Pearl Harbor: Noi sappiamo che Loro sanno!
di Umberto Iacoviello
Noi sappiamo che loro sanno, e loro non sanno che noi sappiamo è una frase pronunciata dal generale George C. Marshall il 15 novembre 1941 in una conferenza stampa fatta con pochi giornalisti scelti, appena tre settimane prima dell’attacco giapponese a Pearl Harbor. Il“Noi sappiamo” era riferito alle migliaia di messaggi della Marina giapponese intercettati dai crittografi statunitensi che indicavano le intenzioni giapponesi di un attacco a sorpresa alle Hawaii.
Dopo l’esperienza della Grande Guerra gli Stati Uniti d’America adottarono una politica isolazionista: nell’estate del 1940 i sondaggi dimostravano che l’opinione pubblica statunitense era contraria al coinvolgimento del proprio Paese nel nuovo conflitto europeo.
Tuttavia già dai primi di settembre dello stesso anno, dal governo vennero date direttive che lasciavano pochi dubbi sul protrarsi della neutralità degli USA, i provvedimenti presi rappresentavano un chiaro preludio alla guerra: chiamata alle armi in tempi di pace, uso degli impianti industriali per la produzione di materiale bellico, cessione di vecchi mezzi della Marina all’Inghilterra e una spesa di 5.000.000.000.000 di dollari per creare una Marina per due oceani: una per l’Atlantico e l’altra per il Pacifico.
La grande paura degli Stati Uniti era quella di essere circondati dalle forze militari tedesche dopo la caduta di Londra, inoltre in quegli anni era in corso la Seconda guerra cino-giapponese (1931-1945) e il governo di Washington si era (non ufficialmente prima del 7 dicembre 1941) schierato con la Cina fornendo supporto alle truppe di Chiang Kai-shek, gli Stati Uniti intendevano salvaguardare gli interessi anglo-americani, dei Paesi Bassi e della Francia nel Pacifico.
Due minacce incombevano: Il Giappone nel Pacifico e la Germania in Europa. Il 4 ottobre 1940 F.D.R. venne informato da Roy Howard che un portavoce giapponese chiedeva agli Stati Uniti la smilitarizzazione di tre basi nel Pacifico: la Wake, la Midway e Pearl Harbor. Appena tre giorni dopo un personaggio molto vicino al presidente Roosevelt, il capo del reparto dell’Estremo Oriente dell’ONI (Ufficio dei Servizi Informativi della Marina) Arthur McCollum (1) (che, insieme al presidente, non condivideva il pensiero isolazionista radicatosi dell’opinione pubblica) in un bollettino del 7 ottobre 1940 -mentre la Luftwaffe bombardava l’Inghilterra- inviato ai capitani della marina Walter Anderson e Dudley Knox, illustrava un programma da adottare nei confronti del Giappone. Nel documento vi erano 8 punti in cui venivano riportate le azioni necessarie a provocare il Giappone:
1. Accordarsi con la Gran Bretagna per utilizzare le basi inglesi nel Pacifico, soprattutto Singapore.
2. Accordarsi con l’Olanda per utilizzare le attrezzature della base e poter ottenere provviste nelle Indie orientali olandesi.
3. Dare tutto l’aiuto possibile al governo cinese di Chiang Kai-shek.
4. Mandare in Oriente, nelle Filippine o a Singapore, una divisione di incrociatori pesanti a lungo raggio.
5. Mandare due divisioni di sottomarini in Oriente.
6. Tenere la flotta principale degli Stati Uniti, attualmente nel Pacifico, nei pressi delle isole Hawaii.
7. Insistere con gli olandesi perché rifiutino di garantire al Giappone le richieste per concessioni economiche non dovute, soprattutto petrolio.
8. Dichiarare l’embargo per tutti i commerci con il Giappone, parallelamente all’embargo simile imposto dall’impero britannico. (2)
Il programma venne accolto dal governo Roosevelt e messo subito in pratica, nonostante in pubblico durante la campagna elettorale continuasse a rassicurare i cittadini di non voler inviare i propri soldati in guerre straniere. (3)
E’ chiaro che nel caso in cui Stati Uniti e Giappone fossero entrati in guerra tra di loro, il Patto Tripartito (Roma-Berlino-Tokyo) siglato appena due settimane prima (27/09/1940) avrebbe trascinato gli USA anche nel conflitto europeo contro Germania e Italia (4). Era questa la volontà degli inglesi che si aspettavano l’entrata in guerra degli USA non appena Roosevelt fosse stato rieletto per il terzo mandato (5/11/1940).
Il 27 gennaio 1941, il segretario di stato Cordell Hull ricevette un messaggio inviato dall’ambasciatore J. Grew da Tokyo in cui esso scriveva che un suo collega(5) era venuto a conoscenza di piani giapponesi che intendevano attaccare a sorpresa Pearl Harbor.
Da parte del governo non vennero presi provvedimenti e le intercettazioni dei messaggi (tattiche e strategie) in codice del Giappone decrittate da Washington, non vennero inviate al comandante della flotta del Pacifico Husband Kimmel.
Tra C.Hulle K. Nomura (ambasciatore giapponese presso gli Stati Uniti) vi furono più di quaranta incontri in cui si cercò una soluzione alla situazione tesa che si era creata tra Giappone e Stati Uniti per il controllo del Pacifico, in cui sostanzialmente il Giappone chiedeva che si riallacciassero rapporti commerciali e una soluzione pacifica al conflitto con Chiang Kai-shek; le proposte del governo nipponico vennero respinte in blocco: gli Stati Uniti desideravano mantenere lo status quo nel Pacifico.
Il presidente statunitense ebbe particolare riguardo per il punto 4 e, incoraggiato da Churchill fin dall’ottobre 1940, iniziò a far navigare incrociatori statunitensi violando il diritto internazionale nelle acque giapponesi a partire da marzo 1941.
Il Ministero della Marina del Giappone a fine marzo indirizzò una nota di protesta all’ambasciatore statunitense Joseph Grew a Tokyo ma F.D.R., disposto a sacrificare qualche nave per la sua causa, non cedette: era sicuro che i giapponesi prima o poi avrebbero risposto alle provocazioni.
Nel luglio del 1941 venne chiuso il canale di Panama alle imbarcazioni giapponesi e messo in pratica in punto 8: il Giappone non importava più dagli USA materiale bellico.
Esistono prove documentali(6) su intercettazioni fatte nei primi di novembre dai crittografi statunitensi di messaggi giapponesi che rivelavano i piani di Yamamoto(7) riguardanti le isole Hawaii. Fino al giorno prima dell’attacco erano stati intercettati più di 100.000 messaggi radio delle navi giapponesi: tutti sapevano delle intercettazioni, perfino Churchill (che nel frattempo aveva concesso all’esercito statunitense l’usodi basi militari inglesi nel Pacifico, come previsto dal punto 1 del bollettino di McCollum), mentre gli uomini che più di tutti avevano bisogno di quelle informazioni, l’ammiraglio Kimmel (comandante della Flotta del Pacifico) e il generale Short (con l’incarico di difendere le istallazioni militari delle Hawaii) non ricevettero alcun avviso.
In un memorandum dell’ambasciatore Grew del 10 novembre 1941 ritroviamo delle parole indicative sulla politica statunitense, infatti secondo l’ambasciatore il Giappone aveva “ripetutamente fatto delle precise proposte per avvicinarsi al punto di vista americano, ma il governo americano… non aveva fatto nulla per andare incontro alle posizioni giapponesi” (8).
Due settimane prima dell’attacco l’ammiraglio Kimmel diede l’ordine di spostare la flotta a nord delle isole Hawaii. Quando la Casa Bianca venne a sapere di questo spostamento della flotta del Pacifico nel punto in cui sapevano che i giapponesi progettavano di attaccare, diedero l’ordine di ritirare la flotta da quel punto e Kimmel obbedì.
Appena qualche giorno dopo, il 26 novembre, a Kimmel –nonostante le sue proteste- venne ordinato di consegnare tutti i caccia dell’esercito insieme alla portaerei Enterprise alle isole Midway. Nello stesso giorno venne inviata dal governo statunitense una nota che proponeva la risoluzione del conflitto cino-giapponese con delle condizioni inaccettabili per il Giappone che venne recepita dal primo ministro Hideki Tojo come un ultimatum. Roosevelt era cosciente dell’inaccettabilità delle condizioni proposte tant’è che la sua unica preoccupazione espressa il giorno prima che venisse inviata la nota al governo nipponico fu quella di pensare “in che modo potremmo metterli in condizioni di sparare il primo colpo senza esporci ad un pericolo eccessivo”. (9)
Nella sera del 30 novembre venne intercettato l’ennesimo messaggio che indicava l’obiettivo della flotta nipponica e nelle prime ore del 2 dicembre venne intercetto un messaggio che indicava il giorno preciso dell’attacco: 7 dicembre.
La settimana che precedette l’attacco i giapponesi vennero informati da un infiltrato alle Hawaii che riferiva la totale mancanza di allerta nella base di Pearl Harbor(10).
Il 5 dicembre venne consegnata da Kimmel anche la portaerei Lexington insieme ad otto moderne navi da guerra. A Pearl Harbor rimasero solo vecchie navi usate durante la Grande Guerra.
Nei sette giorni che precedettero l’attacco il capitano di vascello C. McMoriss e il comandante V. Murphy rassicurarono Kimmel che un attacco giapponese alle Hawaii era improbabile, nonostante i messaggi intercettati dalla Marina che dicevano l’esatto opposto.
Gli alti ufficiali della Marina non fecero nulla per avvertire Honolulu e quando intercettarono il messaggio giapponese che dava l’ordine di attaccare e lo trasmisero al generale G. Marshall; quest’ultimo per comunicarlo ai diretti interessati si servì inspiegabilmente della comunicazione R.C.A. (la più lenta), senza nemmeno preoccuparsi di far porre sul telegramma il timbro della precedenza. La comunicazione dell’allerta giunse dopo l’attacco.
Alle 7:52 del 7 dicembre iniziò l’attacco che provocò la morte di 2476 uomini; nello studio ovale della Casa Bianca, quella mattina vennero staccate tutte le comunicazioni telefoniche mentre Roosevelt sfogliava i suoi album di francobolli.
L’idea che il governo degli Stati Uniti abbia lasciato fare i giapponesi nella vicenda di Pearl Harbor viene presentata al pubblico come un’ipotesi di complotto, la parola magica usata per ridicolizzare qualsiasi versione non conforme alla storia ufficiale.
Tuttavia nel caso di Pearl Harbor i dubbi sulla negligenza della Marina vennero espressi fin da subito all’interno della politica statunitense, soprattutto dai rappresentanti repubblicani. Appena dieci giorni dopo l’attacco, alcuni membri del Congresso chiesero al governo come mai la forza militare del Pacifico si sia fatta trovare impreparata; una commissione che stilò un rapporto in meno di un mese declinò ogni responsabilità all’ammiraglio Kimmel che venne sollevato dalla carica il 16 dicembre e al generale Short che venne rimosso dal comando nello stesso giorno dell’attacco.
Thomas E. Dewey, candidato alle presidenziali con Partito Repubblicano nel 1944 fece delle pesanti accuse al governo Roosevelt, sostenendo che quest’ultimo era a conoscenza dei piani dei giapponesi prima dell’attacco.
Dalle prime indagini congressuali su Pearl Harbor nel 1945, non emerse che i crittografi statunitensi riuscissero decrittare i codici giapponesi, cosa che sappiamo essere non vera.
L’attacco di Pearl Harbor è stato battezzato dal presidente Roosevelt come il giorno dell’infamia, il giorno in cui gli Stati Uniti sono stati improvvisamente e deliberatamente attaccati. Oggi sappiamo che l’attacco venne previsto e intercettato con largo anticipo, ma il governo non fece nulla per evitarlo; un attacco che non maturò da un capriccio giapponese, ma fu la diretta conseguenza di trattative fallite e di provocazioni statunitensi. Attendiamo il giorno in cui Roosevelt non verrà più ricordato solo come il lungimirante presidente del New Deal ma anche come il responsabile della morte di soldati e civili statunitensi ignari della propria sorte.
NOTE
(1) Arthur McCollum (1898-1976) nato e cresciuto in Giappone, a 18 anni tornò negli USA e fu ammesso all’Accademia navale; dopo la laurea tornò in Giappone come addetto navale all’ambasciata di Tokyo. All’interno della marina statunitense, nessuno conosceva il Giappone meglio di McCollum.
(2) Bollettino del 7 ottobre 1940 di Arthur McCollum, riportato in appendice con le immagini dei documenti originali nel saggio di Robert Stinnett Il giorno dell’inganno. La verità su Pearl Harbor. (Il Saggiatore,2001)
(3) Vi fu qualche dissidente come l’ammiraglio James Richardson, non disposto a mettere a rischio la vita dei propri uomini lasciando una buona parte della flotta statunitense nei pressi delle isole Hawaii; il problema venne risolto sollevando l’ammiraglio dal suo incarico il 1° febbraio 1941. Al suo posto venne nominato Husband Kimmel. Il presidente si impegnò a piazzare nei posti di comando uomini che approvavano o ignoravano la sua politica, come Walter Anderson, un uomo che non godeva di grande stima all’interno della Marina, promosso contrammiraglio comandante di corazzata delle navi da guerra della flotta del Pacifico.
(4) Il ministro degli esteri giapponese Yosuke Matsuoka apprese da un incontro (28/3/1941) con Ribbentrop che la Germania non aveva il minimo interesse ad una guerra contro gli Stati Uniti.
(5) Si trattava di Max Bishop, un segretario dell’ambasciata statunitense a Tokyo.
(6) Desecretate con la legge Free of Information Act riportate nel saggio di R. Stinnett.
(7) Isoroku Yamamoto (1884-1943) comandante in capo della flotta militare giapponese, ideatore dell’attacco di Pearl Harbor. Il 26 novembre 1941 Yamamoto aveva ordinato il silenzio radio (eccetto emergenze), silenzio che durò appena sei ore. Il silenzio radio giapponese, fu una delle giustificazioni usate dalla mariana statunitense per non essere riusciti ad intercettare l’attacco giapponese Oggi sappiamo che il silenzio radio giapponese non venne rispettato e che le intercettazioni via radio continuarono.
(8) I responsabili della seconda guerra mondiale, Charles C. Tansill (Cappelli Editore, 1962)
(9) Ibid.
(10) Takeo Yoshikawa, inviato dalla Marina giapponese come diplomatico, doveva svolgere azioni di spionaggio alle Hawaii. Fin dal suo arrivo alle Hawaii, nel marzo del 1941, venne subito individuato dalla marina statunitense e tenuto sotto controllo; compresero il suo ruolo di spia, ma paradossalmente non fecero nulla per fermare il traffico di dati tra Yoshikawa e Tokyo.
Fonte: Ereticamente