UN PAESE PERICOLOSO

di John Kleeves

BREVE STORIA NON ROMANZATA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Società Editrice Barbarossa

Finito di stampare nel mese di aprile 1999

INDICE

Prefazione

Introduzione

1. La disinformazione sugli Stati Uniti

2. La psicologia della storia

Note all’Introduzione

Parte prima – La nascita della Nazione americana

Capitolo I – Genesi della civilizzazione americana

1. Il Medioevo europeo

2. Lo sviluppo commerciale e tecnologico

3. La Riforma Protestante

Note al capitolo I

Capitolo II – La colonizzazione dell’America

1. Gli inizi

2. La Nuova Spagna e il dominio del Perù

3. La Nuova Francia

4. La Nuova Olanda

5. La Nuova Inghilterra

Note al capitolo II

Capitolo III – I Puritani

1. Caratteri generali

2. I Puritani e la politica

3· I Puritani e l’economia

4· I Puritani e la morale

5. I Puritani e la cultura

Note al capitolo III

Capitolo IV – L’indipendenza

1. Il predominio puritano

2. Verso la Guerra di Indipendenza

3. La Guerra di Indipendenza

4· Il testo della Dichiarazione di Indipendenza

Note al capitolo IV

Parte seconda – Gli Stati Uniti d’America

Capitolo I – La Costituzione degli Stati Uniti

1. La nuova federazione di Stati indipendenti

2. Testo della Costituzione e degli Emendamenti USA

3. Commento alla Costituzione USA

4. Commento al Bill of Rights

Note al Capitolo I

Capitolo II – L’espansione territoriale

1. Il mercato dell’Oriente

2. L’Ohio Territory e la Louisiana

3. La guerra delle pellicce

4. Gli Stati Uniti del Messico

5. L’Oregon Territory

6. L’Alaska e le Hawaii

7. La guerra dello zucchero

8. Le colonie

Note al Capitolo II

Capitolo III – La Guerra di Secessione

1. I motivi della guerra

2. La guerra

3. L’Emendamento XIV

Note al Capitolo III

Capitolo IV – Il carattere nazionale americano

1. L’omogeneizzazione culturale

2. Il carattere americano

Note al Capitolo IV

Parte terza – Il Novecento

Capitolo I – Gli Indiani

Note al Capitolo I

Capitolo II – I Neri

Note al Capitolo II

Capitolo III – Il fondamentalismo americano

1. Il panorama protestante

2. I Fondamentalisti

3. La repressione sessuale

Note al Capitolo III

Capitolo IV – Il sistema oligarchico

1. Il meccanismo elettorale

2. I due Partiti

3· La repressione politica

4. Hollywood

Note al Capitolo IV

Capitolo V – La politica estera

1. Caratteri generali

2. Il mercato dell’Oriente e i suoi corollari

3. La politica in Cina prima della seconda guerra mondiale

4. La Prima Guerra Mondiale

5· La Seconda Guerra Mondiale

6. La Guerra Fredda

7. Il neocolonialismo americano

8. Perestrojka

Note al Capitolo V

Conclusione

La Fine della Storia o fine della storia?

Note alla Conclusione

Prefazione

Anche se questo può sembrare un instant book, non lo è. Il testo del presente libro è arrivato sulle nostre scrivanie oltre un anno fa, quando i recenti fatti d’Iraq e di Serbia erano ancora molto lontani dal riempire le pagine e gli schermi dell’informazione mondiale.

Ma, evidentemente, non c’era bisogno di aspettare l’attacco a Baghdad del 16 dicembre 1998 o quello a Belgrado del 24 marzo 1999 per accorgersi che gli Stati Uniti d’America sono “un paese pericoloso”. Come verrà ampiamente dimostrato nelle pagine seguenti, l’esistenza stessa degli States è fondata sulla rapina e sulla prevaricazione, entrambe giustificate da una visione vagamente profetica che conosce la sua formulazione più nota ed esplicita per bocca di Theodore Roosevelt: un secolo fa, nel 1898, il ventiseiesimo presidente americano dichiarò che «l’americanizzazione del mondo è il nostro destino», evidenziando così la duplice valenza del progetto americano: messianico e imperiale. Questa concezione, destinata a informare la politica estera degli Stati Uniti nel corso di tutto questo secolo che volge al termine, è comunemente nota come manifest destiny — teoria del destino manifesto: essa coniuga una “teologia dell’espansione con una «strategia dellberatamente planetaria, entrambe radicate solidamente nella coscienza americana attraverso l’ideologia della terra/territorio promessalo» (Korinman-Ronai, in Storia delle ideologie,Rizzoli 1978).

Lo studio di John Kleeves analizza nei minimi particolari quella che potremmo definire l’ideologia americana a partire non già dal fatidico 1776 (anno in cui fu proclamata l’Indipendenza delle colonie), bensì da centocinquanta anni prima, all’epoca cioè in cui i leggendari Padri Pellegrini risolsero di abbandonare le (giustamente) inospitali coste della madrepatria per raggiungere il Nuovo Mondo. Da allora sono passati secoli: in quasi duecentoventicinque anni di vita gli Stati Uniti hanno compiuto più di 200 aggressioni armate in tutto il pianeta, ai danni di altrettante realtà territoriali, politiche ed economiche assolutamente estranee. Dal Nuovo Mondo sorge ora un Nuovo Ordine Mondiale che sembra perfettamente in grado di fagocitare tutto ciò che trova sul suo cammino.

Chiedersi «che fare?» non è retorica. Per quanto possa sembrare strano, anche alla luce degli avvenimenti di queste ultime settimane — che vedono lo Stato sovrano di Serbia costretto a fare conti sanguinosi con l’autoproclamatosi poliziotto internazionale a stelle e strisce — c’è chi si ostina a vedere negli americani, di volta in volta, i liberatori dello sbarco in Normandia, i soccorrevoli benefattori del Piano Marshall, gli eroici berretti verdi di Hanoi e Haiphong (My Lai non se lo ricorda nessuno) eccetera. E c’è chi, confondendo il muro di Berlino con le mura di Gerico e avendo visto nella caduta del “comunismo” una prova dell’esistenza di Dio, non perde occasione per condannare l’antiamericanismo “di comodo”, “di maniera”, “d’occasione”, “viscerale” e via specificando.

Sarebbe bello. Sarebbe bellissimo adagiarsi su poche ma incrollabili certezze — il bene tutto da una parte, il male tutto dall’altra; la verità in tasca; le magnifiche sorti e progressive dell’Umanità; l’Occidente arbitro dei destini del mondo… Non è così. Gli equilibri planetari sono mutati radicalmente e certo troppo in fretta dopo la fine della seconda guerra mondiale: tenere il passo sta diventando sempre più difficile, anche perché nel frattempo le tecnologie di propaganda e mistificazione della storia sono diventate sofisticatissime (Orwell è stato lungimirante), e le coscienze torpidissime.

Segno dei tempi, direbbe Guénon. Il bello della diretta, aggiungiamo noi: nulla è scontato — anche se le nubi all’orizzonte sembrano addensarsi, s’intravede un bagliore destinato a rischiarare nuovi giorni. Ed è sotto questa luce che bisogna scrutare gli Stati Uniti d’America, per leggere fra le righe della loro storia: che mai come in queste ore convulse è apparsa scritta col sangue di milioni di vittime.

Questo originale e personalissimo lavoro di John Kleeves potrà, crediamo, illuminare vantaggiosamente il senso e la portata di una nazione che si è da sempre posta come obiettivo l’egemonia mondiale, senza arretrare di fronte a niente, lucidamente e freddamente determinata al perseguimento dei propri scopi: prendere atto di questa evidenza significa comprendere la storia europea degli ultimi sessant’anni e, quel che più conta, riprendere coscienza del ruolo fondamentale che un blocco eurasiatico forte potrebbe rivestire di fronte allo strapotere di un popolo, passato, come diceva de Tocqueville, dall’infanzia alla vecchiaia senza aver conosciuto la maturità. Buona lettura.

Alessandra Colla

Introduzione

1. La disinformazione sugli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono la nazione più famosa del mondo. Chi non conosce la loro bandiera e il nome del loro presidente? La maggioranza ha anche nozioni della loro storia, delle loro imprese nazionali più rimarchevoli, del loro assetto sociale. In Europa poi gli Stati Uniti sembrano essere di casa: attraverso i loro film e romanzi, sistematicamente doppiati e tradotti, e attraverso i notiziari televisivi e gli articoli di giornale che quotidianamente parlano di loro, gli europei pensano di sapere tutto su questo grande paese.

Eppure gli Stati Uniti sono in realtà profondamente sconosciuti. Ben poco di ciò che all’estero si sa degli USA corrisponde esattamente alla verità. Di loro si sa tutto, ma sempre, in ogni caso, in maniera più o meno distorta, incompleta, fuorviarnte.

Soprattutto è travisato il senso della realtà americana nelle sue manifestazioni all’interno e all’estero. Ciò è dovuto a due motivi fondamentali.

Il primo è che gli Stati Uniti rappresentano una civiltà a sé stante. Essi hanno naturalmente dei punti di contatto con la civilizzazione europea, molto nota nel mondo e dalla quale derivano, ma hanno sviluppato una propria peculiarità sostanziale. Il loro modo di essere e le loro azioni rispondono a una logica interna la cui interpretazione per uno straniero non è né ovvia né scontata. Tutti sanno, per esempio che gli americani amano il danaro (che chiamano, non si sa quanto ironicamente, “Almighty Dollar” — Dollaro Onnipotente) e si ritiene questo fatto “comprensibile”: chi non ama il danaro? Invece l’attaccamento americano per il danaro è qualitativamente unico, difficile da capire fino in fondo per un arabo o per un indiano, e anche per un europeo. Eppure il rapporto morboso con il danaro sta proprio alla base della loro società, avendone persino sterminato sin dall’inizio tutta la politica estera, cioè i rapporti con le altre società, con il resto del mondo. Uomini diversi compiono spesso le stesse azioni, ma generalmente lo fanno per motivi diversi: ecco che la comprensione esatta dei fatti americani da parte degli altri popoli del mondo, dotati di mentalità diverse, è di per sé problematica e spesso fonte di equivoci. In particolare per quanto riguarda proprio gli europei: i punti in comune, che sono superficiali, fanno sottovalutare la sostanziale differenza di fondo. Naturalmente questa difficoltà di comunicazione fra modelli di civiltà è reciproca, e li riguarda tutti. Nel caso degli Stati Uniti, però, il problema è aggravato ulteriormente, in modo artificiale, da motivazioni politiche.

Il secondo motivo per cui all’estero è travisato il senso della realtà e delle azioni degli americani risiede, infatti, in una scelta specifica del governo americano, sostenuta dai media del paese. Al riguardo mi permetto di rimandare al mio Vecchi Trucchi. Le strategie e la prassi della politica estera americana (1): chi lo avesse già letto può fare a meno di soffermarsi su questa parte e passare al capitolo successivo; altrimenti è necessaria la sintesi seguente.

Gli Stati Uniti sono un’oligarchia mercantile a base piuttosto larga; diciamo che vi si identifica un quinto della popolazione, quello che detiene il 90% della ricchezza nazionale, il 5% del quale detenendone la metà (2). I due unici partiti rappresentano solo il contrasto fra creazione e conservazione della ricchezza disponibile all’interno della classe dominante: il Partito Democratico, sostenuto dal grande capitale e dalle masse di salariati, rappresenta il capitale dinamico, insoddisfatto, in movimento; il Partito Repubblicano, votato dalle classi medie, rappresenta gli interessi del capitale statico, soddisfatto. Per il resto all’interno della classe dominante americana c’è una solida concordanza di vedute sull’assetto della società e sui valori da sostenere. In particolare sullo scopo del governo federale: mantenere lo status quo all’interno e promuovere, incrementare e proteggere le attività economiche all’estero di quei membri della classe dominante che vi operano, anche singolarmente, ma di norma sotto forma di società commerciali (che attualmente sono migliaia; le più grandi sono chiamate multinazionali). La politica estera americana, così, ha sempre avuto come unico scopo lo sfruttamento commerciale mondiale a favore di quelle sue entità private che vi si dedicano. Tale sfruttamento — chiamato American Neo-Colonialism dagli stessi studiosi statunitensi (3) — si è nel tempo maggiormente indirizzato nei punti di minor resistenza, e non è mai stato indolore. Attualmente la maggior parte dei paesi del Terzo Mondo — tutta l’America Centrale e del Sud a eccezione di Cuba, mezza Africa, mezzo Medioriente e diversi paesi del Pacifico — altro non è che l’insieme di tante colonie de facto americane (tante neocolonies), e i metodi per raggiungere e mantenere l’obiettivo sono stati e sono i più sanguinosi: colpi di Stato cruenti, la cui enumerazione è di lunghezza improponibile; omicidi diretti e per procura di decine di personalità politiche di primo piano in altrettanti paesi diversi; operazioni di counterinsurgency stragistiche appoggiate logisticamente o eseguite direttamente dalla Delta Force (ex Green Berets) — ultimo caso, ma solo in ordine di tempo, quello dei ricorrenti mitragliamenti effettuati da elicotteri ai danni di raccoglitori di banane guatemaltechi in sciopero contro la United Brands (ex United Fruits); organizzazione, addestramento e finanziamento di infiniti gruppi di guerriglia e “Squadroni della Morte” in America Latina, Africa, Asia e bacino del Pacifico. Senza contare le guerre sostenute direttamente dagli Stati Uniti, tutte combattute in buona sostanza per lo stesso scopo, compresi i due conflitti mondiali.

Orbene, tale vasta opera di nefasta ingerenza in tanti paesi esteri non poteva essere eseguita senza una altrettanto vasta opera di propaganda, necessaria per confondere il pubblico internazionale sulle proprie intenzioni, e anche sulla propria natura. In poche parole gli USA, da quella entità così pericolosa per il mondo quale realmente è — un’impresa commerciale amorale e armata, che non deve rispondere delle proprie azioni a nessun tribunale — dovevano invece apparire come la patria della Libertà, i paladini della Pace, i difensori dei Diritti Umani, i garanti di ogni Religione. E ciò nonostante i fatti oggettivi fossero sotto gli occhi di tutti a provare il contrario: un paese retto da un sistema oligarchico, che ha sempre sostenuto dittature rovinose all’estero e che ha sempre tenuto migliaia di detenuti politici all’interno (con punte elevatissime nei periodi della Red Scare del 1920/22, dell’Era McCarthy del 1950/54 e della repressione delle Pantere Nere nei primi anni Settanta); che dalla sua fondazione ha compiuto più di duecento fra guerre e interventi armati all’estero, nei confronti di circa 70 paesi diversi, inventando in questo percorso la Guerra Totale (4) e usando le bombe nucleari; che per la sua politica schiavista ha provocato la morte di circa 40 milioni di persone dal 1619 al 1860 (5), di circa 5 milioni dal 1630 al 1890 per la sua politica nei confronti degli indiani (6), e di circa 30 milioni dal 1945 a tutt’oggi per la sua ancora attuale politica neocolonialista (7); che ha scritto In God We Trust sulle sue monete (nel pieno di quella sua Guerra Civile che fece quasi un milione di morti) e impresso un simbolo equivoco sul suo biglietto da un dollaro (come ha anche rilevato il prof. Climati in Italia, la piramide interrotta da un grande occhio è il simbolo esclusivo di una setta segreta inglese del Settecento).

Nell’agosto del 1953 fu creata, su iniziativa del Segretario di Stato J.F. Dulles, un’Agenzia federale apposita, l’United States Information Agency (USIA). Al momento l’USIA risiede al 301 IV South West Street di Washington e l’attuale direttore, che naturalmente dipende dal Segretario di Stato, si chiama Joseph Duffey.

L’Agenzia dispone oggi di un budget di circa 3 miliardi di dollari (circa 5.000 miliardi di lire) e impiega circa 30.000 dipendenti, molti dei quali sparsi in più di 300 centrali operative situate in un centinaio di paesi esteri. Diversi dipendenti sono dislocati presso Ambasciate americane all’estero e presso altre agenzie federali, in particolare CIA, FBI, DEA, Peace Corps e Red Cross, Pentagono.

Lo scopo dell’USIA si rileva direttamente da una sua pubblicazione degli anni Sessanta, non essendo da allora mai stato modificato:

«Influenzare le opinioni e le attitudini del pubblico estero in modo da favorire le politiche degli Stati Uniti d’America… [all’uopo avendo] il compito di descrivere l’America e gli obiettivi e le politiche americane ai popoli di altre nazioni in modo da generare comprensione, rispetto e, per quanto possibile, identificazione con le proprie legittime aspirazioni» (8)

Il primo compito dell’USIA fu di applicare un filtro alle notizie diffuse all’estero circa le attività della Commissione McCarthy, che avevano appena iniziato a circolare ma che già minacciavano di danneggiare l’immagine del Paese all’estero, e contemporaneamente di bilanciarne l’effetto con l’emissione massiccia di altre informazioni — vere in parte o del tutto inventate — che suggerivano l’immagine di un Paese genuinamente democratico, preda di una fobia passeggera. Quindi l’attività dell’USIA continuò secondo lo scopo affidatole per legge dal Congresso. Curarel’immagine degli USA significa fare in modo che nel mondo giungano notizie e informazioni di carattere politico, sociale e culturale sugli stessi il più coerenti possibile con quell’idea di sé che essi vogliono trasmettere e con lo stereotipo che vogliono costruire.

L’USIA dispone di media suoi propri. Essa gestisce la VOA (Voice of America), una potentissima rete di trasmissioni radio che verso la metà degli anni Sessanta diffondeva 790 ore di programmi alla settimana in tutto il mondo e in quasi tutte le lingue. Per l’Europa Occidentale, negli ultimi anni queste trasmissioni sono state fortemente ridotte, proprio quando, nel corso del suo viaggio in Africa del marzo 1998, il presidente Clinton ha annunciato il potenziamento della VOA per l’Africa con l’aggiunta del servizio “Radio Democrazia per l’Africa”, che trasmetterà in nove lingue e sarà ricevuto in 19 paesi. L’USIA pubblica direttamente, benché non palesemente, un grande numero di giornali, riviste, fumetti sui più svariati argomenti — politici, storici, sociali, scientifici, ricreativi. Sempre intorno alla metà degli anni Sessanta essa pubblicava 66 riviste e periodici vari, in 28 lingue, per una tiratura di circa 30 milioni di copie annue (i dati sull’attività editoriale dell’USIA sono noti con precisione solo per quel periodo, grazie a una fortuita “finestra” che si aprì allora: l’USIA è un’agenzia pubblica nell’esistenza ma segreta nella reale operatività, proprio come la CIA). Tutta questa produzione è diretta all’estero: una legge del Congresso del 1948 — lo Smith-Mundt Act — autorizza il governo a diffondere notizie false o deformate ma ne proibisce nel contempo la «circolazione negli USA, i suoi territori e possedimenti».

Quindi c’è la manipolazione dell’informazione interna, che non è limitata dallo Smith-Mundt Act, e che è condotta principalmente in collaborazione con la CIA e non con l’FBI come sarebbe lecito pensare, dato che per legge la CIA non può operare sul territorio nazionale. A parte il fatto che tale legge è disattesa, la cosa più importante è il modo in cui i media americani riportano gli eventi esteri, visto che sono poi seguiti da quelli internazionali — e per l’estero la CIA ha più competenza dell’FBI. La CIA assolve tale compito di influenza occulta sull’apparato informativo e culturale americano con gli stessi sistemi usati all’estero: finanziamenti clandestini ad agenzie di stampa, giornali, riviste, reti televisive e radiofoniche, università e istituti privati vari; doppie paghe, o una tantum, favori vari elargiti a dipendenti e funzionari delle stesse realtà — giornalisti, commentatori televisivi, docenti — e lo stesso con operatori indipendenti del campo dell’informazione e della cultura — scrittori, saggisti, syndacated columnists — e infine tramite infiltrati veri e propri, agenti che la CIA fa assumere in quegli enti garantendo loro una carriera sicura. Per quanto riguarda gli scrittori, si sa che fino al 1967 CIA e USIA finanziarono la pubblicazione negli USA di più di mille libri (9), tutti di autori abbastanza insospettabili. Molti di questi libri furono anche tradotti in altre lingue. All’estero, dal 1967 al 1976 CIA e USIA fecero pubblicare almeno 250 libri, fra cui The New Class di Milovan Gilas, The Dynamics of Soviet Society di Walter Rostow, From Colonialism to Communism di Hoang Van Chi (10). Non si sa nulla di tali attività editoriali in USA dopo il 1967 e all’estero dopo il 1976. Si conoscono invece alcuni media infiltrati da CIA-USIA.

Abbiamo i quotidiani New York Times, Washington Post, Miami Herald, Newsday, Louisville Courier Journal e una miriade di altri giornali locali come il Los Angeles Times, il Chicago Tribune; le riviste Newsweek, Time, Time-Life, Reader’s Digest, National Review, Commentary, The New Republic, The Washington Quarterly; le agenzie di stampa Associated Press, UPL e Copley News Service; la catena editoriale Hearst (nel 1974 la figlia di Randolph Hearst, Patricia, fu rapita dal Symbionese Liberation Army, un gruppo di guerriglia urbana); le reti televisive nazionali (networks) ABC, NBC, CNN e CSPAN; l’istituto di indagini demoscopiche Gallup (la cui filiale cilena ebbe un ruolo nel colpo di Stato del 1973 che rovesciò Salvador Allende). Fra le migliaia di giornalisti in simbiosi con USIA-CIA i più noti in Italia sono Michael Ledeen (che collaborava con il Giornale Nuovo di Montanelli), Claire Sterling, Harrison Salisbury, William Laqueur, Edward Luttwak (esperto di strategia militare spesso intervistato dalla televisione di stato italiana), Cyrus Sulzberger, Hal Hendrix, William F. Buckley (sospettato di essere tra i mandanti dell’omicidio dell’ambasciatore cileno Orlando Letelier (11). Fra gli scrittori occorre citare almeno William P. Blatty (The Exorcist, in italiano L’Esorcista), che fu per anni un agente della CIA specializzato in propaganda, e Tom Clancy (Red October, in italiano Caccia a Ottobre Rosso), cui Pentagono e CIA forniscono informazioni esclusive in cambio di romanzi utili dal punto di vista propagandistico.

A nessuno può sfuggire l’importanza di Hollywood — inteso come il mondo della filmografia e dello spettacolo americano in generale — nella formazione dell’opinione sugli Stati Uniti presso l’immaginario collettivo nel mondo. É proprio in base ai suoi prodotti, in particolare ai suoi film, che la grande maggioranza del pubblico internazionale si forma un’idea della realtà americana, nei suoi aspetti di attualità e di storia. Così su Hollywood viene effettivamente esercitato un controllo speciale. Contrariamente a quanto comunemente si ritiene, Hollywood non è affatto un’industria dello spettacolo indipendente, che a soli fini di cassetta lasci ai suoi protagonisti completa libertà di manifestare il loro talento artistico o almeno espressivo. Tutt’altro. Essa è obbligata dal governo a confezionare prodotti in linea con la retorica di Stato, e cioè prodotti che, oltre a creare profitti, siano anche utili o almeno non nocivi propagandisticamente e atti a veicolare lo stereotipo voluto.

L’asservimento di Hollywood alle esigenze della propaganda di Stato inizia nel 1947, quando i produttori, soggetti a gravi intimidazioni da parte del governo, sottoscrissero la cosiddetta Dichiarazione del Waldorf e continua tuttora con la supervisione — a partire dal 1953 — dell’USIA. Ma ad Hollywood, vista la sua importanza per la politica americana e vista la sua notorietà nel mondo, sarà dedicato un paragrafo specifico più avanti.

Tutto questo benché negli USA ci sia certamente la libertà di stampa e di espressione politica e culturale. Infatti, trovando l’editore o il produttore disponibile (cosa di per sé non facile), si possono produrre — e vengono prodotti — libri o film anche molto critici nei confronti del governo o dell’American Way of Life. A patto, naturalmente, che non abbiano una diffusione significativa. Se l’opera ha successo cominciano i problemi (con la DEA, con l’IRS, con l’FBI, con lo sceriffo della contea o con la polizia municipale ecc.), e l’opera stessa silenziosamente inizia a scomparire, finendo col diventare reperibile solo in qualche biblioteca, in qualche cineteca, in qualche libreria irriducibile (che sono un paio di dozzine in tutti gli Stati Uniti, concentrate in cinque-sei grandi città).

La situazione del complesso informativo-culturale americano fu descritta con buona precisione da William F. Pepper nella sua prefazione al libro Death in Washington. The Murder of Orlando Letelier, pubblicato nel 1980. Scrisse Pepper:

«Questo volume e importante… anche perché, a mio giudizio, si riferisce ad un problema di gran lunga più pervasivo negli Stati Uniti di oggi, che costituisce forse la più seria minaccia alla libertà: il premeditato utilizzo da parte di strutture governative e semigovernative di tecniche di informazione di massa allo scopo di forgiare l’opinione e le attitudini del pubblico nei riguardi di eventi storici di grande significato. L’uso estensivo di campagne di informazione e strategie e tecniche tese a forgiare opinioni nel pubblico è stato sviluppato durante gli ultimi venti anni negli Stati Uniti con una sofisticazione ineguagliata nella storia sia della politica sia delle comunicazioni. Il rispetto del Primo Emendamento da parte dei poteri pubblici e privati sembra più che mai basarsi sull’intesa che su argomenti critici gli organi d’informazione faranno in modo di mantenere il dissenso entro limiti tollerabili. In pratica, allora, in ogni significativa istanza di copertura e commento di notizie importanti, professionisti dell’informazione collegati al potere, ben piazzati in posizioni editoriali e direttive, riportano, analizzano e gestiscono le notizie in modo da proteggere quelli che essi percepiscono essere i loro (e naturalmente della nazione) interessi vitali. Questa gestione dell’informazione si estende dai più potenti network televisivi di massa ad agenzie di stampa, giornali, periodici, stazioni radiofoniche locali e nazionali e, naturalmente, a cinematografia, industria editoriale, teatro. In effetti, il crescente intreccio di molte di quelle entità nell’ambito delle stesse strutture aziendali rende la gestione integrata delle notizie ancora più efficiente, benché non immediatamente visibile. Il signor Freed cita l’articolo del 1977 di Carl Bernstein, nel quale quest’ultimo sosteneva che più di 400 “agenti” stavano lavorando in posizioni chiave nel mondo dell’informazione, e che ogni grande pubblicazione o stazione televisiva e radiofonica, così come molte di quelle più piccole, erano infiltrate. Nominativi specifici, come quelli di De Toledano, Lardner, O’Leary, Hobbing, Hendrix e i Buckley possono essere ritenuti come la punta di un vasto iceberg di disinformazione sponsorizzato dalle strutture dedite allo spionaggio e dalle aziende multinazionali americane» (12).

Quindi tutta questa massa di informazioni sugli Stati Uniti, che necessariamente nasce negli Stati Uniti, prodotta dai suoi media, si trasferisce all’estero. Ciò avviene autonomamente. L’USIA si occupa però di agevolare fattivamente l’esportazione di quei prodotti ritenuti particolarmente adatti dal punto di vista politico e culturale. Un esempio di tali prodotti è senz’altro la rivista Reader’s Digest, esportata e tradotta in quasi tutto il mondo. Non bisogna poi dimenticare che molti media americani sono esportati o comunque noti all’estero in forme diverse dall’originale. Per esempio le trasmissioni della CNN all’estero non contengono tante interruzioni pubblicitarie come quelle dirette negli USA. Le scene di nudo che eventualmente compaiono nei film americani trasmessi all’estero sono assenti nelle versioni proiettate negli USA.

Fra i prodotti dei quali l’USIA cura l’esportazione ci sono naturalmente anche creazioni sue proprie, come molti documentari sulla Russia e sulla Cina girati in Montana e a Taiwan, e fatti circolare tramite insospettabili distributori internazionali.

Notissimo è il caso del cartone animato tratto dal romanzo di Orwell Animal Farm (La fattoria degli animali), fatto realizzare da una grande ditta specializzata americana e distribuito gratuitamente in tutto il mondo, Italia compresa, tramite un’agenzia inglese (13). Fra le creazioni dell’USIA compaiono moltissime notiziole e aneddoti storici distorti o completamente falsi immessi nel circolo dell’import-export culturale internazionale. Per esempio l’italiana La Settimana Enigmistica n. 3053 del 29/9/90 riportava, fra le notizie curiose, che la famosa dentiera di George Washington era realizzata con denti d’alce. Secondo James Flexner, suo più autorevole biografo, Washington portava una dentiera fatta con denti umani, fissati con rivetti d’oro a due archi in avorio di ippopotamo (14). Era così, infatti, che in quei tempi negli Stati Uniti venivano realizzate le dentiere. I denti provenivano da bianchi in miseria, che se li facevano estirpare per danaro, e dagli schiavi neri, cui erano tolti a forza. La cosa ha rilevanza politica e culturale: sapere che l’eroe della Guerra di Indipendenza americana mangiava e rideva coi denti strappati magari a uno dei suoi 300 schiavi neri o acquistati per quattro soldi da un compatriota in miseria non è in linea con l’immagine della storia americana che si vuole trasmettere. Negli USA la credenza comune, diffusa nelle scuole medie locali, è che la dentiera di Washington fosse di legno.

C’è quindi l’influenza esercitata dall’USIA — essenzialmente tramite la CIA — sulle agenzie di stampa internazionali e nazionali. I casi accertati con sicurezza riguardano l’inglese Reuter, la francese France Press, l’italiana ANSA. L’influenza avviene nei soliti modi, facilitata dalla massiccia presenza americana nel settore delle comunicazioni mondiali. Ci sono anche agenti della CIA infiltrati: negli anni Sessanta il corrispondente dell’ANSA da Montevideo — tale Fernando Chavez — era un agente locale della CIA (15).

Infine c’è l’influenza esercitata sui media locali dei vari paesi. Per darne un’idea conviene riportare alcuni degli oltre 600 mezzi di comunicazione controllati dalla CIA negli anni ’60-’70 in America Latina, rivelati dall’ex agente della medesima Philip Agee (16):

􀂐 Agenda Orbe Latinoamericano (agenzia di stampa che serve quasi tutta l’America del Sud)

􀂐 Agribusiness Development Incorporated (LAAD)

􀂐 Alliance for Anti-Totalitarian Education

􀂐 American Federation of State, County and Municipal Employees

􀂐 American Institute for Free Labor Development (AIFLD)

􀂐 American Newspaper Guild

􀂐 Anti-Communist Christian Front

􀂐 Anti-Communist Front

􀂐 Anti-Communist Liberation Movement

􀂐 Association of Friends of Venezuela

􀂐 Association of Preparatory Students

􀂐 Brazilian Institute for Democratic Action

􀂐 Catholic Labor Center (CEDOC)

􀂐 Catholic University Youth Organization

􀂐 Center for Economic and Social Reform Studies (CERES)

􀂐 Center of Studies and Social Action

􀂐 “Combate” (una rivista studentesca finanziata da Alberto Rocas, agente CIA a Montevideo)

􀂐 Committee for Liberty of Peoples

􀂐 Communication Workers of America (CWA, un sindacato statunitense)

􀂐 Coordinating Committee of Free Trade of Unionists of Ecuador (un sindacato dell’Ecuador)

􀂐 Coordinating Secretariat of National Unions of Students (COSEC, più tardi conosciuto come International Student Conference)

􀂐 Cuban Revolutionary Council (organizzazione di esuli cubani)

􀂐 Democratic Revolutionary Front (FRD, organizzazione di esuli cubani)

􀂐 Ecuadorian Anti- Communist Action

􀂐 Ecuadorian Anti-Communist Front

􀂐 Ecuadorian Confederation of Free Trade Union Organization (CEOSL, sindacato dell’Ecuador)

􀂐 “Ensayos” (rivista culturale)

􀂐 European Assembly of Captive Nations

􀂐 Federation of Free Workers of Guayas (un sindacato)

􀂐 Guayas Workers Confederation (COG, un sindacato)

􀂐 Institute of Political Education

􀂐 Inter-American Labor College

􀂐 The Inter-American Regional Labor Organization (ORIT)

􀂐 International Catholic Youth Organization

􀂐 International Commission of Jurists (ICJ, associazione di avvocati)

􀂐 International Federation of Petroleum and Chemical Workers

􀂐 International Federation of Women Lawyers

􀂐 International Student Conference

􀂐 International Transport Workers Federation

􀂐 Labor Committee for Democratic Action

􀂐 Mexican Workers Confederation (CTM, il sindacato del Partito Rivoluzionario Istituzionale, che da sempre governa il Messico)

􀂐 National Catholic Action Board

􀂐 National Defence Front

􀂐 National Femminist Movement for the Defence of Liberty

􀂐 National Student Association

􀂐 National Youth Council

􀂐 Oil Workers International Union

􀂐 Popolar Democratic Action

􀂐 Popular Revolutionary Liberal Party (partito politico dell’Ecuador)

􀂐 Public Service International

􀂐 Revolutionary Liberal Movement (MLR, partito politico della Colombia)

􀂐 Student Movement for Democratic Action

􀂐 Uruguayan Committee for Free Determination of Peoples

􀂐 Uruguayan Committee for the Liberation of Cuba

􀂐 Uruguayan Confederation of Workers (CUT, organizzazione sindacale formata nel 1970)

􀂐 Uruguayan Labor Confederation

􀂐 “Voz Universitaria” (rivista studentesca di Quito)

􀂐 World Confederation of Labor

􀂐 Editors Press Service (un’agenzia di stampa)

􀂐 Inter-American Federation of Working Newspapermen (IFWN, un sindacato di giornalisti)

􀂐 International Federation of Journalists – National Union of Journalists

􀂐 Radio Free Europe

􀂐 Radio Liberty

􀂐 Pax Romana

Influenze analoghe sono state esercitate a partire dal 1953 in altre grandi parti del mondo, in Africa, Medioriente, nel bacino del Pacifico. Anche l’Europa Occidentale ne è stata interessata, e l’Italia. Tali influenze continuano ancora. Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che molti dati riguardanti le attività di USIA-CIA, su questa come su altre pubblicazioni, si riferiscono a situazioni di anni fa. C’è un ritardo fisiologico dovuto al carattere segreto di tali attività; alcune volte le medesime non vengono mai alla luce. Ciò non significa che — al presente — esse non siano operanti. Non bisogna poi ritenere tali attività delle peculiarità della Guerra Fredda, finite o sospese con essa. La loro giustificazione infatti non è mai risieduta nella Guerra Fredda, bensì nella politica neocolonialista statunitense, cui la Guerra Fredda offriva una comoda mimetizzazione. E la politica neocolonialista statunitense non è certamente cessata con la caduta del Muro di Berlino.

Il risultato della disinformazione promossa a livello mondiale dall’USIA è incontestabile. A parte il livello politico (non è forse vero che i nemici degli USA — Castro, Gheddafì, Saddam Hussein, Noriega ecc. — li sentiamo un po’ come nemici nostri?), è sorprendente l’efficacia di tale azione a livello culturale di percezione della realtà americana. Pur avendone certamente sentito parlare o letto qualcosa, chi si rende davvero conto della portata dei mali di quella realtà? Chi ne conosce il vero livello di povertà (17), di inadeguatezza delle leggi sul lavoro (18), di criminalità (19), di diffusione dell’analfabetismo (20), di disagio dei nuclei familiari (21), di uso di pratiche sociali immorali come compravendita di bambini, contratti di procreazione, commercio di organi, sangue e seme umani (22), di malessere e sfruttamento dei minori (23), di frequenza di malattie mentali (24)?

Il pubblico del Mondo Libero non si rende conto della manipolazione e — se messo in guardia — non ci crede. Infatti tutto nasce sostanzialmente dai media degli USA, dove è senz’altro presente la libertà di stampa, e ognuno, pensando al proprio paese, nel quale analogamente c’è la stessa libertà, trova inverosimile una distorsione, una selezione e anche una falsificazione della propria realtà da parte dei propri  media così vasta, omogenea e coerente nello spazio e nel tempo come quella che si accusa di esercitare ai media americani. Non pare possibile che una tale cosa possa essere concertata dal solo governo in un paese libero.

Interviene qui la difficoltà di interpretare civilizzazioni altre di cui si parlava all’inizio. Come si coglieva anche nelle considerazioni di William Pepper i media americani si rendono pienamente conto dell’indirizzo voluto dal governo, che non è mai difficile intuire, e vi collaborano spontaneamente. Ciò accade per tutti i settori in cui si crea informazione, cultura, spettacolo. Così si espresse lo scrittore inglese William Blum, trascurando al momento quell’intervento governativo che poi lui stesso narrerà più avanti:

«La censura di fatto che lascia tanti americani virtualmente analfabeti circa la storia delle faccende estere degli Stati Uniti può darsi che sia la più efficace precisamente perché non è ufficiale, brutale o cospiratoriale, ma intrecciata spontaneamente nel tessuto dell’educazione e dei media. Gli editori del “Reader’s Digest” e di “US News and World Report” non hanno bisogno di incontrarsi di nascosto con l’uomo della NBC in un nascondiglio dell’FBI per pianificare le storie e i programmi del mese dopo; perché la semplice verità è che questi uomini non avrebbero raggiunto la posizione che hanno se loro stessi non fossero stati guidati attraverso lo stesso tunnel di camuffamenti di storie e non ne fossero emersi con la stessa memoria selettiva» (25).

Il fenomeno è analogo a quanto osservato dal diplomatico italiano Carlo Sforza (1872-1952) a proposito dei media inglesi e dell’oro del Katanga:

«Strana com’è, questa doppia coscienza morale e politica… ricorda uno dei preziosi doni ricevuti per grazia divina dal popolo inglese: l’azione simultanea, in quelle isole (quando è in gioco un importante interesse inglese), di uomini di Stato e diplomatici che febbrilmente lavorano per ottenere alcuni concretissimi vantaggi politici e, dall’altra parte (e senza alcuna intesa preventiva), uomini di Chiesa e scrittori eloquentemente affaccendati a dimostrare le più alte ragioni morali per appoggiare l’azione diplomatica che sì sta svolgendo a Downing Street. Tale fu il caso del Congo belga: il dominio inglese era stato là in forza per anni; ma, ad un certo momento, si trovò l’oro nel Katanga, la provincia congolese più vicina ai possedimenti inglesi; ed arcivescovi ed altre pie persone cominciarono all’improvviso una violenta campagna di stampa per stigmatizzare le atrocità dei belgi nei confronti dei neri. Quello che è sorprendente, e realmente imperiale, è che quei vescovi e quelle altre pie persone erano ispirati dalla più perfetta buona fede cristiana, e che nessuno stava tirando i fili dietro di loro» (26).

Di che si tratta? Si tratta della generale tendenza americana a formare gruppi per difendere un interesse comune, di norma economico. Gli abitanti di un quartiere minacciato dalla microcriminalità formano un comitato (Neighborhood watch) per difendersi, con l’obiettivo inconfessato di non far cadere il valore delle proprietà. Lo stesso fanno gli abitanti di un quartiere interamente bianco quando vi trasloca una famiglia nera: il valore degli immobili della zona calerebbe. Allo stesso modo i gruppi di colonizzatori del West si univano in armi con grande facilità per sterminare gli indiani della loro zona. Le aziende di uno stesso settore si uniscono in una lobby per difendere i loro interessi presso il Congresso. E così via. Questo meccanismo scatta a livello della classe dominante: tutti i suoi membri si rendono conto di avere un interesse comune nel successo della Ditta America nel mondo. Sanno che per questo successo è fondamentale curare una certa immagine degli USA, all’interno e all’estero, raccontare le cose in un certo modo, quello della retorica di Stato imparata nelle scuole e da molti anni consolidata (gli Stati Uniti ricchi e democratici, difensori della pace e della religione eccetera). E così fanno. Questo meccanismo dell’unione per l’interesse — non ancora studiato dalla psicologia e che io chiamerei Effetto Sforza — è assente nella generalità del resto del mondo e quindi non è capito.

Non rimane che una considerazione, valida soprattutto per l’Europa Occidentale.

Da quanto detto risulta che i suoi media nazionali, in particolare i suoi corrispondenti televisivi e giornalistici dagli USA, ci fanno una meschina figura. Il fatto è che, sia per motivi politici sia per la dominanza esercitata dagli USA nel sistema informativo internazionale, negli organi di informazione nazionali a grande diffusione non si fa carriera dicendo la verità sugli Stati Uniti. I corrispondenti mandati negli USA escono da tale selezione e in più, una volta in loco, sono nella bocca del leone: se inviano servizi “sbagliati” trovano impossibile continuare a esercitare il loro lavoro per ostacoli vari che cominciano a sorgere, e sono richiamati in patria. Spesso questi giornalisti cadono nella trappola del mondo mediale americano, e cominciano sinceramente a vedere le cose attraverso quelle lenti. Senza contare che, come tutti sanno, a giornalisti e scrittori ritenuti nocivi dall’USIA non è concesso il visto di ingresso negli USA. Valga per tutti il caso di Gabriel Garcia Marquez, colpevole di avere detto che il famoso massacro di raccoglitori di frutta in sciopero avvenuto nel 1928 in Colombia era stato ordinato dalla United Fruits — una verità storica.

In conclusione, per i motivi esposti la notorietà degli Stati Uniti nel mondo è più apparente che reale. Questo libro mira a contribuire a colmare tale lacuna sostanziale, una lacuna — in realtà — di prospettiva storica. Perciò, più che una cronologia di eventi — tutti più o meno già noti nella loro meccanica — sarà trattato l’esatto significato dei fatti salienti della storia americana. Nella Parte I sarà spiegata la genesi della civilizzazione americana, nata dalla Riforma Protestante, e sarà analizzato anche (in breve) il suo significato reale, in verità sinora non ben capito. Nella Parte II sarà descritta la formazione della federazione americana sino agli attuali confini e le motivazioni che la accompagnarono. Nella Parte III saranno trattati monograficamente alcuni temi significativi della odierna realtà americana, visti nella loro prospettiva storica. Un rilievo particolare sarà dato ai Puritani e alla Costituzione del 1787, riportata integralmente insieme con i suoi Emendamenti e volutamente non in appendice: sono i due pilastri della nazione americana. La politica estera americana post-1945 è stata ampiamente trattata nel mio già citato Vecchi Trucchi. Le strategie e la prassi della politica estera americana, e sarà qui praticamente sintetizzata nell’ultimo capitolo. Un dettaglio tecnico assai importante per interpretare correttamente la politica estera di un paese è l’analisi delle sue capacità o incapacità militari; per quelle americane mi permetto ancora di rimandare al mio Sacrifici Umani (v. nota 4). Nel paragrafo seguente è esposto nelle sue linee essenziali il modello di interpretazione storica seguito nell’opera in oggetto. É un modello abbastanza nuovo, anche se ovvio, ed è allora opportuno spendere qualche parola al riguardo.

2. La psicologia della storia

La Storia è storia di azioni e di relazioni umane. Al centro stanno l’uomo e le sue aggregazioni. Trattando una Storia, anche la più piccola, è allora necessario avere un’idea di come funziona la mente umana e di come funzionano, sempre dal punto di vista psicologico, le società. La Storia si presenta poi come un insieme di effetti, che per forza hanno delle cause. Mentre è agevole la narrazione degli effetti, che si presentano come accadimenti, non lo è tanto per l’individuazione delle cause, che risalgono sempre a delle volontà umane, le quali ultime però non sono quasi mai, o mai, oggettivamente espresse, né tantomeno lasciate scritte in documenti per contemporanei e posteri. È allora importante, in particolare, sapere in base a quali meccanismi si forma la volontà umana.

Non è necessario addentrarsi troppo nella psicanalisi e nella psicologia; in relazione alla Storia sono sufficienti pochi concetti. Tutto va come se la mente fosse formata da un nucleo irrazionale o a-razionale, rivestito da un involucro protettivo razionale o razionalizzatore. Nel nucleo sta la percezione basilare, o esistenziale, della realtà da parte del soggetto, che si può descrivere come un insieme di valutazioni, certamente indimostrate e indimostrabili, su ogni aspetto del reale, o di ciò che lui percepisce come tale. Queste valutazioni costituiscono una specie di DNA del carattere dei singoli individui, nel senso che esso vi trova una giustificazione implicita per ogni sua manifestazione. Particolarmente importanti per quanto riguarda la Storia sono due di queste valutazioni, o idee: quella riguardante la presenza o meno di un Dio, o di dèi, e quella riguardante la propria collocazione di uomo fra gli altri uomini. La prima richiede una scelta fra ateismo e religiosità, la quale potrà poi svilupparsi in vari modi e forme; la seconda sostanzialmente opera una scelta fra visione collettivista e visione individualista della società. La visione collettivista potrà essere più o meno estesa (dalla tribù al genere umano) e quella individualista potrà assumere connotazioni anche qualitativamente diverse. Questo nucleo è in genere chiamato dagli specialisti inconscio o semi-conscio.

L’involucro protettivo è la ragione umana, ed è in genere chiamato coscienza. La ragione umana — lo dice la parola — dà una ragione, un motivo, una giustificazione a tutto. In particolare essa dà una giustificazione al proprio nucleo, cioè al proprio modo di essere. É una autogiustificazione, o autoassoluzione; una necessaria e vitale azione di legittima difesa, di protezione. In altre parole: uno prima è fatto in un certo modo e vede le cose in un certo modo, e poi trova tanti motivi oggettivi, logici, razionali per giustificare il tutto. Naturalmente la coscienza non è completamente schiava del nucleo: è una funzione anch’essa potente e può arrivare a identificare, e anche criticare e bloccare, le pulsioni profonde del nucleo. L’involucro comunque tende a razionalizzare un modo di percepire la realtà di per sé irrazionale, acritico.

Ciò non significa che questo modo debba per forza essere sbagliato. La realtà è oggettiva, fatta in un certo univoco modo, e il nucleo può afferrarne esattamente alcuni aspetti, o anche tutti; è la selezione della Storia a dire, nei suoi tempi lunghi, chi ha meglio interpretato la realtà. Cosa molto importante per la comprensione della Storia è che questa autogiustifìcazione si presenta anche sotto la forma di adesione a corpi dottrinari, cioè a ideologie e soprattutto a religioni. Questo indipendentemente dalla eventuale presenza nel nucleo dell’idea di ateismo. Il fatto è che le razionalizzazioni riguardano quelle categorie del nucleo che più premono al soggetto.

C’è un interesse nell’operazione.

Il nucleo ha una capacità di elaborazione autonoma, indipendente dalla coscienza, alla quale è anteriore. In effetti si potrebbe anche dire che il nucleo è la parte animale del cervello umano. Le sue percezioni basilari del reale si formano nei primissimi anni di vita, e sono largamente influenzate dall’ambiente, di norma dai genitori e in particolare dalla madre, che vi esercita una sorta di imprinting (la mano sulla culla·che domina il mondo). Tali idee saranno poi di norma stabili per tutta la vita, protette dall’involucro razionalizzatore. E ciò nonostante l’autonoma interazione del nucleo con l’ambiente non cessi mai: ogni cosa che passa attraverso i sensi, anche se non avvertita a livello di coscienza, arriva in effetti al nucleo e vi è elaborata.

Una società omogenea tende quindi a rimanere sempre uguale a se stessa, magari aumentando di numero e facendo ogni tanto una scoperta scientifica e una innovazione tecnologica. Senza dimenticare l’effetto del corpo dottrinario adottato dalla data società, che funge da veicolo di trasmissione criptico, subliminale, della dimensione esistenziale nucleica, sia in verticale — dai genitori e dalla scuola ai figli — sia in orizzontale fra i vari membri. Si hanno così le civilizzazioni, caratterizzate da una durata lunghissima e da una sorprendente costanza qualitativa.

Ci sono però casi in cui un individuo può cambiare qualche sua percezione basilare della realtà anche da adulto. Questo può capitare per effetto di un trauma esistenziale, che fa cadere la corazza razionalizzatrice non più adeguata ed espone l’interno a cambiamenti. Quando il trauma è collettivo, come può capitare per eventi di portata sociale, un numero abbastanza alto di individui può cambiare il proprio atteggiamento di fondo verso la realtà, e tutti in quello stesso senso suggerito dalla qualità del trauma. Se le condizioni esterne sono adatte può iniziare così una nuova civilizzazione, caratterizzata da una nuova mentalità. Condizioni esterne adatte in genere si trovano solo in seguito a spostamenti materiali: le nuove civilizzazioni sono infatti quasi sempre associate a delle migrazioni.

Nucleo e involucro coabitano. Quindi interagiscono e si influenzano a vicenda. In particolare, come ha reso manifesto la ricerca motivazionale (stranamente applicata a tutto ma non alla Storia), entrambi hanno un ruolo nel meccanismo di formulazione delle decisioni. Se si indaga a fondo sul perché un individuo effettua certe scelte si trova spesso una motivazione profonda e inconfessata, e qualche volta inconfessabile benché generalmente innocua, appartenente alla sfera dell’inconscio, motivazione che poi il soggetto giustifica con argomentazioni logiche, innanzitutto a se stesso e poi eventualmente agli altri. Questa scoperta, assieme alle nozioni di vita propria e di capacità di ricezione ed elaborazione di ogni segnale sensoriale da parte dell’inconscio, sta alla base della moderna propaganda subliminale.

Vale la pena spiegare brevemente cosa sia la propaganda subliminale. Nel 1958 fu fatto negli Stati Uniti un esperimento. Durante la proiezione di un film (Picnic) vennero fatte comparire alcune volte in sovraimpressione sullo schermo le scritte Coca Cola e pop-corn, ogni volta per una frazione di secondo, un tempo così breve che la parte cosciente del cervello non riesce a registrare. In effetti per vedere la scritta bisognava riproiettare il film al rallentatore. Nessuno degli spettatori, quindi, si accorse della scritta, però il consumo di Coca-Cola e di pop-corn aumentò del 58%.

Nello stesso anno la Federal Communication Commission e la National Broadcasting Federation proibirono tali pubblicità “invisibili”, permettendo solo pubblicità subliminali nelle quali i messaggi e i simboli qualificanti potevano — sia pure a fatica — essere rilevati anche dalla coscienza, facendo intervenire la sua capacità di selezione critica. Negli Stati Uniti i messaggi “invisibili” continuano a essere usati nell’addestramento militare e in altre applicazioni speciali, essendo fra l’altro responsabili di varie efferatezze compiute in azioni militari e paramilitari, per esempio di counter insurgency. É legittimo pensare che tali sistemi siano usati anche in altri paesi, probabilmente anche in Italia.

Le azioni umane non sono dunque sempre razionali, dettate da puri e asettici ragionamenti, ma sono spesso motivate nel profondo dalla dimensione esistenziale degli individui. Gli uomini non fanno ciò che ritengono giusto o utile, o ciò che sono costretti a fare da leggi economiche indipendenti che li sovrastano, ma fanno ciò che vogliono fare e poi cercano di giustificarlo. Ciò vale certamente anche a livello di società, dove le razionalizzazioni e le giustificazioni si chiamano Retorica di Stato e Religione di Stato, o Religione Dominante.

Note all’Introduzione

1 – John Kleeves, Vecchi Trucchi. Le strategie e la prassi della politica estera americana, Il Cerchio, Rimini, 1991.

2 – “New York Times” del 3/1/89; articolo del deputato al Congresso federale Bernard Sanders.

3 – Vedi William J. Pomeroy, American Neo-Colonialism, International Publishers, New York, 1970.

4 – Vedi John Kleeves, Sacrifici Umani. Stati Uniti signori della guerra, Il Cerchio, Rimini, 1993.

5 – Henry F. Dobyns, Native American Historical Demography, Indiana University Press, Bloomington and London, 1976, p. 1.

6 – Ivi, p. 6.

7 – Vedi J. Kleeves, Vecchi Trucchi, cit., p. 189.

8 – Cecil V. Crabb jr., American Foreign Policy in the Nuclear Age, Harper and Row Publishers, New York, 1972, p. 345.

9 – William Bloom, The CIA: A Forgotten History, Zed Books Ltd, London, 1985, p. 127.

10 – Ivi, p. 128.

11 – Donald Freed e Fred Landis, Death in Washington. The Murder of Orlando Letelier, Lawrence Hill & Company, Westport, Connecticut, 1980.

12 – Ivi, “Introduzione”.

13 – W. Bloom, The CIA…, cit., p. 128.

14 – James T. Flexner, George Washington, Little, Brown and Co., Boston-Toronto, 1969, p. 308.

15 – Philip Agee, inside the Company. CIA Diary, Stonehill Publishing Company, New York, 1975, pp. 358 e 370.

16 – Ivi, p. 226 e segg.

17 – La diffusione della povertà negli USA, che hanno uno dei redditi pro capite più alti del mondo, dipende dalla marcata ineguaglianza della distribuzione della ricchezza: l’1% della popolazione detiene infatti più della metà della ricchezza nazionale. Secondo il Bureau of the Census del governo nel 1995 i poveri erano 36,425 milioni, pari al 13,8% della popolazione e così distribuiti: L’11,2% di tutti i bianchi, il 29,3% di tutti i neri, il 30,3% di tutti gli ispanici. Questi dati sono più o meno costanti dal 1970 ad oggi: il totale dei poveri era il 12,6% nel 1970, il 13% nel 1980, il 13,5% nel 1990. Nel 1985 alcuni istituti privati calcolavano i poveri negli USA in circa 60 milioni, un quarto della popolazione, che dovrebbe essere anche la percentuale reale attuale. I poveri degli USA non lo sono solo rispetto allo standard di vita del paese; lo sono in assoluto. La miseria negli USA si manifesta anche nel suo aspetto più drammatico, quello della fame. Un’indagine condotta nel 1988 dallo specialista Louis Harris rivelava che il 55% degli americani riteneva il problema della fame negli USA “molto serio”. Episodi di denutrizione, specialmente di bambini, sono discretamente frequenti nel Kansas settentrionale e in tutta la zona dei monti Appalachi, che tocca cinque Stati. Aggrava la situazione la mancanza di un servizio sanitario nazionale gratuito. Così la vita media dei neri e degli ispanici è di circa sette anni più bassa di quella dei bianchi. Ogni anno circa un milione di persone va in bancarotta a causa delle spese mediche. Gli homeless sono un aspetto caratteristico della miseria americana. Sono circa 4 milioni, mentre il governo da alcuni anni a questa parte li sta calcolando in 250.000; in realtà questo è il numero degli homeless che sono in più anche malati di mente. Ogni anno circa 1.000 homeless muoiono per il freddo.

18 – La prima legge organica americana sulla sicurezza e igiene degli ambienti di lavoro è stata l’Occupational Safety and Health Act del 1971. È insufficiente ed è rispettata praticamente solo nelle aziende i cui dipendenti sono sindacalizzati, il che vuol dire il 14% dei lavoratori dipendenti americani. Il risultato è che dal 1971 al 1989 i morti sul lavoro sono stati 200.000 (“New York Times” del 20/11/1989). Nei primi lustri del Novecento rimanevano uccisi sul lavoro, o vi riportavano invalidità permanenti, circa 700.000 lavoratori dipendenti all’anno. Il governo fascista italiano si preoccupò del fatto e chiese ufficialmente garanzie in tale senso per gli emigrati italiani.

19 – Nel 1980 gli omicidi con armi da fuoco furono 4 in Austria, 8 in Canada, 8 in Gran Bretagna, 18 in Svezia, 23 in Israele, 24 in Svizzera, 77 in Giappone e 11.522 negli USA. Il totale degli omicidi negli USA va da 30.000 a 35.000 all’anno. Su sei americani che oggi hanno 12 anni, cinque nel corso della loro vita subiranno un’azione criminosa violenta (Anne Seymour, direttrice del Public Affairs for the National Victim Center).

20 – Gli americani adulti virtualmente analfabeti sono circa 30 milioni.

21 – Negli Usa un matrimonio su due finisce in divorzio. Contribuisce molto la diffusione dell’alcool e delle droghe: ci sono circa 27 milioni di alcoolizzati, 20 milioni di consumatori abituali di marijuana, da 4 a 8 milioni di cocainomani, circa 500.000 eroinomani.

22 – La compravendita di bambini avviene tramite adozioni in cui la madre naturale viene pagata (circa 3.000 dollari, spesso meno). Frequente è il caso di donne indigenti che partoriscono in ospedale e che cedono il neonato in cambio della relativa retta ospedaliera (che è appunto di 3.000 dollari). Roseanne Barr, la protagonista del serial “Roseanne” in gioventù diede una figlia in adozione con questo sistema. I contratti di procreazione, perfettamente legali negli USA, avvengono così: una surrogate mother (naturalmente una donna indigente) viene ingravidata in modo artificiale o naturale e poi consegna il neonato, ricevendo una somma di circa 10.000 dollari, mentre 20.000 vanno all’agenzia intermediaria. Negli USA organi non vitali possono essere ceduti per danaro. Il sangue umano è regolarmente venduto e acquistato presso negozi specializzati, presenti in ogni città anche piccola. Vendendo il proprio sangue si possono guadagnare da 100 a 200 dollari al mese; questi sono spesso i primi guadagni degli immigrati. Analogamente per il seme umano, trattato però da strutture più grandi. Il commercio degli organi umani vitali è vietato, ma essi sono facilmente ottenibili, se si dispone dai 30.000 dollari in su, presso organizzazioni che li reperiscono nel Terzo Mondo. Il caso dei bambini rapiti o venduti dai genitori nel Terzo Mondo e quindi chirurgicamente smembrati per alimentare questo mercato americano (e sicuramente di qualche altra nazione Industrializzata & Civile) è una verità assodata. L’USIA ha smentito l’esistenza di tale traffico negli Stati Uniti il 15/8/1988.

23 – I disagi dei minori americani sono molteplici. Un bambino su cinque cresce in povertà secondo il governo; in realtà uno su tre secondo gli istituti privati. Circa 3.000 bambini muoiono ogni anno per percosse subite in casa. Le molestie sessuali ai minori sono molto diffuse: a Mobile è stato calcolato che dal 32 al 46% dei bambini dei due sessi subirebbe molestie sessuali prima di raggiungere la maggiore età (Wala TV 10 Mobile del 14/4/1988). Gli street kids, o runaways, sono minori che fuggono di casa e si ritrovano a vivere in gruppetti in grandi città. Secondo il Department of Health and Human Services sono un milione ogni anno, dei quali la maggioranza non torna a casa. Quasi tutti si prostituiscono per sopravvivere; il loro è chiamato “survival sex”, mentre i loro clienti adulti sono i “chicken hawks” (“cacciapollastrelli/e”). Il 13% degli street kids contrae l’AIDS, una percentuale che sale al 40% in quelli che vivono a New York. Circa 5.000 street kids muoiono ogni anno per percosse o stenti o malattie, e vengono frettolosamente fatti seppellire in tombe anonime dalle autorità municipali. Sono in genere street kids, sia maschi che femmine, le vittime degli snuff movies prodotti — certo clandestinamente — a Los Angeles.

24 – Uno studio condotto nel 1984 dal National Institute of Mental Health concluse che il 19% della popolazione adulta americana era da considerarsi clinicamente mentalmente malata. Questo è dovuto al tipo di società, dove se tutto va bene è un paradiso, ma se qualcosa va male spesso non esiste rimedio. In effetti negli USA i suicidi sono circa 30.000 all’anno, secondo il governo.

25 – The CIA…, op. cit., p. 12.

26 – Carlo Sforza, European Dictatorships, Books for Libraries Inc., 1967, p. 178. La prima edizione del libro è del 1931.