24 Dicembre 2017
“Gli immigrati ci pagheranno le pensioni”: è il contrario
“Gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare, e contribuiranno a pagarci le pensioni”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase?
Bene: è una balla clamorosa. E, nonostante questo, mass media e politici si sono affannati e si affannano a ripeterla in qualunque servizio, in qualunque articolo, in qualunque dibattito televisivo.
Eppure già Giancarlo Blangiardo, professore di demografia all’Università di Milano Bicocca, aveva già smontato questa tesi bislacca in una sua intervista a Libero di qualche tempo fa:
« […]basterebbe alzare il livello delle retribuzioni e cambiare certi contratti per spingere i giovani italiani a fare quei lavori che oggi non fanno. Nella mia università il personale che fa la vigilanza è in buona parte straniero, ma non credo che i nostri disoccupati, a certe condizioni, non siano disponibili a quel tipo di lavoro. »
Lo abbiamo sempre detto e scritto, e lo ripetiamo: non esistono lavori che gli italiani non vogliono più fare, ma stipendi che gli italiani non possono accettare. Non sarebbe meglio, anziché importare decine di migliaia di fancazzisti africani che contribuiscono ulteriormente a disintegrare il tessuto economico e sociale dell’Italia, spendere quei 4/5 miliardi l’anno che paghiamo per sostenere l’immigrazione illegale in sostegni alle famiglie e contributi alle imprese che permetterebbero di aumentare l’occupazione dei nostri giovani?
Nonostante tutto, però, saremo costretti, coi nostri stipendi da fame, a pagare le pensioni degli stranieri che sono arrivati qui e che arriveranno. A spiegarlo con parole chiare e semplici è sempre il professor Blangiardo:
«Gente che, però, è arrivata qui magari a 30 anni, o anche a 50 (pensiamo alle badanti ucraine), e che spesso, prima di firmare un regolare contratto di lavoro e versare i contributi, ha lavorato per un certo periodo in nero. Quando andranno in pensione, i loro assegni, calcolati col metodo contributivo, saranno molto esigui. Alcuni, è da pensare, talmente modesti da dover essere integrati dalla fiscalità generale. Sempre che ce lo si possa permettere».
Detto in parole più semplici: gli immigrati fanno lavori essenzialmente in nero o comunque sottopagati, essenzialmente molto umili. E questo, come già detto, perché accettano paghe e stipendi da fame che gli italiani, per ovvie ragioni, non possono accettare. Quindi il loro contributo al sistema pensionistico italiano è minimo, o comunque minoritario: saremo noi, quella collettività il cui sistema economico è stato stroncato in gran parte dalla concorrenza sleale dei nuovi schiavi stranieri utilizzati come manodopera a basso costo, a dover contribuire anche alle loro, di pensioni.
In Svezia, da sempre decantata dai nostri politici come modello di civiltà progressista e politicamente corretta, se ne stanno già rendendo conto.
Innanzitutto l’ondata migratoria è andata ad incidere pesantemente sulla qualità di vita degli stessi svedesi. Anzi, meglio sarebbe dire delle svedesi. Gli stupri e le violenze sessuali a danno delle donne scandinave, infatti, sono cresciuti di pari passo con l’aumento dell’immigrazione (legale e illegale) ed è ancora acceso, nella società svedese, il dibattito sulla responsabilità del governo e degli organi di informazione in merito al sempre più palese tentativo di nascondere l’etnia e/o la nazionalità degli autori di tali violenze per non aumentare la cosiddetta “xenofobia” e non dare il fianco alla propaganda della cosiddetta “estrema destra”. Un po’ come accadde a Colonia, in Germania, il Capodanno di qualche anno fa, quando venimmo a sapere, nonostante i tentativi della Polizia e del governo tedesco di insabbiare la questione proprio per evitare eventuali reazioni anti-immigrati, che diverse centinaia di giovani donne tedesche erano state violentate e molestate da giovani maschi africani letteralmente “ingrifati. Nel mio articolo del 13 gennaio dell’anno scorso (http://chessaandrea.blogspot.it/2016/01/gang-bang-alla-africana-sul-suolo.html) spiegavo che fu messo in atto una sorta di stupro di gruppo rituale, il “tarrush gamea”, molto diffuso nella società africana.
Tornando però al sistema pensioni in Svezia, è notizia di questi giorni (ovviamente taciuta e occultata dai nostri giornali democratici!) che il Ministro delle Finanze svedese, Magdalena Andersson, abbia annunciato che in futuro sarà necessario innalzare l’età pensionabile perché il sistema attuale non è più in grado di far fronte ai crescenti costi per sostenere l’immigrazione selvaggia con la quale la Svezia ci ha sempre dato lezioni, puntandoci il suo freddo ditino in faccia.
Detto in altre parole: il costo dello stato sociale svedese (scuole, pensioni, sanità, assistenza alle fasce più deboli della popolazione) è in costante aumento a causa del progressivo e inarrestabile aumento di popolazione: la Svezia è cresciuta molto, e subito. E ciò non perché gli svedesi si siano messi in massa a figliare come conigli (andare in pensione più tardi e con più sacrifici potrebbe anche risultare moralmente ed eticamente più accettabile se fosse fatto a causa di questo motivo) bensì perché la Svezia ha accolto, a spese dei propri cittadini, decine di migliaia di fancazzisti africani che sono stati mantenuti a spese della collettività.
Ora la Svezia comincia ad essere chiamata a pagarne il conto: in quartieri ingestibili a causa della forte presenza di immigrati, in stupri alle proprie donne e, ora, in sacrifici enormi. Non saranno gli immigrati a pagare le pensioni degli svedesi, ma questi ultimi a pagarle a loro.
In Italia ce ne renderemo mai conto?