: Polish Western Affairs, 1962, vol. III, n. 1, p. 80.

(22) Broszat/Jacobsen/Krausnick, Anatomie des SS-Staates, München 1982, vol. 2, p. 297.

(23) Bernd NeIlessen, Der Prozess von Jerusalem, Düsseldorf/Wien 1964, p. 201.

(24) IMG, vol. I, p. 280.

(25) PS-3762.

(26) PS-2605.

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Stranamente questo fantomatico ordine, che anche il “Kalendarium” di Auschwitz fa risalire al 26 novembre (28), giunse ai crematori di Auschwitz nove giorni prima che l’ordine stesso fosse impartito, cioè il 17 novembre (29)!

Secondo un’altra testimonianza riportata in Het doedenboek van Auschwitz, l’ordine in questione sarebbe giunto da Berlino ancora prima, il 2 novembre 1944(30).

Dieter Wisliceny, ex SS-Hauptsturmführer, dichiarò a Norimberga che il controordine di Himmler fu emanato nell’ottobre del 1944(31).

In conclusione, non esiste alcun documento comprovante la realtà del “piano di sterminio” ebraico, sicché “è difficile dire come quando e chi esattamente dette l’ordine di sterminare gli ebrei”.

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.II — LA POLITICA NAZIONALSOCIALISTA DI EMIGRAZIONE EBRAICA.

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Il preteso “piano di sterminio” ebraico, oltre a non essere corroborato da alcun documento, è decisamente smentito dalla politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica, che in questa sede possiamo delineare soltanto nelle sue linee essenziali.

Nella lettera all’amico Gemlich del 16 settembre 1919, considerata “il primo documento scritto della carriera politica di Hitler”(32), egli riguardo alla questione ebraica dichiara:

“L’antisemitismo della ragione però deve condurre alla lotta e all’eliminazione legale dei privilegi dell’ebreo, che egli solo possiede a differenza degli altri stranieri che vivono tra di noi (legislazione relativa agli stranieri). Ma il suo scopo finale (letztes Ziel) dev’essere irremovibilmente soprattutto l’allontanamento degli ebrei (die Entfernung der Juden)”(33).

Il 13 agosto 1920 Hitler pronunciò a Monaco il discorso “Perché siamo antisemiti?” (Warum sind wir Antisemiten?) in cui ribadì che la conoscenza scientifica dell’antisemitismo doveva tradursi in azione per condurre all’”allontanantento degli ebrei dal nostro popolo” (Entfernung der Juden aus unserem Volke)(34).

Tale soluzione della questione ebraica divenne il principio ispiratore del programma politico nazionalsocialista e della sua dottrina razziale. Infatti, come rileva

(27) Der Kästner-Bericht über Eichmanns Menschenhandel in Ungarn. Mit einem Vorwort

von Professor Carlo Schmidt. München, 1961, p. 242.

(28) Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimiu, 8, 1964. p.

  1. Cfr. p. 90, nota 130.

(29) Miklos Nyiszli, Medico ad Auschwitz, Milano, 1977, p. 166.

(30) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit. p. 275.

(31) IMG, vol. IV, p. 398.

(32) Eberhard Jäckel, La concezione del mondo in Hitler, Milano 1972, p. 66.

(33) Ernst Deuerlein, “Hitlers Eintritt in die Politik und die Reichswehr”, in:

Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 1959, p. 204.

(34) ReginaId H. Phelps, “Hitlers “grundlengende” Rede über den Antisemitismus”, in:

Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 1968, p. 417.

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Poliakov, “né dai dogmi dei nazionalsocialisti né dai loro testi principali, conseguiva

direttamente che vi dovesse essere una strage. “Mein Kampf’, che quasi a ogni pagina

reca la parola “Ebrei”, tace sulla sorte loro riservata nello Stato nazionalsocialista”. Il

programma ufficiale del Partito(35) dichiarava che “un Ebreo non può essere

compatriota”, né, conseguentemente, cittadino, mentre i commenti al programma

esigevano più esplicitamente “l’espulsione degli Ebrei e degli stranieri indesiderabili”(36).

L’allontanamento degli ebrei dal Reich fu il cardine della politica ebraica di Hitler fin dalla sua ascesa al potere. Il 28 agosto 1933 il Ministero dell’Economia del Reich stipulò coll’Agenzia ebraica per la Palestina il cosiddetto Haavara-Abkommen, un accordo (Abkommen) economico per favorire il trasferimento (Haavara)(37) degli ebrei tedeschi in Palestina(38).

Una nota del Ministero degli Esteri del 19 marzo 1938 auspicava la liquidazione dell’accordo perché, come si legge al punto 3, la Germania non era interessata a promuovere l’emigrazione degli ebrei ricchi coi loro capitali, ma esisteva piuttosto un interesse tedesco “ad una emigrazione in massa degli ebrei” (an einer jüdischen Massenauswanderung)(39).

Le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935(40) riaffermarono dal punto di vista legislativo gli articoli 4 e 5 del programma del Partito elaborato a Monaco il 24 febbraio 1920. Lo scopo della legge sulla cittadinanza del Reich e di quella per la difesa del sangue e dell’onore germanico era di separare ed isolare dall’organismo tedesco il corpo estraneo ebraico in vista della sua prossima espulsione, come sottolinea Reitlinger:

“Nel 1938, poco prima dell”agreement” di Monaco, quando il Quinto Decreto Integrativo aveva appunto finito di estromettere gli ebrei dall’ultima professione liberale, Wilhelm Stuckart, l’uomo che delle Leggi di Norimberga era stato non soltanto l’estensore, ma in gran parte il

promotore, scriveva che ormai l’obiettivo della legislazione razziale era raggiunto. Molte delle decisioni realizzate attraverso le Leggi di Norimberga “vanno svuotandosi di importanza a mano a mano che ci si avvicina alla Soluzione finale del problema ebraico”. La frase, come appare ovvio, non era ancora un mascheramento del concetto di sterminio della razza, anzi

alludeva chiaramente al fatto che le leggi non miravano a perpetuare il problema ebraico, bensì ad eliminarne i motivi. Gli ebrei dovevano lasciare il Reich per davvero e per sempre”(41).

In effetti alla fine del 1936 fu costituito un “Servizio per le questioni ebraiche” presso il Servizio di Sicurezza delle SS. “Scopo essenziale del nuovo servizio era l’esame di ogni problema preparatorio connesso a un’emigrazione in massa degli Ebrei”(42).

(35) PS-1708.

(36) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, 1977, p. 20.

(37) Termine ebraico (ha’abhârâh) che significa appunto “trasferimento”.

(38) Broszat-Jacobsen-Krausnick, Anatomie des SS-Staates, München, 1982, vol. 2, p. 265.

Joseph Walk (Hrsg.), Das Sonderrecht für die Juden im NS-Staat, Heidelberg-Karlsruhe,

1981, p. 48.

(39) NG-1889.

(40) PS-1417.

(41) Gerald Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa

1939-1945, Milano 1965, p. 23.

(42) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 36.

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Nell’aprile 1938 fu istituita a Vienna la “Zentralstelle für jüdische Auswanderung” (Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica) la cui direzione fu affidata da Heydrich ad Adolf Eichmann(43).

Qualche giorno dopo la cosiddetta “notte dei cristalli”, il 12 novembre 1938, Göring riunì il Consiglio dei ministri per far fronte alla difficile situazione che si era creata. Dal verbale stenografico della riunione risulta inequivocabilmente l’atteggiamento dei capi nazionalsocialisti nei confronti degli ebrei tedeschi. Heydrich dichiarò che la estromissione degli ebrei dalla vita economica tedesca non aveva risolto “il problema fondamentale dello scopo finale” (das Grundproblem letzten Endes): l’allontanamento degli ebrei dalla Germania. A Vienna, per ordine del Reichskommissar, era stata istituita una centrale di emigrazione ebraica (Judenauswanderungszentrale) grazie alla quale almeno 50.000 ebrei avevano lasciato l’Austria, mentre nello stesso lasso di tempo solo 19.000 ebrei avevano abbandonato il Vecchio Reich. Egli propose perciò di istituire anche nel Reich una centrale simile a quella di Vienna e di organizzare un’operazione migratoria da attuare nell’arco di 8-10 anni. Il ministro delle finanze von Krosigk approvò la proposta di Heydrich: bisognava fare ogni tentativo per evacuare gli ebrei all’estero. Il ministro dell’interno Frick ribadì che l’obiettivo doveva essere quello di far emigrare il maggior numero possibile di ebrei(44).

Per superare le difficoltà economiche che comportava l’emigrazione ebraica, nel dicembre 1938 Hitler approvò il piano Schacht. “La proposta discussa da Schacht a Londra nel mese di dicembre con Lord Bearsted, Lord Winterton e il signor Rublee fu, grosso modo, la seguente: il Governo tedesco avrebbe congelato i beni degli ebrei, facendo di essi il fondo di garanzia per un prestito internazionale, redimibile in 20-25 anni.

Supponendo che i beni degli ebrei valessero un miliardo e mezzo di marchi, vi sarebbe stato un quantitativo di valuta estera sufficiente per finanziare l’ordinata emigrazione degli ebrei del Grande Reich nel corso di 3-5 anni. Dopodiché Schacht rientrò in Germania e il 2 gennaio 1939, a Berchtesgaden, ebbe un lungo colloquio con Hitler sull’accoglienza che le sue proposte avevano ricevuto a Londra. Hitler sembrò esserne impressionato, perché tre giorni dopo nominò Schacht delegato speciale per l’incremento dell’emigrazione degli ebrei”(45).

Reitlinger attribuisce il fallimento del piano Schacht alla reazione suscitata in Hitler dal rifiuto da parte di Schacht di accrescere la circolazione cartacea, in conseguenza del quale, il 20 gennaio 1939, Schacht fu dimesso dalla presidenza della Reichsbank. Tuttavia, in una intervista concessa a Rolf Vogel nel gennaio 1970, Schacht dichiarò che il fallimento del piano fu dovuto all’opposizione di Chaim Weizmann(46).

La politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica procedeva però alacremente.

Il 24 gennaio 1939 Göring promulgò un decreto che sanciva l’istituzione di una “Reichszentrale für jüdische Auswanderung” (Centrale del Reich per l’emigrazione

43 Idem, pp. 49-50. IMG, vol. XXI, p. 586.

44 PS-1816, p. 47, 55 e 56.

45 Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 36. A Norimberga Schacht dichiarò

che, se il suo piano fosse stato realizzato, “non sarebbe perito neppure un ebreo

tedesco”, (IMG, vol. XX, p. 442).

46 Erich Kern, Die Tragödie der Juden, Verlag K.W. Schütz KG-Preussisch Oldendorf,

1979, p. 73.

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ebraica). Göring riassumeva anzitutto lapidariamente il principio ispiratore della politica nazionalsocialista:

“L’emigrazione degli ebrei dalla Germania deve essere promossa con ogni mezzo” (Die Auswanderung der Juden aus Deutschland ist mit allen Mitteln zu fördern).

Proprio in vista di ciò egli istituiva la suddetta “Reichszentrale für jüdishe Auswanderung”, che aveva il compito di “adottare tutti i provvedimenti per la preparazione di una emigrazione intensificata degli ebrei”, di provvedere all’emigrazione preferenziale degli ebrei poveri e infine di facilitare le pratiche burocratiche di emigrazione per i singoli individui. La direzione della “Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica” veniva affidata da Göring al capo della Polizia di Sicurezza Heydrich”(47).

Una relazione del Ministero degli Esteri del 25 gennaio 1939, intitolata Die Judenfrage als Faktor der Aussenpolitik im Jahre 1938 (La questione ebraica come fattore della politica estera nell’anno 1938) ribadiva inequivocabilmente il principio ispiratore della politica nazionalsocialista nei confronti degli ebrei:

“Lo scopo finale della politica ebraica tedesca è l’emigrazione di tutti gli ebrei che vivono nel territoria del Reich” (Das letzte Ziel der deutschen Judenpolitik ist die Auswanderung aller im Reichsgebiet lebenden Juden)(48).

Tale relazione propugnava “una soluzione radicale della questione ebraica mediante emigrazione — come già da anni qui viene perseguita” (eine radikale Lösung der Judenfrage durch die Auswanderung — wie sie hier schon seit Jahren verfoIgt wird), secondo il commento dell’SS-Obersturmbannführer Ehrlinger dell’Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich(49).

Dopo la creazione del Protettorato di Boemia e Moravia, Eichmann ricevette da Heydrich l’ordine di istituire a Praga un “Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica” (Zentralstelle für jüdishe Auswanderung)(50). Nel documento relativo, firmato dal Reichsprotektor von Neurath il 15 luglio 1939, si legge: “In conformità alla regolamentazione del Reich, per evitare disagi e ritardi, è necessario concentrare la trattazione di tutte le questioni relative all’emigrazione ebraica.

Per l’incremento e la regolamentazione accelerata dell’emigrazione degli ebrei da Boemia e Moravia viene perciò istituito l’Ufficio centrale per l’emigrazione ebraica di Praga”(51).

Pur tra crescenti difficoltà, la politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica fu perseguita anche durante la guerra.

La difficoltà maggiore fu indubbiamente il malcelato antisemitismo dei paesi democratici, i quali, se da un lato alzavano alte grida contro la persecuzione ebraica da parte nazionalsocialista, dall’altro si rifiutavano di accogliere gli ebrei perseguitati,

(47) NG-2586-A.

(48) PS-3358.

(49) Reichsführer-SS. An den SD-Führer des SS-O.A. Betr.: “Die Judenfrage als Faktor der

Aussenpolitik im Jahre 1938″. 13. März 1939. In: Livre Brun. Les criminels de guerre

et nazis en Allemagne occidentale. Verlag Zeit im Bild, Dresden, s.d. Documento 35

(fotocopia fuori testo; traduzione a p. 383).

(50) Ich. Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. Herausgegeben von Dr. Rudolf

Aschenauer, Druffel Verlag, Leoni am Starnberger See, 1980, p. 99.

(51) H. G. AdIer, Der Kampf gegen die “Endlösung der Judenfrage”, Herausgegeben von

der Bundeszentrale für Heimatdienst, Bonn 1958, p. 8.

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come risultò chiaramente nel corso della conferenza di Evian, che si svolse dal 6 al 15 luglio 1938.

Questa conferenza fu organizzata per iniziativa del presidente Roosevelt al fine di facilitare l’emigrazione delle vittime delle persecuzioni nazionalsocialiste, in primo luogo, degli ebrei. Ma le buone intenzioni del ‘Presidente americano apparvero dubbie fin dall’inizio:

“Alla sua conferenza stampa di Warm Springs, il presidente Roosevelt limitò già le possibilità di Evian dicendo che come sua conseguenza non erano previste revisioni né aumenti delle quote di immigrazione negli Stati Uniti.

Nel suo invito a questa Conferenza rivolto ai 33 paesi, Roosevelt sottolineava che non ci si attendeva da nessun paese che acconsentisse a ricevere un numero di immigrati superiore alle norme della sua legislazione in vigore”.

Con tali premesse, la conferenza di Evian era destinata al fallimento già in partenza. Infatti il suo risultato fu che “il mondo libero abbandonava gli ebrei di Germania e d’Austria alla loro sorte spietata”(52).

“Traendo le conseguenze dalla conferenza — scrive Rita Thalmann — il Danziger Vorposten constatava che “ci si impietosisce per gli ebrei quando si tratta di alimentare una agitazione ostile contro la Germania, ma nessuno Stato è disposto a lottare contro la tara culturale dell’Europa centrale accettando qualche migliaio di ebrei. La conferenza — concludeva il giornale — è dunque una giustificazione della politica tedesca contro gli ebrei”.

I dirigenti tedeschi ebbero in ogni caso la dimostrazione che i trentadue Stati che avevano partecipato alla conferenza di Evian (l’URSS e la Cecoslovacchia non erano rappresentate, l’Italia aveva declinato l’invito, Ungheria, Romania e Polonia avevano inviato osservatori al solo scopo di chiedere che li si liberasse dei loro ebrei) non avevano l’intenzione di occuparsi seriamente della sorte dei perseguitati, né di accoglierli”(53).

Ancora nel marzo 1943 Goebbels poteva rilevare sarcasticamente: “Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni”(54).

La rapida sconfitta della Polonia suggerì ai dirigenti nazionalsocialisti una soluzione provvisoria della questione ebraica.

Il 21 settembre 1939 Heydrich inviò una lettera espresso (Schnellbrief) a tutti i capi dei gruppi d’azione della Polizia di Sicurezza. In tale lettera, che aveva come oggetto “La questione ebraica nel territorio occupato” (Judenfrage im besetzten Gebiet), egli esponeva le disposizioni che erano state concertate in una riunione tenutasi lo stesso giorna a Berlino e che si riassumevano in due punti: la meta finale (Endziel) e le fasi del raggiungimento di essa. In vista di questa meta finale, gli ebrei dovevano essere concentrati dalle campagne nelle città(55).

(52) M. Mazor, “Il y a trente ans: La Conférence d’Evian”, in: Le Monde Juif, Avril-juin

1968, N. 50, p. 23 e 25.

(53) Dieci lezioni sul nazismo, a cura di Alfred Grosser, Afilano 1977, p. 243.

(54) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., pp. 351-352.

(55) PS-3363.

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Poliakov commenta: “Si parla di una «meta finale»”. Quale poteva essere? Certo, non ancora l’eliminazione: siamo soltanto nel 1939. Un passo del documento ce ne dà la chiave: nella zona “situata a est di Cracovia” gli Ebrei non verranno disturbati; se nelle altre regioni vengono raggruppati in prossimità delle stazioni ferroviarie è senza dubbio perché si ha l’intenzione di evacuarli in un secondo tempo con maggiore facilità. E la destinazione molto probabilmente sarà proprio quella zona “situata a est di Cracovia”(56).

Si delineò così “il progetto di risolvere il problema ebraico concentrando nella regione di Lublino, presso la frontiera con l’URSS, tutti gli Ebrei che si trovavano sotto la dominazione nazista. Al piano di istituire una “riserva ebraica” fu data una certa pubblicità nella stampa tedesca del tempo. Fu prescelto un territorio delimitato, a quanto pare (le notizie sono parziali e contraddittorie), dalla Vistola, dal San e dalla frontiera dell’URSS, nel quale gli Ebrei dovevano essere adibiti a lavori di colonizzazione sotto la sorveglianza delle SS”(57).

Ma per varie circostanze sfavorevoli, questo progetto non fu mai realizzato in pieno.

Nel contempo il Governo del Reich continuava la tradizionale politica di emigrazione. Infatti, come rileva Poliakov, “parallelamente a queste deportazioni verso oriente, il Centro per l’emigrazione ebraica tentava di dirigere gli Ebrei tedeschi verso altre destinazioni. L’emigrazione legale era divenuta quasi impossibile: tuttavia, soprattutto dall’Austria, un esile filo di emigranti continuava a defluire, i quali, attraverso l’Italia, si dirigevano verso i paesi d’oltremare. Qualche convoglio clandestino, formato coll’aiuto di Eichmann, tentò di discendere il Danubio su barche, mirando alla Palestina: ma il governo britannico rifiutò di lasciar entrare nel Focolare nazionale ebraico questi viaggiatori sprovvisti di visto.

Più oltre ci imbatteremo di nuovo in questo amaro paradosso: la Gestapo che spinge gli Ebrei verso il luogo della salvezza, mentre il governo democratico di Sua Maestà britannica ne preclude l’accesso alle future vittime dei forni crematori”(58).

La sconfitta della Francia fornì l’occasione per una attuazione in grande stile della politica di emigrazione ebraica:

“Quando, con il crollo della Francia, agli occhi dei nazisti si aprirono prospettive smisurate, ritornò sul tappeto, in tutta attualità, un piano da alcuni di essi a lungo vagheggiato. E pensarono di avere finalmente tra le mani la chiave della “soluzione finale del problema ebraico”. Si è visto che nel corso della sorprendente seduta del 12 novembre 1938 Goering aveva fatto menzione della “questione del Madagascar”.

Un testimone assicura che Himmler pensava a questa soluzione sin dal 1934.

L’idea di sistemare tutti gli Ebrei in una grande isola — e per di più in un’isola appartenente alla Francia — non poteva non soddisfare l’amore dei nazisti per il simbolismo. Comunque, subito dopo l’armistizio di Rethondes, l’idea viene lanciata dal Ministero degli Esteri, ripresa con entusiasmo dal RSHA, gradita da Himmler e, a quanto pare, dallo stesso Führer”(59).

Nel corso della seduta del 12 novembre 1938 Göring aveva in effetti informato gli astanti che il Führer, secondo quanto gli aveva riferito personalmente tre giorni prima, si accingeva a compiere una mossa di politica estera presso le potenze che avevano sollevato la questione ebraica per giungere ad una soluzione della questione del Madagascar.

(56) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 61.

(57) Idem, pp. 61-62.

(58) Idem, pp. 64-65.

(59) Idem, p. 72.

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“Egli dirà agli altri stati: “Perché parlate sempre degli ebrei? Prendetevelli!”(60).

Anche Himmler era favorevole ad una emigrazione ebraica in massa, come risulta dalla nota “Einige Gedanken über die Behandlung der Fremdvölkischen im Osten” (Alcuni pensieri sul trattamento degli appartenenti a razze straniere in Oriente) del maggio 1940, nella quale scrisse:

“Io spero di veder scomparire completamente la parola ebrei mediante la possibilità di una grande emigrazione di tutti gli ebrei in Africa oppure in una colonia”(61).

Nella stessa nota egli respingeva “il metodo bolscevico dello sterminio fisico di un popolo per intima convinzione come non germanico e impossibile” (die bolschewistische Methode der physischen Ausrottung: eines Volkes aus innerer Überzeugung als ungermanisch und unmöglich) (62).

Il 24 giugno 1940 Heydrich comunicò al ministro degli Esteri Ribbentrop che oltre 200.000 ebrei erano emigrati dal territorio del Reich, ma il “problema generale”, costituito dai tre milioni e duecentocinquantamila ebrei che si erano venuti a trovare sotto il dominio tedesco, non poteva più essere risolto coll’emigrazione, per cui si profilava la necessità di “una soluzione finale territoriale” (eine territoriale Endlösung) (63).

In conseguenza di tale lettera, il Ministero degli Esteri elaborò il “progetto Madagascar”.

Il 3 luglio 1940 Franz Rademacher, capo della sezione “ebraica” del Ministero degli Esteri, redasse un rapporto che fu approvato da Ribbentrop e trasmesso all’Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich che “elaborò un piano particolareggiato per l’evacuazione degli Ebrei al Madagascar e il loro insediamento sul posto, piano che fu approvato dal Reichsführer delle SS”(64).

Il 12 luglio, di ritorno da Berlino dove era stato ricevuto da Hitler, il governatore della Polonia Hans Frank pronunciò un discorso in cui dichiarò: “Dal punto di vista della politica generale, vorrei aggiungere che si è deciso di trasportare il più presto possibile dopo la conclusione della pace tutta la genia ebraica del Reich tedesco, del Governatorato generale e del Protettorato in una colonia africana o americana. Si pensa al Madagascar, che a tal fine deve essere ceduto dalla Francia”(65).

Il 25 luglio Frank ribadì che il Führer aveva stabilito che gli ebrei sarebbero stati evacuati completamente non appena i trasporti d’oltremare lo avessero consentito(66).

L’ex ambasciatore tedesco a Parigi Otto Abetz dichiarò invece che la destinazione dell’emigrazione ebraica doveva essere costituita dagli Stati Uniti:

“Ho parlato col Fíihrer della questione ebraica solo una volta, e precisamente il 3 agosto 1940. Egli mi disse che voleva risolvere la questione ebraica per l’Europa in modo generale, e precisamente

(60) PS-1816, p. 56.

(61)″Denkschrift Himmlers über die Behandlung der Fremdvölkischen im Osten (Mai

1940)”, in: Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 1957, p. 197.

(62) Ibidem.

(63) Gerald Fleming, Hitler und die Endlösung, Wiesbaden und München, 1982, p. 56.

(64) Léon PoIiakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 74.

(65) PS-2233, IMG, vol. XXIX, p. 378. H. Monneray, La persécution des Juifs dans les pays

de l’Est présentée à Nuremberg, Paris 1949, pp. 201-202.

(66) PS-2233, IMG, vol. XXIX, p. 405.

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mediante una clausola del trattato di pace, ponendo ai paesi vinti la condizione che essi trasferissero i loro cittadini ebrei fuori dell’Europa.

Egli voleva agire nello stesso modo sugli stati a lui alleati. In tale contesto egli menzionò gli Stati Uniti d’America come un paese che da molto tempo non era sovrappopolato come l’Europa e perciò era in grado di accogliere ancora parecchi milioni di Ebrei”(67).

Nell’ottobre 1940 Alfred Rosenberg scrisse un articolo intitolato “Juden auf Madagascar” (Gli ebrei nel Madagascar) in cui auspicava la creazione di una riserva ebraica nell’isola.

Secondo una comunicazione di Bormann a Rosenberg in data 3 novembre 1940, Hitler per il momento si opponeva alla pubblicazione dell’articolo in questione, pur non escludendo che potesse essere pubblicato nel giro di qualche mese “(68).

Ciò era dovuto al fatto che i tedeschi in quel periodo erano in contatto col governo di Vichy in relazione al progetto Madagascar. “Era dunque naturale che Hitler rinviasse a più tardi l’informazione pubblica sul progetto in questione. Nel suo discorso del 30 gennaio 1941 (anniversario della presa del potere) egli si accontentò di proclamare che “il giudaismo avrà cessato di svolgere il suo ruolo in Europa”, il che concorda parimenti col “piano Madagascar”(69).

A quanto pare, HitIer non autorizzò neppure in seguito Rosenberg a rendere pubblico il progetto Madagascar, perché alla conferenza “La questione ebraica in quanto problema mondiale”, tenuta da Rosenberg il 28 marzo 1941, questi dichiarò che il problema ebraico sarebbe stato risolto quando l’ultimo ebreo fosse stato allontanato dall’Europa in una riserva la cui localizzazione restava ancora da stabilire”(70).

Goebbels invece, secondo la testimonianza di Moritz von Schinneister, ex funzionario del Ministero della Propaganda, parlò più volte pubblicamente del progetto Madagascar:

“Dott. Fritz — Dove erano evacuati gli ebrei secondo le dichiarazioni del dott. Goebbels?

Von Schinneister — Fino a tutto il primo anno della campagna di Russia il dott. Goebbels ha menzionato ripetutamente il piano Madagascar nelle conferenze da lui presiedute. Successivamente mutò avviso e disse che bisognava istituire all’Est un nuovo stato ebraico nel quale poi sarebbero andati gli ebrei”(71).

A Norimberga, interrogato su un documento datato 24 settembre 1942, Ribbentrop testimoniò:

“Il Führer allora aveva in progetto di evacuare gli ebrei dall’Europa nel Nordafrica — ma si parlava anche del Madagascar. Egli mi aveva dato l’ordine di prendere contatto con vari governi provvedendo secondo il possibile all’emigrazione degli ebrei, e di allontanare gli ebrei dagli organi governativi importanti. Tale disposizione è stata da me diramata al Ministero degli Esteri e, per quanto mi ricordo, un paio di volte si prese

(67) NG-1838, p. 5.

(68) CXLVI-51 e CXLIII-229. Cfr. J. Billig, Alfred Rosenberg dans l’action idéologique,

politique et administrative du Reich hitlérien, Paris 1963, p. 196, n. 632 e 633.

(69) Idem, p. 193.

(70) CXLVI-23. Idem, p. 197, n. 635.

(71) IMG, vol. XVII, pp. 275-276.

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contatto con vari governi, si trattava dell’emigrazione degli ebrei in una parte del Nordafrica, che era prevista”(72).

Nella nota “Progetto Madagascar” del 30 agosto 1940, Rademacher dichiarava che l’istituzione del Governatorato generale di Polonia e l’annessione dei nuovi distretti orientali avevano portato grandi masse di ebrei sotto il dominio tedesco.

Questa ed altre difficoltà, come l’inasprimento della legislazione relativa all’immigrazione da parte dei paesi d’oltremare, rendevano difficile condurre a termine, in un tempo non troppo lontano, “la soluzione del problema ebraico nel territorio del Reich, compreso il Protettorato di Boemia e Moravia, per mezzo dell’emigrazione”(73), donde, appunto, il progetto Madagascar.

Eìchmann si mise alacremente al lavoro. “Si circondò di esperti marittimi per elaborare un piano di trasporti, che dovevano essere assicurati da un “pool” delle grandi compagnie tedesche di navigazione: le operazioni di imbarco dovevano aver luogo nei principali porti del Mare del Nord e del Mediterraneo.

Nello stesso tempo si dava da fare per fare assegnare al “Fondo centrale” i beni confiscati agli Ebrei. Inviò incaricati nei paesi occupati o controllati per raccogliere dati statistici circa il numero degli Ebrei, la loro età e distribuzione professionale, ecc. Queste statistiche particolareggiate serviranno poi, come si vedrà, ad altro scopo…

Tutto era pronto per mettere in moto la macchina appena si fosse conclusa la pace”(74). Infatti, nella nota summenzionata, Rademacher, calcolando che il trasferimento di quattro milioni di ebrei nel Madagascar avrebbe richiesto circa quattro anni, rilevava:

“Dopo la conclusione della pace, la flotta mercantile tedesca sarà indubbiamente molto occupata in altro modo. E perciò necessario includere nel trattato di pace che, al fini della soluzione del problema ebraico, sia la Francia sia l’Inghilterra mettano a disposizione il tonnellaggio necessario”(75).

Il paragrafo “Finanziamento” della nota “Progetto Madagascar” si apre con le seguenti parole:

“L’attuazione della soluzione finale (Endlösung) proposta richiede rilevanti mezzi”(76).

La famigerata “soluzione finale della questione ebraica” si riferiva dunque semplicemente al trasferimento degli ebrei europei nel Madagascar, come riconosce Poliakov:

“Fino al suo abbandono, il “Piano Madagascar” fu talvolta designato dai dirigenti tedeschi col nome di «soluzione finale della questione ebraica»”(77).

Come è noto, secondo gli storici di regime, questa espressione sarebbe successivamente divenuta sinonimo di “sterminio” ebraico:

“«Soluzione finale del problema ebraico» fu una delle frasi convenzionali per indicare il piano hitleriano di sterminio degli ebrei d’Europa. Se ne servirono i funzionari tedeschi dall’estate del 1941 in poi, per evitare di dover reciprocamente ammettere l’esistenza del piano; anche prima, però, in varie occasioni, la frase era stata usata per indicare, in sostanza, l’emigrazione degli ebrei”(78).

(72) IMG, vol. X, p. 449.

(73) NG-2586-C. Cfr. Erich Kern, Die Tragödie der Juden, op. cit. p. 95.

(74)74 Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit, p. 76.

(75) NG-2586-C. Cfr. Erich Kern, Die Tragödie der Juden, op. cit., p. 101.

(76) NG-2586-C. Cfr. Erich Kern, Die Tragödie der Juden, op. cit, p. 103.

(77) Léon Poliakov, Le procès de Jérusalem, Paris 1963, p. 152.

(78) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 19.

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In realtà tale affermazione è assolutamente infondata ed arbitraria, in quanto non solo non è suffragata da alcuna prova, ma esistono documenti che la smentiscono categoricamente.

In questa sede dobbiamo limitarci a qualche breve accenno.

Gli inquisitori di Norimberga si rendevano perfettamente conto, che un “piano di sterminio” che aveva provocato — secondo l’accusa — la morte di quattro milioni e mezzo(79) o di sei milioni di ebrei(80), non poteva essere stato attuato senza lasciare la minima traccia negli archivi nazisti, né, in sede giuridica, potevano ricorrere alla ridicola scappatoia degli storici di regime secondo cui tutti i documenti compromettenti sono stati distrutti.

Essi elaborarono allora quel metodo esegetico aberrante che consente di far dire a qualsiasi documento ciò che si vuole. Il fondamento di questo metodo esegetico è il presupposto — infondato quanto arbitrario — che le supreme autorità nazionalisocialiste adoperassero persino nei documenti più riservati una sorta di linguaggio cifrato la cui chiave gli inquisitori di Norimberga pretendevano naturalmente di avere scoperto. Donde il travisamento sistematico — in funzione dello “sterminio” — di documenti affatto innocui.

L’esempio più noto di tale travisamento sistematico si riferisce appunto all’interpretazione della parola “Endlösung”, che fu fatta divenire sinonimo di “sterminio degli Ebrei”(81).

Come vedremo tra breve, alla “soluzione finale” mediante trasferimento degli ebrei europei nel Madagascar subentrò la “soluzione finale territoriale” mediante deportazione degli ebrei europei nei territori orientali occupati dai tedeschi.

Col decreto del 31 luglio 1941, Göring affidò a Heydrich il compito di fare tutti i preparativi necessari per la “soluzione finale”, cioè di organizzare l’emigrazione totale e definitiva degli ebrei che erano sotto il dominio tedesco. Tale decreto sanciva infatti:

“A integrazione del compito già assegnatole con decreto del 24-1-39, di portare la questione ebraica ad una opportuna soluzione in forma di emigrazione o evacuazione (in Form der Auswanderung oder Evakuirung) il più possibile adeguata alle circostanze attuali, La incarico con la presente di fare tutti i preparativi necessari dal punto di vista organizzativo, pratico e

materiale per una soluzione totale (Gesamtlösung) della questione ebraica nei territori europei sotto l’influenza tedesca. Nella misura in cui vengono toccate le competenze di altre autorità centrali, queste devono essere cointeressate.

La incarico inoltre di presentarmi quanto prima un progetto complessivo dei provvedimenti preliminari organizzativi, pratici e materiali per l’attuazione dell’auspicata soluzione finale della questione ebraica (Endlösung der Judenfrage)”(82).

In base al metodo esegetico summenzionato, questo decreto costituirebbe “uno dei documenti fondamentali della storia dello sterminio”(83): in esso compare infatti l’espressione “soluzione finale”, che designerebbe, come asserisce Reitlinger, “il piano hitleriano di sterminio degli ebrei d’Europa”. In realtà, come risulta chiaramente dal testo, l’auspicata “soluzione finale della questione ebraica” è una “soluzione in forma di emigrazione o evacuazione”.

(79) IMG, vol. II, p. 140.

(80) IMG, vol. I, p. 283; vol. III, p. 635; vol. XXII, p. 289.

(81) IMG, vol. I, p. 280.

(82) NG-2586-E/PS-710.

(83) Léon Poliakov, Le procès de Jérusalem, op cit., p. 158.

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Quanto sia tendenziosa l’interpretazione degli storici di regime appare evidente dal fatto che Reitlinger e Shirer, citando il decreto in questione, espungono la parte del documento che parla appunto di emigrazione e evacuazione!(84).

Che il decreto di Göring del 31 luglio 1941 si riferisca esclusivamente all’emigrazione ebraica, è confermato da un importantissimo documento, il promemoria di Martin Luther del 21 agosto 1942.

In questo documento, Martin Luther, capo del Dipartimento Germania del Ministero degli Esteri, ricapitola i punti essenziali della politica nazionalsocialista nei confronti degli ebrei:

“Il principio della politica ebraica tedesca dopo la presa del potere consistette nel promuovere con ogni mezzo l’emigrazione ebraica. A tal fine nel 1939 fu istituita dal Generalfeldmarschall Göring, nella sua qualità di incaricato del piano quadriennale, una Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica, la cui direzione fu affidata al Gruppenführer Heydrich come Capo

della Polizia di Sicurezza”.

Dopo aver accennato al progetto Madagascar, che ormai era stato superato dagli avvenimenti, Luther prosegue rilevando che il decreto di Göring del 31 luglio 1941 fece seguito ad una lettera di Heydrich con la quale questi lo informava che “il problema complessivo dei circa tre milioni e duecentocinquantamila ebrei dei territori che si trovano sotto il controllo tedesco non può essere più risolto coll’emigrazione; sarebbe necessaria una soluzione finale territoriale (eine territoriale Endlösung). Riconoscendo ciò, il Reichsmarschall Göring il 31 luglio 1941 incaricò il Gruppenführer Heydrich di fare, in collaborazione con le autorità centrali tedesche interessate, tutti i preparativi necessari per una soluzione totale della questione ebraica nella sfera d’influenza tedesca in Europa.

In base a quest’ordine il Gruppenführer Heydrich il 20 gennaio 1942 convocò in tutti gli organi tedeschi interessati, alla quale parteciparono per gli altri ministeri i sottosegretari, per il Ministero degli Esteri io stesso.

(84) William. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Torino 1971, p. 1464; Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 108.

Ecco le rispettive traduzioni:

“Con la presente vi incarico di fare tutti i preparativi… necessari per una SOLUZIONE TOTALE del problema ebraico in tutti i territori d’Europa che si trovano sotto l’influenza tedesca…

Inoltre vogliate trasmettermi al più presto un prospetto da cui risultino le… misure già prese per l’attuazione della progettata SOLUZIONE FINALE del problema ebraico”.

Shirer espunge senza indicazione la parte iniziale del decreto e inventa l’espressione “le… misure già prese”.

“Con la presente vi delego ad attuare tutti i preparativi per l’organizzazione, materiale e finanziaria, di una soluzione totale della questione ebraica nei territori europei sotto controllo tedesco. Ogni qualvolta ciò coinvolga la competenza di altre organizzazioni centrali, tali organizzazioni dovranno essere chiamate a partecipare.

Vi incarico inoltre di sottopormi non appena possibile uno schema dei provvedimenti organizzativi, materiali e finanziari, per l’esecuzione della desiderata Soluzione finale del problema ebraico”.

Anche Reitlinger espunge senza indicazione la parte iniziale del decreto. Solo in nota (a) egli fa precedere il testo tedesco da tre puntini di sospensione. (a) Nota 44 a p. 121.

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Alla conferenza il Gruppenführer Heydrich spiegò che l’incarico del Reichsmarschall Göring gli era stato affidato per ordine del Führer e che il Führer ormai invece dell’emigrazione aveva autorizzato l’evacuazione degli ebrei all’Est come soluzione. In base a quest’ordine del Führer — continua Luther — fu intrapresa l’evacuazione degli ebrei dalla Germania”.

La destinazione era costituita dai territori orientali via governatorato generale:

“L’evacuazione del Governatorato generale è un provvedimento provvisorio. Gli ebrei saranno trasferiti ulteriormente nei territori orientali occupati non appena ce ne saranno i presupposti tecnici”(85).

In una nota datata 14 dicembre 1942 e intitolata “Finanzimento delle misure in vista della soluzione della questione ebraica”, il consigliere ministeriale Maedel confermava:

“Già qualche tempo fa il Maresciallo del Reich ha incaricato il Reichsführer SS e Capo della Polizia tedesca di preparare le misure atte ad assicurare la soluzione finale della questione ebraica in Europa. Il Reichsführer SS ha incaricato il Capo della Polizia di Sicurezza e del S.D. dell’esecuzione di questo compito. Questi ha innanzitutto accelerato per mezzo di misure

speciali l’emigrazione legale degli ebrei verso i paesi d’oltremare. Quando la guerra rese impossibile l’emigrazione oltremare, egli ha preparato lo sgombero progressivo del territorio del Reich dai suoi ebrei mediante la loro evacuzione verso l’Est”(86).

Le difficoltà belliche e le prospettive aperte dalla campagna di Russia avevano imposto provvisoriamente l’abbandono della politica di emigrazione totale.

In conseguenza di ciò, il 23 ottobre 1941 fu proibita per la durata della guerra l’emigrazione degli ebrei dalla Germania(87), ma, a quanto pare, l’ordine non fu eseguito, perché esso fu diramato nuovamente il 3 gennaio 1942 (88) e promulgato infine da Himmler il 4 febbraio 1942. In tale data, infatti, il “Militärbefehlshaber” in Francia emanò la seguente ordinanza:

“Il Reichsführer-SS e Capo della Polizia tedesca al RMdJ ha ordinato che cessi in generale qualsiasi emigrazione ebraica dalla Germania e dai paesi occupati”.

Himmler sì riservava di autorizzare singole emigrazioni quando gli interessi della Gerniania lo richiedessero(89).

La conferenza di Heydrich menzionata da Luther si tenne il 20 gennaio 1942 a Berlino, am Grossen Wannsee 56/58. Il relativo “protocollo” si apre con un riassunto della politica nazionalsocialista nei confronti degli ebrei:

“Il capo della Polizia di Sicurezza e del SD, SS-Obergruppenführer Heydrich, comunicò all’inizio la sua nomina a incaricato per la preparazione della soluzione finale della questione ebraica europea (Endlösung der europäischen Judenfrage) da parte del Maresciallo del Reich e sottolineò che era stato invitato a convocare questa conferenza per chiarire questioni di principio.

Il desiderio del Maresciallo del Reich che gli fosse trasmesso un progetto relativo alle questioni organizzative, pratiche e materiali relative alla soluzione finale della

(85) NG-2586-J.

(86) NG-4583. Cfr.: Le Monde Juif, Janvier 1952, p. 9.

(87) Das Sonderrecht für die Juden im NS-Staat, op. cit., p. 353.

(88) Idem, p. 361.

(89) NG-1970 (XXVI-10).

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questione ebraica europea, esige una trattativa preliminare comune di tutte le autorità centrali direttamente interessate a tali questioni per coordinare le direttive di azione.

La direzione della preparazione della soluzione finale della questione ebraica (Endlösung der Judenfrage), senza riguardo a confini geografici, spetta centralmente al Reichsführer-SS e Capo della Polizia tedesca (al Capo della Polizia di Sicurezza e del SD).

Il Capo della Polizia di Sicurezza e del SD diede poi un rapido sguardo retrospettivo alla lotta sino ad allora condotta contro questo nemico. I momenti essenziali sono:

  1. a) l’espulsione degli ebrei dalle singole sfere vitali del popolo tedesco;
  2. b) l’espulsione degli ebrei dallo spazio vitale del popolo tedesco.

Per attuare questi obiettivi fu iniziata sistematicamente e intensificata, come unica possibilità provvisoria di soluzione, l’accelerazione dell’emigrazione degli ebrei dal territorio del Reich.

Per ordine del Maresciallo del Reich nel gennaio 1939 fu istituita una Centrale del Reich per l’emigrazione ebraica la cui direzione fu affidata al Capo della Polizia di Sicurezza e del SD. Essa aveva in particolare il compito di:

  1. a) prendere tutti i provvedimenti per la preparazione di una emigrazione ebraica intensificata;
  2. b) dirigere l’ondata di emigrazione;
  3. c) accelerare la realizzazione dell’emigrazione nei casi singoli.

Lo scopo di questo incarico era quello di ripulire in modo legale degli ebrei lo spazio vitale tedesco”.

In conseguenza di tale politica, fino al 31 ottobre 1941, nonostante varie difficoltà, circa 537.000 ebrei erano emigrati dal Vecchio Reich, dall’Austria e dal Protettorato di Boemia e Moravia.

“Frattanto — continua il “protocollo” — il Reichsführer-SS e Capo della Polizia tedesca, in considerazione dei pericoli di una emigrazione durante la guerra e in considerazione delle possibilità dell’Est, ha proibito l’emigrazione degli ebrei.

Al posto dell’emigrazione, come ulteriore possibilità di soluzione con previa autorizzazione del Führer, è ormai subentrata l’evacuazione degli ebrei all’Est.

Tuttavia queste azioni devono essere considerate unicamente delle possibilità di ripiego e qui vengono raccolte quelle esperienze pratiche che sono di grande importanza in relazione alla futura soluzione finale del problema ebraico”(90).

Per ordine del Führer, dunque, la soluzione finale, cioè l’emigrazione totale degli ebrei europei, era sostituita dall’evacuazione nei territori orientali occupati, ma soltanto come possibilità di ripiego, in attesa di riprendere la questione dopo la conclusione della guerra. Infatti, secondo una nota della Cancelleria del Reich del

(90) NG-2586-G. Come è noto, anche il cosiddetto “protocollo di Wannsee” viene interpretato dagli storici di regime in funzione dello “sterminio” ebraico. In questa sede ci limitiamo a rilevare che, se le evacuazioni alI’Est significassero realmente la deportazione degli ebrei nei “campi di sterminio” orientali, esse non potrebbero certo essere definite delle “possibilità di ripiego”.

Per un esame approfondito della questione vedi: Wilhelm Stäglich, Der Auschwitz- Mythos. Legende oder Wirklichkeit, Tübingen, 1979, pp. 38-65 (Das “Wannsee- Protokoll”).

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marzo-aprile 1942, Hitler intendeva rimandare a dopo la fine della guerra la soluzione della questione ebraica (91) e il 24 luglio 1942 egli stesso asserì che, dopo la fine della guerra, “avrebbe distrutto città dopo città se gli ebrei non ne fossero usciti e non fossero emigrati nel Madagascar o in un altro stato nazionale ebraico”(92).

Alcuni mesi prima, il 7 marzo 1942, Goebbels aveva annotato sul suo diario:

“La questione ebraica dev’essere risolta su scala europea. In Europa ci sono ancora 11.000.000 di ebrei. Tanto, per cominciare, dovranno essere tutti confinati in Oriente; è possibile che dopo la guerra venga assegnata loro una isola, per esempio Madagascar (Eventuell kann man ihnen nach dem Kriege eine Insel, etwa Madagaskar, zuweisen). Certo non vi sarà pace per l’Europa

finché tutti gli ebrei, sino all’ultimo, non ne siano stati eliminati (ausgeschaltet)”(93).

Conformemente alle direttive di Hitler, il progetto Madagascar fu dunque provvisoriamente abbandonato. Una lettera informativa di Rademacher del 10 febbraio 1942 ne spiega la ragione:

“Nell’agosto del 1940 Le consegnai per i Suoi atti il piano della soluzione finale della questione ebraica (zur Endlösung der Judenfrage) elaborato dal mio ufficio, secondo il quale, nel trattato di pace, si doveva esigere dalla Francia l’isola di Madagascar, ma l’esecuzione pratica del compito doveva essere assegnata all’Ufficio centrale di Sicurezza del Reich.

Conformemente a questo piano, il Gruppenführer Heydrich è stato incaricato dal Führer di attuare la soluzione della questione ebraica in Europa.

La guerra contro l’Unione Sovietica ha frattanto dato la possibilità di mettere a disposizione altri territori per la soluzione finale (für die Endlösung). Di conseguenza il Führer ha deciso che gli ebrei non devono più essere espulsi nel Madagascar, ma all’Est.

Perciò il piano Madagascar non deve più essere previsto per la soluzione finale (Madagaskar braucht mithin nicht mehr für die Endlösung vorgesehen zu werden)”(94).

Qualche settimana prima, il 27 gennaio, il Führer aveva dichiarato:

“L’ebreo deve andarsene fuori dall’Europa. La cosa migliore è che se ne vadano in Russia“(95).

La “soluzione finale della questione ebraica” non si è dunque mai riferita al preteso “piano hitleriano di sterminio degli ebrei d’Europa”.

Al processo di Norimberga Hans Lammers, ex capo della Cancelleria del Führer, interrogato dal dott. Thoma, asserì di sapere molte cose riguardo alla “soluzione finale”.

Nel 1942 egli apprese che il Führer aveva affidato a Heydrich — tramite Göring — l’incarico di risolvere la questione ebraica. Per saperne di più, egli si mise in contatto con Himmler e gli chiese “che cosa significasse propriamente soluzione finale della questione ebraica”. Himmler gli rispose che aveva ricevuto dal Führer l’incarico di attuare la soluzione finale della questione ebraica e che questo incarico consisteva

(91) PS-4025.

(92)Henry Picker, Hitlers Tischgespräche im Führerhauptquartier, Wilhelm Goldmann

Verlag, 1981, p. 456.

(93) R. Manvell-H. Fraenkel, Vita e morte del dottor Goebbels, Milano 1961, p. 240. Testo

tedesco in: Wilhelm Stäglich, Der Auschwitz Mythos, op. cit., p. 116.

(94) NG-5570.

(95) Adolf Hitler, Monologe im Führerhauptquartier 1941-1944, Hamburg, 1980, p. 241.

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essenzialmente nel fatto che gli ebrei dovevano essere evacuati dalla Germania”.

Successivamente questa spiegazione gli fu confermata dal Führer in persona.

Nel 1943 sorsero voci secondo le quali gli ebrei venivano uccisi. Lammers cercò di risalire alla fonte di tali voci, ma senza esito, perché esse risultavano sempre fondate su altre voci, per cui egli giunse alla conclusione che si trattasse di propaganda radiofonica nemica.

Tuttavia, per chiarire la faccenda, Lammers si rivolse di nuovo a Himmler, il quale negò che gli ebrei venissero uccisi legalmente: essi — venivano semplicemente evacuati all’Est e questo era l’incarico affidatogli dal Führer. Durante tali evacuazioni potevano certo accadere casi di morte tra persone vecchie o ammalate, potevano verificarsi disgrazie, attacchi aerei e rivolte che Himmler era costretto a reprimere nel sangue a mo’ d’esempio, ma questo era tutto.

Allora Lammers andò di nuovo dal Führer, che gli diede la stessa risposta di Himmler: «Egli mi disse: “Deciderò successivamente. dove andranno gli ebrei; per il momento sono sistemati là”.»

Il dott. Thoma chiese poi a Lammers:

“Himmler Le ha mai detto che la soluzione finale degli ebrei dovesse aver luogo con il loro sterminio?

Lammers — Di ciò non si è mai fatto parola. Egli ha parlato soltanto di evacuazioni.

Dott. Toma — Ha parlato soltanto di evacuazioni?

Lammers — Soltanto di evacuazioni.

Dott. Thoma — Quando ha sentito che questi cinque milioni di ebrei sono stati sterminati?

Lammers — L’ho sentito qualche tempo fa qui”(96).

Dunque il Capo della Cancelleria del Führer aveva saputo solo a Norimberga del preteso “sterminio” ebraico!

Il rapporto statistico “Die Endlösung der europäischen Judenfrage” (La soluzione finale della questione ebraica europea) di Richard Korherr riassume numericamente i risultati della politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica: fino al 31 dicembre 1942 dal vecchio Reich, dal territorio dei Sudeti, dal Protettorato di Boemia e Moravia e dall’Austria erano emigrati 557.357 ebrei. Almeno altrettanti erano emigrati dai territori orientali e dal Governatorato Generale, perché la cifra riportata da Korherr — 762.593 ebrei — assomma le emigrazioni e l’eccedenza della mortalità naturale(97).

In conclusione, Adolf Hitler, dal 1933 al 1942, ha consentito l’emigrazione di almeno un milione di ebrei che si trovavano in suo potere.

Quanto agli altri, a che scopo sterminarli? Poliakov stesso rileva al riguardo:

“E, da un punto di vista più terra terra, quale poteva essere l’utilità dello sterminio? Era totalmente più vantaggioso, in senso economico, destinarli ai lavori più duri: chiudendoli in una riserva, ad esempio”(98).

Appunto ciò fece Hitler.

Col progredire della guerra i campi di concentramento e i ghetti divennero infatti importanti centri dell’economia bellica tedesca, per cui “lo sfruttamento della mano d’opera ebraica fu per il Terzo Reich e per i suoi uomini un’altra fonte di redditi di prima importanza”(99).

(96) IMG, vol. XI, pp. 61-63.

(97) NO-5193.

(98) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit, p. 21.

(99) Idem, p. 109.

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Il campo di concentramento di Auschwitz, ad esempio, il cui comprensorio includeva una “sfera di interesse” di circa 40 kmq., era il centro di gravità di una vasta zona industriale. Esso riforniva di mano d’opera molte industrie tedesche, tra cui: IG-Farbenindustrie, Berghütte, Vereinigte Oberschlesische Hüttenwerke A.G., Hermann Göringwerke, Siemens-Schuckert-Werke A.G., Energie-Versorgung-Oberschlesien A.G., Oberschlesische Hydrierwerke, Oberschlesische Gerätebau G.m.b.H., Deutsche Gas- und Russgesellschaft, Deutsche Reichsbahn, Heeresbauverwaltung, Schlesische Feinweberei, Union-Werke, Golleschauer Portland-Zement A.G.

Negli anni 1942-1944 il campo centrale di Auschwitz aveva 39 campi esterni, di cui 31 per detenuti usati come mano d’opera; 19 di essi impiegavano in maggior parte detenuti ebrei(100).

A Monowitz gli stabilimenti della IG-Farbenindustrie impiegavano 25.000 detenuti di Auschwitz, circa 100.000 operai civili e circa 1.000 prigionieri di guerra inglesi(101).

Anche i ghetti si trasformarono in centri economici di grande importanza. Con la rivolta del ghetto di Varsavia “l’industria di guerra tedesca perdeva, nell’Est, uno dei suoi importanti centri di forniture militari”(102). Il secondo ghetto per importanza economica, dopo quello di Varsavia, era il ghetto di Lodz: “Le sue fabbriche di ogni genere, e in particolare le sue industrie tessili, costituivano per l’economia tedesca un apporto di grande valore (103).

Il 19 gennaio 1942 fu istituito l’Ufficio centrale economico e amministrativo delle SS (SS Wirtschafts-Verwaltungshauptamt: SS-W. V. Hauptamt)(104), il cui scopo era appunto quello di “utilizzare su grande scala la mano d’opera dei detenuti”(105). Veniva così sancito un importante cambiamento nelle finalità dell’internamento nei campi di concentramento, come

sottolineò il capo dell’SS-W.V.Hauptamt SS-Obergruppenführer Pohl in una lettera al Reichsführer-SS datata 3 aprile 1942:

“La guerra ha reso necessario un evidente cambiamento di struttura dei campi di concentramento e ha cambiato radicalmente i loro compiti riguardo all’impiego dei detenuti. L’aumento dei detenuti soltanto per motivi di sicurezza o di rieducazione o di prevenzione non è più in primo piano. La mobilitazione di tutte le capacità lavorative anzitutto per i compiti di guerra (accrescimento dell’armamento) e in secondo luogo per le costruzioni in tempo di pace si pone sempre di più in primo piano”(106).

Tali disposizioni valevano anche per gli ebrei. Già il 25 gennaio Himmler aveva inviato il seguente ordine all’ispettore generale dei campi di concentramento SS-Brigadeführer Glücks:

“Poiché prossimamente non si può contare su prigionieri di guerra russi, invierò nei campi un gran numero di ebrei e di ebree che vengono espatriati dalla Germania.

Nelle prossime settimane si prepari ad accogliere nei campi 100.000 ebrei e 50.000 ebree.

(100) Contribution à l’histoire du KL Auschwitz, Édition du Musée d’Etat à Oswiecim, s.d.,

  1. 44-57.

(101) Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland, German Crimes

in Poland, Warsaw 1946, vol. I, p. 37.

(102) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 316.

(103) Idem, p. 148.

(104) NO-495; NO-719.

(105) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 110.

(106) R-129.

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Nelle prossime settimane i campi di concentramento assumeranno grandi incarichi e compiti economici. L’SS-Gruppenführer Pohl La informerà dettagliatamente”(107).

All’inizio del 1943 nel territorio del Reich erano impiegati nell’industria bellica circa 185.000 ebrei(108).

Nel maggio 1944 Hitler ordinò di impiegare 200.000 ebrei come mano d’opera nel programma di costruzioni Jäger (Jäger-Bauprogram) del direttore ministeriale Dorsch. L’ordine concernente il personale di sorveglianza fu impartito da Himmler l’11 maggio:

“Il Führer ha ordinato che per la sorveglianza dei 200.000 ebrei che il Reichsführer-SS invia nei campi di concentramento del Reich per impiegarli nelle grandi costruzioni dell’organizzazione Todt e in altri compiti di importanza militare siano assegnati alle Waffen-SS 10.000 uomini con ufficiali e sottufficiali”(109).

L’ex ministro degli Interni ungherese Gabor Wajna riferì una dichiarazione di Himmler secondo cui “da quando gli ebrei erano impiegati nel programma Jäger, la capacità era aumentata del 40%”(110).

Da una lettera dell’SS-W. V. Hauptamt datata “Oranienburg, 15 agosto 1944″ risulta che era imminente l’internamento di 612.000 persone — tra cui 90.000 ebrei del programma Ungheria — nei campi di concentramento”(111).

L’importanza del potenziale lavorativo ebraico appare ancor più chiaramente se si considera l’impellente esigenza di mano d’opera dell’economia di guerra tedesca.

Il 21 marzo 1942 Hitler nominò Fritz SauckeI plenipotenziario generale per l’impiego della mano d’opera, col compito di sopperire a tale esigenza(112). Secondo un rapporto inviato da SauckeI a Hitler e a Göring il 27 luglio 1942, nel Reich erano impiegati 5.124.000 lavoratori stranieri. Malgrado ciò il bisogno di mano d’opera era tale che, nel gennaio 1943, Sauckel ordinò la mobilitazione totale di tutti i tedeschi per l’economia di guerra. Il 5 febbraio 1943, al congresso dei Gauleiter che si tenne a Posen, SauckeI dichiarò: “La durezza inaudita della guerra mi ha costretto a mobilitare, in nome del Führer, molti milioni di stranieri per impiegarli in tutta l’economia di guerra tedesca e tenerli al massimo del rendimento”. Ma all’inizio del 1944 Hitler chiese altri 4 milioni di lavoratori(113).

Lo “sterminio” degli ebrei era dunque un’assurdità economica, come riconosce lo stesso Poliakov(114), tanto più che, secondo Collotti, “fu tra l’altro la necessità economica di servirsi del loro lavoro che impedì lo sterminio in massa dei prigionieri sovietici voluto da Hitler”(115).

Ma se la necessità economica dei tedeschi era tanto impellente riguardo ai russi, perché non lo era anche riguardo agli ebrei?

Gli storici di regime replicano asserendo che lo “sterminio” ebraico, corrispondendo all’obiettivo fondamentale del Führer, eccedeva qualunque esigenza economica, anche a rischio di assumere un carattere nettamente antieconomico.

Hannah Arendt espone mirabilmente questa tesi:

(107) NO-500.

(108) NO-5195.

(109) NO-5689.

(110) NO-1874.

(111) NO-1990.

(112) Enzo Collotti, La Germania nazista, Torino, 1973, p. 266.

(113) Idem, p. 267.

(114) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 115.

(115) Enzo ColIotti, La Germania nazista, op. cit., p. 267.

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“L’incredibilità degli orrori è strettamente legata alla loro inutilità economica. I nazisti portarono questa inutilità all’estremo, fino all’aperta anti-utilità quando nel bel mezzo della guerra, malgrado la scarsezza di materiale edilizio e rotabile, costruirono enormi e costose fabbriche di sterminio trasportando milioni di persone avanti e indietro. Agli occhi dì un mondo rigorosamente utilitarista l’evidente contrasto fra queste azioni e le necessità militari dava all’intera impresa un’aria di folle irrealtà”(116).

E’ fin troppo facile obiettare che, se per Hitler lo “sterminio” degli ebrei era tanto importante da far passare in secondo piano le impellenti necessità dell’economia di guerra tedesca fino all’anti- utilità, non avrebbe certamente permesso — fino ai primi due anni di guerra — l’emigrazione di almeno un milione di ebrei!

In realtà, fino a che punto i nazisti fossero utilitaristi riguardo agli ebrei, è dimostrato dalI’”Europa-Plan”, le cui trattative cominciarono in forma ufficiale nella primavera del 1944. Himmler proponeva lo scambio di un milione di ebrei (bambini, donne, vecchi) “per 10.000 autocarri pesanti, mille tonnellate di caffè e un po’ di sapone”(117).

Joel Brand, che conduceva le trattative da parte ebraica, si recò ad Istambul e di lì al Cairo.

“In pratica gli ostacoli sorsero da parte degli alleati. Joel Brand fu internato dalle autorità britanniche, senza aver avuto la possibilità di portare a termine il suo incarico; e il Dipartimento di Stato americano proibì al dottor Schwartz, direttore dell’American Jewish Joint, di trattare con sudditi nemici”(118).

Joel Brand riusci a trasmettere la proposta tedesca a Lord Moyne, allora ministro di stato britannico per il Medio Oriente, che gli rispose: “E che dovrei farmene di un milione di ebrei? Dove dovrei metterli?”8119).

La debolezza della suddetta tesi è strettamente connessa alla debolezza della presunta motivazione dello “sterminio” ebraico.

Per quasi tutti gli storici di regime è un fatto scontato che tale motivazione sia da rintracciare nella pretesa concezione nazionalsocialista secondo la quale gli ebrei, in quanto “razza inferiore”, erano da sterminare “per il solo fatto di essere ebrei”.

Questa ridicola tesi è smentita categoricamente dal fatto della politica di emigrazione ebraica — addirittura forzata! — propugnata dal governo del Reich persino nei primi due anni di guerra.

Poliakov stesso riconosce senza mezzi termini l’infondatezza di questa tesi. Dopo essersi posta la “lancinante domanda” della ragione per cui fu presa la decisione dello “sterminio”, egli prosegue:

«”Odio per gli ebrei”, “follia di Hitler”, sono termini troppo generali, e che, per ciò stesso, non significano nulla: e Hitler — almeno fino a quando la sorte del Terzo Reich non fu segnata — sapeva essere un politico calcolatore ed accorto. Abbiamo visto, del resto, che lo sterminio degli ebrei non faceva affatto parte dei progetti nazisti. E allora, perché questa decisione, di cui abbiamo visto quanto di irrazionale comportasse, fu presa, e perché proprio in quel certo momento?

Sarà opportuno quindi approfondire, pur essendo pienamente consapevoli che, in mancanza di ogni testimonianza, di ogni verbale, di ogni documento

(116) Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Milano, 1967, p. 609.

(117) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 544.

(118) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 345.

(119) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 545.

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irrefutabile, deduzioni di questo genere rasentano l’astrattezza e la gratuità”(120).

In altre parole si ignora non solo quando e da chi, ma addirittura perchè sarebbe stata presa la decisione dello “sterminio”.

Riguardo alla motivazione della pretesa decisione, infatti, la storiografia di regime non è in grado di fornire se non “deduzioni” che “rasentano l’astrattezza e la gratuità” e che sono per di più in aperta contraddizione col fatto della politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica.

Fino a che punto ciò sia vero alla lettera, è dimostrato dal seguente giudizio di Robert Cecil, “vicepreside della scuola di specializzazione in studi europei contemporanei dell’università di Reading e, dal 1968, professore di storia contemporanea tedesca presso la stessa università”:

“Il massacro degli slavi, come quello degli ebrei, fu un omicidio rituale, che non solo non contribuì affatto alla vittoria militare ma, come vedremo fra poco, ostacolò gravemente la Wehrmacht nel suo compito”(121).

(120) Léon Poliakov, Il Nazismo e lo sterminio degli ebrei, op. cit., p. 155.

(121) Robert Cecil, Il mito della razza nella Germania nazista, Vita di Alfred Rosenberg,

MiIano 1973, p. 199.

 

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PARTE SECONDA

 

 

1 –NASCITA E SVILUPPO DEL REVISIONISMO

 

La politica nazionalsocialista di emigrazione ebraica, perseguita ufficialmente fino all’inizio di febbraio del 1942, pone dunque una domanda realmente “lancinante”, secondo la definizione di Poliakov.

Infatti, se fosse vero che il processo dello “sterminio” ebraico “corrispondeva all’obiettivo fondamentale del nazionalsocialismo”(122); se fosse vero che esso non fu “il risultato di una imprevedibile esplosione di violenza, o della prevaricazione di subordinati, ma il frutto di una ideologia di morte e di un disegno organico”(123); se fosse vero che “tra gli scopi che, secondo Hitler, dovevano essere raggiunti per mezzo della guerra, aveva parte importantissima lo sterminio generale degli ebrei, e al raggiungimento di esso dedicò il governo tedesco gran parte delle sue forze”(124), per quale misteriosa ragione Adolf Hitler si sarebbe privato di almeno un milione di vittime predestinate permettendo loro di emigrare?

Era dunque inevitabile che un’accusa così atroce, basata essenzialmente su “deduzioni e considerazioni psicologiche”, su “racconti di terza o di quarta mano”, sul “gioco delle induzioni psicologiche”, su “deduzioni” che “rasentano l’astrattezza e la gratuità” e su ‘”risposte frammentarie e talora ipotetiche” fosse messa in dubbio.

Già nell’immediato dopoguerra e negli anni successivi erano state espresse severe critiche ai processi contro i cosiddetti “criminali di guerra” nazisti — in particolare al processo di Norimberga(125) — e alla condotta di guerra degli Alleati(126).

(122) Ernst Nolte, I tre volti del fascismo, Milano 1971, p. 559.

(123) Vittorio E. Giuntella, Il Nazismo e i Lager, Roma 1980; p. 46.

(124)124 Elia S. Artom, Storia d’Israele, Roma 1965, vol. III, p. 227.

(125) Tra le opere più significative sui processi contro i “criminali di guerra” nazisti segnaliamo:

Anonimo, The Nuremberg “Trial”, 1946.

Montgomery Belgion, Epitaph on Nuremberg, London, 1946.

Maurice Bardèche, Nuremberg ou la terre promise, Paris, 1948.

Maurice Bardèche, Nuremberg II ou les Faux Monnayeurs, Paris, 1950.

  1. J. P. Veale, Advance to Barbarism, London 1948.
  2. J. P. Veale, Crimes Discreetly Veiled, London 1958 (ambedue ristampate dall’Institute for Historical Review, Torrance, California, USA, 1979).
  3. A. Amaudruz, Ubu justicier au premier procès de Nuremberg, Paris 1949.

Reginald T. Paget, Manstein. His Campaigns and his Trial, London, 1951.

Utley, Freda. The High Cost of Vengeance, Regnery, 1949.

August von Knieriem, The Nuremberg Trials, Regnery, 1959.

Gerhard Brennecke, Die Nürnberger Geschichtsentstellung, Tübingen, 1970.

José A. Llorens Borràs, Crìmenes de guerra, Barcelona, 1973.

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Ma colui che per primo mise in dubbio la realtà dello “sterminio” ebraico fu il francese Paul Rassinier(127), che è considerato a giusto titolo il precursore dell’attuale revisionismo storico. La sua opera fu ripresa e continuata da altri ricercatori che hanno creato una ricca letteratura revisionista, di cui menzioniamo i titoli più importanti.

Nel 1967 fu pubblicato a Vienna Geschichte der Verfehmung Deutschlands (Wien, Selbstverlag des Verfassers) di Franz Scheidl. Due anni dopo apparve anonimo negli Stati Uniti The Myth of the Six Million (The Noontide Press, Torrance,

La vérité sur l’affaire de Malmédy et sur le colonel SS Jochen Peiper, Editions du Baucens, 1976.

Werner Maser, Nuremberg. A Nation on Trial, New York, 1979.

David Irving, Der Nürnberger Prozess, München, 1980.

Dietrich Ziemssen, The Malmédy Trial, Institute for Historical Review, 1981.

Léon de Poncins, Le procès de Nuremberg, in: Top Secret, Chiré-en-MontreuiI, 1972, pp. 91-126

Piero SeIla, “Occupazione della Germania e repressione politico-giudiziaria:Norimberga”, in: L’Occidente contro l’Europa, Milano, 1984, pp. 155-184.

(126) Tra le opere più importanti sui crimini di guerra degli Alleati ricordiamo: Erich Kern, Verbrechen am deutschen Volk. Dokumente alliierten Grausamkeiten 1939-1949, Verlag K.M. Schütz KG Pr. Oldendorf, 1964.

Erich Kern-Karl Balzer, Alliierten Verbrechen an Deutschen, Verlag K.W. Schütz KG Pr. Oldendorf, 1980.

Wilhelm Anders, Verbrechen der Sieger, DruffeI-Verlag, Leoni am Starnberger See, 1975.

“Crimes de guerre des alliés?” Défense de l’Occident, Numéro spécial 39-40, 1965.

Alliierten Kriegsverbrechen und Verbrechen gegen die Menschlichkeit, Samisdat Publishers LTD., Toronto, 1977.

  1. Bochaca, Los crìmeres de los “buenos”, Barcelona, 1952.

Rudolf Trenkel, “Polens Kriegsschuld. Der Bromberger Blutsonntag”, Kritik, April 1981 (Nordland-Verlag).

David Irving, The Destruction of Dresden, London, 1963.

The Crime of Moscow in Vynnytsia, New York 1951 (ristampato dall’Institute for

Historical Review, s.d.).

Louis FitzGibbon, Katyn, Institute for Historical Review, 1979.

Friedwald Kumpf, Die Verbrechen an Deutschen, Mannheirn, 1954.

Rudolf Aschenauer, Krieg ohne Grenzen. Der Partisanenkampf gegen Deutschland

1939-1945, Druffel-Verlag, Leoni am Stamberger See, 1982.

(127) Opere principali di Paul Rassinier:

La menzogna di Ulisse, Le Rune, Milano 1966 (edizione originale: Le mensonge d’Ulysse, Ed. Bressanes, 1950).

Ulysse trahi par les siens, La Vieille Taupe, Paris 1980 (edizione originale: Librairie Francaise, 1961).

Le véritable procès Eichmann ou les vainqueurs incorrigibles, La Vieille Taupe,Paris, 1983 (edizione originale: Les Sept Couleurs, 1962).

Il dramma degli ebrei, Roma 1967 (edizione originale: Le drame des Juifs européens, Les Sept Couleurs, 1964).

L’Opération “Vicaire”. Le rö1e de Pie XII devant l’histoire, La TabIe Ronde, 1965.

Les responsables de la seconde guerre mondiale, Nouvelles Editions Latines, 1967

(cap. IV: La question juive).

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California), seguito, nel 1970, da The Big Lie: Six Million Murdered Jews (Fyshwick A.C.T. Unity Printers and Publishers), a cura di The History Research Unity, e “Auschwitz ou le Grand Alibi”, a cura di La Vieille Taupe (Paris).

Nel 1973 videro la luce Die Auschwitz-Lüge (Kritik Verlag, Mohrkirch) di Thies Christophersen (trad it.: La Fandonia di Auschwitz, Edizioni La Sfinge, Parma 1984), The Six Million Swindle (Boniface Press, Takoma Park, Maryland) di Augustin App e Hexen-Einmal-Eins einer Lüge (Verlag Hohe Warte — Franz von Bebenburg) di Emil Aretz.

L’anno dopo fu pubblicato in Inghilterra Did Six Million Really Die? (Historical Review Press, di Richard Harwood (trad. it.: Auschwitz o della soluzione finale. Storia di una leggenda, Le Rune, Milano 1978), seguito nel 1976, presso la stessa casa editrice, dall’eccellente opera The Hoax of the Twentieth Century di Arthur Butz.

Nel 1978 Robert Faurisson scrisse il noto articolo «Le “problème des chambres à gaz”» (Défense de l’Occídent, n° 158, juin 1978, pp. 32-40) e l’anno dopo apparvero l’eccellente studio Der Auschwitz-Mythos. Legende oder Wirklichkeit? (Grabert-Verlag, Tübingen) di Wilhelm Stäglich, The Six Million Reconsidered (Historical Review Press) a cura del Committe for Truth in History, gli importanti articoli di Robert Faurisson “Le camere a gas non sono mai esistite” (Storia illustrata, n° 261, agosto 1979, pp. 15-35) e «The Problem of the “Gas Chambers” or “The Rumor of Auschwitz”» (Revisionist Press), El mito de los 6 millones. El fraude de les Judios asesinados por Hitler (Ediciones BAU. S.P., Badalona) di J. Bochacha, “Anne Frank’s Diary — A Hoax” (Institute for Historical Review) di Ditlieb Felderer e Holocaust, hoe lang nog? (Haro

Boekdienst, Antwerpen) (128).

128 Altri scritti fino al 1979:

Heinrich Härtle, Freispruch für Deutschland. Unsere Soldaten vor demNürnberger Tribunal, Verlag KX Schütz, Göttingen, 1965.

J.-P. Bermont (Paul Rassinier), La verità sul processo di Auschwitz, Quaderni di Ordine Nuovo, Roma 1965.

Léon de Poncins, “Six million innocent victims”, in: Judaism and the Vatican, Liberty Bell Publications, 1967, pp. 178-190.

Francois Duprat, “Le mystère des chambres à gaz”, in: Défense de l’Occident, n°63, juin 1967, pp. 30-33.

Heinz Roth, Was hätten wir Väter wissen müssen? 1970.

Heinz Roth, Was geschah nach 1945? 1972.

Heinz Roth, …der makaberste Betrug aller Zeiten… 1974 (opere edite in proprio dall’Autore, Odenhausen/Lumda).

Heinz Roth, Warum werden wir Deutschen belogen? Refo Druck + VerIag H.F. Kathagen, 1973.

James J. Martin, Revisionist Viewpoints, Colorado Springs, 1971.

Erich Kern, Die Tragödie der Juden. Schicksal zwischen Wahrheit und Propaganda. Verlag K.W. Schütz KG, Preuss. Oldendorf, 1979.

Udo Walendy, Europa in Flammen 1939-1945, Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, Vlotho/Weser, 1966, Band I.

Udo Walendy, Bild “Dokumente” für Geschichtsschreibung? VIotho/ Weser 1973.

Udo Walendy, “Die Methoden der Umerziehung”, Historische Tatsachen Nr. 2, VIotho/Weser 1976.

W.D. Rothe, Die Endlösung der Judenfrage, Frankfurt/Main 1974.

Richard Harwood, Der Nürnberg Prozess. Methoden und Bedeutung. Historical Review Press, 1977.

Richard Harwood, Nuremberg and other war crimes trials, Historical Review Press, 1978.

Pagina 29

Nel settembre 1979 presso la Northrop University di Los Angeles si è tenuta la prima “Revisionist Convention”, organizzata dall’Institute for Historical Review, che dalla primavera del 1980 pubblica l’importante rivista trimestrale The Journal of Historical Review, alla quale collaborano i più importanti storici revisionisti di ogni paese.

Ciò ha contribuito ulteriormente a rendere il revisionismo storico una realtà inconfutabile e un movimento di pensiero inarrestabile. Infatti la tesi revisionista guadagna sempre più sostenitori.

Dal 1980 ad oggi sono state pubblicate parecchie opere, soprattutto in Francia, sulla scia dell’ “Affare Faurisson”.

Oltre ai numerosi articoli apparsi nella rivista “The Journal of Historical Review”, segnaliamo:

“Auschwitz Exit” (Vol. I, Täby, Svezia, 1980), di Ditlieb Felderer,”1981 Revisionis’t Bibliography. A Select Bibliography of Revisionist Books Dealing with the Two World Wars and their Aftermaths. Compiled and Annoted by Keith Stimely” (Institute for Historical Review, 1980), che comprende anche le opere revisioniste sullo “sterminio” ebraico in lingua inglese;

“Vor dem Tribunal der Sieger: Gesetzlose Justiz in Nümberg” (Verlag K.W. Schütz KG — Preuss. Oldendorf, 1981), di Hildegard Fritzsche;

“Auschwitz im IG-Farben Prozess. Holocaustdokumente?” (Herausgegeben von Udo Walendy, Verlag für Volkstum und Zeitgeschichtsforschung, Vlotho/Weser,1981);

“Holocaust nun unterirdisch?” (Historische Tatsachen Nr. 9, Vlotho/Weser, 1981), “Kenntnismängel der Alliierten” (Historische Tatsachen Nr. 15, Vlotho/Weser.

1982),”Adolf Eichmann und die “Skelettsammlung des Ahnenerbe e.V.”” (Historische

Alexander Scronn, General Psychologus, Kritik Nr. 42, Februar 1978 (Kritik-Verlag, Mohrkirch).

Horst Mattern, Jesus, die Bibel und die 6.000.000 Lüge, Samisdat Publishers,Toronto, 1979.

Friedrich Schlegel, Das Unrecht am deutschen Volk, W. P. Publications, Liverpool,W. Va. USA, 1978.

Friedrich SchIegel, Die Befreiung nach 1945, W. P. Publications, Liverpool, 1978.

Friedrich SchIegel, Wir werden niernals schweigen, W. P. Publications, Liverpool,1978.

Friedrich Schlegel, Versehwiegene Wahrheiten, Samisdat Publishers, Toronto,s.d.

  1. StägIich – U. Walendy, NS-Bewältigung, Historical Review Press, 1979.

Thies Christophersen, Der Auschwitz-Betrug, Kritik Nr. 27, Kritik-Verlag,Mohrkirch, s.d.

  1. G. Burg, Schuld und Schicksal, München, 1962.
  2. G. Burg, Sündenböcke, München, 1967.
  3. G. Burg, NS-Verbrechen. Prozesse des schlechten Gewissens, München,1963.
  4. G. Burg, Das Tagebuch (der Anne Frank), München, 1978.

J.G. Burg, Maidanek in alle Ewigkeit? München, 1979.

Wilhelm Stäglich, Das Institut für Zeitgeschichte eine Schwinddelfirma? Kritik Nr.38, Kritik-VerIag, Mohrkirch 1977.

Wilhelm Stäglich, Die westdeutsche Justiz und die sogenannten NS Gewaltverbrechen, Kritik-Verlag, Mohrkirch, 1978.

Heinrich Härtle, Was Holocaust verschweigt, Leoni am Starnberger See, 1979.

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Tatsachen Nr. 18, Vlotho/Weser,1983), “Einsatzgruppen im Verbande des Heeres” (Historische Tatsachen Nr. 16 e 17, Vlotho/Weser, 1983), “Alliierte Kriegspropaganda 1914-1919″ (Historische Tatsachen Nr. 22, Vlotho/Weser, 1985), “Macht + Prozesse =”Wahrheit? (Historische Tatsachen Nr. 25, Vlotho/Weser, 1985) ,tutti di Udo Walendy; «“Massentötungen“ oder Desinformation?» (Historische Tatsachen Nr. 24, Vlotho/Weser 1985), di Ingrid Weckert;

“Ich suchte — und fand die Wahrheit” (Kritik Nr. 58, Mohrkirch, 1982), di Robert Faurisson;

“The “Holocaust””: 120 Questions and Answers (Institute for Historical Review,1983), di C. E. Weber;

“Nazi Gassing a Myth?” (IHR Special Report. Institute for Historical Review,1983);

“The Dissolution of the Eastern European Jewry” (Institute for Historical Review,1983), di Walter Sanning;

“Les grands truquages de l’histoire” (Jacques Grancher éd., Paris, 1983), di Hervé Le Goff (opera in cui compare uno studio sull’impostura del diario di Anna Frank: pp. 13-40)(129);

“The man who invented “genocide”” (Institute for Historical Review, 1984) diJames J. Martin;

“Dachau… Buchenwald… Belsen… etc…” (Antwerpen, Vrij Historisch Onderzoek,1984), di Z. L. Smith;

“Het Dagboek van Anne Frank: een vervalsing” (Antwerpen, Vrij HistorischOnderzoek, 1985), di Robert Faurisson;

“Worldwide Growth and Impact of “Holocaust” Revisionism” (Institute forHistorical Review, 1985), IHR Special Report.

Aggiungiamo le opere più significative sull’”Affare Faurisson”: “Vérité historique ou vérité politique? Le dossier de l’affaire Faurisson. La question des chambres à gaz” (La Vieille Taupe, Paris, 1980) di Serge Thion;

“Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire. La question des chambres à gaz” (La Vieille Taupe, Paris, 1980) di Robert Faurisson, opere di valore eccezionale;

“L’Affaire Faurisson” (Le lutteur de classe, novembre 1981);

“Intolérable intolérance” (Editions de la Différence, 1981) di autori vari;

“Les petits suppléments au Guide des droits des victimes. N. 1. L’incroyable Affaire Faurisson” (La Vieille Taupe, Paris, 1982) a firma “Le Citoyen”;

“Réponse à Pierre Vidal-Naquet” (Edité par l’Auteur, 1982) di Robert Faurisson;

“L’Affaire Faurisson” (Université de Bordeaux III. Option Journalisme 1982-1983) di Marie- Paule Mémy;

“Épilogue judiciaire de l’”Affaire Faurisson” (La Vieille Taupe, Paris, 1983) di J.Aitken;

“Il caso Faurisson” (edito dall’Autore) di Andrea Chersi (Castenedolo 1983)(130).

(129) Vedi al riguardo:

“Le journal d’Anne Frank pourrait être un faux!” in: Le Courrier des Yvelines, 9 février 1984, p. 4;

“On sait aujourd’hui que le journal d’Anne Frank était un faux. Le beau mensonge” in:Spécial dernière, 1er mars 1984, p. 11.

(130) Altri scritti sull’”Affare Faurisson”:

Vérité et solidarité, in: La Guerra sociale, N. 7, pp. 33-39.

Robert Poulet, La vérité au compte-gouttes, in: Rivarol, 25 Février 1983, p. 11.

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Nel gennaio 1985 è apparso il primo numero della rivista revisionista spagnola “Revisión” (Alicante, Spagna). Segnaliamo inoltre la rivista revisionista “Taboe. Revisionistisch tijdschrift voorkritisch en wetenschappelijk onderzoek” (Tabù. Rivista revisionista di ricerca critica e scientifica) (Antwerpen, Belgio).

Ci sia infine consentito di menzionare tre nostri studi:

“Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso” (Sentinella d’Italia, Monfalcone 1985);

“La Risiera di San Sabba” (Sentinella d’Italia, Monfalcone 1985);

«”Medico ad Auschwitz”. Anatomia di un falso. La falsa testimonianza di Miklos Nyiszli»(131) (di prossima pubblicazione).

Questa vasta letteratura è di valore disparato e va dalla divulgazione superficiale e spesso inesatta — giustamente criticata dagli storici sterminazionisti, come vengono chiamati dai revisionisti i sostenitori della realtà dello “sterminio” ebraico — alla ricerca scientifica metodica e approfondita.

Essa ha suscitato reazioni di varia natura(132).

Sul piano letterario alcuni scritti, fortemente passionali, tendono essenzialmente a screditare i revisionisti sia mediante la diffamazione personale, sia deformandone le tesi per poi facilmente volgerle al ridicolo, sia tentando di far passare il revisionismo

Note rassineriane con appendice sulla persecuzione giudiziaria di R. Faurisson, in: Alla Bottega, Marzo-Aprile 1983, pp. 33-41.

Robert Faurisson, El caso Faurisson (o la represión en Francia), in: Cedade, n.104, Febrero 1982. pp. 9-12.

Robert Faurisson, Revisionism on Trial in France, in: The Journal of historical Review,Summer 1985, pp. 133-181.

(131) Altri scritti:

Ich, Adolf Eichmann. Ein historischer Zeugenbericht. Herausgegeben von Dr.Rudolph Aschenauer, Druffel-Verlag, Leoni am Stamberger See, 1980.

  1. Degrelle, Lettera al Papa sulIa truffa di Auschwitz, Sentinella d’Italia,Monfalcone 1980.

Die grosse Holocaust-Debatte. Übersetzung aus der US-Zeitschrift “Spotlight”.

Sonderdruck l. Dezember 1980.

  1. Fikentscher, Sechs Millionen Juden vergast — verbrannt. Kritik. Nr. 51. Kritik-Verlag, Arhus, Danimarca.
  2. Bochaca, El mito de Anna Frank, in: Cedade, n. 104, Febrero 1982, pp. 18-20.

“Holocaust” News. “Holocaust” Story An Evil Hoax, Revisionists’ Reprints,Manhattan Beach, 1982.

Mohamed Levy-Cohen, Zur geschichtlichen Analyse der nationalsozialistischen

Konzentrationslager als Gegenstand des heutigen Kampfes, in: Die Aktion, Nummer

19-20, August-September 1983, pp. 267-276; Nummer 21-22, November-Dezember 1983, pp. 293- 303.

Sulla genesi e lo sviluppo del revisionismo vedi anche:

  1. R. Butz, The International “Holocaust” Controversy, in: The Journal of Historical Review, Spring 1980, pp. 5-22.

Robert Faurisson, El verdadero motivo de angustia del Estade de Israele. El revisionismo historico, in: Cedade, N. 134, Julio-Agosto 1985, pp. 12-13.

(132) Sulle reazioni negli Stati Uniti vedi: Revisionists’ Reprints, Manhattan Beach,January 1985.

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per una “parte costitutiva di un movimento neonazista internazionale”, come insinua espressamente Robert Kempner(133), cioè per un rigurgito di antisemitismo nazista.

Questo tentativo appare chiaramente già dai titoli più ricorrenti di tale letteratura:

“Sulla critica della pubblicistica dell’estremismo di destra antisemita”(134);

“Sguardo sulla letteratura neonazista”(135); — La Soluzione Finale e la Mitomania Neonazista”(136);

“La «soluzione finale» della questione ebraica nella recente letteratura neo-nazista”(137).

Tra gli articoli più virulenti segnaliamo:

“La politica dello struzzo”, di Augusto Segre, in: La Rassegna mensile di Israel, gennaio-marzo 1979, pp. 109-110;

“La distruzione della ragione”, di Giuseppe Laras, in: La Rassegna mensile di Israel, agosto-settembre 1979, pp. 285-288;

“Le camere a gas sono esistite!” (risposta di Enzo Collotti a Robert Faurisson), in:Storia illustrata, n. 262, settembre 1979, pp. 19-29 (vedi al riguardo: “Faurisson replica a Collotti”, in: Storia illustrata, n. 263, ottobre 1979, pp. 30-37).

Stefano Levi della Torre dedica al revisionismo un paragrafo dell’articolo “Nuove forme della giudeofobia” che è compreso nella sezione “Antisemitismo oggi”(138).

In realtà tale accusa è completamente infondata ed ha una finalità chiaramente propagandistica. Infatti le credenziali di colui che è considerato il fondatore del revisionismo, Paul Rassinier, non lasciano dubbi in proposito: socialista, resistente, arrestato dalla Gestapo nell’ottobre del 1943, torturato per 11 giorni, deportato a Buchenwald e poi a Dora per 19 mesi, invalido al 95% in conseguenza della deportazione, detentore della medaglia “vermeil de la Reconnaissance française” e della “Rosette de la Résistance”.

In Francia l’eredità di Rassinier è stata raccolta da ambienti di sinistra, a cominciare dal gruppo che fa capo alla casa editrice “La Vieille Taupe”(139).

(133) Nürnberg und “Auschwitz-Lüge”, in: Freiheit und Recht, Nr. 7-8, Juli-August 1975,p. 15.

(134) Martin Broszat, Zur Kritik der Publizistik des antisemitischen Rechtsextremismus, in:

Aus Politik und Zeitgeschichte. Beilage zur Wochenzeitung “Das Parlament”, 8 Maggio 1976, pp. 3-7.

(135) Hermann Langbein, Coup d’oeil sur la littérature néo-nazie, in: Le Monde Juif, n. 78, Avril-Juin 1975, pp. 8-20.

(136) Georges WeIlers, La Solution Finale et la Mythomanie Néo-Nazie, édité par Beate et

Serge Klarsfeld, 1979.

(137) Articolo di E. Kulka in: Quaderni del Centro di studi sulla deportazione e l’internamento, n. 9 (1976-1977), pp. 112-124.

(138) Stefano Levi della Torre, Nuove forme della giudeofobia (3. Revisionismo), in: La Rassegna mensile di Israel, maggio-agosto 1984, pp. 249-280.

(139) Oltre al già citato “Le lutteur de classe”, segnaliamo al riguardo: La Guerre sociale: De l’exploitation dans les camps à l’exploitation des camps, n° 3, juin 1979, pp. 9-31; De l’exploitation dans les camps à l’exploitation des camps (suite et fin). Une mise au point de “La Guerre sociale”, Paris, mai 1981.

Le Frondeur: Le mythe concentrationnaire, printemps 1981; n° 7, pp. 9-17; hiver 1982, n° 8, pp. 7-13;

Du judaïsme à la judaïté, juillet-septembre 1982, n° 9, pp. 3-6.

Il caso Rassinier, in: Alla Bottega, Luglio-Agosto 1981.

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Altri scritti sterminazionisti, pur risentendo del pathos che suscita inevitabilmente la negazione dello “sterminio” ebraico, tentano di porsi sul piano della critica obiettiva. Tra i più significativi ricordiamo:

“Lies About the Holocaust”, di Lucy Dawidowicz, in: Commentary, December 1980, pp. 31- 37;

“Les redresseurs de morts. Chambres à gaz: la bonne nouvelle. Comment on révise l’histoire”, di Nadine Fresco, in: Les Temps Modernes, n° 407, juin 1980, pp. 2150-2211. L’Autrice si propone di mostrare i metodi storiografici dei revisionisti.

“Les chambres à gaz ont existé” (éditions Gallimard, 1981), di Georges Wellers.

Opera diretta contro Robert Faurisson.

“La Solution Finale et la Mythomanie Néo-Nazie” (édité par Beate et Serge Klarsfeld, 1979), di Georges Wellers. Opera diretta contro Paul Rassinier.

“Six Million Did Die” (Johannesburg, 1978), di Arthur Suzman e Denis Diamond.

Opera diretta contro Richard Harwood e Arthur Butz.

“Un Eichmann de papier. Anatomie d’un mensonge”, di Pierre Vidal-Naquet, in:

Les Juifs, la mémoire et le présent, Paris, 1981, pp. 195-272. Studio diretto contro Robert Faurisson.

“Tesi sul revisionismo”, di Pierre Vidal-Naquet, in: Rivista di storia contemporanea (Loescher Editore, Torino), I, gennaio 1983, pp. 3-24. Articolo di carattere generale contro il revisionismo.

“Nationalsozialistischen Massentötungen durch Giftgas” (Herausgegeben von Eugen Kogon, Hermann Langbein, Adalbert Rückerl u.a., Frankfurt am Main, 1983), opera collettiva di 24 storici mirante a confutare l’intera storiografia revisionista(140).

Alcuni tentativi di riaffermare la “verità” sterminazionista hanno sortito l’effetto contrario. Particolarmente importanti a questo riguardo sono:

“The Holocaust Revisited: A Retrospective Analysis of the Auschwitz-Birkenau Extermination Complex (Central Intelligence Agency, Washington, D.C. U.S.

Department of Commerce. NationaI Technical Informatíon Service, February 1979), di Dino A. Brugioni e Robert G. Poirier (trad. francese in: “Le Monde Juif”, n° 97, janvier-mars 1980, “Auschwitz à vol d’oiseau”, pp. 1- 22), opera in cui sono pubblicate delle fotografie aeree di Auschwitz-Birkenau scattate nel 1944 dall’aviazione americana le quali demoliscono il mito degli immensi stermini che sarebbero stati perpetrati in tale campo nel 1944;

“Les “Krématorien” IV et V de Birkenau et leurs chambres à gaz”, di Jean-Claude Pressac, in: Le Monde juif, n° 107, juillet-septembre 1982, pp. 91-131 (vedi il resoconto di Robert Faurisson “Le mythe des “chambres à gaz” entre en agonie”, in: Réponse à Pierre Vidal-[54]Naquet, deuxième édition augmentée, La Vieille Taupe, Paris, 1982, pp. 67-87).

L’Album d’Auschwitz. D’après un album découvert par Lili Meier survivante du camp de concentration. Texte de Peter Hellman traduit de l’américain par Guy Casaril.

(140) Altri scritti di rilievo:

  1. Viansson-Ponté, Le mensonge, in: Le Monde, 17-18 juillet 1977, p. 13.
  2. WeIlers, Le cas Darquier de Pellepoix, in: Le Monde Juif, n° 92, octobre-décembre 1978, pp. 162-167.
  3. Wellers, La Négation des crimes nazis. Le cas des documents photographiques accablants, in: Le Monde Juif, n° 103, juillet-septembre 1981, pp. 96-107.

Vincenzo e Luigi Pappalettera, Un intervento di Pappalettera, in: Storia illustrata,N. 263, Ottobre 1979, pp. 38-44.

Primo Levi, Il difficile cammino della verità, in: La Rassegna mensile di Israel, n. 7-12,

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Éditions du Seuil, 1983 (vedi l’analisi di Robert Faurisson “Les tricheries de l’Album d’Auschwitz”, dattiloscritto inedito, 1983).

Ma le reazioni degli oppositori del revisionismo non si sono limitate al piano letterario. I processi intentati contro i revisionisti — onde ottenere da parte dei tribunali la condanna ufficiale delle tesi degli avversari — testimoniano dell’incapacità degli storici di regime di confutare seriamente ed efficacemente le argomentazioni revisioniste.

Alcuni casi, come quelli di Christophersen, di Faurisson e di Felderer, sono diventati tristemente noti(141).

Tristemente nota è anche l’esistenza nella Repubblica Federale Tedesca di un organo preposto al controllo degli scritti “pericolosi per la gioventù” (Bundesprüfstelle für jugendgefährdende Schriften), mero espediente per poter esercitare una censura legale sulla letteratura revisionista, le cui opere vengono regolarmente messe all’”Indice”! (Index für jugendgefährdende Schriften)(142).

Fino a che punto possa giungere la cieca intolleranza nei confronti di coloro che negano mediante una seria documentazione la realtà dello “sterminio” ebraico, è testimoniato dal caso del dottor WilheIm Stäglich. Nel novembre 1982 il Consiglio dei Decani della Georg-August-Universität di Gottinga, presso la quale egli aveva conseguito la laurea in giurisprudenza nel 1951, ha intrapreso una procedura per ritirargli il titolo di dottore per aver scritto l’eccellente opera “Der Auschwitz Mythos” (Il Mito di Auschwitz), che, a giudizio non propriamente spassionato di tale Consiglio, ha reso Wilhelm Stäglich “indegno di portare il titolo di dottore”.

La cosa più singolare è che il fondamento giuridico di tale procedura è costituito da due leggi naziste del 1939(143)!

II– LA CRITICA REVISIONISTA

Sarebbe arduo riassumere in poche pagine i risultati della critica revisionista.

Del resto, a noi preme di più esporre la ragion d’essere e i metodi di lavoro del

(141) Inquisitionsprozesse heute — Hexenprozess der Neuzeit, Kritilk Nr. 55, Kritik-Verlag, 1981 (processo Christophersen).

Per il caso Faurisson vedi le opere già citate.

Ditlieb Felderer fu arrestato il 26 novembre 1982 e condannato nel maggio 1983 a dieci mesi di prigione per aver diffuso “materiale che incita all’odio”, cioè per aver negato la realtà dello “sterminio” ebraico (IHR Newsletter, The IHR 1982 Annual Report; IHR Newsletter, May 1983, Number 19; Revisionists’ Reprints, n. 6, Manhattan Beach, Fall 1983).

(142) Udo WaIendy, Der moderne Index, Historische Tatsachen Nr. 7. Vlotho/Weser 1980.

Udo Walendy, Strafsache wissenschaftliche Forschung, Historische Tatsachen Nr. 21, Vlotho/Weser 1984.

Bescblagnahmt! Eingezogen! Verboten! Bücher, die wir nicht lesen dürfen! Kritik Nr. 52, Kritik-Verlag, Mohrkirch 1981.

(143) Wilhelm Stäglich, “Der Auschwitz-Mythos”: A Book and its Fate, in: The Journal of Historical Review, Spring 1984, pp. 47-68.

Bollettino del “Comité contre l’application en 1983 des lois nazies de 1939 par l’Université Georg-August de Göttingen”, s.d.

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revisionismo, per cui dedichiamo questo capitolo al chiarimento delle ragioni per le quali, a nostro avviso, è necessario dubitare della realtà dello “sterminio” ebraico.

Al processo di Norimberga il Pubblico Ministero inglese Sir Hartley Shawcross nella sua requisitoria del 26 luglio 1946 accusò i tedeschi di aver ucciso più di sei milioni di ebrei “nelle camere a gas e nei forni di Auschwitz, Dachau, Treblinka, Buchenwald. Mauthausen, Maidanek e Oranienburg”(144).

Ciascuna di queste “camere a gas” ha avuto naturalmente i suoi “testimoni oculari”.

L’abate Georges Hénocque descrive così quella di Buchenwald:

“Mi sentii rassicurato e, aprendo subito la porta di ferro, mi trovai nella famosa camera a gas. Il locale poteva avere venticinque metri quadrati di superficie e un’altezza di tre metri — tre metri e mezzo. Sul soffitto, diciassette cipolle di annaffiatoio, sigillate e poste a intervalli regolari. A guardarle, nulla rivelava la loro funzione omicida. Esse assomigliavano a inoffensivi sfiatatoi d’acqua.

I deportati che prestavano servizio al crematorio mi avevano informato: per una specie di ironia, ogni vittima, entrando in questa camera, riceveva un asciugamano e un pezzetto di sapone. Questi sventurati potevano credere di andare alle docce. Dietro di loro veniva chiusa la pesante porta di ferro, bordata di una specie di guarnitura di gomma di mezzo centimetro di spessore, destinata ad impedire la penetrazione dell’aria.

All’interno i muri erano lisci, senza fessure, e come verniciati. All’esterno, accanto all’architrave della porta, si vedevano quattro bottoni posti l’uno sotto l’altro: uno rosso, uno giallo, uno verde e uno bianco.

Un dettaglio tuttavia mi preoccupava: non capivo in che modo il gas potesse venire giù dalle bocche degli annaffiatoi. Il locale in cui mi trovavo era situato accanto a un corridoio. Vi penetrai e dentro vidi un enorme tubo che le mie braccia non riuscivano a cingere completamente e che era ricoperto di uno spessore di gomma di circa un centimetro. Accanto, una manovella che si poteva girare da sinistra a destra provocava l’arrivo del gas. Esso discendeva così fino al suolo con una forte pressione, sicché nessuna delle vittime poteva sfuggire a ciò che i tedeschi chiamavano “la morte lenta e dolce”.

Al di sopra del punto in cui il tubo formava un gomito per entrare nel locale di asfissia c’erano gli stessi bottoni che si trovavano sulla porta esterna:

rosso, verde, giallo e bianco, che servivano evidentemente a controllare la discesa del gas.

Tutto era davvero predisposto e organizzato scientificamente. Il Genio del male non avrebbe potuto trovare di meglio. Rientrai nella camera a gas per cercare di scoprire quella del crematorio”(145).

L’SS-Obersturmbannführer Kaindl, ex comandante del campo di concentramento di Oranienburg-Sachsenhausen, dichiarò dinanzi a un Tribunale Militare sovietico:

“Alla metà di marzo del 1943 ho introdotto le camere a gas come luogo di sterminio in massa.

Pubblico Ministero — Di Sua iniziativa?

(144) IMG, vol. XIX, p. 483.

(145) Abbé G. Hénocque, Les Antres de la Bête, Paris, 1947, pp. 115-116. Da: Robert

Faurisson, Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire, La

Veille Taupe, Paris, 1980, riproduzione in facsimile alle pp. 191- 192.

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Kaindl — In parte, sì. Poiché le installazioni esistenti non erano sufficienti per lo sterminio previsto, convocai una riunione alla quale partecipò anche il medico capo Baumkötter, il quale mi disse che l’avvelenamento di uomini mediante acido cianidrico in camere speciali aveva come effetto la morte istantanea. Allora considerai la costruzione di camere a gas per lo sterminio di uomini opportuna e anche più umana”(146).

Riguardo al campo di Dachau, il dott. Franz Blaha asserì in una dichiarazione giurata:

“Nel campo ci furono molte esecuzioni mediante gas, fucilazioni e iniezioni. La camera a gas fu terminata nel 1944 ed io fui chiamato dal dott. Rascher per esaminare le prime vittime. Delle otto o nove persone che si trovavano nella camera, tre erano ancora vive e le altre sembravano morte. I loro occhi erano rossi e i loro volti gonfi. Molti detenuti furono uccisi successivamente in questo modo”(147).

Il 19 agosto 1960 il giornale tedesco Die Zeit pubblicò — sotto il titolo “Keine Vergasung in Dachau” (Nessuna gasazione a Dachau) — una lettera del dott. Martin Broszat dell’Istituto di Storia contemporanea di Monaco nella quale dichiarava: “Né a Dachau né a Bergen-Belsen né a Buchenwald sono stati gasati ebrei o altri detenuti. La camera a gas di Dachau non fu mai ultimata del tutto e non entrò mai «in funzione»”.

E ancora:

“Lo sterminio in massa degli ebrei mediante gasazione iniziò nel 1941-1942 ed ebbe luogo esclusivamente (ausschliesslich) in pochi luoghi appositamente scelti e forniti di adeguate istallazioni tecniche, soprattutto (vor allem) nel territorio polacco occupato (ma in nessun luogo nel Vecchio Reich): ad Auschwitz-Birkenau, a Sobibor, sul Bug, a Treblinka, a Chelmo e a Belzec”(148).

Le riserve espresse in questa lettera furono chiarite dal dott. Broszat nella “Nota preliminare” all’articolo di Ino Arndt e Wolfang Scheffler “Organisierter Massenmord an Juden in nationalsozialistischen Vernichtungslagern”:

“Come abbiamo già rilevato, gli stermini di ebrei in senso istituzionale (esecuzione del programma della “soluzione finale”) mediante impianti di gasazione ebbero luogo esclusivamente nei campi summenzionati(149) dei territori polacchi occupati. Al contrario nei campi di concentramento generalmente c’erano sì crematori (per la cremazione dei detenuti morti in massa oppure uccisi durante la guerra), ma non impianti di gasazione. Dove però in particolare ciò accadde (Ravensbrück, Natzweiler, Mauthausen), essi non servivano allo sterminio ebraico nel senso del programma della “soluzione finale”. Essi dovevano piuttosto facilitare psichicamente ai Kommandos di esecuzione il loro “lavoro”, che fino ad allora veniva

effettuato mediante fucilazioni, iniezioni di fenolo e altri sistemi”(150).

Simon Wiesenthal conferma che “non ci furono campi di sterminio in terra tedesca”(151).

(146) Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. Herausgegeben von Eugen Kogon, Hermann Langbein, Adalbert RückerI u.a., Frankfurt am Main ,1983, p. 255.

(147) IMG, vol. V, p. 198 (PS-3249).

(148) Die Zeit, Nr. 34, Freitag, den 19. August 1960, p. 16.

(149) Si tratta dei campi di Chelmno, Belzec, Treblinka, Majdanek, Sobibor e Auschwitz-

Birkenau menzionati a p. 105 (vedi nota seguente).

(150) Vierteljahrshefte für Zeitgeschichte, 24. Jahrgang, 1976, Heft 2, P. 109.

(151) London Books and Bookmen, April 1955, p. 5.

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In conclusione, né a Buchenwald, né a Oranienburg-Sachsenhausen sono mai esistite “camere a gas”, mentre la pretesa “camera a gas” di Dachau(152) non è mai stata utilizzata, come si può leggere anche nella pubblicazione ufficiale su tale campo:

“La «camera a gas» di Dachau non fu mai messa in funzione. Nel crematorio entrarono solo morti per la «cremazione», nessun vivente per la «gasazione»”(153).

“Come abbiamo già detto, l’ultimo anno Dachau ebbe una camera di gasazione propria. Ma le sue “docce” non furono mai utilizzate”(154).

Di conseguenza, le “testimonianze oculari” di coloro che pretendono di aver visto in questi campi “camere a gas” o di avervi assistito a “gasazioni” sono false.

Tale circostanza avrebbe indotto qualunque storico serio ad effettuare una revisione critica di tutte le fonti dello “sterminio” ebraico, ma ciò naturalmente non è accaduto(155).

In effetti, la domanda che pone Robert Faurisson è più che legittima:

“Perché le «prove», le «certezze», le «testimonianze» raccolte sui campi che geograficamente ci sono vicini non hanno improvvisamente più valore, mentre le «prove», le «certezze», le «testimonianze» raccolte sui campi della Polonia restano vere?”(156).

La domanda appare ancora più legittima se si considera ciò che Gerald Reitlinger scrive sulle prove relative ai “campi dì sterminio” polacchi:

“La più gran parte delle documentazioni sui campi di morte in Polonia, ad esempio, è stata raccolta dalle Commissioni d’inchiesta del Governo polacco e dalla Commissione Centrale di Storia ebraica della Polonia interrogando i superstiti fisicamente validi, i quali erano ben di rado uomini di qualche cultura. Inoltre l’ebreo dell’Europa orientale è retorico per natura, ama esprimersi con similitudini fiorite. Quando un testimone diceva che le vittime provenienti dal lontano Occidente arrivavano al campo di morte in vagone-letto, intendeva probabilmente dire che arrivavano in vetture passeggeri e non in carri bestiame. Talvolta la fantasia superava ogni credibilità, come quando i contrabbandieri di viveri del ghetto erano descritti come uomini giganteschi, con tasche che andavano dal collo alle caviglie. Anche i lettori che non soffrono di pregiudizi razziali possono trovare un poco troppo pesanti, per poterli digerire, i particolari di questi assassini mostruosi, ed essere indotti a gridare Credat Judaeus Apella e a relegare questi racconti tra le favole. In fondo i lettori hanno diritto di pensare che si tratta di testimoni “orientali”, per i quali i numeri non sono

(152) In realtà non esiste la minima prova che il locale in questione sia mai stato o fosse destinato ad essere una “camera a gas”. Vedi al riguardo: Robert Faurisson, Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire, op. cit., pp. 197-220.

(153) Wie war das im KZ Dachau? Kuratorium für Sühnemal KZ Dachau, 1981, p. 16.

(154) Idem, p. 30.

(155) Unica eccezione — ma limitatamente ai campi del Vecchio Reich — Olga Wormser-Migot, la quale, dall’analisi delle “testimonianze oculari” relative, è giunta alla conclusione che né a Ravensbrück né a Mauthausen sono mai esistite “camere a gas” (a), suscitando in tal modo le ire dei suoi colleghi (b).

(a) Olga Wormser-Migot, Le Système concentrationnaire nazi, PressesUniversitaires de France, 1968, pp. 541- 544.

(b) Germaine Tillon, Ravensbrück, Paris, 1973, pp. 235-248.

(156) Serge Thion, Vérité historique ou vérité politique? Le dossier de l’affaire Faurisson.

La question des chambres à gaz. La Vieifle Taupe, Paris, 1980, p. 87.

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che elementi retorici. Perfino i loro nomi — Sunschein, Zylberdukaten, Rothbalsam, Salamander: Raggio di Sole, Ducati d’argento, Balsamo Rosso,Salamandra — sembrano parti di fantasia”(157).

Riguardo ai metodi di lavoro di tali commissioni di inchiesta e alle “testimonianze” da esse raccolte, Reitlinger dichiara esplicitamente:

“Non si può non essere d’accordo con R. T. Paget, K. C., membro della Camera dei Comuni, quando dice che le ricerche eseguite dopo la guerra dalle commissioni d’inchiesta polacche sono di scarso valore probativo. Esse consistono, infatti, essenzialmente di descrizioni staccate di persone singole, ben raramente confermate da altre fonti”(158).

Le “prove” dell’esistenza di “camere a gas” nei pretesi “campi di sterminio” orientali sono dunque costituite pressoché esclusivamente da “testimonianze oculari” oltremodo sospette la cui veridicità viene ammessa a priori dagli storici che propugnano la realtà dello “sterminio” ebraico, e questa acriticità intenzionale è la caratteristica essenziale del loro metodo di lavoro storiografico.

Eppure l’analisi di queste “prove” e il loro confronto reciproco dovrebbe indurre tali storici a maggiore cautela. Lo studio della genesi del mito dello “sterminio” ebraico a Treblinka, a Sobibor e a Belzec, ad esempio, è abbastanza rivelatore al riguardo.

Una delle prime “testimonianze oculari” su Treblinka — il rapporto inviato il 15 novembre 1942 dall’organizzazione clandestina del ghetto di Varsavia al governo polacco in esilio a Londra — descrive lo “sterminio” di ebrei in tale campo mediante vapore acqueo!

Nel marzo 1942 — si legge in tale rapporto — i tedeschi iniziarono la costruzione del nuovo campo di Treblinka B — nei pressi del campo di Treblinka A — che fu terminato alla fine di aprile del 1942. Verso la prima metà di settembre esso comprendeva due “case della morte”.

La “casa della morte n. 2″ (dom smierci Nr 2) era una costruzione in muratura lunga circa 40 metri e larga 15. Secondo la relazione di un testimone oculare (wgrelacji naocznego swiadka) essa conteneva dieci locali disposti ai due lati di un corridoio che attraversava tutto l’edificio. Nei locali erano installati dei tubi attraverso i quali passava il vapore acqueo (para wodna).

La “casa della morte n. 1″ (dom smierci Nr 1) si componeva di tre locali e di una sala caldaie.

“Dentro la sala caldaie — prosegue il rapporto — c’è una grande caldaia per la produzione del vapore acqueo, e, mediante tubi che corrono attraverso le camere della morte e che sono forniti di un adeguato numero di fori, il vapore surriscaldato si sprigiona all’interno delle camere”.

Le “vittime” venivano rinchiuse nei locali suddetti e uccise col vapore acqueo!

“In questo modo le camere di esecuzione si riempiono completamente, poi le porte si chiudono ermeticamente e comincia la lunga asfissia (duszenie) delle vittime. mediante il vapore acqueo (para wodna) che viene fuori dai numerosi fori dei tubi. All’inizio dall’interno giungono urla strozzate che si acquietano lentamente e dopo 15 minuti l’esecuzione è effettuata”(159).

(157) Gerald Reitlinger, La soluzione finale. Il tentativo di sterminio degli ebrei d’Europa 1939-1945, Milano, 1965, p. 651.

(158) Idem, p. 71.

(159) Likwidacja zydowskiej Warszawy. Treblinka, in: Biuletyn Zydowskiego Instytutu

Historycznego, Warszawa, Styczen-Czerwiec, 1951, Nr. I, pp. 93-100. Citazioni: p. 95 e

99.

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Questa storia è stata ripresa ed elevata a verità ufficiale dalla Commissione suprema di inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia, la quale ha accusato l’ex governatore Hans Frank di aver ordinato l’installazione di un “campo di sterminio” a Treblinka per l’eliminazione in massa degli ebrei “in camere riempite di vapore” (in Dampf gefüllten Kammern)!(160).

Successivamente si è imposto il mito delle “camere a gas” a monossido di carbonio(161) che vale tuttora come verità ufficiale sui tre “campi di sterminio” orientali. La cosa è stata semplice: è bastato trasformare in “camere a gas” le “camere a vapore” del rapporto del 15 novembre 1942!

Così il “testimone oculare” Yankel Wiernik scrisse già nel 1944 che a Treblinka gli ebrei venivano uccisi in due costruzioni, una grande, con dieci “camere a gas”, l’altra piccola, con tre “camere a gas”(162), esattamente come le due “case della morte” del rapporto summenzionato avevano dieci e tre “camere a vapore”. Anche la disposizione dei locali della nuova costruzione è tratta di sana pianta dal rapporto del 15 novembre 1942: dieci camere disposte ai due lati di un corridoio che attraversava tutta la costruzione(163).

Quanto sia attendibile questo “testimone oculare”, si può arguire già da questa sua affermazione: in ogni “camera a gas” che misurava “circa 150 piedi quadrati” (about 150 square feet), cioè meno di 14 metri quadrati, potevano essere stipate 1.000-1.200 persone(164), con una densità di 71-85 personne per metro quadrato!

Eccoci dunque in presenza di uno di quei “testimoni oculari” par i quali, come asserisce Gerald Reitlinger, “i numeri non solo che elementi retorici”!

Nel 1946, le “camere a gas” di Sobibor venivano descritte cosi: “A prima vista si ha tutta l’impressione di entrare in un bagno come gli altri: rubinetti per l’acqua calda e fredda, vasche per lavarsi… appena tutti sono entrati le porte vengono chiuse pesantemente. Una sostanza nera,pesante, esce in volute da fori praticati nel soffitto. Si sentono urla raccapriccianti che però non durano a lungo perché si tramutano presto in

(160) PS-3311. Accusa n. 6 contro Hans Frank. Norimberga, 5 dicembre 1945. Un estratto del documento fu letto al processo di Norimberga: IMG, vol. III, pp. 632-633.

(161) L’ingegnere americano F. P. Berg ha dimostrato nell’eccellente studio tecnico “The Diesel Gas Chambers: Myth Within a Myth” (The Journal of Historical Review, Spring 1984, pp. 15-46) che una “gasazione” mediante ossido di carbonio prodotto da un motore Diesel (a) è quanto mai irrazionale e inefficiente. Infatti, mentre un motore Diesel produce una concentrazione media di ossido di carbonio inferiore allo 0,4%, un motore a benzina emette normalmente il 7% di ossido di carbonio e l’1% di ossigeno. Modificando il carburatore, si può arrivare ad una concentrazione di ossido di carbonio del 12% (trenta volte superiore a quella di un motore Diesel), per cui “la storia della camera a gas Diesel è incredibile già per questi motivi” (p. 38).

(a) Secondo la storiografia ufficiale l’ossido di carbonio per le “camere a gas” era prodotto da motori Diesel.

(162) Yankel Wiernik, A Year in Treblinka, New York 1944, p. 13 e 18. Wiernik dichiara di essere stato deportato a Treblinka il 24 agosto 1942 (p. 8), epoca in cui già esisteva la piccola costruzione con tre “camere a gas” (p. 13). La nuova costruzione con dieci “camere a gas” fu realizzata in cinque settimane a partire dalla fine di agosto (p. 18).

Il rapporto polacco sulle “camere a vapore” fu ricevuto “nella prima metà di settembre” del 1942 (op. cit., p. 95), per cui le due “testimonianze oculari” si riferiscono allo stesso periodo.

(163) Idem, p. 18.

(164) Ibidem.

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respiri affannosi e soffocati e in attacchi di convulsioni. Si dice che le madri coprano i figli con il loro corpo. Il guardiano del “bagno” osserva l’intero procedimento attraverso una finestrella nel soffitto. In un quarto d’ora tutto è finito. Il pavimento si apre e i cadaveri piombano in vagoncini che aspettano sotto, nelle cantine del “bagno” e che, appena riempiti, partono velocemente. Tutto è organizzato secondo la più moderna tecnica tedesca. Fuori, i corpi vengono deposti secondo un certo ordine e cosparsi di benzina, quindi viene loro dato fuoco”(165).

La “testimone oculare” Zelda Metz fornì la seguente descrizione:

“Poi entravano nelle baracche, dove alle donne venivano tagliati i capelli, indi nel “bagne”, cioè nella camera gas. Erano asfissiati col cloro (dusili chlorem). Dopo 15 minuti erano tutti asfissiati. Attraverso una finestrella si verificava se erano morti. Poi il pavimento si apriva automaticamente. I cadaveri cadevano in una vagone di une ferrovia che passava attraverso la camera a gas e portava i cadaveri al forno.”(166).

Ma già nel 1947 la “Commissione centrale di inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia” optava per l’uccisione “mediante gas di combustione prodotto da un motore situato nella stessa costruzione e collegato alle camere per mezzo di tubi”(167), riconoscendo così false le “testimonianze” summenzionate. Ma ciò non impedì a Zelda Metz di presentarsi come teste d’accusa il 23 agosto 1950 al processo contro gli ex guardiani di Sobibor Hubert Gomerski e Johan Klier(168), nel quale il Pubblico Ministero sostenne appunto che in tale campo “le uccisioni avevano luogo mediante gas di scarico di un motore”(169)!

Le “testirnonianze oculari” relative a Belzec sono ancora più istruttive.

Il primo mito dello “sterminio” ebraico nacque l’8 aprile 1942, solo tre settimane dopo l’apertura del campo: “le vittime venivano radunate in una casupola che aveva per pavimento una lastra di metallo attraverso la quale veniva fatta passare la corrente elettrica che folgorava gli ebrei”(170).

Una storia simile appare nella Kronika oswiecimska nieznanego autora (Cronaca di Oswiecim di autore ignoto) che sarebbe stata dissotterrata nel novembre 1953 nel terreno dell’ex campo di Auschwitz: a Belzec gli ebrei venvano folgorati (elektryzowano)(171).

(165) Alexander Pechersky, La rivolta di Sobibor, traduzione jiddish di N. Lurie, Mosca,Editrice statale Der Emes, 1946. In: Yuri Suhl, Ed essi si ribellarono. Storia della resistenza ebraica contro il nazismo. Milano, 1969, p. 31.

(166) Dokumenty i materialy, opracowal Mgr Blumental, Lodz 1946, Tom I, p. 211.

(167) Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland, German Crimes in Poland, Warsaw 1947, vol. II, p. 100.

(168) Frankfurter Rundschau, 24 agosto 1950, p. 5.

(169) Frankfurter Rundschau, 22 agosto 1950, p. 4. Secondo la stariografia ufficiale, le “camere a gas” di Sobibor erano prive di cantine (Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas. op. cit., p. 158; NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, Herausgegeben von Adalbert RückerI, München, 1979, p.163).

(170) Michael Tregenza, “Belzec Death Camp”, in: The Wiener Library Bulletin, n. 41/42,1977, pp. 16-17.

(171) Biuletyn Zydowskiego Instytutu Historycznego, Warszawa, Styczen-Czerwiec, 1954,Nr. 9-10, p. 307.

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Un rapporto datato 10 luglio 1942, giunto a Londra nel novembre dello stesso anno(172) e pubblicato il 10 dicembre sulla Polish Fortnightly Review descrive così lo “sterminio” degli ebrei a Belzec:

“Dopo essere stati scaricati, gli uomini vanno in una baracca a destra, le donne in una baracca situata a sinistra, dove si spogliano, apparentemente per prepararsi a fare il bagno. Dopo che si sono spogliati, entrambi i gruppi vanno in una terza baracca dove c’è una lastra elettrificata in cui vengono effettuate le esecuzioni”(173).

Una variante del mito menziona l’acqua al posto della lastra metallica: gli ebrei venivano uccisi facendo passare attraverso l’acqua in cui erano stati immersi la corrente elettrica(174).

La versione della folgorazione su lastra metallica riappare in un rapporto del novembre 1942:

“Si ordina alle vittime di spogliarsi nude — apparentemente per un bagno — ed esse sono poi condotte in una baracca con una lastra di metallo per pavimento. Poi la porta viene chiusa, la corrente elettrica passa attraverso le vittime e la loro morte è quasi istantanea”(175).

Nel rapporto del governo polacco in esilio a Londra del 10 dicembre 1942 si legge tra l’altro:

“All’inizio le esecuzioni venivano effettuate mediante fucilazione; tuttavia, viene riferito che in seguito i tedeschi applicarono nuovi metodi, quali il gas tossico, mediante cui la popolazione ebraica fu sterminata a Chelm, o la folgorazione, per la quale fu organizzato un campo a Belzec, dove, nel corso di marzo e aprile 1942, gli ebrei delle province di Lublino, Lwow e Kielce

furono sterminati a decine di migliaia”(176).

Tale storia fu ripetuta il 19 dicembre in una dichiarazione dell’ “Inter-Allied Information Committee”:

“Non si dispone di dati reali riguardo al destino dei deportati, ma sono disponibili notizie — notizie irrefutabili — secondo le quali sono stati organizzati dei luoghi di esecuzione a Chelm e a Belzec, dove, coloro che sopravvivono alle fucilazioni, sono uccisi in massa mediante folgorazione e gas letali”(177).

Un rapporto del 10 novembre 1943 descrive così l’ “inferno di Belzec” (Die Hölle von Belzec):

(172)″Who knew of the extermination? Kurt Gerstein’s Story”. In: The Wiener Library Bulletin, n. 9, 1955, p. 22.

(173) Polish Fortnightly Review, 1o Dicembre 1942, p. 4.

(174) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit, p. 172.

(175) “News is reaching the Polish Govemment in London about the liquidation of the Jewish ghetto in Warsaw”: Documenti del Foreign Office, FO 371/30917 5365, p. 79 (vedi anche: The Black Book of PoIish Jewry, New York 1943, p. 131: Report of Dr. I. Schwarzbart).

Secondo Martin Gilbert, il rapporto in questione fu redatto dal “testimone oculare” Jan Karski e da questi consegnato al governo Polacco in esilio a Londra il 25 n’ovembre 1942 (M. Gilbert, Auschwitz und die Alliierten, München, 1982, pp. 107-109). Sulla “testimonianza oculare” di Jan Karski vedi p. 70.

(176) Documenti del Foreign Office, FO 37113M4 5365, p. 12.

(177) The New York Times, 20 dicembre 1942, p. 23.

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“Agli ebrei che venivano inviati a Belzec si ordinava di spogliarsi come per fare un bagno. Effettivamente venivano condotti in uno stabilimento di bagni che aveva una capienza di diverse centinaia di persone. Ma lì venivano uccisi a schiere mediante corrente elettrica”(178).

Nel 1944 il mito si arricchisce: ne viene elaborata una nuova versione che fonde i temi dell’acqua e della lastra metallica.

Il 12 febbraio 1944 il New York Times pubblicò il seguente racconto di “un giovane ebreo polacco” relativo alla “fabbrica delle esecuzioni” di “Beljec:”: “Gli ebrei erano spinti nudi su una piattaforma metallica che funzionava come un elevatore idraulico che li calava in una enorme vasca piena d’acqua fino al collo delle vittime, disse egli. Essi venivano folgorati con la corrente per mezzo dell’acqua. L’elevatore poi sollevava i corpi ad un crematorio che si trovava di sopra, disse il giovane”. La fonte del racconto era costituita da “individui che erano fuggiti dopo essere stati realmente dentro la “fabbrica”179, dunque da “testimoni oculari”.

Questa nuova forma del mito fu ripresa nel 1945 da Stefan Szende. I trasporti ebraici “entravano attraverso un tunnel nei locali sotterranei del luogo di esecuzione”.

La tecnica dello “sterminio” descritta da Szende è a dir poco fantascientifica:

“Gli ebrei nudi venivano condotti in sale gigantesche. Queste sale potevano contenere parecchie migliaia di uomini alla volta. Esse non avevano finestre, erano di metallo, col pavimento che si poteva abbassare. Il pavimento di queste sale con migliaia di ebrei veniva calato in una cisterna piena d’acqua che si trovava sotto — però soltanto in modo tale che

gli uomini sulla lastra metallica non fossero immersi completamente.

Quando tutti gli ebrei sulla lastra metallica stavano già nell’acqua fino ai fianchi, si faceva passare nell’acqua la corrente ad alta tensione. Dopo pochi istanti tutti gli ebrei, migliaia alla volta, erano morti.

Poi il pavimento di metallo si sollevava fuori dall’acqua. Su di esso giacevano i cadaveri dei giustiziati. Si inseriva un’altra linea elettrica e la lastra metallica si trasformava in una cassa da morto crematoria (Krematoriumssarg) incandescente, finché tutti i cadaveri erano inceneriti.

Potenti gru sollevavano allora la gigantesca cassa da morto crematoria ed evacuavano le ceneri. Grosse ciminiere da fabbrica evacuavano il fumo. La procedura era compiuta”(180).

Un’altra variante del mito menziona un “forno elettrico”(!) come strumento di “sterminio”.

“Poi essi entrano in una terza baracca che contiene un forno elettrico (einen elektrischen Ofen). In questa baracca hanno luogo le esecuzioni”(181).

Nel 1945 la prima versione del mito assurse a verità ufficiale sul “campo di sterminio” di Belzec. Essa fu accolta nel rapporto del governo polacco e letta dal rappresentante sovietico dell’accusa L. N. Smirnow all’udienza dei 19 febbraio 1946 del processo di Norimberga:

“Nello stesso rapporto, nell’ultimo capitolo, a pagina 136 del libro dei documenti, troviamo una dichiarazione sul fatto che il campo di Beldjitze(182)

(178) A. Silberschein, Die Judenausrottung in Polen, Genf, 1944, V, pp. 21-22.

(179) The New York Times, 12 febbraio 1944, p. 6.

(180) Stefan Szende, Der letzte Jude aus Poland, Zürich, 1945, pp. 291-292.

(181) A. Silberschein, Die Judenausrottung in Polen, Genf, 1944. III, pp. 42-43.

(182) Deformazione del nome di “Belzec”, come risulta dal contesto, in cui sono menzionati gli altri due “campi di sterminio” di Treblinka e di “Sobibur” (trascrizione fonetica di “Sobibór”). Tale deformazione può essere dovuta alla confusione con la cittadina polacca di Belzyce ( foneticamente molto simile a Beldjitze), situata a circa 25km da Lublino, oppure a un errore di traslitterazione dal polacco in russo o dal russo in tedesco.

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fu costruito nel 1940; però gli impianti elettrici speciali per lo sterminio in massa di uomini furono installati nel 1942. Col pretesto di portarle a fare il bagno, le persone venivano costrette a spogliarsi completamente e spinte nella casa il cui pavimento era elettrificato (mit elektrischem Strom geladen); lì venivano uccise”(183).

Il mito dello “sterminio” ebraico a Belzec mediante corrente elettrica non è stato il solo a circolare nel corso della seconda guerra mondiale.

Il “testimone oculare” Jan Karski, che pretende di aver visitato tale campo in divisa da guardia estone, descrive un procedimento di “sterminio” alquanto singolare: gli ebrei venivano caricati su vagoni cosparsi di calce viva.

Quando il carico era completo, il treno partiva e raggiungeva una zona deserta a 80 miglia da Belzec, dove restava fermo fino a quando tutti gli ebrei erano morti per l’azione corrosiva della calce e per soffocamento(184).

Nonostante le dettagliate “testimonianze oculari” che abbiamo riferito, anche per Belzec si è imposto definitivamente come verità ufficiale il mito delle “camere a gas” a monossido di carbonio. Tale mito, che ha ricevuto la sanzione ufficiale della Commissione di inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia(185), appare improvvisamente nel 1946 nella raccolta “Dokumenty i materialy”(186).

La nuova versione si fonda sulla “testimonianza oculare” di Rudolf Reder(187), che è in gran parte un volgare plagio del famoso rapporto Gerstein(188).

La “testimonianza oculare” di Kurt Gerstein, SS-Obersturmführer, sul “campo disterminio” di Belzec, è un caso tipico di acriticità e di malafede nell’assunzione delle”prove” da parte degli storici di regime.

Nel nostro studio “Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso” abbiamo segnalato 103 assurdità, contraddizioni interne ed esterne, falsificazioni storiche, contraddizioni

(183) IMG, vol. VII, pp. 633-634.

(184) Jan Karski, Story of a Secret State, Boston 1944, pp. 339-354. Una storia simile appare già — senza specifico riferimento a Belzec — nel rapporto del 25 novembre 1942 (a) e, con riferimento a Belzec, nel rapporto del governo polacco in esilio a Londra del 10 dicembre 1942 (b) e in un rapporto ricevuto a Londra nel dicembre 1942 (c).

(a) Documenti del Foreign Office, FO 371/30917 5365, p. 78.

(b) Documenti del Foreign Office, FO 371/30924 5365, p. 123. Cfr. The Black Book of Polish Jewry, op. cit., p. 122.

(c) The Black Bcok of Polish Jewry, op. cit., pp. 13-5-138.

(185) Biuletyn GIownej Komisji Badania Zbrodni Niemieckich w Polsce, Warsawa, 1946, III, Obóz zaglady w Belzcu, pp. 31-45 (trad. inglese: Central Commission for the Investigation of German Crimes in Poland. German Crimes in Poland, Warsaw 1947, vol. II, Belzec extermination camp, pp. 89-96). M. Muszkat, Polish Charges against German War Criminals, Warsaw, 1948, Case No.

1372 (The Camp in Belzec), pp. 223-232.

(186) Dokumenty i materiaJy, op. cit., vol. I, pp. 217-224.

(187) RudoIf Reder, Belzec, Krakow, 1946; Dokumenty i materialy, op. cit., vol. I, pp. 221-224 (testimonianza di Rudolf Reder).

(188) Fin qui abbiamo riassunto e integrato i capitoli XI e XII della nostra opera Il rapporto Gerstein. Anatomia di un falso (Sentinella d’Italia, Monfalcone 1985). La “testimonianza” di Rudolf Reder è analizzata nel cap. VIII.

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rispetto alla storiografia ufficiale, esagerazioni iperboliche e inverosimiglianze che rendono questa “testimonianza oculare” assolutamente inattendibile.

Ma ciò non tange minimamente gli storici di regime, che dichiarano pressoché unanimamente:

“Non si nutre oggi alcun dubbio sulla veridicità del rapporto Gerstein”(189).

“Anche l’attendibilità obiettiva di tutti i particolari essenziali del rapporto è fuori questione”(190).

Gli storici di regime giustificano le false testimonianze — da essi stessi riconosciute tali — su Treblinka, Sobibor e Belzec, sostenendo che durante la guerra si aveva una conoscenza precisa solo del fatto, dello “sterminio”, ma non delle sue modalità pratiche e tecniche. Pierre Vidal-Naquet scrive al riguardo:

“Nel flusso di informazioni che proveniva dai territori occupati c’era del vero, del meno vero e del falso. Sul senso generale di quanto stava accadendo non esisteva alcun dubbio, circa le modalità vi era spesso motivo di esitare tra l’una e l’altra versione”.

Egli ammette che ci furono anche “le fantasie e i miti”, ma dichiara che essi non sono esistiti per se stessi, bensì “come un’ombra proiettata dalla realtà, come un prolungamento della realtà”(191).

Questa argomentazione è una eccellente applicazione del principio metodologico “la conclusione precede le prove” che Pierre Vidal-Naquet attribuisce alla storiografia revisionista(192).

In effetti, riprendendo mutatis mutandis la domanda di Robert Faurisson, perché le “testimonianze oculari” relative alle “camere a vapore” di Treblinka, al “cloro” e alle “cantine” di Sobibor e allo “sterminio” ebraico a Belzec mediante corrente elettrica o treni della morte sono improvvisamente riconosciute false, mentre le “testimonianze oculari” relative alle “camere a gas” sono considerate vere?

E’ importante sottolineare che qui si ha a che fare con “testimonianze oculari” rigorosamente equivalenti riguardo all’attendibilità (o, più esattamente, all’inattendibilità) e completamente contradditorie riguardo al contenuto, sicché solo in quanto si ammette a priori l’esistenza delle “camere a gas” — la conclusione precede le prove! — si può parlare di “fantasie e miti” che sono “come una ombra proiettata dalla realtà”.

Del resto, quanto poco questa “realtà” sia tale, risulta chiaramente anche dallo studio della genesi del mito delle “camere a gas” di Auschwitz.

Tale mito si è imposto molto tardi, perché, sorprendentemente, “il più grande di tutti i luoghi di supplizio, la cosiddetta «fabbrica della morte» di Auschwitz-Birkenau, riuscì a serbare il suo segreto fino all’estate del 1944″(193).

Infatti nel luglio 1944 si diffusero i rapporti di due ebrei slovacchi evasi da Auschwitz(194)

che furono pubblicati negli Stati Uniti dal War Refugee Board nel novembre dello stesso anno insieme ad altri due rapporti(195). Il più importante di essi,

(189) Saul Friedländer, Kurt Gerstein o l’ambiguità del bene, Milano, 1967, p. 85.

(190) Helmut Krausnick, Dokumentation zur Massen-Vergasung, Bonn, 1956, p. 3.

(191) Pierre Vidal-Naquet, “Tesi sul revisionismo”, in: Rivista di storia contemporanea, Torino, 1983, p. 7 e 8.

(192) Idem, p. 6.

(193) Martin Gilbert, Auschwitz und die Alliierten, op. cit., p. 9.

(194) The New York Times, 3 luglio 1944, p. 3 (Inquiry confirms nazi death camps); 6 luglio 1944, p. 6 (Two death camps places of horror).

(195) Executive Office cf the President. War Refugee Board. Washington, D.C. German Extermination Camps — Auschwitz and Birkenau. November, 1944.

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quello di Alfred Wetzler, è palesemente falso: costui presenta infatti una pianta e una descrizione dei crematori I e II (= II e III secondo la numerazione ufficiale) di Birkenau completamente inventate, come risulta già dal semplice confronto con la pianta originale(196). Ma ciò non impedisce agli storici di regime di proporlo subdolamente come vero!

Tipico è il caso di Georges Wellers, il quale utilizza goffamente la suddetta descrizione di Alfred Wetzler in due opere in cui appare riprodotta la pianta originale del crematorio II di Birkenau(197)!

Ma prima di ricevere la sua codificazione ufficiale nelle “confessioni” di Rudolf Höss, il mito delle “camere a gas” di Auschwitz ha subìto altre vicissitudini sia riguardo al luogo, sia riguardo alla tecnica, sia riguardo al período dello “sterminio”.

Al processo di Norimberga, nel corso dell’udienza dell’8 agosto 1946, lo Sturmbannführer delle SS Georg Konrad Morgen descrisse con dovizia di particolari gli impianti del “campo di sterminio di Monowitz” (Vernichtungslager Monowitz):

“Poi questi autocarri partivano. Essi non andavano al campo di concentramento di Auschwitz, ma in un’altra direzione, al campo di sterminio di Monowitz, che distava alcuni chilometri. Questo campo di sterminio era costituito da una serie di crematori. Questi crematori dall’esterno non erano riconoscibili come tali. Potevano essere scambiati per grandi impianti di bagni. Ciò era noto anche ai detenuti. Questi crematori erano circondati da una recinzione di filo spinato e all’interno erano sorvegliati dai summenzionati gruppi di lavoro ebraici”.

E ancora:

“Il campo di sterminio di Monowitz era molto lontano dal campo di concentramento. Si trovava in una vasta zona industriale e non era riconoscibile come tale. Dappertutto all’orizzonte c’erano ciminiere ed esso fumava. Il campo stesso era sorvegliato all’esterno da un reparto speciale di uomini del Baltico, estoni, lituani e ucraini. L’intero procedimento tecnico era esclusivamente nelle mani dei detenuti stessi incaricati di ciò, i quali solo di volta in volta erano sorvegliati da un Unterführer. L’uccisione vera e propria veniva eseguita da un altro Unterführer che faceva sprigionare dei gas in questo locale”(198).

In realtà il campo di Monowitz, al pari dei trentanove campi esterni di Auschwitz, non ha mai posseduto né “camere a gas” né forni crematori(199).

Per quanto concerne la tecnica di “sterminio”, un rapporto del 18 aprile 1943 menzionava i seguenti metodi di uccisione, oltre alle “camere a gas” e alle fucilazioni:

“b) Camere elettriche; queste camere avevano pareti metalliche; le vittime vi venivano spinte dentro e poi si inseriva l’alta tensione.

  1. c) Il sistema del cosiddetto martello pneumatico. Si trattava di camere speciali nelle quali dal tetto discendeva un “martello pneumatico” e le

(196) Vedi: WilheIm Stäglich, Der Auschwitz-Mythos. Legende oder Wirklichkeit? Tübingen, 1979, pp. 234-237 e “Bildteil”.

(197) Georges Wellers, Les chambres à gaz ont existé. Des documents, des témoignages, des chiffres, Gallimard, 1981, pp. 114-115 (pianta del crematorio II fuori testa). Georges WeIlers, “Auschwitz”, in: Nationalsozialistische Massentötungen durch Giftgas, op. cit., pp. 228-229 (pianta del crematorio Il alle pp. 344-345).

(198) IMG, vol. XX, p. 550 e 551.

(199) Georges Wellers, La Solution Finale et la Mythomanie Néo-Nazie, Paris, 1979, p. 8.

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vittime venivano uccise per mezzo di un congegno speciale sotto un’alta pressione d’aria”(200).

Come commenta Martin Gilbert, questi due metodi erano “pure fantasie”(201).

Nel 1945, presso i falsi testimoni più sprovveduti, si affermò la versione della “gasazione” tramite docce finte.

Al processo Belsen la dottoressa Ada Bimko descrisse gli spruzzatori (sprays), i due “tubi” (pipes) e i due “enormi contenitori metallici che contenevano il gas” (huge metal containers containing gas) della “camera a gas” di Birkenau, che questa “testimone oculare” aveva visitato personalmente(202)!

In che modo questi falsi testimoni immaginavano che avvenissero le “gasazioni” risulta chiaramente dalla seguente narrazione di Sofia Schafranov, alla quale un detenuto del Sonderkommando avrebbe raccontato quanto segue:

“Veniva simulata una doccia e alle vittime, per quanto queste sapessero, ormai, di che genere di doccia si trattasse, si fornivano perfino asciugamani e un pezzo di sapone; dopo di che, erano fatte denudare e venivano cacciate in basse camere di cemento, ermeticamente chiuse. Al soffitto erano applicati dei rubinetti, da dove, invece che acqua, era irrorato del gas tossico”(203).

Questa storia fu ripetuta al processo Degesch del 1949: un testimone aveva sentito che “a Birkenau il gas veniva immesso nei locali attraverso docce finte”. Ma sia il dottor Heli, inventore dello Zyklon B, sia il dottor Ra., fisico, dichiararono che la tecnica di “gasazione” descritta era impossibile, sicché il Tribunale respinse come falsa la storia in questione:

“Il Tribunale non dubita del fatto che l’ipotesi che il gas sia tratto fuori dal barattolo di ZykIon B mediante una cannula e portato nelle camere a gas, sia errata, sicché non è più necessario fare l’esperimento richiesto da uno degli accusati”(204).

Ma ciò non impedisce a Vincenzo e Luigi Pappalettena di fornire il seguente commento — evidentemente ispirato a quanto era già stato asserito a Norimberga(205) — alla fotografia della “camera a gas” di Mauthausen: “Avviati alla doccia, i prigianieri venivano investiti, anziché dall’acqua, dal micidiale gas che usciva dai forellini”(206).

Infine, riguardo al periodo dello “sterminio”, il dott. Reszö Kastner riferì una comunicazione da Bratislava secondo la quale “le SS erano in procinto di restaurare e riparare le camere a gas e i crematori di Auschwitz che erano fuori uso dall’autunno

(200) Martin Gfibert, Auschwitz und die Alliierten, op. ct., p. 153.

(201) Ibidem.

(202) Trial of Joseph Kramer and Forty-Four Others (The BeIsen Trial), William Hodge and Company, London Edinburgh Glasgow, pp. 67-68. Per un esame approfondito della falsa testimonianza di Ada Bimko rimandiamo al nostro studio di prossima pubblicazione Come si falsifica la storia. Auschwilz: due false testimonianze.

(203) Alberto Cavaliere, I campi della morte in Germania nel racconto di una sopravvissuta, Milano, 1945, p. 40.

(204) Schwurgericht in Frankfurt am Main, Sitzung vom 28. März 1949. in: C.F. Rilter, Justiz und

NS-Verbrechen, Sammlung deutscher Strafurteile wegen nationalsoziaIistischer Tötungsverbrechen 1945-1966, Amsterdam, 1968-1981, vol. XIII, p. 134.

(205) IMG, vol. IV, p. 292.

(206) Storia illustrata. Numero speciale. Il processo di Norimberga. N. 156, Novembre 1970, p. 78.

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dei 1943″ (die seit dem Herbst 1943 ausser Gebrauch waren)(207). In una dichiarazione giurata del 1945, egli precisò:

“Una comunicazione diceva che a Oswiecim si lavorava febbrilmente alla risistemazione delle camere a gas e dei crematori, che non erano in funzione da molti mesi” (die monatelang nicht in Betrieb waren)(208), mentre la storiografia ufficiale non registra — per il periodo in questione — alcuna sosta dell’attivítà delle “camere a gas” e dei forni crematori(209), per cui, nell’edizione del rapporto Kastner del 1961 il passo summenzionato è stato soppresso(210)!

La prima “perizia tecnica” sul “campo di sterminio” di Auschwitz è stata effettuata dai sovietici. La Commissione straordinaria di inchiesta sui crimini tedeschi ad Auschwitz ha “accertato” che in tale’campo furono assassinate più di quattro milioni di persone(211), cifra che per Reitlinger “fa ridere”(212). In che modo la Commissione sovietica sia giunta a tale conclusione fa ridere ancora di più.

“Nel crematorio n. 1, che esistette per 24 mesi, si potevano cremare 9.000 cadaveri al mese, il che dà un totale di 216.000 per tutto il tempo della sua esistenza. Le cifre corrispondenti (degli altri crematori) sono:

– crematorio n. 2, 19 mesi, 90.000 cadaveri al mese, totale 1.710.000;

– crematorio n. 3, 18 mesi, 90.000 cadaveri al mese, totale 1.620.000;

– crematorio n. 4, 17 mesi, 45.000 cadaveri al mese, totale 765.000;

– crematorio n. 5, 18 mesi, 45.000 cadaveri al mese, totale 810.000.

La capacità totale dei cinque crematori era di 279.000 cadaveri, per un totale di 5.121.000 per tutto il tempo della loro esistenza”.

Siccome da un lato i tedeschi bruciarono un gran numero di cadaveri su roghi, dall’altro i crematori non funzionarono sempre a pieno regime, la “Commissione tecnica” sovietica ha “accertato” appunto la cifra di quattro milioni di morti!(213)″ Questo calcolo è assolutamente ridicolo già per il semplice fatto che la capacità massima di cremazione di 270.000 cadaveri al mese per i quattro crematori di Birkenau (= 9.000 al giorno) è nove volte superiore a quella reale(214)!

(207) Rezsò Kastner, Der Bericht des jüdishen Rettungskomitee aus Budapest, Genf ,1946,p. 30.

(208) PS-2605.

(209) Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland, German Crimes in Poland, op. cit., vol. I, pp. 83-90. Più dettagliatamente: Hefte von Auschwitz,Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimu, 6, 1962; 7, 1964.

(210) Der Kästner-Bericht über Eichmanns Menschenhandel in Ungarn, Mit einern Vorwort von Professor Carlo Schmidt. München, 1961, p. 82. E’ omessa la frase “die seit dem Herbst 1943 ausser Gebrauch waren”.

(211) URSS-8.

(212) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 559.

(213) URSS-8.

(214) Il crematorio del cimitero di Hamburg-Öjendorf, uno dei piú moderni d’Europa, è fornito di quattro forni a gas Volkmann-Ludwig ciascuno dei quali, in 24 ore, può cremare fino a 21 cadaveri (“Holocaust nun unterirdisch?” Historische Tatsachen Nr. 9. Vlotho/Weser 1981, p. 36). Se fossero stati altrettanto efficienti, i 46 forni di Birkenau avrebbero cremato solo 966 cadaveri al giorno.

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La “Commissione tecnica” sovietica ha inoltre “accertato” che nelle “camere a gas” di Auschwitz era stato impiegato il gas “Zyklon A”, che però non era più in uso dagli anni venti(215)!

Quale valore sia da attribuire alle conclusioni delle varie “commissionid’inchiesta” sovietiche risulta chiaramente dal caso Katyn: la Commissione speciale che ha indagato sul massacro di Katyn — notoriamente perpetrato dai russi –, ha “accertato”, sulla base di “più di cento testimoni”, di “perizie medico-legaIi” e di “documenti e elementi di prova”, che i responsabili dell’eccidio furono i tedeschi(216)!

La Commissione di inchiesta sui crimini tedeschi in Polonia, in un primo tempo, come abbiamo dimostrato, ha “accertato” che gli ebrei venivano uccisi a Treblinka in “camere a vapore” e a Belzec mediante corrente elettrica, indi ha “accertato” che essi venivano avvelenati in “camere a gas” ad ossido di carbonio, il che è già più che sufficiente per valutare la serietà della suddetta Commissione.

Riguardo al campo di Auschwitz, essa ha “accertato” che la capacità di incinerazione dei quattro crematori di Birkenau era di 12.000 cadaveri in 24 ore(217), il che è assurdo.

Jan Sehn, giudice e membro della “Commissione generale di inchiesta sui crimini hitleriani in Polonia”, la riduce a 8.000 (218). Questa ridicola cifra è stata ripresa da una pubblicazione del Museo di Auschwitz del 1979(219), nonostante che un’altra pubblicazione del 1961 dello stesso Museo menzioni un documento tedesco da cui risulterebbe una capacità massima di 4.416 cadaveri(220).

Evidentemente sprovvisto del senso del ridicolo, Jan Sehn osa dichiarare: “I dettagliatissimi documenti raccolti dalla Commissione Straordinaria di Stato sovietica come pure dalla Commissione Generale di Inchiesta sui Crimini Hitleriani in Polonia provano che il “rendimento” delle “camere a gas” di Brzezinka (Birkenau) era di circa 60.000 (sessantamila) persone in 24 ore”(221)!

La fonte più importante della “verità” ufficiale su Auschwitz è notoriamente costituita dalle “confessioni” di Rudolf Höss, la cui veridicità viene accettata acriticamente e dogmaticamente da tutti gli storici di regime. Nell’Autobiografia egli scrive a proposito del suo primo interrogatorio da parte degli inglesi: “Il mio primo interrogatorio si concluse con una confessione, dati gli argomenti

(215) Schwurgericht des Landgerichts Frankfurt am Main, Sitzung vom 27. Mai 1955, in: C. F. Rüter, op. cit., vol. XIII, p. 108.

Dal 1923 l’acido cianidrico in Germania fu usato a scopo di disinfestazione soltanto in forma di ZykIon B (Schwurgericht in Frankfurt am Main, Sitzung vom 28. Mán 1949, in: C. F. Rüter, op. cit., vol. XIII, p. 138).

Lo ZykIon B era acido cianidrico liquido fatto assorbire da un coibente poroso come la farina fossile e confezionato in barattoli ermeticamente chiusi (NI-9098, p. 35 e 38).

(216) IMG, vol. VII, p. 470.

(217) Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland. German Crimes in Poland, op. cit., vol. I, p. 98.

(218) Jan Sehn, Le Camp de Concentration d’Oswiecim-Brzezinka, Warszawa, 1957, pp.

147-148.

(219) Problèmes choisis de l’histoire du KL Auschwitz, Edition du Musée d’État à Oswiecim, 1979, p. 45.

(220) Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimiu, 4, 1961, p. 110.

(221) Jan Sehn, Le Camp de Concentration d’Oswiecim-Brzezinka, op. cit, p. 132.

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più che persuasivi usati contro di me. Non so che cosa contenga la deposizione, sebbene l’abbia firmata. Ma l’alcool e la frusta furono troppo, anche per me”(222).

Martin Broszat avverte in nota: “Si tratta di un protocollo dattiloscritto di 8 pagine che Höss firmò il 14-3-1946 alle 2,30 (=documento di Norimberga NO-1210). Riguardo al’contenuto, esso non differisce sensibilmente in nessun punto da ciò che Höss dichiarò o scrisse a Norimberga o a Cracovia”(223).

Dunque la prima “confessione” di Rudolf Höss, quella che ha costituito il modello di tutte le altre, è stata inventata dagli inquirenti inglesi!

Per convicersene senza ombra di dubbio è sufficiente un rapido sguardo al documento in questione.

Höss “confessa” di essere stato convocato a Berlino nel giugno 1941 da Himmler, il quale gli comunicò che il Führer aveva ordinato “la soluzione finale della questione ebraica in Europa”, cioè “lo sterminio totale di tutti gli ebrei d’Europa”, come gli viene fatto “confessare” nella dichiarazione giurata del 5 aprile 1945 (224) — il che non solo è falso, perché. la “soluzione. finale”, come si è visto, designava l’emigrazione degli ebrei europei nel Madagascar, ma contraddice anche cronologicamente i cardini della storiografia ufficiale, come rileva con grande imbarazzo Gerald Reitlinger, il quale elimina la contraddizione posticipando d’autorità di un anno la data della pretesa convocazione di Höss e del preteso ordine del Führer(225)!

Nel giugno 1941, continua la “confessione” dt Höss, nel Governatorato generale esistevano tre “campi di sterminio”: Wolzek, Belzec e Tublinka (sic). Ma il primo non è mai esistito, mentre il secondo e il terzo (Treblinka) entrarono rispettivamente in funzione — secondo — la storiografia ufficiale — nel marzo e nel luglio 1942 (226).

Höss “confessa” anche di aver visitato il campo di Treblinka nella primavera del 1942 e di avervi assistito ad un processo di “gasazione”, il che è comunque impossibile, perché la costruzione del campo iniziò il 10 giugno, mentre la prima “gasazione” vi sarebbe stata effettuata il 23 luglio 1942 (227). Nella dichiarazione giurata del 5 aprile 1946 questa pretesa visita ha luogo nel 1941, quando il campo di Treblinka ancora non esisteva!

Ma non è tutto. Il comandante del campo riferì a Höss che nel corso del semestre precedente aveva “gasato” 80.000 persone, il che significa che le “gasazioni” erano iniziate nell’autunno del 1941, cioè parecchi mesi prima che il campo fosse costruito!

Secondo il PS-3868, il comandante di Treblinka “aveva a che fare principalmente con la liquidazione di tutti gli ebrei del ghetto di Varsavia”, il che è assurdo, perché la deportazione a Treblinka di questi ebrei iniziò il 22 luglio 1942.

Gli inquirenti inglesi, che avevano conoscenze molto approssimative anche riguardo ad Auschwitz, hanno fatto “confessare” a Höss che i primi due crematori di

(222) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, Torino 1985, pp. 158-159.

(223) Kommandant in Auschwitz. Autobiographische Aufzeichnungen des Rudolf Höss.

Herausgegeben von Martin Broszat, München, 1981, p. 149, nota 1. Citiamo dall’originale tedesco perché la traduzione italiana della nota è incompleta.

(224) PS-3868.

(225) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., pp. 131-132.

(226) Adalbert RückerI, NS-Vernichtungslager im Spiegel deutscher Strafprozesse, op. cit.,p. 133 e 200.

(227) Central Commission for Investigation of German Crimes in Poland. German Crimes in Poland, op. cit., vol. I, p. 96.

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Birkenau furono completati nel 1942, il che è falso(228), avevano ciascuno cinque forni doppi, il che è parimenti falso(229), e potevano cremare 2.000 cadaveri in 12 ore, il che è ugualmente falso(230); gli altri due crematori furono completati sei mesi dopo, il che è falso(231) e possedevano ciascuno quattro forni, il che è parimenti falso(232).

Ad Auschwitz furono uccise tre milioni di persone, di cui due milioni e mezzo nelle “camere a gas”. Ma nelle “Aufzeichnungen” di Cracovia Rudolf Höss “confessa”:

“Ritengo, ad ogni modo, che la cifra di due milioni e mezzo sia eccessiva.

Anche ad Auschwitz le possibilità di sterminio erano limitate”(233).

Successivamente, dinanzi al Tribunale Supremo Polacco, egli ridusse la cifra a 1.135.000 (234).

Nelle dichiarazioni giurate del 5 aprile e del 20 maggio 1946(235) Höss ripete la “confessione” del documento NO-1210, precisando che mezzo milione di persone morirono di fame e di malattie, cifra che supera abbondantemente il totale dei detenuti immatricolati(236)!

Gli inquirenti inglesi hanno infine spostato al marzo 1945 il fantomatico ordine di Himmler che avrebbe decretato la fine delle “gasazioni”, il che è in contraddizione con le date a loro volta contraddittorie della storiografia ufficiale.

Estradato in Polonia, Rudolf Höss ha continuato a fare lo stesso genere di “confessioni”.

I polacchi hanno riveduto e corretto (in base ai documenti sequestrati al campo di Auschwitz) la “confessione” del 14 marzo 1946 redatta dagli inquirenti inglesi, sviluppandola nell’Autobiografia e nelle “Annotazioni”, che costituiscono la fonte essenziale della “verità” ufficiale su Auschwitz.

E’ fin troppo facile immaginare in che modo tali “confessioni” siano state estorte a Rudolf Höss: basta pensare ai metodi dei grandi processi di Mosca per costringere gli imputati a fare la “confessione” desiderata.

Istauratosi il clima della “guerra fredda”, i polacchi hanno consentito a Höss di descrivere il trattamento subito da parte della giustizia “borghese”:

“Dopo qualche giorno venni trasferito a Minden sul Weser, il centro principale d’inchiesta per la zona inglese. Qui dovetti subire altri maltrattamenti per opera di un maggiore inglese, Pubblico

(228) I crematori IV e Il di Birkenau furono completati rispettivamente il 22 e il 31 marzo 1943 (Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecirmiu, 4, 1961, p. 85 e 87).

(229) I crematori II e III avevano ciascuno 5 forni tripli (a tre muffole) (Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimiu, 4, 1961, p. 110).

(230) Se fossero stafi efficienti come quelli del crematorio del cimitero di Hamburg-Öjendorf (vedi nota 71), i forni dei crematori Il e III di Birkenau avrebbero potuto cremare solo 630 cadaveri in 24 ore.

(231) I crematori V e III furono completati rispettivamente il 4 aprile e il 25 giugno 1943 (Hefte von Auschwitz, Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimiu, 4, 1961, p. 88 e 109.

(232) I crematori IV e V possedevano ciascuno un forno a 8 muffole (Hefte von Auschwitz,

Wydawnictwo Panstwowego Muzeum w Oswiecimiu, 4, 1961, p. 110. Vedi anche: Problèmes choisis de l’histoire du KL Auschwitz, op. cit., p. 44).

(233) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit, p. 183.

(234) William L. Shirer, Storia dei Terzo Reich, Torino, 1969, p. 1476.

(235) PS-3868 e NI-034.

(236) In totale ad Auschwitz furono immatricolati 405.222 detenuti (Problèmes choisis de l’histoire du KL. Auschwitz, op. cit., p. 17). Secondo la storiografia ufficiale, gli ebrei destinati allo “sterminio” non venivano immatricolati nei ruolini del campo.

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Ministero. Le condizioni della prigione furono in tutto degne del suo comportamento.

Dopo tre settimane, con mia sorpresa, mi rasarono, mi tagliarono i capelli e mi consentirono anche di lavarmi. Era la prima volta, dal momento dell’arresto, che mi toglievano le manette”.

Da Minden, Höss fu portato a Norimberga:

“Le condizioni generali in prigione erano buone (potevo anche leggere a volontà durante il tempo libero, perché avevamo a disposizione una nutrita biblioteca), ma gli interrogatori erano davvero molto spiacevoli, non dal punto di vista fisico, ma psichico, cosa anche peggiore. Ma non posso certo prendermela con quelli che mi interrogavano: erano tutti ebrei.

Spiritualmente fui come vivisezionato: i miei inquisitori volevano conoscere tutti i particolari: perfino gli ebrei. Non mi lasciarono alcun dubbio sulla sorte che mi attendeva”(237).

E’ facile immaginare in che cosa consistessero le pressioni psicologiche esercitate su Rudolf Höss. Un solo esempio tratto dal vasto repertorio dei grandi processi di Mosca:

“Gli ostaggi servono ad alimentare l’essenza delle torture morali. Eccone una, per esempio, semplicissima e che sarà sempre ignorata dai giornalisti esteri ammessi ad assistere al processo: si proietta davanti al prevenuto un film di torture raffinate e gli si sussurra che tale sarà la sorte di sua moglie, o della sua bambina se…”(238).

Non si creda che il “civile” Occidente rifuggisse da tali metodi. La commissione d’inchiesta costituita dai giudici van Roden e Simpson, che fu inviata in Germania nel 1948 per indagare sulle irregolarità commesse dal Tribunale Militare americano di Dachau — che aveva processato 1.500 tedeschi condannandone a morte 420(229) –accertò che gli imputati erano stati sottoposti a torture fisiche e psichiche di ogni genere per costringerli a fare le “confessioni” desiderate. Ad esempio, in 137 dei 139 casi esaminati, gli imputati tedeschi avevano subìto danni irreparabili ai testicoli a causa dei calci che erano stati loro inferti durante gli interrogatori(240).

Ma ciò non deve stupire, perché rientra nella logica dei processi contro i cosiddetti “criminali di guerra” nazisti, il cui principio ispiratore fu esposto candidamente dal procuratore generale degli Stati Uniti Justice Robert H. Jackson nel corso dell’udienza del 26 luglio 1946 del processo di Norimberga:

“Gli Alleati si trovano tecnicamente ancora in stato di guerra con la Germania, sebbene le istituzioni Politiche e militari del nemico siano infrante. In quanto Corte di Giustizia Militare, questa Corte di Giustizia costituisce una continuazione degli sforzi bellici delle Nazioni Alleate”(241).

In conclusione, dubitare della realtà storica dello “sterminio” ebraico è non solo lecito, ma doveroso, perché è doveroso ricercare la verità storica “sottoponendo sistematicamente testimonianze, documenti e reperti al vaglio di quei metodi critici il cui impiego nessuno si

(237) Comandante ad Auschwitz. Memoriale autobiografico di Rudolf Höss, op. cit., pp.159-160.

(238) S. Labin, Stalin il Terribile, Garzanti 1950, p. 126.

(239) Gerald Reitlinger, La soluzione finale, op. cit., p. 617.

(240) Freda Utley, Kostspielige Rache, Hamburg, 1951, p. 215 e seguenti. Sulle torture cui furono sottoposti gli imputati del processo di Malmédy vedi anche: La vérité sur l’affaire de Malmédy et sur le colonel SS Jochen Peiper, Editions du Baucens, 1976; The Malmédy Trial, by Dietrich Ziemssen, Institute for Historical Review, 1981.

241 IMG, vol. XIX, p. 440.

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sognerebbe mai di contestare quando si tratta di applicarli a qualsiasi altro problema storico, perché è su di essi, è su nient’altro, che la ricerca storica fonda la sua scientificità”(242), non già accettando aprioristicamente e acriticamente qualunque documento e “testimonianza oculare”, come fanno regolarmente gli storici di regime.

(242) “Note rassineriane con appendice sulla persecuzione giudiziaria di R. Faurisson”, in: Alla Bottega, marzo-aprile 1983, p. 41.