La gelataia che si rifiuta di servire Matteo Salvini e l’odio disumano degli antifascisti.

Cerchiamo di riepilogare quanto accaduto a Matteo Salvini due giorni fa: lo faremo in modo molto veloce e diretto perché c’è effettivamente ben poco da dire.

Matteo Salvini entra in una gelateria milanese con la figlia. Obbiettivo dichiarato: gustare insieme un gelato.
Una banconiera della gelateria, riconosciutolo, si rifiuta di servirgli il gelato con la motivazione che “Io non servo il gelato ai razzisti!” e, quando i suoi colleghi la riprendono, per tutta risposta si slaccia il grembiule e se ne va. Si chiama “abbandono del posto di lavoro” ed è una violazione degli obblighi contrattuali del dipendente che, se con questo atteggiamento crea gravi danni, può anche essere licenziato.
Cosa che avviene puntualmente. I proprietari della gelateria licenziano la ragazza, che per tutta risposta torna a casa e racconta, in lacrime, quanto accaduto alla madre. Quest’ultima, anziché sganciare due manrovesci sul volto della figlia, si lamenta in un post su Facebook dell’accaduto, accusando Matteo Salvini di aver chiamato i titolari della gelateria intimando il suo licenziamento. Episodio, questo, smentito dagli stessi titolari: sia perché Matteo Salvini non può imporre al titolare di un esercizio privato chi assumere o chi licenziare, sia perché la piazzata della ragazza è stata vista da tutti e non c’è stato certamente bisogno della telefonata di Matteo Salvini.

Un altro avvenimento, piccolo ma significativo, che ci fa capire come gli antifascisti siano, in fondo, ben lontani da qualunque sentimento di vicinanza e di empatia umana con coloro che ritengono dei veri e propri nemici politici, da loro derubricati dallo status di esseri umani a bestie senza alcuna dignità, a tal punto da farli reagire istericamente e con violenza perfino durante lo svolgimento di un compito lavorativo. Segno, questo, che questa teppaglia non ha alcun briciolo di autocontrollo, ma è preda della violenza più isterica ed esagitata, a tal punto da perdere anche la professionalità. Tutte le belle parole con le quali si riempiono volentieri la bocca come tolleranza, rispetto, educazione, sono solo aria che li esce dai denti: nella vita di tutti i giorni essi sono rancorosi, intimamente violenti, umanamente riprovevoli.

Qualunque lavoratore, pubblico o privato, sa benissimo che la sua professionalità gli impone, in condizioni di lavoro normali, di servire chiunque a prescindere dalla sua tessera politica di appartenenza. Come cliente ho avuto spesso a che fare con persone politicamente ben lontane dalla mia idea, ma ciò non ha impedito, né a me né a loro, di svolgere con regolarità i miei compiti; come lavoratore ho spesso avuto a che fare con clienti molto lontani politicamente da me, ma questo non ha impedito il proseguimento di un rapporto che spesso si è rivelato anche fecondo e proficuo. La prode ragazza antifascista, evidentemente, deve stare abbastanza bene di famiglia, se può permettersi di farsi licenziare solo per potersi vantare di non servire un gelato a Salvini. Buon per lei. Dei genitori che assecondano una cretina simile piagnucolando su Facebook, anziché farle la stampa della mano sulla faccia, è meglio sorvolare: tali genitori, tali figli.

In tutto questo c’è comunque un’ottima notizia: quel posto di lavoro andrà sicuramente a qualcuno di più meritevole. E di meno cretino.

Amministratore

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