Mese: Febbraio 2017

La verità non può essere infoibata

No, io non dimentico. Non dimentico le donne violentate, gli anziani martirizzati, le une con gli altri gettati vivi negli abissi carsici. Non dimentico i partigiani italiani che stilarono le liste di proscrizione, girando casa per casa. Non dimentico i comunisti italiani che accolsero gli esuli istriani e dalmati con insulti e pestaggi. Non dimentico i partigiani italiani che fucilano giovani sedicenni, colpevoli solo di aver combattuto l’invasore. Non dimentico un criminale di guerra, tal Pertini, che baciò, con le lacrime agli occhi, la bara di chi massacrò la mia gente. Non dimentico giornalisti e politici, che hanno taciuto e tacciono ancora l’olocausto della mia gente, questo si vero e dimostrabile, per non scomodare i loro innominabili padroni e la loro storiella inventata per renderci più schiavi. Io non dimentico. E prima o poi troveremo il modo di farvela sacrosantemente pagare.

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Nessun perdono per gli assassini e i criminali

È la notte tra il 6 e il 7 luglio 1945. Romero e Teppa – nome d’arte di Valentino Bortoloso, per l’appunto – fanno irruzione nel carcere mandamentale di Schio alla ricerca di fascisti da massacrare. Dopo una sommaria cernita, che non risparmia nemmeno le donne, 54 persone, tra cui 14 donne, vengono prima torturate e poi barbaramente fucilate. La viltà di questa operazione è così elevata a tal punto da far addirittura pronunciare al Governatore Militare del Veneto, il Generale Dunlop: “Mai prima d’ora il nome d’Italia era caduto così in basso nella mia stima”. “La figlia del podestà abbraccia il partigiano che uccise suo padre”. Con toni tra il melenso e il sentimentale il sito internet de La Repubblica ci dà questa notizia: davanti ad una folla di giornalisti, autorità vescovili (ché quando si tratta di benedire le infamità non mancano mai) e lacchè di vario genere, si consuma l’abbraccio tra Anna Vescovi, la figlia di Giulio, podestà fascista tra le vittime della strage di Schio, e Valentino Bortoloso, in arte Teppa. Chi è quest’ultimo? È uno degli autori materiali della strage di Schio, uno dei tanti crimini efferati ed orrendi compiuti dai partigiani a guerra finita, pertanto in tempo di pace. In una Nazione civile, quindi non in Italia, dove i criminali partigiani sono stati insigniti di medaglie ed onori (lo stesso Bortoloso ricevette, qualche tempo fa, una medaglia al valore da parte dell’ANPI che gli fu poi ritirata dopo le pressioni provenienti da più parti: evidentemente anche a sinistra c’è un limite alla decenza), il Teppa avrebbe dovuto scontare definitivamente la sua pena: la fucilazione. Invece fece solo dieci anni di carcere. Oggi vediamo la figlia di una delle vittime, quel Giulio Vescovi che fu prima picchiato e torturato, poi fucilato per mano del Bortoloso stesso, abbracciare candidamente l’assassino del padre. Ognuno ha la propria coscienza. Noi, dalla figlia di un Fascista morto, ci saremmo aspettati un poco di Onore in più. Continueremo a difendere la memoria e l’Onore dei Fascisti assassinati per mano partigiana, sempre e comunque. Cosa che nemmeno i figli, a quanto pare, sembrano non voler più fare.

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Economia: mala tempora currunt

Nuovi tagli alla spesa pubblica; nessuna diminuzione delle tasse (come le odiose accise sul carburante, che in meno di una decina d’anni sono aumentate del 50%); aumento delle tasse esistenti (come sigarette e carburante); lotta all’evasione. 

L’Europa chiama, l’Italia di Gentiloni e Padoan risponde. Il leit motiv è sempre quello del “ce lo chiede l’Europa”, unito al rispetto dei parametri di Bruxelles che azzoppano la crescita così tanto a lungo desiderata e sempre rimandata.

Insomma, sul fronte fiscale pare proprio che l’anno in corso sarà di lacrime e sangue: avremo servizi peggiori e che contemporaneamente pagheremo di più, e saremo ulteriormente vessati da uno Stato che definire rapace e vampiresco con i propri cittadini è dir poco.

Come se non bastasse, le notizie dell’ISTAT sul fronte dell’occupazione sono tutt’altro che incoraggianti, e certificano il totale fallimento del Jobs Act con cui Renzi si è giocato una parte della sua permanenza al governo. Si registra un sensibile peggioramento della situazione lavorativa italiana, con un aumento della disoccupazione (arrivata al 12%) e quella giovanile che tocca e supera nuovamente il 40%; stabili gli occupati, fermi al 57,3%.

L’unica cosa valida del Jobs Act, vale a dire gli incentivi per le imprese che assumevano o che acquistavano macchinari nuovi per le proprie attività, è ormai venuta meno: i fondi sono finiti, e pertanto la situazione è ritornata ai livelli di partenza.

Se è vero che le cattive notizie non vengono mai sole, ci pensa il Centro Studi Unimpresa a farci dormire ulteriormente sonni ben poco tranquilli: 9,3 milioni di persone, in Italia, sono a rischio povertà. All’interno troviamo anche i lavoratori occupati ma precari, il cui lavoro, cioè, non garantisce loro un adeguato sostentamento e la possibilità di far fronte alle incombenze economiche più elementari.

Ci aspettanto tempi brutti.

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Je suis Fabio Di Lello

“Italo D’Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell’incidente, non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi”. Così dice, intervistato da Radio Capital, l’avvocato Cerella, legale di Fabio Di Lello. Succede questo. Succede che quando vedi tua moglie e il figlio che porta in grembo uccisi da un balordo che brucia il semaforo rosso a cento chilometri orari, forse hai ancora un poco fiducia nella Giustizia. Ti auguri che essa faccia il suo corso, che questo figlio di puttana vada dietro le sbarre e paghi per quello che ha fatto, per averti rovinato la vita, e non solo la tua. Succede che, dopo solo qualche mese, questo Stato infame gli ridia la patente, e questo bastardo, che non ha mai dimostrato alcuna forma di pentimento o di dispiacere per quello che ha fatto, continui a scorrazzare in moto per il paesello, come se niente fosse accaduto. Succede che t’incazzi, e fai l’unica cosa che solo chi ha amato, amato fino a star male, amato fino a morire, può fare: prendere una pistola e scaricarla addosso a questo arrogantello bastardo. Per poi costituirti alla Polizia e lasciare la pistola ancora calda sulla tomba di tua moglie, come segno di un debito che hai pagato, prima di tutto con la tua coscienza. Dopo solo pochi mesi un uomo che ha perso la sua famiglia deve subire anche lo sbeffeggiamento di uno stronzetto arrogante che, quando lo incontra in città, lo prende per il culo accelerando con la moto che quello stesso Stato infame gli permette tranquillamente di guidare. Gli errori, per quanto tragici possano essere, si potrebbero pure accettare. La miseria umana e morale di un uomo che uccide la tua famiglia e poi si permette pure di prenderti per il culo, questo no. Fabio Di Lello non era un finto profugo, non scappava da nessun Paese, non è un parassita africano che fugge dalla propria Patria per fare il fancazzista mantenuto qui, in Italia. Sicuramente non avrà l’approvazione della Boldrini, di Gad Lerner o di Saverio Tommasi. Non si parla di migranti, qui. Anzi, probabilmente questa canicola di traditori ne approfitterà per danzare sui cadaveri, con quello squallore che ormai li contraddistingue umanamente prima ancora che politicamente, e per dirci che “Vedete? I criminali non sono solamente gli stranieri!” Io non so se Fabio Di Lello si pentirà mai: queste sono questioni che riguardano la (In)Giustizia ordinaria e la sua coscienza. So solo una cosa: che, da esseri umani, non si può non solidarizzare con lui. Con un uomo, cioè, vittima di uno Stato sempre garantista con gli assassini e con i carnefici, e crudele con le vittime.

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Le sparate ad minchiam di Saviano, o di quando a volte sarebbe meglio tacere

È proprio vero: anche in persone apparentemente normali, scrittori apprezzati e lodati dalla stampa di regime, l’antifascismo dà alla testa, configurandosi quasi come una vera e propria malattia mentale, una ossessione, una lente deformante attraverso la quale la lettura della realtà, anche la più semplice, diventa nebbiosa e incerta. Se a ciò si aggiunge una certa arroganza tipica dell’intellettuale di sinistra, quella spocchia tipicamente radical chic che ha chi sta dalla parte del bene, non solo non si percepisce correttamente la realtà, bensì, anche quando si prendono grosse cantonate, si continua a sparare la boiata sempre più grossa, nella speranza che faccia dimenticare la precedente.

Chiunque l’abbia letto anche solo qualche volta Roberto Saviano, sia le sue interviste sia le sue esternazioni sui social network, conosce bene l’arroganza del personaggio.

Ammettiamo candidamente, però, che anche Saviano può sbagliare. Di più: se avesse detto pubblicamente “In effetti avete ragione, ho sparato una minchiata” lo avremmo applaudito, perché non è da tutti ammettere i propri buchi nell’acqua, ancor più pubblicamente. Invece no. Ovvio.

A cosa mi riferisco, esattamente? All’intervista che il nostro ha rilasciato qualche giorno fa al Corriere della Sera, in cui, caduto ogni minimo senso del ridicolo, il grande intellettuale si augurava, per quel sud che ormai pare non conoscere più (per quanto in alto dubito che dal suo attico a New York possa arrivare a vedere Napoli), che a governarlo ci siano, in futuro, degli amministratori africani. 

Perché, si sa, notoriamente l’Africa è un esempio di sano ed efficiente buon governo della cosa pubblica, di amministratori competenti, incorruttibili ed onesti.

Chissà se il nostro paladino di sinistra aveva in mente Al-Bashir, dittatore del Sudan reo di aver avviato una sanguinosissima guerra civile, sospeso le libertà civili, instaurato una dittatura tremenda e spietata, tanto da essere accusato di crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale per le carestie progettate a tavolino, la riduzione in schiavitù di buona parte della popolazione civile, l’utilizzo dell’esercito contro i civili, gli ordini di massacri indiscriminati per fiaccare la resistenza al suo regime, e via dicendo.

Probabilmente Saviano vedrebbe bene come sindaco di Napoli il famosissimo Bokassa, accusato di genocidio, crimini contro l’umanità e perfino cannibalismo. Il tutto da un trono in oro massiccio da cui, comodamente seduto, ordina questi piacevoli atti che in Africa sono normale amministrazione.

Oppure esempio di eccellente governo potrebbe darlo il mitico Robert Mugabe, talmente criminale, corrotto e crudele che perfino l’Unione Europea e gli Stati Uniti – che di solito con i dittatori, almeno quelli che fanno come dicono loro, ci vanno a braccetto – gli hanno negato l’ingresso sul proprio territorio. 

Oppure come non pensare ad un altro eccellente governatore come Francisco Macias Nguema, talmente esperto in diritti umani che sotto il suo illuminato buon governo più di un terzo della popolazione fuggì nelle Nazioni confinanti e quasi 80.000 oppositori vennero sterminati? Quando venne deposto dal nipote la sua politica di terrore era talmente incisa nell’animo degli equatoguineniani che nessun soldato volle ucciderlo, per timore che il suo spirito potesse tornare dall’aldilà a torturare il malcapitato soldato: si fu costretti ad assoldare un plotone estero appositamente per questo scopo.

Ora verrebbe da pensare che, sparata una boiata così grossa, uno provi almeno la famosa difesa d’ufficio in stile “Il giornalista ha riportato erroneamente quanto da me detto”. E invece, ovviamente, nulla. Anzi, di più. A Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che gli hanno risposto con uno scontato ma sacrosanto e meritato “Se ti piace così tanto l’Africa perché non ci vai tu?” Saviano ha contrapposto, sulla sua pagina Facebook, un pistolone chilometrico in cui rivendicava la sua lotta contro i cattivi senza macchia e senza paura – citando addirittura quel crudelissimo dittatore che fu Silvio Berlusconi e che, strano ma vero, gli ha permesso comunque di pubblicare i suoi libri con la Mondadori (ma guarda tu che dittatore crudele!, mica come l’illuminato sovrano africano Mugabe, che tanto farebbe bene a Napoli) – per poi concludere con la perla delle perle: “Voglio portare la Meloni in Africa per farle vedere cosa ha combinato il regime Fascista”. Insomma: parlare con Saviano è come giocare a scacchi con un piccione. se gli fai scacco matto quello rovescia la tastiera e, tutto impettito e baldanzoso, ci caga pure sopra.

Ora, la Meloni è la fondatrice e milita in un partito, Fratelli d’Italia, che assai lontanamente si richiama al Fascismo storico, per collocarsi invece nella tradizionale destra italiana. Non si capisce proprio perché la Meloni, che a quanto ci risulti mai ha fatto professione di Fascismo o mai ha affermato di essere Fascista, dovrebbe chiedere scusa per qualcosa accaduta più di un secolo prima che lei nascesse, causata da una ideologia alla quale lei mai si è richiamata.

Siccome, però, noi si che ci sentiamo chiamati in causa, andiamo sinteticamente a vedere cosa mai avrebbero combinato i cattivissimi fascisti in Africa. Sinteticamente:

–          costruzione di 754 scuole;

–          costruzione di 44 ospedali;

–          costruzione di 127 ambulatori;

–          costruzione di 70 infermerie;

–          costruzione di diverse migliaia di edifici a scopo civile e militare;

–          2930 km di rete ferroviaria, ancora oggi spina dorsale delle ferrovie libiche;

–          8000 km di strade, ancora oggi importanti elementi della viabilità in Libia;

–          265 ponti;

–          3007 ettari di terreno bonificati e posti in coltivazione;

–          costruzione di 2088 case coloniali;

–          costruzione e messa in opera di 1688 opere tecniche ed elettriche;

–          avvio di 13650 aziende industriali e commerciali.

Basta poco per mettere a tacere questo saccente arrogantello.

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