MENGELE MI HA DETTO (9 MARZO 1983)

Come anticipato sullo scorso numero del mensile, ho condotto una lunga ricerca sui vecchi numeri cartacei del nostro giornale, al fine di ritrovare e ripubblicare un documento eccezionale, di cui (ovviamente) non si trova più alcuna traccia su internet.

Ricordavo che molti anni fa avevo recuperato una bellissima intervista rilasciata dal Dott. Mengele e pubblicata addirittura dal settimanale “Oggi” (quindi non La Voce del Nazista!), n° 10 del 9 marzo 1983, a cura di un certo Hubert Lassier.

Ora, nessuna traccia di essa si trova nell’archivio del settimanale, così come pare non esistere il nome dell’intervistatore.

Per fortuna ho ritrovato la famosa copia cartacea ed ho fedelmente ricopiato il tutto; potrete ammirare come il Dott. Mengele, con la sola forza della logica dei suoi argomenti, riesca a ridicolizzare in poche pagine le varie cazzate che ci raccontano ormai da decenni sol cosiddetto “olocausto”, sulle presunte camere a gas, sui milioni di morti e sui vari esperimenti criminali del povero Mengele, probabilmente il più diffamato della Storia dopo Adolf Hitler!

Buona lettura!

Carlo Gariglio

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Hubert Lassier

America del sud, marzo: il Dott. Mengele, che sono riuscito a ritrovare dopo innumerevoli peripezie, in una zona di confine tra Paraguay, Argentina e Brasile, ha accettato di farsi intervistare. Nella prima parte (omessa) del colloquio ha raccontato come e quando entrò nelle SS e come divenne ufficiale medico del famigerato lager di Auschwitz. In questa seconda parte l’intervista entra ne vivo e “l’angelo della morte” si dilunga a descrivere, dal suo  unto di vista, il campo.

“I fabbricati di Auschwitz 1, gli Stammlager, vecchie caserme, erano poco accoglienti ma ben costruite. Le baracche erano solide e razionali, avevamo un ospedale ben attrezzato, nella baracca 17, un campo sportivo, un salone per gli spettacoli, dove i detenuti davano concerti e rappresentazioni teatrali e la domenica si celebravano i riti cattolici, ortodossi e luterani. E c’era anche, scusi l’accostamento, un bordello.

Tutto qesto non era solo nelle intenzioni, come negli altri casi, ma funzionava. Perché? Perché erano le SS ad occuparsi direttamente della gestione e della disciplina nel campo.

La disciplina era severa, è logico, ma non si tollerava la brutalità. A cominciare dagli stessi detenuti. C’erano dei “Kapò”, come in tutte le prigioni del mondo, ma sotto rigoroso controllo.

L’intendenza assegnava ai detenuti lo stesso numero di calorie alimentari riservate ai civili tedeschi, comprese le razioni supplementari per i lavori pesanti. Ed a questo andavano aggiunti  pacchi mandati dalle famiglie e quelli che, attraverso la Croce Rossa, spedivano gli americani.

Guardi nel libro che sto leggendo queste foto, di origine sovietica, scattane all’arrivo dei soldati russi, quando nel campo erano rimasti solo i malati. Hanno l’aria di morti di fame?

Vuol dire che la vita era decente, nonostante la situazione?

Esattamente. E’ così che molti miei Camerati vivono nel campo con moglie e bambini. Anche mia moglie è venuta più di una volta a passare qualche giorno con me.

Questi secondo Lei, dottore, erano i pregi di Auschwitz. E i difetti? C’erano almeno dei difetti?

Sì, ed erano causati soprattutto dal miscuglio di gente. Ad Auschwitz avevamo prigionieri che appartenevano a venti nazionalità diverse. I russi volevano solo i loro compagni, gli zingari non avevano voglia di lavorare e giocavano di coltello. I polacchi non sopportavano la presenza degli ebrei. Tutto così. Inoltre noi avevamo detenuti di ambo i sessi, e non siamo mai riusciti ad impedire che gli uomini, la notte, si infilassero nelle baracche delle donne.

Ma queste non erano certamente le cose più gravi.

In principio noi avremmo dovuto accogliere solo prigionieri in grado di lavorare, per condizioni ed età. Ma troppo spesso gli altri campi si sbarazzavano delle persone inutili e le mandavano ad Auschwitz.

Quanti prigionieri c’erano?

In media, tra il complesso di Auschwitz – Birkenau e iomandi di lavoro di Parmense, Raisko e Monowitz, circa duecentomila. Senza contare, ovviamente, i prigionieri di guerra ed i lavoratori volontari.

Noti che i prigionieri non erano mai concentrati, se non la notte. Di giorno, la maggior parte uscivano sotto una sorveglianza blanda per raggiungere i vari posti di lavoro disseminati un tutta la zona.

Dottore, non è che col passare degli anni lei abbia un po’ esagerato nell’infiorare i ricordi? La gente moriva anche ad Auschwitz!

La gente moriva dappertutto in Europa a quell’epoca. Ad Auschwitz ricevevamo, come le ho già detto, molti vecchi, invalidi, malati; la maggior parte dei detenuti che ci mandavano gli altri campi erano gravemente denutriti. Gli ebrei soffrivano il lavoro, perché non ci sono abituati ereditariamente. Sono soprattutto dei commercianti e le fatiche manuali per loro diventavano insopportabili.

E poi i bombardamenti dell’aviazione americana facevano centinaia di vittime; nello stesso tempo dovevamo fare i conti con le epidemie, in particolare con il tifo.

Allora ad Auschwitz si moriva solo di malattia o vecchiaia?

Bé, c’erano anche i casi di detenuti giustiziati dopo una condanna del tribunale del campo. Innanzi tutto i colpevoli di sabotaggio, poi quelli di altri delitti comuni.

E lo sterminio in massa, sistematico, nelle camere a gas?

Le camere a gas non esistevano ad Auschwitz; lei non è obbligato a credermi, ma non può mettere in dubbio i  rapporti degli ispettori della Croce Rossa internazionale, pubblicati nel 1948. Mi ricordo benissimo di un sopralluogo compiuto da una commissione nel settembre del 1944, perché fui a lungo interrogato dai suoi membri sull’attività del laboratorio che dirigevo.

Quelli che mostrano oggi ai visitatori sono spogliatoi, dove i detenuti venivano disinfettati con un getto di gas Ziclon B, lo stesso sistema che si usava per i soldati che ritornavano dalla Russia. Dopo la “liberazione” (domandate ai polacchi che cosa ne pensano di questa parola), gli edifici furono truccati dai russi per dar loro maggiormente l’aspetto di camere a gas. Fu addirittura costruito un enorme camino che nel gennaio 1945, quando evacuammo noi il campo, non esisteva.

Ma allora, dottore, la selezione che si praticava all’arrivo di ciascun convoglio?

Era prima una rapida ispezione medica destinata alla cernita dei malati e, in linea generale, degli inabili al lavoro; poi una selezione degli altri per attitudini e preferenze, che permettevano di avviarli alle diverse attività del campo.

E i malati, i vecchi, i denutriti non venivano forse eliminati?

Ma anche se l’avessimo voluto non potevamo farlo. Non avevamo camere a gas ad Auschwitz, glielo ripeto, né alcun altro sistema di sterminio.

Ma allora perché lei partecipava personalmente alle selezioni?

Una volta tanto, una cosa quasi vera. Mi è capitato di sostituire qualche collega malato, o in permesso. Più raraentesono andato a cercare qualche soggetto per le mie ricerche. Ma attenzione…

Mi perdoni. Delle sue attività parleremo più avanti. Adesso vorrei chiarire, se è possibile,  n altro punto. Se non ci sono mai state esecuzioni di massa, come lei sostiene, allora come spiega i forni crematori?

Ci sono in tutte le città tedesche che abbiano una popolazione di almeno 200 mila abitanti. La cremazione  molto usata presso le nostre genti luterane. Voi stessi in Francia avete degli impianti per la cremazione nei grandi agglomerati urbani.

Nei capi i forni erano necessari ancora di più, perché il pericolo di epidemie era maggiore. In ogni parte del mondo si bruciano le salme delle vittime di malattie contagiose.

C’era un crematorium ad Auschwitz 1, che ha funzionato dall’agosto 1942 al luglio 1943, e un altro a Birkenau (e non quattro come si è raccontato), utilizzato dall’aprile 1943 al dicembre 1944.

Ciascuno aveva una capacità massima di 35 cadaveri al giorno, ammettendo che potessero funzionare 24 ore su 24, cosa impossibile.

Quindi, se i forni avessero lavorato a pieno ritmo, e non era il nostro caso, non si sarebbero potuti cremare, durante l’esistenza dell’intero campo, più di 32 mila cadaveri.

Ho rifatto più volte il calcolo dalla fine della guerra, glielo assicuro.

Ma dottore, perché questo odio verso gli ebrei? Perché li consideravate una razza inferiore?

Lei si sbaglia. 

Io personalmente non ho alcun odio particolare nei confronti degli ebrei. Per noi erano solo dei nemici, come gli zingari, i francesi, o i comunisti. Quindi dovevamo combatterli con decisione, a maggior ragione perché li conside-ravamo intelligentissimi e quindi ancor più pericolosi.

Dottor Mengele, si dice che proprio lei personalmente abbia bruciato quattro milioni di ebrei ad Auschwitz!

E dove li avrei trovati tanti cadaveri? Dove avremmo trovato il combustibile necessario?

Provi a rivolgersi al crematorio di Parigi: lì le diranno quanti litri di  gasolio, o quanti chili di carbone sono necessari per cremare un solo cadavere.

E’ chiaro che i quattro milioni di Auschwitz sono stati inventati per poter raggiungere la famosa cifra di sei milioni. Una cifra inverosimile; non esistevano sei milioni di ebrei in tutta Europa. Ne vuole la prova?

Che prova?

Lei sa che si è prodotto per stabilire l’esistenza di un programma di sterminio degli ebrei, una specie di verbale di una conferenza tenuta a Wannsee, il 20 gennaio 1942.

E’ un falso palese, riconosciuto per tale unanimemente dagli storci obiettivi.

In quel documento venne indicato il numero di ebrei esistenti in ogni Nazione, per un totale di 11 milioni in Europa. Ma compresi i 5 milioni dell’URSS.

Allora, undici meno cinque fa sei, in tutto il continente, compresa la Gran Bretagna ed i Paesi neutrali.

In pratica si lascia intendere che noi avremmo eliminato tutti gli ebrei, anche quelli che non erano alla nostra portata.

Quel documento, senza carta intestata, né firme, chiamato “protocollo di Wannsee”, è stato fabbricato in occasione del processo Eichmann, quando ancora si parlava di tre milioni di vittime.

Mi dica, quanti ebrei avevate in Francia prima della guerra?

Non so, da noi sui documenti non figura la razza e nemmeno la religione. Più o meno, gli ebrei francesi si stimavano sui 250 mila.

Ecco, ne aggiunga 50 mila emigrati dalla Germania fra il 1933 ed il 1939, ed arrotondiamo per eccesso. Diciamo allora 300 mila in totale.

Il “protocollo di Wannsee” ne attribuiva alla Francia 860 mila:un ebreo  ogni 46 abitanti, tre volte di più della realtà.

Riduca in proporzione la cifra di sei milioni. Se poi l’esagerazione non fosse tanto macroscopica come per la Francia nel caso degli altri Paesi, saremmo comunque ben lontani dai sei milioni.

Me se voi non li avete sterminati col gas, che fine hanno fatto tutti quegli uomini?

Sono in Israele, in Unione Sovietica, oppure si sono rifugiati, come hanno fatto gli ebrei polacchi nel 1941, negli Stati Uniti, in Argentina e in Europa.

Nel 1938, secondo il Comitato ebraico americano, vivevano in tutto il mondo più di 15 milioni di ebrei.

Nel 1948, stando ad un articolo pubblicato sul New York Times dallo statistico Baldwin, erano già 19 milioni.

Secondo i calcoli degli studiosi seri, certamente non nazionalsocialisti o antisemiti, il numero ufficiale degli ebrei morti durante la guerra, per ogni tipo di causa, sul territorio tedesco o occupato, varia fra i 170 mila morti ed il mezzo milione.

Senta un  po’ dottore, a dar retta a lei non ci sarebbe stato nessun massacro egli ebrei durante la guerra. Non le sembra poco credibile?

Non ho detto questo. Quando le nostre truppe sono entrate in Galizia, alcune unità di volontari ucraini si sono lasciate andare ad atti d’intolleranza antisemita. Più o meno hanno fatto in territorio sovietico le unità russe incorporate nella Wehrmacht. Certamente i nostri Einsatzgruppen, l’equivalente degli spazzini di trincea della prima guerra mondiale hanno passato un po’ il segno. Ma  in ognuno di quei casi la nostra repressione è stata severa.

Non esisteva dunque una “soluzione finale”?

Certamente, ma la soluzione finale era l’espulsione degli erebi dall’Europa. Noi avevamo pregato la Croce Rossa internazionale di farsi carico di una loro destinazione, ma nessun Paese, alleato o neutrale, ne volle sapere. Domandammo a più riprese al governo francese di mettere a disposizione il Madagascar: il maresciallo Petain ci disse che gli indigeni dell’isola erano brava gente e non meritavano una cosa del genere.

Fu solo allora che Hitler decise di deportare gli ebrei in Polonia, provvisoriamente. E poiché in tempo di guerra erano considerati come forze nemiche, furono internati in buona parte nei campi di concentramento.

Gli Stati Uniti non hanno fatto forse la stessa cosa con i Nisei, i giapponesi che vivevano in America?

Dopo queste considerazioni, diciamo così generali, vogliamo parlare della sua attività professionale ad Auschwitz, dottor Mengele?

E’ il punto che più mi interessa chiarire. E ho già detto che io ero il responsabile del blocco sperimentale. Cosa facevamo lo dice il nome: esperimenti, come in tutti gli ospedali di ieri e di oggi.

Esperimenti? Negli ospedali?

Ma è logico. Mi sembra facile da capire; si mette a punto un nuovo medicinale e di solito lo si esperimenta su una cavia, su un cane, su un animale qualsiasi. Ma l’uomo non è né un topolino, né un cane. Un giorno bisogna pure  somministrare il nuovo farmaco ad un essere umano, senza conoscerne prima gli effetti precisi.

Negli ospedali lo si fa senza dir nulla ai degenti. Di solito si comincia nelle corsie dell’assistenza gratuita, fra i ricoverati più poveri.

Ad Auschwitz noi facevamo esperimenti su condannati a morte, anticipando gli americani che in seguito ci imitarono.

In ogni caso, per ogni volta, avevamo un’autorizzazione da Himmler in persona.

Penso che lei mi crederà se le dico che, nel 1950, un tribunale militare francese ha assolto i medici tedeschi del campo di Schirmeck, accusati di aver compiuto sperimenti sui detenuti dalla testimonianza di alcuni colleghi dell’ospedale di Parigi.

Wiesenthal accusa lei personalmente di aver sacrificato la vita di un migliaio di gemelli con iniezioni dolorosissime solo per tentate di cambiare loro colore agli occhi!

Oh, Wiesenthal! Nel libro, le cui pagine le sta certamente citando, ha fatto arrestare Anna Frank da una SS con l’uniforme nera. Nel 1942! Erano già tre anni che le SS portavano le uniformi grigioverde. Ma il nero è più sinistro, no?

L’ignoranza di quest’uomo è pari solo alla sua malafede.

Il colore degli occhi di una persona non è che un carattere secondario della razza, una conseguenza di un complesso genetico di un individuo.

Cambiare il colore degli occhi con un’iniezione, qualora  fosse possibile, non trasformerebbe certo un nordico, un alpino, o un mediterraneo più di un paio di lenti a contatto. Lo sa anche una matricola universitaria.

E’ vero che ho fatto esperimenti sull’iride, ma per vedere come reagiva a certe stimolazioni e per compiere una ricerca sulla cecità. Nessuna persona è morta in seguito a questi esperimenti; ripeto, nessuna. Ammetto che per qualche giorno abbia avuto gli occhi irritati, ma tutto qui.

Quanto ai gemelli, le sole ricerche che si possono fare, e ne sono state fatte parecchie negli Stati Uniti prima e dopo la guerra, consistono nello stabilire, nella loro evoluzione biologica e nei loro comportamenti, quanto peso aia l’ereditarietà e quanto ne abbia l’ambiente. Beninteso, parlo dei gemelli veri, quelli monozigoti.

Per far questo non c’è che un metodo: seguire per una decina d’anni due gemelli che, spesso per motivi di adozione, sono stati separati alla nascita e sono andati e vivere in due ambienti diversi.

Questo sarebbe stato impossibile ad Auschwitz.

E’ vero che il problema dei gemelli mi ha sempre affascinato; sui gemelli giustiziati, per esempio, praticavo l’autopsia per vedere se c’erano state o no reazioni interne differenti.

Non ho mai fato giustiziare appositamente dei gemelli solo per poter fare degli esperimenti. Dio mi è testimone.

Del resto ho letto proprio qualche mese fa su una rivista americana che ad una riunione di ex deportati di Auschwitz hanno partecipato almeno una quindicina di gemelli e stavano benissimo.

Tutte queste storie, caro signore, sono solo invenzioni incoerenti d’analfabeti.

Wiesenthal non detto, per esempio, che i medici del campo avrebbero trasformato in donna un ragazzo di 13 anni, che dopo la guerra, grazie ad una complicata operazione, riebbe la sua virilità?

Non conosco precedenti di testicoli ricresciuti, né di membri artificiali. Che vada a raccontarlo a qualsiasi urologo, o qualsiasi chirurgo!

E le donne incinte? Si dice che lei abbia studiato gli effetti della sotto-alimentazione su feto, e che per fare questo, abbia sottoposto alcune prigioniere ad un regime di fame. E che ne abbia fatte abortire altre per studiare via via dal vivo tutte le fasi dello sviluppo intrauterino.

Il soggetto della ricerca è esatto. Lei sa che l’alimentazione in Germania  andava via via peggiorando man mano che la guerra si prolungava. Avevamo dunque più di un motivo per svolgere studi sugli effetti che ciò avrebbe prodotto sulla generazione seguente.

Ora, noi accoglievamo ad Auschwitz, di tanto in tanto, delle donne incinte sottoalimentate che venivano arrestate, o che provenivano da altri campi. Erano soggetti ideali per sperimentare nuovi alimenti in grado di rimettere in sesto madre e bambino, e naturalmente noi dovevamo controllare strettamente la loro dieta.

Ben lungi da affamare le donne, cercavamo di migliorare le loro condizioni e soprattutto quelle del nascituro.

E in questo caso un aborto è del tutto inutile: bastano le analisi che conoscono tutti i ginecologi.

Altre donne erano però meno fortunate di queste. Voi sperimentavate su di loro tecniche di sterilizzazione.

La sterilizzazione, come lei sa, era legale in Germania come in certi Stati dell’America settentrionale, o in Danimarca. Lo è anche oggi in India. Veniva autorizzata dai tribunali dell’igiene razziale ed imposta solo ai portatori di tare ereditarie.

Quanto ai procedimenti, erano molto semplici ed avanzati, tant’è  vero che da allora non sono più cambiati.

Sicché, dottore, lei non ha nulla di che rimproverarsi.

Proprio nulla. Non ho mai maltrattato, o lasciato maltrattare un prigioniero. Ho contribuito a salvarne migliaia, come ho salvato migliaia di Camerati al fronte, o di civili. Soprattutto bambini.

E’ sicuro di avere la coscienza tranquilla?

Tanto tranquilla che dopo la capitolazione io sono regolarmente rientrato a casa mia, a Gunburg, ed ho passato cinque anni senza che nessuno mi tormentasse, né e autorità di Bonn, né quelle di occupazione.

Non avevano ancora fatto di me un criminale di guerra. Il mio ruolo al campo fu così poco importante che nel grosso volume consacrato da Guglielmo Staglich al mito di Auschwitz io sono nominato due sole volte, nelle note.

E le due volte solo perché il dottor Nyiszli, un medico ungherese detenuto e assegnato all’ospedale da campo, mi ha accusato di avere fatto sezionare dei cadaveri.

E’ quella che si chiama comunemente autopsia.

Non ho fatto altro. Non ho fatto molto, effettivamente. Ma domandi pure a questo dottor Nyiszli che mi conosce bene, dal momento che è stato mio assistente, se sono stato quel mostro che si è detto.

Ha mai sofferto lui stesso del mio autorita-rismo?

Chi ha salvato la sua famiglia?

No, caro signore, tutte quelle cose orribili sono state deformate, o inventate.

Al contrario, io posso provarle che ho salvato un sacco di gente; mi ricordo di un medico che si chiamava Levi e che ebbe l’abilità di farmi cancellare molti nomi dalle liste dei condannati.

E poi i bambini. Perché le madri venivano da me per supplicarmi di salvare i loro figli malati?

Perché appena potevo lo facevo, sempre.

E mi ricordo anche di quella donna, polacca mi pare, la dottoressa Hautval; eravamo nell’agosto del 1943, rifiutò di farmi da assistente.

E cosa è successo? L’ho fatta assassinare?

No, se ne andò viva e vegeta da Auschwitz.

E non mi dica che tutte questa persone sono morte; qualcuno potrà testimoniare.

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