LA NOSTRA INTRANSIGENZA

di Fernando Mezzasoma – 1944-XXIII

Anche questo “28 Ottobre”, come quello dello scorso anno, ha rinnovato in tutta la sua acutezza la nostra sofferenza, ma al tempo stesso ha reso ancora più salda la nostra fede: sofferenza per quello che abbiamo perduto, fede nel nostro domani di rinascita e di ricostruzione.

Anche al di là dell’Appennino il vero popolo italiano – il popolo che subisce penosamente le tragiche conseguenze del folle e criminoso tradimento – avrà potuto misurare nel muto raccoglimento del suo dolore e della sua speranza, avrà potuto valutare più esattamente di quanto già non fece in passato, la serie imponente delle realizzazioni attuate dal Fascismo durante il rapido svolgersi di un ventennio di lotte e conquiste.

Per questo un senso di suprema fierezza accende la nostra fede e illumina la nostra coscienza. Noi possiamo guardare al nostro passato come ad un insuperabile titolo di nobiltà, perché a quel passato noi abbiamo saputo restare fedeli così nelle giornate di sole come in quelle di tempesta. Quel passato ci appartiene. E noi lo difendiamo contro chiunque tenti di negarlo e di profanarlo.

Quel passato caratterizza tutta un’epoca e impegna l’avvenire di innumerevoli generazioni. Quel passato si chiama <Fascismo> e porta il segno inconfondibile del genio di Mussolini.

 “Nessuna forza umana può cancellare dalla storia ciò che nella storia è entrato come una realtà e una fede”.

Queste parole del Duce ai legionari della Brigata Nera “Resega” dovrebbero far meditare coloro che troppo avventatamente hanno giurato sulla fine della rivoluzione fascista. Il Fascismo è una pianta che alligna ovunque, è un fuoco che cova oggi sotto la cenere, è una fiamma che non si spegne e già torna a divampare.

Per questo noi ci dichiariamo intransigenti. La nostra intransigenza consiste proprio in questa morbosa gelosia di un passato che soltanto i vili possono rinnegare. La nostra intransigenza esprime la dedizione all’idea alla quale ci siamo legati per la vita e per la morte e al Capo a cui abbiamo offerto la nostra fedeltà incondizionata.

In questo noi ci sentiamo faziosi e ci vantiamo di esserlo, perché è questa faziosità che ha ispirato la nostra coerenza di ieri, di oggi e di sempre; è questa faziosità che ci ha impedito di essere fra i traditori che il 25 luglio, in combutta coi massoni e coi giudei, ingannarono Mussolini e vendettero l’Italia; è questa faziosità che l’8 settembre ci ha spinto nuovamente intorno al Duce e a fianco dell’alleato germanico sulla sola strada che ci additava la nostra coscienza di Italiani d’onore e di autentici fascisti.

E’ dunque la nostra una intransigenza che si rivolge verso noi stessi prima ancora che verso gli altri, verso i nostri compagni di marcia e di battaglia più ancora che verso i nostri avversari. La nostra intransigenza infatti non ci fa sbarrare le porte a coloro che volessero dividere con noi il privilegio di contribuire alla resurrezione dell’Italia.

Non vi fu mai dottrina che seppe, come quella fascista, riassumere in sé la “universalità di tutte le dottrine”. La definizione che il Duce molti anni or sono diede del Fascismo è stata consacrata e attualizzata dalle ultime fondamentali conquiste. Tutto quello che il popolo lavoratore poteva invocare per la sua emancipazione, per la sua elevazione, per la sua libertà, il Fascismo gli ha già dato.

E questa gigantesca guerra si sta combattendo perché tutti i popoli conquistino la possibilità di realizzare il programma sociale che Mussolini ha tracciato per il popolo italiano.

Anche nell’Italia invasa – dove gli adoratori di radio-Londra che attendevano ansiosamente i “liberatori” spargono oggi tardive e vane lacrime – si è costretti a riconoscere che il Fascismo non è un fenomeno transitorio poiché in tutta l’Italia al di qua e al di là dell’Appennino il Fascismo è più che mai vivo nelle opere e nelle leggi, nelle speranze e nelle volontà.

Soltanto i simboli e i nomi sono labili cose. Ma le dottrine rimangono a sfida del tempo se riuscirono a trovare uomini capaci di lottare e morire per la loro affermazione.

Invano i decrepiti rappresentanti di un mondo che è veramente defunto si sforzano di distrarre il popolo affamato e avvilito con espedienti scandalistici che sono diventati monotoni e quanto mai inconcludenti. E quando si tenti di tirare fuori qualcosa di nuovo che non sia la persecuzione ai fascisti, ai parenti dei fascisti, agli amici del fascisti, in sostanza a quasi tutto il popolo italiano, si è obbligati a ricorrere alla lusinga dei ludi elettorali che il popolo italiano conosce per sfortunata esperienza e al miraggio di un ritorno alla emigrazione le cui sanguinose strade i lavoratori italiani hanno già amaramente percorse.

La nostra intransigenza ci porta piuttosto a considerarci – soltanto noi – degni di chiamarci Italiani; noi e quanti Italiani in questo momento vogliano essere lealmente al nostro fianco. Anche se la loro provenienza è diversa dalla nostra, noi non respingiamo la loro collaborazione. Purché l’amor di Patria sia concepito anche da loro come un bisogno imperioso di difendere la Patria, di combattere e di sacrificarsi per lei. Purché siano d’accordo con noi nel considerare nemici i popoli che ci hanno imposto di impugnare le armi e di versare il sangue della nostra migliore gioventù per sostenere il nostro diritto all’esistenza come popolo libero, i criminali che hanno ferocemente distrutto le nostre più belle città, le nostre chiese più sacre, le nostre opera d’arte più preziose, i barbari che hanno portato sul suolo patrio, con l’oltraggio delle truppe multicolori, la fame e il terrore.

Purché siano disposti ad affiancare come noi, con le armi e con il lavoro, il titanico sforzo del popolo tedesco che sta approntando con eroica ostinazione i sicuri mezzi della riscossa e della vittoria. Purché siano decisi a formare con noi il grande esercito di combattenti e di lavoratori che vuole continuare la sua marcia rivoluzionaria all’ombra dell’onorata bandiera sulla quale Benito Mussolini ha scritto a caratteri indelebili: <Italia, Repubblica, Socializzazione>.