GLI AMICI DEGLI AMICI

La commemorazione del rastrellamento nel ghetto di Roma del 16 ottobre 1943: dalla pagina buia alla ferita lacerante, ovvero come ti liscio l’ebreo.

Giorgia Meloni, presidente del consiglio “in pectore”:

Pagina buia. Orrore nazifascista sia monito contro l’odio”. La leader di FdI ha telefonato in mattinata alla presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Duregehello. Nel corso della chiamata Giorgia Meloni ha espresso vicinanza e sostegno alla comunità ebraica: “Oggi, come sempre, la mia sincera vicinanza”.

Ignazio La Russa, presidente del senato:

“Il rastrellamento del ghetto di Roma rappresenta una delle pagine più buie della nostra storia”. Lunga e cordiale telefonata tra il presidente del senato, Ignazio La Russa e il presidente della comunità ebraica di Milano, Walter Meghnagi in occasione dell’anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma. Nel corso della telefonata il presidente del senato ha rinnovato la sua sincera vicinanza alla comunità ebraica.

Lorenzo Fontana, presidente della camera dei deputati, ex “inpiegato”:

 “Quel che accadde all’alba del 16 ottobre del 1943 rappresenta una delle pagine più buie, tristi e raccapriccianti della storia del nostro Paese”.

Matteo Salvini, segretario federale della Lega:

“Il rastrellamento del ghetto di Roma sarà sempre una pagina buia e incancellabile della nostra storia”.

Giuseppe Conte, presidente del M5S:

“Una ferita lacerante per la città e per l’intero Paese, una pagina nera della nostra storia che mai potrà essere cancellata”.

Silvio Berlusconi, ex “presidente”, ex “cavaliere”:

“Questa resta una ferita indelebile non solo per l’intera comunità ebraica ma anche per noi che ancora oggi, a distanza di 79 anni, ricordiamo ancora con dolore quella terribile tragedia”.

Carlo Calenda, segretario nazionale di Azione:

“Il rastrellamento del ghetto di Roma e la deportazione di 1259 persone è una ferita che non si potrà mai rimarginare”.

Roberto Gualtieri, sindaco di Roma:

“Il rastrellamento del 16 ottobre del 1943 è uno degli eventi più tragici della storia d’Italia“.

Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio:

“Dei 1024 deportati al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau, solo in 16 fecero ritorno a casa. Una pagina buia della nostra storia che non possiamo dimenticare” (notare la discordanza sul numero dei deportati con quello indicato sopra da Calenda).

Enrico Letta, segretario nazionale del PD (ancora per poco):

“Sopravvissero in 16. Il 16 ottobre 1943 il rastrellamento a Roma al ghetto e la deportazione ad Auschwitz“ (notare i numeri: partirono il 16, tornarono in 16; quando si dice la kabbalah).

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Dato il livello culturale medio, è assai probabile che la brava gente sopra elencata non lo sappia, ma se anche lo sapesse non cambierebbe nulla, perché fa loro comodo ignorarlo: il motivo della deportazione degli ebrei in campo di concentramento nei territori controllati dalla Wehrmacht si identifica nel fatto che sin dal 24 marzo 1933 l’ebraismo internazionale aveva dichiarato guerra alla Germania (V. sotto).

Allo stesso modo dei tedeschi, durante la seconda guerra mondiale, si comportarono gli statunitensi, i quali deportarono in campi di concentramento 600.000 italiani, 500.000 tedeschi e 110.000 giapponesi (cifre approssimative, giacché i numeri esatti non sono mai stati pubblicati) residenti negli USA, molti dei quali cittadini statunitensi, cui furono sottratti casa, lavoro e beni materiali, oltre alla libertà personale. Spesso, soprattutto all’inizio del conflitto, i destinati all’internamento, già da tempo schedati, venivano arrestati a casa nel mezzo della notte, gli veniva detto di fare la valigia ed erano poi trascinati al più vicino luogo di custodia, solitamente la prigione del posto. A volte, le famiglie non ne sapevano più niente per lunghi periodi. Inoltre, il governo degli Stati Uniti fece arrivare per l’internamento sul suo territorio più di 2.000 giapponesi, alcune centinaia di tedeschi e qualche dozzina di italiani da vari paesi dell’America Latina, principalmente dal Perù. Erano tutti individui originariamente internati dai governi sudamericani su pressione degli USA. Si calcola, ma anche qui le cifre sono del tutto presuntive, che furono circa 10.000 gli internati che morirono nei campi di concentramento negli USA. Ciononostante il comportamento degli Stati Uniti fu probabilmente migliore di quelli attuati dalle “democrazie sorelle”: Gran Bretagna (160.000 italiani, 400.000 tedeschi), Canada e Australia e un po’ dovunque nei territori controllati dagli Alleati.

Ma tutto questo non lo raccontano.

Infine, quando sostengono che sono partiti in oltre mille e sono ritornati in 16, vogliono subdolamente fare intendere al pubblico, già psicologicamente preparato a ciò, che i mancanti sono tragicamente periti nei campi di concentramento. In realtà, anche a voler prendere per buone tali cifre, ciò non è necessariamente vero: è noto infatti che moltissimi liberati dai campi di concentramento preferirono non far ritorno ai luoghi di provenienza, ma trasferirsi chi in America, chi in Palestina o in qualsiasi altro luogo di loro preferenza, cambiando nel contempo nome e generalità e determinando così la scomparsa, ma solo anagrafica, di quelli che erano partiti.

Giuliano Scarpellini

Amministratore

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