Gentilissima Signora Boldrini,
Apprendo con particolare inquietudine che a Milano si stanno inquisendo 70 persone (numero, temo, destinato a crescere) “ree” di aver presenziato ad una commemorazione dei caduti della R.S.I.
La cosa che maggiormente mi turba non è il fatto di aver presenziato, nel corso della mia vita, a manifestazioni del tutto analoghe senza subire alcuna ritorsione.
Ciò che davvero mi turba è che tale atto inquisitorio si collochi cronologicamente proprio all’indomani delle palesi velleità censorie da Lei chiaramente mostrate in data 25 aprile del corrente anno.
Lei infatti, in tale data, ha espresso in maniera inequivocabile il proprio desiderio arbitrario di perseguire e censurare chiunque non si conformi al Suo antifascismo.
Evidentemente, i Suoi “desiderata” non sono rimasti lettera morta, ed eccone i risultati.
Giacché ritengo che discutere con persone che esternano velleità come le Sue sia cosa perfettamente inutile, in quanto qualsivoglia dibattito sarebbe privo del minimo spessore culturale o sarebbe azzerato da una cieca vis censoria, mi limiterò a sottolineare alcuni aspetti della vicenda che a mio avviso dovrebbero far tremare le vene dei polsi a tutti, nessuno escluso.
La prima considerazione è che Lei, nel Suo invocare censura e repressione, dimentica un dato di fatto: la cd. Legge Scelba, che in realtà è inapplicabile per la stessa terminologia utilizzata, la quale descrive una fattispecie di reato impossibile (“il disciolto” PNF non può essere ricostituito, qualsiasi partito politico si costituisca non sarà mai “il disciolto” PNF: è sostanzialmente per questo che da quasi trent’anni il partito fondato dal compianto -immagino non da Lei- Giorgio Pisanò va incontro a giuste e ripetute sentenze assolutorie), è stata oggetto più volte di giudizi di legittimità, di merito e di costituzionalità.
Già dagli anni ’50, la Corte Costituzionale (la prima volta presieduta da Enrico De Nicola), pur glissando prudenzialmente sulla questione di fondo (ossia la palese illegittimità, per contrasto con l’art. 21 Cost., della disposizione), ne ha -bontà sua- fornito una interpretazione costituzionalmente orientata, poi ripresa da numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione, spiegando che il reato di apologia del fascismo si configura solo allorquando tale apologia sia suscettibile, in maniera idonea ed effettiva, di ricostituire “il disciolto” PNF (perdoni la ripetizione, ma ho sempre trovato le scelte lessicali del legislatore post-fascista dotate di particolare comicità: perché vede, forse “quando c’era lui” i treni non passavano comunque in orario, ma certamente il legislatore sapeva ancora esprimersi in termini intelligibili, a beneficio della certezza del diritto).
Fatta questa premessa, è abbastanza evidente come la manifestazione tenutasi a Milano non violasse in alcun modo la legge Scelba nella sua lettura costituzionalmente orientata.
Le dirò di più: non l’avrebbe violata neanche senza gli interventi interpretativi della Corte Costituzionale.
E questo perché, cara Presidente della Camera che esalta la democrazia ma dimentica la separazione dei poteri che ne è alla base, la pietas verso i defunti non è apologia di un bel niente.
Sa, la pietas verso i defunti si riscontra sin dagli albori della civiltà umana, e qualche studio ne rivela tracce perfino nel restante mondo animale: a tal proposito, c’è un recente studio sugli scimpanzé.
Non mi fraintenda: non ho certo l’impudenza di paragonarLa ad uno scimpanzé, ma, se fossi al Suo posto, mi farei comunque due domande.
Cara Presidente della Camera Laura Boldrini, qualche settimana fa, se non erro, ho visto un servizio al telegiornale in cui Lei si lamentava delle continue bufale sul Web aventi ad oggetto Sua sorella, deceduta prematuramente da anni.
In tale occasione, nonostante io non abbia mai provato alcuna simpatia -né politica né personale- nei suoi confronti, ho provato un istantaneo moto di umana pietà e mi sono indignata per le gravissime circostanze che Lei denunciava.
Non Le chiedo di provare un moto di umana pietà per i caduti della R.S.I., che riterrei perfino offensivo nei confronti di questi ultimi, perché ho capito da tempo che in Italia i morti vengono ricordati in maniera selettiva.
Le chiedo, tuttavia, almeno un moto di altrettanto umana vergogna per quanto sta avvenendo in quel di Milano in virtù del clima repressivo così ben caldeggiato dalle sue dichiarazioni.
Vorrei, se me lo permette, parlarLe un po’ di me e raccontarLe una storia.
Quando ero piccola, come molti bambini, avevo una gran paura dei cimiteri, e ricordo bene che un giorno mia madre mi disse, saggiamente, che non bisogna aver paura dei morti, ma dei vivi.
Ebbene, questa vicenda mi dimostra una volta di più quanto mia madre -antifascista come Lei- avesse ragione.
Egregia Signora Boldrini, io non amo generalizzare, ma Le dirò che generalmente chi ha un background politico come il suo suole vantarsi di avere una cultura storica superiore a quanti hanno invece un background politico come il mio.
Mi aspetto pertanto da Lei una puntuale conoscenza della Storia, e sono dunque del tutto certa che Lei abbia ben presente Fabrizio Maramaldo.
Intendo proprio il condottiero di ventura d’epoca rinascimentale passato alla Storia per aver ucciso l’inerme Francesco Ferrucci.
Sa, una parte della storiografia di oggi sta riabilitando la figura di Maramaldo (e la storiografia di domani riabiliterà molte altre cose, glieL’assicuro), ma ciò che in questa sede mi interessa rilevare è come il cognome Maramaldo sia entrato nel lessico comune per indicare chi è tanto spregevole, perfido e vile da accanirsi contro chi è impossibilitato a difendersi.
Ciò che mi interessa rilevare è che, fondamentalmente e secondo la storiografia tradizionale, Fabrizio Maramaldo uccideva i morti, e non è un caso che il suo nome abbia assunto nell’uso comune il significato di cui sopra.
Lei trova corretto uccidere i morti?
Non c’è bisogno che mi risponda apertamente, perché è solo alla Sua coscienza che Le chiedo umilmente di rispondere.
Cara Presidente, più di una volta Lei ha fatto vessillo di istanze femministe, ed è anche per questo che mi chiedo se Lei sia o meno a conoscenza della triste sorte (che non starò a raccontarLe, ma sono certa che possa intuirla) toccata a molte donne combattenti della R.S.I. a seguito di quel 25 aprile che Lei si ostina a festeggiare senza il minimo senso critico e storico.
Non Le sto dicendo che deve smettere di festeggiare il 25 aprile.
Libera Lei di festeggiare, libera io di non farlo: anche questa, che Lei ci creda o no, è democrazia.
Ciò che voglio dirLe è che festeggiare con una maggiore consapevolezza storica Le consentirebbe di onorare meglio la carica istituzionale che riveste, quella stessa carica che dovrebbe portarla ad essere più avulsa da certe dinamiche ideologiche, ed a capire che se una parte degli Italiani il 25 aprile commemora una ricorrenza diversa dalla Sua, non per questo è figlia di un Dio minore e, soprattutto, non per questo deve essere perseguita, per giunta contra legem.
Gentile Signora Boldrini, ciò che il Suo fazioso ed illiberale antifascismo Le impedisce evidentemente di comprendere è che se alcuni morti non sono di tutti, sono pur sempre di qualcuno.
Se ne faccia una ragione, e smetta di pensare che i Suoi orizzonti debbano essere necessariamente gli orizzonti del resto del mondo.
Egregia Presidente, io non sono un avvocato, non sono una professoressa, o perlomeno non ancora, sono una figlia del proletariato e provengo dunque da quel ceto sociale che quanti hanno idee politiche simili alle sue, da sempre sostengono di rappresentare.
Bene, Le confiderò una cosa: i proletari hanno bisogno di arrivare a fine mese con dignità, non di veder applicate forme di censura alle opinioni a Lei sgradite.
Mi permetto, anzi, di fare un’ipotesi azzardata: forse molti proletari non avrebbero idee politiche a Lei sgradite, se l’attuale sistema (che ha problemi ben più gravi del fatto che qualcuno commemori defunti che a Lei non piacciono) desse loro quella dignità che, parlo sempre ed umilmente di “forse”, in qualche altro sistema avrebbero.
Per concludere, cara Presidente, vorrei raccontarLe una cosa: non perché sia particolarmente bella o edificante, ma perché penso possa aiutarLa a riflettere con maggior spirito critico sui c.d. “reati di opinione”, che pare Le siano molto cari.
È lecito ritenere, visto il partito da cui Lei è stata eletta, che il partito “storico” nel quale Lei si rispecchia maggiormente sia il PCI.
Ciò che forse non sa, è che nel dibattito che precedette la nascita della legge 20 giugno 1952 n. 645, ossia della legge Scelba come oggi la conosciamo, il PCI fu tra i suoi più strenui oppositori.
Questo, principalmente, per due ordini di ragioni: lo scopo originario della legge 645/52 era quello di contrastare le forze anti-sistema, e non ci sarebbe voluto molto a far finire in quel calderone lo stesso PCI; in secondo luogo, perché mi duole comunicarLe che il PCI aveva, evidentemente, quella lungimiranza di cui Lei appare sfortunatamente priva.
In termini spiccioli, aveva capito che la dinamica del reato di opinione è sempre e solo una: oggi tocca a me, domani tocca a te.
Nel momento in cui un ordinamento giuridico sdogana con la Sua nonchalance il reato di opinione si crea un precedente legislativo molto pericoloso per un ordinamento democratico: paradossalmente, il reato di opinione è il primo nemico di quella stessa democrazia che vorrebbe tutelare.
Io non so se il Suo antifascismo sia un modo come un altro di trovare una ragione alla propria inutile esistenza, o se semplicemente ricada in quella concezione tutta italiana secondo la quale esso debba indefettibilmente accompagnarsi ad idee politiche affini alle Sue.
Nel primo caso levo bandiera bianca, ma qualora si ricadesse nella seconda, sciagurata ipotesi, La invito a documentarsi sulla interessante vicenda di Nicola Bombacci, passato alla Storia come il “comunista in camicia nera”, o magari sulle cosiddette “camicie nere di Togliatti”: non credo che Lei cambierebbe idea -né è mia intenzione spingerLa a questo- ma certamente riuscirebbe a guardare ad una ferita ancora aperta della Storia italiana con maggiore consapevolezza, e colmerebbe una delle Sue molte lacune politiche.
Le porgo un sincero augurio di buon proseguimento per ciò che resta di questa legislatura, in quanto ritengo che Lei costituisca l’emblema più indegno ed eloquente delle contraddizioni di una democrazia nata dalle mani imbrattate di sangue di quanti sputavano sui cadaveri appesi per i piedi in Piazzale Loreto.
E giacché è lecito supporre che questa legislatura sarà per Lei l’ultima, mi permetto di darle un consiglio professionale per il Suo futuro: pare che stia riscuotendo un certo successo il mestiere di acchiappafantasmi; al Suo posto lo terrei in debita considerazione, certa che in quel campo potrebbe dare molto, certamente molto più di ciò che ha saputo dare alla già penosa politica italiana.
Alessandra Pilloni